HOME> Pace e Non Violenza
Le decisioni che prendiamo sono basate sulle convinzioni e opinioni che abbiamo e queste sono determinate in grandissima parte dalle informazioni che abbiamo ricevuto. Per esempio, se continuamente riceviamo informazioni su scippi, rapine, furti, antifurti, serrature a prova di scassinatori ecc., ci facciamo l’opinione che la piccola criminalità è estremamente diffusa, che la probabilità di esserne vittima è molto alta e che è uno dei principali problemi della nostra società (cosa non vera [1]). Sulla base di queste opinioni, per esempio, prendiamo la decisione di mettere sistemi antifurto o di non frequentare determinati posti o di votare quei partiti che promettono pugno duro contro la criminalità. Se poi continuamente riceviamo informazioni che collegano la criminalità alla presenza di stranieri, di immigrati, di persone di colore, di rom o di rumeni, ci facciamo la convinzione che sono soprattutto questi soggetti a delinquere (cosa non vera), che sono tendenzialmente ladri (per cultura o carattere), che sono un pericolo. Molti italiani sono contrari alla presenza di stranieri, chiedono politiche che ne arrestino la venuta, hanno atteggiamenti xenofobi o razzisti, sulla base delle opinioni formate dalle informazioni che hanno avuto. Ovviamente i partiti, che cercano di avere quanti più voti è possibile, se la maggioranza degli italiani ha tali opinioni fanno a gara per chi è più contrario all’immigrazione e ai rom.
L’informazione, nella nostra società, è dunque fondamentale. Se riceviamo informazioni veritiere possiamo farci opinioni e convinzioni che hanno il loro fondamento nella realtà, se riceviamo informazioni false (inventate di sana pianta) o distorte (“disinformazioni”, cioè informazioni alterate o parziali, che danno un’immagine deformata della realtà) o a senso unico (cioè un eccesso di informazioni su determinati fatti e una estrema carenza su altri, per cui la percezione della realtà è parziale e deformata) ci faremo delle opinioni che non corrispondono ai fatti, ma alle intenzioni dei soggetti che ci hanno fornito quelle informazioni false, distorte, a senso unico.
Le informazioni ci sono fornite soprattutto da giornali, notiziari e trasmissioni radiofoniche e televisive, siti Internet nonché amici e conoscenti che, soprattutto tramite i social (whatsapp, facebook ecc.), rilanciano informazioni a loro volta ricevute.
Ovviamente il proprietario del giornale, radio, televisione, del sito può avere un interesse a promuovere delle opinioni o a contrastare la diffusioni di altre opinioni. Questo interesse non raramente è talmente grande che si mantiene la proprietà di organi di informazione anche se hanno i bilanci in perdita.
In Italia gran parte degli organi di informazione sono in mano di pochi soggetti:
· gli Agnelli controllano Repubblica, La Stampa, L'Espresso, HuffPost Italia, il Secolo XIX, Limes, MicroMega, Radio DeeJay, Radio m2o, Radio Capital e altri;
· Berlusconi Canale 5, Rete 4, Italia 1, IRIS, Focus tv, TGcom24, Il Giornale, Chi, Donna moderna, Grazia, Focus, TV sorrisi e canzoni, Farmaco e cura, My personal trainer e altri, nonché gran parte del mercato editoriale librario (tramite la Mondadori);
· la Cairo Communication (fondata da Urbano Cairo per oltre 10 anni dirigente Finivest e braccio destro di Berlusconi) controlla il Corriere della Sera (insieme a Mediobanca, Unipol e Diego della Valle, proprietario di Hogan e Tod's e importante azionista di Italo), La 7, Diva, Effe, Di più, Natural Style, Nuovo;
· Rupert Murdoch, uno degli uomini più ricchi del mondo, controlla Sky;
· Antonio Angelucci (ex portantino, poi imprenditore della sanità privata - 26 cliniche -, tre volte deputato con Berlusconi) controlla Libero e Il Tempo e ha controllato Il Riformista fino alla sua chiusura;
· Caltagirone (costruttore, proprietario della Cementir e azionista di assicurazioni e banche), controlla Il Mattino, Il Messaggero, Il Gazzettino, Leggo, Corriere dell’Adriatico;
· Confindustria controlla Il Sole 24 ore e Radio24;
· la Sorget group (immobili, costruzioni, finanza) è proprietaria al 100% de Il Foglio (in passato controllato da vari imprenditori e uomini politici: Veronica Lario, Paolo Berlusconi, Denis Verdini, ecc.);
· la Conferenza Episcopale Italiana è proprietaria di Avvenire e TV2000;
· una società formata da vari giornalisti, da alcune case editrici (Chiarelettere, Alberti, SEIF) e da alcuni imprenditori è proprietaria de Il Fatto Quotiodiano (il cui statuto impedisce che un singolo socio abbia più del 16,7% delle azioni e che i giornalisti possano essere messi in minoranza nelle decisioni relative alla nomina del direttore e alla linea editoriale);
· una società formata dal giornalista Belpietro (quasi il 50% delle azioni), un consulente finanziario e due imprenditori è proprietaria di La Verità, Panorama e Confidenze;
· la cooperativa di giornalisti e tipografi de Il Manifesto è proprietario dell’omonimo giornale.
Come si può vedere la quasi totalità di quotidiani, settimanali, radio e tv è controllata da grandi gruppi economici, da supericchi. E’ difficile pertanto che si possano trovare su tali media informazioni sui guasti provocati dalla concentrazione di potere e ricchezza nelle mani di pochi e dall’attuale sistema economico, sugli stipendi bassi degli operai, su quanto di positivo fa il sindacato, sulla proprietà dei grandi mezzi di informazione, sulle aziende italiane che hanno sede nei paradisi fiscali, sui sistemi con i quali evadono ed eludono le tasse ecc. Sarà, invece, facile trovare articoli contro l’aumento delle tasse (in particolare contro una tassa patrimoniale), che parlano male dei sindacati e del pubblico (è nel loro interesse che la gente sia convinta che tutto ciò che è pubblico funziona male ed è inefficiente, al contrario di quello che è gestito dai privati), che propugnano la necessità di dare finanziamenti e agevolazioni alle imprese, di affrontare la questione ambientale con cambiamenti tecnologici (l’auto elettrica, per esempio) senza mettere mano all’attuale sistema economico e agli stili di vita non ecosostenibili.
E’ nell’interesse di queste grandi aziende e supericchi propugnare l’ideologia liberista, far credere che non è possibile un altro modello di società e che non vale la pena impegnarsi per cambiare le cose; che la felicità consiste nell’avere più soldi e più cose; che chi riesce ad avere successo è per suo merito e chi non riesce ad averlo è perché si è impegnato poco o male, perché è pigro e poco dotato (meritocrazia).
Per carità, qualche articolo fuori linea può anche essere ammesso, per dare un’impressione di pluralismo, tanto sarà quasi del tutto neutralizzato dai continui messaggi di segno contrario.
Che fare dunque?
1. Non leggere un solo giornale o ascoltare una sola radio o televisione, ma leggere diverse testate: per esempio una testata controllata da un gruppo economico (es. Repubblica, Corriere, Il Mattino, Il Sole 24 ore), una da una cooperativa di giornalisti (es. Il Manifesto, Il Fatto Quotidiano) e una da un’organizzazione ideologica (es. Avvenire).
2. Se non si ha il tempo di leggere più testate, si possono alternare le fonti (per esempio, una settimana si legge una testata, una settimana un’altra).
3. Ricordarsi, quando si legge un giornale o si ascolta/vede una trasmissione o un sito, chi lo controlla e vagliare criticamente i messaggi ricevuti.
4. Informarsi anche e soprattutto attraverso fonti di enti tecnici pubblici e quindi indipendenti, come l’ISTAT, l’ISPRA (Istituto Superiore per la Ricerca e e la Protezione Ambientale), INAPP (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche), l’OSCAD (Osservatorio per la Sicurezza contro gli Atti Discriminatori), l’ISS (Istituto Superiore di Sanità), l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), UNICEF, ecc. o di associazioni molto autorevoli come Amnesty International, Caritas, ASGI (Associazione di Studi Giuridici sull’Emigrazione), SVIMEZ (Associazione per lo Sviluppo dell'Industria nel Mezzogiorno), Oxfam, ASviS (Alleanza per lo Sviluppo Sostenibile), Alleanza Contro la Povertà, Alleanza per l’Infanzia, ecc. Tutti questi enti e associazioni pubblicano rapporti molto interessanti, quasi sempre riassunti in poche pagine introduttive di carattere divulgativo. Leggere questi rapporti ci dà un quadro della realtà molto più veritiero, chiaro e dettagliato di molti articoli di giornale o trasmissioni radiofoniche o televisive.
Strano è l’atteggiamento di molte persone che non si fidano degli enti tecnici pubblici (dove lavorano persone esperte di quel campo, non selezionate in base alle loro idee, non ricattabili perché con contratto a tempo indeterminato e che non ricevono finanziamenti da privati) e si fidano di più di quello che leggono su un giornale, che sentono/vedono in una trasmissione radiofonica o televisiva o su Internet. Non sanno che le notizie false o distorte sono frequenti soprattutto su Internet, meno frequenti su giornali, radio e televisioni e pressocché inesistenti sui rapporti di tali enti.
Note: 1)
L’Italia è al 9° posto in Europa come tasso di rapine e furti; la
criminalità da 30 anni è in costante discesa. Si veda Eurostat: La
criminalità in Europa; 2) Non è vero che gli stranieri o i rom
delinquono di più, non è evidenziato dai dati dell’Istat e studi ad hoc
smentiscono questo luogo comune: ne abbiamo parlato in vari nostri
messaggi, per esempio “Un caso di pessima informazione da parte dei
giornali” messaggio 21 del 16 ottobre 2019.
L’inquinamento dell’aria causa almeno 40.000 morti ogni anno in Italia. Questo secondo le stime più prudenti (altri studi stimano almeno 50.000 morti)[1].
I principali inquinanti che determinano danni alla salute sono:
· le polveri (designate con la sigla PM, materiale particolato, seguito da un numero che indica il loro diametro massimo). Solo le polveri inferiori a 10 micron di diametro (PM10) sono pericolose per la salute, perché le altre sono arrestate già nel naso o nella bocca. Le più pericolose sono le PM2,5, capaci di raggiungere gli alveoli polmonari e le PM1, capaci di penetrare attraverso i polmoni nell’apparato circolatorio. Le polveri possono avere azione cancerogena, irritante e allergizzante;
· gli ossidi di azoto (NOx): sono irritanti causando bronchite, asma e infiammazione delle prime vie aeree;
· i composti organici volatili (COV, come benzene, benzopirene, ecc.): hanno una spiccata azione cancerogena;
· l’ozono (O3): è una sostanza fortemente irritante che si forma nell’aria inquinata per effetto della radiazione solare.
Poi vi sono CO2, metano e altri gas che non hanno effetto diretto sulla salute, ma che sono gas serra: determinano l’aumento globale della temperatura del pianeta, con tutte le sue nefaste conseguenze (scioglimento dei ghiacciai, innalzamento dei mari, bombe d’acqua, inondazioni, lunghi periodi di siccità ecc.).
In Italia le principali sorgenti di inquinamento sono il trasporto su gomma (auto, moto, camion), il riscaldamento domestico (soprattutto le caldaie a pellet), gli impianti industriali, i porti e gli aeroporti (per le emissioni di navi e aerei), alcune attività commerciali e artigianali (autoriparatori, falegnamerie, pizzerie, friggitorie ecc.), gli allevamenti di animali [2].
L'Italia è il Paese europeo con l'aria più inquinata [3]. Ciò è dovuto ai seguenti fattori:
· l’enorme parco veicolare: in Italia vi sono 61 auto ogni 100 abitanti (contro le 55 della Germania, le 48 della Francia, 47 della Spagna, 45 dell’UK e Portogallo) e il 28% di tutti i motocicli circolanti nella UE [4];
· l’uso eccessivo di auto e moto (gli italiani sono gli europei che usano di meno i muscoli per muoversi in città [5]: basti pensare che il 30% degli spostamenti in auto serve per raggiungere destinazioni che a piedi si raggiungerebbero in 5-30 minuti [4];
· l’ampio uso del pellet per riscaldare case spesso mal coibentate [6].
Da quanto detto si comprende che l’inquinamento dell’aria non è un effetto inevitabile del progresso ma la conseguenza di scelte politiche e dei comportamenti e stili di vita dei cittadini. Le aziende dell’auto, del cemento, del petrolio, di altri comparti inquinanti sono riuscite a condizionare politici, amministratori e cittadini, che hanno compiuto e compiono, con più o meno consapevolezza, scelte utili a questi soggetti economici, ma estremamante dannose per la collettività.
A metà settembre 2021 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha abbassato i limiti massimi degli inquinanti nell’aria fissati nel 2005: il valore massimo ammesso delle polveri fini (PM2,5) è stato dimezzato (da 5mcg/mc a 2,5), quello delle polveri inalabili (PM10) da 20 mcg/mc a 15, quello del biossido di azoto da 40mcg/mc a 10 [7].
Tali riduzioni sono state imposte dai risultati delle ricerche condotte negli ultimi 20 anni, che hanno dimostrato l’estrema pericolosità degli inquinanti atmosferici anche a basse concentrazioni.
Purtroppo le raccomandazioni dell’OMS non sono seguite dalla UE, le cui direttive permettono limiti più alti di quelli ammessi dall’OMS nel 2005 (il doppio delle polveri inalabili, il quintuplo per le polveri fini). L’Italia poi non rispetta nemmeno questi limiti più blandi prescritti dalla UE e per questo è stata condannata nel 2020 dalla Corte di Giustizia europea per il continuo superamento del PM10 tra il 2008 e il 2018 ed è attualmente sotto processo per il costante superamento dei limiti di PM2.5 e del biossido di azoto. A Napoli, che non è tra le città italiane più inquinate, i valori del PM2,5 sono 6 volte maggiori di quelli ammessi dall’OMS, quelli del PM10 quasi il doppio e quelli del NO2 più del quadruplo di quelli consentiti dall’OMS [9].
Quindi le scelte di politici, amministratori e cittadini non solo determinano almeno 40.000 morti all’anno e aggravano l’effetto serra, ma ci costano e ci costeranno anche multe salate da pagare alla UE.
Che fare dunque? Quello che hanno fatto alcuni Stati, Regioni, Comuni:
· non dare più soldi alle industrie automobilistiche, petrolifere e del cemento e a cittadini che comprano auto, ma a chi compra una bicicletta o un abbonamento ai mezzi pubblici, alle aziende dei trasporti pubblici, ai Comuni perché costruiscano piste ciclabili (a Copenaghen il 62% degli abitanti usa la bici tutti i giorni [10]);
· non costruire altre strade, sottopassi, sopraelevate, tangenziali, svincoli, parcheggi (tutte scelte che favoriscono l’uso dell’auto), ma piste e percorsi ciclabili (Vienna ha 1000Km di piste ciclabili, Napoli 15 Km [11]), aree e percorsi pedonali, zone a traffico limitato (Monaco ha 44 Kmq, Napoli solo 6 Kmq [12]), funicolari, tramvie, ferrovie;
· disincentivare l’uso dell’auto e incentivare l’andare a piedi, in bici o con i mezzi pubblici: per esempio ticket per chi circola con auto o moto (per circolare con l’auto nel centro di Londra si pagano 15 sterline al giorno, cioè 17,6 euro [13]) e aumento del ticket per la sosta. Tutti i soldi incassati in questo modo devono andare a finanziare la ciclabilità e i trasporti pubblici, come avviene a Londra;
· eliminare le agevolazioni date al trasporto su camion, autobus, moto, aereo (14 miliardi all’anno [14]) e spostarli a quello su ferro, che è meno inquinante;
· per ridurre l’inquinamento da riscaldamento: tasse sui combustibili più inquinanti, tariffe differenziate sull’energia elettrica e sul gas a seconda della quantità consumata (per disincentivare consumi non necessari), incentivi per l’isolamento termico degli edifici e per gli scaldaaqcua solari e per l’edilizia solare o geotermica (incentivi che non vadano a finire solo a ricchi e benestanti ma anche alle classi povere);
· per ridurre l’inquinamento da impianti industriali: diminuire i limiti ammessi dell’emissione di inquinanti, introdurre tasse sulle emissioni totali e incentivi per l’uso di energie pulite (solare, eolica ecc.) e modificare i processi produttivi;
· aumentare la raccolta differenziata e il riciclaggio dei rifiuti (essenziale è costruire impianti di biodigestione-compostaggio di cui siamo estremamente carenti) e ridurre l’incenerimento;
· eliminare gli incentivi agli allevamenti di carne, soprattutto la bovina, che è la più impattante sull’ambiente.
Ma è assolutamente indispensabile che i cittadini, oltre a politici e amministratori, diano il loro contributo :
· appoggiando i politici e gli amministratori che prendono i provvedimenti prima elencati e contrastando chi continua a fare scelte politiche che determinano decine di migliaia di morti e avvicinano la catastrofe climatica del nostro pianeta;
· utilizzando il meno possibile auto e moto e il più possibile i muscoli (l’attività motoria ha anche innumerevoli effetti benefici sulla salute fisica e psichica) e i mezzi pubblici;
· accendendo il meno possibile il riscaldamento e tenendolo a temperature non elevate (sotto i 22 gradi come da legge), usando meno acqua calda e utilizzando i condizionatori d’aria solo quando è indispensabile;
· riducendo i consumi non necessari e a maggiore impatto ambientale e facendo scrupolosamente la raccolta differenziata;
· convincendo altre persone a fare quanto sopra detto.
Insomma non è più possibile continuare a fare scelte politiche, amministrative e comportamentali da irresponsabili. Accettare che oltre 40.000 persone ogni anno muoiano per colpa di queste scelte significa avere perso ogni umanità e senso etico. Andare incontro alla catastrofe climatica senza fare niente di efficace per fermarla è da idioti. Talvolta viene da pensare che la maggioranza dei politici, degli amministratori e dei cittadini è come anestetizzata, come se non si rendesse conto della realtà o chiudesse gli occhi per non vederla.
Per fortuna sembra che i giovanissimi, gli studenti delle scuole, abbiano aperto gli occhi e non siano disposti a tollerare che si levi loro il futuro: sono stanchi di parole, bla bla bla, vogliono fatti e azioni concrete. Non lasciamoli soli.
Note: 1) Studio ESCAPE (http://www.escapeproject.eu): l’EEA ha pubblicato nel 2019 una stima di 58.000 decessi, ma considerando anche gli inquinanti naturali; 2) ISPRA: Inquinamento atmosferico nelle aree urbane ed effetti sulla salute, 2016; 3) EEA: Morti premature attribuibili all'inquinamento atmosferico, 2016; 4) ISFORT 2018; 5) ISPRA: Qualità dell’ambiente urbano XIII rapporto. Focus sulla mobilità pedonale in città; 6) ISPRA: Qualità dell’ambiente urbano XIV rapporto, 2018; 7) https://www.who.int/news/item/22-09-2021-new-who-global-air-quality-guidelines-aim-to-save-millions-of-lives-from-air-pollution; 8) I valori sono rispettivamente 15, 29 e 42 mcg/mc. La fonte e ARPAC i valori si riferiscomo al 2019; 9) Comune di Copenaghen https://benzinazero.wordpress.com/2020/02/09/le-reazioni-paranoiche-degli-automobilisti-quando-si-parla-di-biciclette-e-piste-ciclabili; 10) https://www.piste-ciclabili.com/comune-napoli; 11) le fonti sono Comune di Monaco e Comune di Napoli, il dato si riferisce al 2016; 12) https://tfl.gov.uk/modes/driving/congestion-charge; 13) Legambiente stop sussidi alle fonti fossili 2020.
Un miliardo e 322 milioni di euro spesi per non far venire migranti in Italia: a chi conviene? (23/09/2021)
Tra il 2015 e il 2020 l’Italia ha speso 1 miliardo e 322 milioni di euro per cercare di non far venire migranti dall’Africa e solo 15 milioni di euro in progetti di ingresso legale (corridoi umanitari) [1]. Nello stesso periodo di tempo 14.142 migranti sono annegati nel tratto di mare compreso tra Tunisia, Libia, Egitto e Italia, cioè nel tentativo di arrivare nel nostro Paese partendo da quei Paesi africani [2]. Non si conosce il numero dei migranti morti lungo le rotte africane per raggiungere Tunisia, Libia ed Egitto, ma si pensa che siano nell’ordine delle migliaia.
Arrestare l’arrivo dei migranti è stato l’obiettivo di tutti i governi dal 2009 in poi e di quasi tutti i partiti. Prima del 2009 ogni anno il Governo fissava il numero di migranti che potevano venire in Italia per lavoro: in tal modo c’era un canale legale per chi desiderava venire a lavorare nel nostro Paese. Tra il 1998 e il 2008 l’Italia ha concesso in media 136.000 permessi di ingresso per motivi di lavoro all’anno (e, stranamente, sono stati i Governi di destra quelli che hanno concesso più permessi), dal 2009 in poi i permessi per lavoro hanno riguardato quasi solo stagionali (da impiegare soprattutto in agricoltura e nel turismo) e il loro numero è andato drasticamente diminunendo (80.000 permessi per stagionali negli anni 2009 e 2010, 10.000 nel 2014 e 13.000 nel 2015) [3].
Nel 2009 il Governo (presieduto da Berlusconi e con ministro degli Interni Maroni) ha varato una serie di norme contro gli stranieri (reato di ingresso e soggiorno illegale, reato per chi affitta una casa a un irregolare, aggravante dell’irregolarità per chi commette reati ecc.) con lo scopo di scoraggiare gli stranieri (quelli poveri, ovviamente) a venire in Italia. Ma gli stranieri sono continuati ad arrivare, solo che, essendo entrati senza permesso, sono “irregolari” e, essendo tali, lavorano a nero, non pagano le tasse, hanno difficoltà ad affitare una casa (per cui spesso finiscono per strada), non possono frequentare un corso di studi o di formazione o pagare un abbonamento ai trasporti pubblici ecc.
In questa maniera gli immigrati irregolari sono andati sempre più aumentando: nel 2013 erano circa 300.000, oggi si stima siano 650.000 [4]. La sola abolizione della “protezione umanitaria”, stabilita nel 2018 da uno dei “decreti sicurezza” di Salvini, ha determinato un aumento di 70.000 stranieri irregolari [5].
Gli immigrati arrivano in Italia via terra (ucraini, russi, srilankesi, indiani, pakistani, mediorientali ecc.) o attraverso il Mediterraneo, ed è soprattutto su questi che si concentra l’attenzione dei media e dei partiti e, quindi, dei cittadini.
Il numero dei migranti sbarcati in Italia dal 2009 in poi è molto variabile da anno in anno (da un minimo di 4.000 a un massimo di 181.000, con una media di circa 80.000 [6]): dipende, infatti, da guerre e conflitti armati (Siria, Libia, Sudan, Nigeria, Mali, Burkina Faso, Costa d’Avorio, ecc.), da rivoluzioni (per esempio le rivoluzioni arabe), dal chiudersi o aprirsi di altre rotte di ingresso, da catastrofi naturali (alluvioni, siccità ecc.), dall’aggravarsi o dal miglioramento della situazione economica e politica, dalla paura di essere vittima di gruppi integralisti come Al Qaeda o Boko Haram, dalle condizioni meteorologiche e del mare ecc.
Secondo l’Istat e l’INPS abbiamo bisogno ogni anno di circa 200.000 nuovi stranieri per compensare almeno parzialmente il calo demografico e l’invecchiamento della popolazione e perché servono al mercato del lavoro [7]. Basti pensare che in Italia ci sono 3 milioni di anziani non autosufficienti (e ogni anno il numero va aumentando [8]) e 6,5 milioni di pecore e capre da portare a pascolare per montagne e pianure [9]. Abbiamo bisogno quindi di badanti, pastori, braccianti, muratori, operai, addetti alla ristorazione, infermieri ecc.
Abbiamo bisogno di 200.000 stranieri all’anno e spendiamo 1 miliardo e 322 milioni per cercare di non farli venire. Grazie a questa politica il numero di stranieri che ogni anno arriva e rimane in Italia è di molto inferiore a 200.000 e per di più in grandissima parte irregolare. Una follia!
Il motivo principale di questa assurda politica è la paura di perdere voti. Alcuni partiti, giornali e opinion leader hanno tanto battutto sull’invasione di stranieri, sulla islamizzazione dell’Italia, sull’aumento della criminalità determinato dai nuovi venuti, ecc. che la maggioranza degli italiani ha creduto a queste bufale (tutti i dati, infatti, dimostrano il contrario: se entrassero 200.000 stranieri all’anno in 20 anni vi sarebbero 4 milioni o poco più di stranieri che per una popolazione di 60 milioni di italiani non è certo un’invasione; la maggioranza degli stranieri è cristiana e non islamica [10]; gli stranieri commettono meno reati degli italiani e la criminalità è in costante diminuzione [11]).
Va pure detto che tenendo viva la paura dello straniero e cercando di impedire che vengano in Italia si fanno affari. Il miliardo e 322 milioni di euro sono stati spesi per comprare fuoristrada e veicoli militari da donare alla Libia, Tunisia, Niger; per acquistare droni e pagare società che gestiscono satelliti; per organizzare corsi di addestramento per polizia e militari in vari Paesi africani; per produrre video, spot televisivi e radiofonici, manifesti e opuscoli per convincere i potenziali migranti a starsene nel loro Paese; per pagare migliaia di viaggi in aereo per riportare i migranti presenti in Libia o in Niger nei loro Paesi d’origine. Poi ci sono i soldi dati alle milizie libiche e ai governi del Niger, del Sudan, dell’Etiopia, del Ciad perché trattengano sul proprio territorio chi è in viaggio per raggiungere l’Italia e decine di “progetti di aiuto”, che hanno come unico fine bloccare chi vuole emigrare [1].
Pur di non farli venire si passa sopra ai diritti umani: che importa che nei lager libici le donne sono stuprate e gli uomini malmenati e venduti come schiavi se i lager hanno ridotto il numero delle partenze da quel Paese! Che importa che la guardia costiera libica spara sui naufraghi, sperona i barconi, frusta chi non vuole “essere salvato”, se riporta indietro chi stava per raggiungere l’Italia! Che importa che le milizie libiche che finanziamo terrorizzano la popolazione locale e perpetuano la guerra civile! Che importa che i migranti sono riportati proprio in quei Paesi da cui sono fuggiti perché perseguitati o minacciati! Che importa che il rischio di morire in mare è andato sempre più aumentando (nel 2014 era di 1 morto ogni 53 persone che arrivavano, nel 2019 è stato di 1 morto ogni 7 persone sbarcate [12])!
Il cinismo è tale che l’Italia dal 2016 (proprio dall’anno della morte di Giulio Regeni) aiuta la polizia egiziana (fornitura e consulenza per il software per le impronte digitali) e ha creato un’accademia di polizia al Cairo (inaugurata nel 2018) [1]. L’importante lo sappiamo è arrestare l’arrivo di persone in Italia a tutti i costi, umani ed economici.
Il cinismo dell’Italia ha destato l’interesse di un docente di diritto internazionale dell’Università di Parigi (Omer Shatz), che ha pubblicato un corposo lavoro (245 pagine) su tutte le conseguenze in termini di vite umane e diritti umani delle politiche per arrestare l’arrivo di migranti [13]. Egli ha inviato il dossier e una formale denuncia alla Corte Penale Internazionale per crimini contro l’umanità da parte dell’Italia. La Corte, che abitualmente respinge il 95% delle denunce presentate, ha accolto la denuncia, che ora è allo studio dei suoi funzionari [1].
Questa politica ha anche un altro effetto negativo: aumenta la criminalità internazionale. Due esempi lo dimostrano.
In Niger il trasporto di stranieri (senegalesi, ivoriani, nigeriani, ghanesi ecc.) alla frontiera era un’attività del tutto legale (in quella parte dell’Africa esiste un area di libera circolazione come da noi quella stabilita dal trattato di Schengen). A metà 2016 il Niger ha varato una legge (imposta dall’Italia e dalla UE) che vieta tutto ciò e abolisce la libera circolazione di persone in metà del proprio territorio. Tutta un’economia legale, quella del trasporto di stranieri alla frontiera col Ciad, scompare e viene sostituita da un’economia criminale: gruppi di delinquenti organizzano il trasporto, attraverso rotte più lunghe e tortuose per agirare i controlli o corrompendo poliziotti e funzionari [1].
L’altro esempio sono i 5 milioni di euro dati dall’Italia ad una milizia libica di Sabratha, la Brigata Anas Al-Dabbashi, per fermare le partenze dalla città costiera. In realtà tale Brigata altro non è che una banda di delinquenti e trafficanti di persone, come anche l’ONU ha dimostrato, imponendo sanzioni contro tale gruppo [1]..
Insomma abbiamo bisogno di circa 200.000 stranieri ogni anno e basterebbe pochissimo per averli - dare ogni anno 200.000 permessi di ingresso (per lavoro o protezione) -, ma invece di fare questo spendiamo un mare di soldi per non farli venire con l’effetto di far morire decine di migliaia di persone in mare, rendere la vita un inferno a chi cerca di raggiungere il nostro Paese, rafforzare gruppi criminali e regimi dittatoriali o non democratici. Poiché gli stranieri ci servono li facciamo arrivare (non 200.000 ma un 50.000-100.000 all’anno sì), ma illegalmente, così che, essendo irregolari, non pagano tasse, lavorano in nero ecc. In questa maniera la situazione demografica dell’Italia va peggiorando sempre più con gravi ripercussioni sull’economia.
Helen Dempster, economista del Center for Global Development, sostiene che l’Italia è in una situazione che ricorda quella del Giappone. “Per decenni, il Giappone ha avuto politiche migratorie molto restrittive, non ha ammesso nessuno, ma negli ultimi anni è successa una cosa: si è reso conto che, con il suo tasso d’invecchiamento della popolazione, presto non avrà più persone per svolgere lavori fondamentali, pagare le tasse e quindi finanziare le pensioni”. E così, dal 2019 ha iniziato ad accettare domande di visto per lavoro, sperando di attirare 500.000 lavoratori stranieri all’anno. Ma l’arrivo di tanti stranieri in così poco tempo sta creando non pochi problemi [1]. L’Italia è il Paese dell’Europa con più vecchi ed ha un estremo bisogno di giovani stranieri. I cittadini devono capirlo al più presto e smettere di seguire quei partiti che li illudono che sia possibile un’Italia popolata solo d’italiani, che propugnano la chiusura di porti e frontiere, che alimentano l’odio nei confronti degli immigrati. Prima gli italiani lo capiscono è meglio è, più tardi lo capiranno e più problemi avranno.
Note: 1) ActionAid: The big wall https://thebigwall.org/; 2) ONU-IOM: https://missingmigrants.iom.int/region/mediterranean?migrant_route%5B%5D=1376; 3) Ministero degli Interni; 4) ISPI: www.ispionline.it/it/pubblicazione/migrazioni-italia-tutti-i-numeri-24893 ; 5) ISPI: www.ispionline.it/it/pubblicazione/i-nuovi-irregolari-italia-21812; 6) si vedano www.openpolis.it/numeri/gli-sbarchi-italia-negli-ultimi-10-anni e Ministero degli Interni; 7) ISTAT, Il futuro demografico del Paese: www.istat.it/it/archivio/48875, INPS Centro Studi e Ricerche 2017 anche uno studio dell’ONU stima la medesima cifra (ONU Department of Economic and Social Affairs Population Division,Word Population Ageing 1950-2050; 8) La stima è dell’Università Bocconi (si veda www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=65668); 9) Ministero della Salute; www.vetinfo.it/j6_statistiche/#/report-pbi/89; 10) Il 56% è cristiano, gli islamici sono solo il 27% (https://stranieriinitalia.it); 11) Ministero degli Interni: Rapporto sulla criminalità (consigliamo il nostro messaggio n.21 del 16/10/19 “Un caso di pessima informazione da parte dei giornali www.giardinodimarco.it); 12) I dati sugli sbarchi sono del Ministero degli Interni, quello dei morti dell’ONU-IOM, si veda anche https://www.amnesty.it/giornata-mondiale-rifugiato-strage-mediterraneo; 13) www.academia.edu/39389018/EU_Migraiton_Policies_in_the_Mediterranean_and_Libya_2014_2019.
Non c’è angolo del nostro pianeta che non
sia inquinato da plastiche (microplastiche sono state ritrovate perfino
nelle fosse oceaniche e sulle cime dei monti più alti). Nel Pacifico è
presente un’ “isola galleggiante” di rifiuti plastici grande 3 volte
l’Italia. “Isole di plastica”, pure se di dimensioni minori, sono
presenti in quasi tutti i mari, compreso il Mediterraneo (per esempio
tra l’isola d’Elba e la Corsica), che, pur essendo solo l’1% di tutti i
mari, contiene il 7% delle plastiche [1]. Ma la cosa più grave, che
pochi sanno, è che il 99% della plastica presente nel mare noi non la
vediamo perché è disperso nella massa d’acqua o sul fondo marino [2]. La
plastica dispersa viene “ingerita” da alghe, frutti di mare, pesci e
finisce nei cibi che mangiamo. L’altra importante fonte di plastica
ingerita è quella rilasciata da piatti, bicchieri e bottiglie di
plastica. Si stima che ogni essere umano ingerisca mediamente 45.000
particelle di plastica l’anno [3]. Chi beve acqua in bottiglia di
plastica assume molta più microplastica di chi beve acqua di rubinetto
(fino a 20 volte di più) [3]. Spesso le plastiche contengono ftalati e
bisfenoli, interferenti endocrini capaci di determinare sterilità,
obesità e altre patologie, per cui finiamo per ingerire anche tali
composti. Vari studi hanno dimostrato che chi beve acqua in bottiglie di
plastica, usa bicchieri e piatti di plastica, riscalda gli alimenti nel
microonde in contenitori di plastica, ingerisce maggiori quantità non
solo di plastiche ma anche di bisfenoli e ftalati [4]. La produzione
delle materie plastiche è, inoltre, tra le cause dei gas serra.
Per tutti questi motivi scienziati e
ambientalisti da molti anni ci invitano a ridurre la
produzione e il consumo di plastiche, ma gran parte delle aziende e dei
cittadini sembrano sordi a tali
appelli, tanto è vero che la produzione annua di plastiche nel 1985 era
di 90 milioni di tonnellate, nel
2015 di 381 milioni ed è in continua crescita [5].
Tra tutti i prodotti i più assurdi e antiecologici sono quelli “usa e
getta” (oggi detti monouso).
Estrarre materie prime, trasportarle, lavorarle e trasformarle in
oggetti a loro volta trasportati
presso i venditori e consumatori per utilizzarli per qualche secondo o qualche minuto e poi gettarli come rifiuti, che
devono essere prelevati, selezionati,
trasformati e/o smaltiti è una vera follia, perché ognuno di questi
processi impiega energia (spesso
fossile) e produce inquinamento (gas serra, polveri fini, rifiuti ecc.). Due dati fanno capire il danno causato dall’
“usa e getta”: a tali prodotti è destinato il
40% di tutta la produzione di plastica [6], oltre il 30% di tutti i
rifiuti plastici presenti sulle
nostre spiagge sono prodotti “usa e getta” (escludendo il 14% dei
rifiuti di cui è difficile
stabilire l’origine) [7].
L’UE ha varato una direttiva (n.904/2019)
per ridurre i prodotti usa e getta ed è utile capire meglio alcuni
termini, per non farsi imbrogliare, e dare uno sguardo a cosa sta
facendo il Governo e il Parlamento italiano, che sembrano avere molto
più a cuore i profitti delle aziende che la salute dei cittadini e il
destino del nostro pianeta. 1)
Biodegradabile non è sinonimo di non pericoloso per l’ambiente. Per la
normativa UE un prodotto è
biodegradabile se viene frantumato da microorganismi. Gran parte delle microplastiche presenti nel mare origina da
contenitori, pellicole, buste e altri oggetti
“biodegradabili” e infatti l’UNEP (l’ente dell’ONU che si interessa
della tutela dell’ambiente) in un
suo rapporto scrive “L’adozione diffusa di prodotti etichettati come biodegradabili non diminuirà in modo
significativo il volume di plastica che entra
nell’oceano o i rischi fisici e chimici che le materie plastiche
rappresentano per l’ambiente
marino” [8].
2) Compostabile non significa che diventa
concime per le piante. Per la normativa UE,infatti, basta che sia
possibile ciò in particolari impianti industriali. In nessun modo, quindi, l’aggettivo compostabile si riferisce
alla capacità di un materiale di decomporsi
in ambiente naturale (suolo, mare ecc.) o durante il compostaggio
domestico o rurale. Inoltre una
consistente parte dei prodotti compostabili (es. posate, contenitori
ecc.) non viene compostato nemmeno
negli impianti industriali. Infatti quasi tutti gli impianti di biodigestione hanno un selezionatore “a monte”
per eliminare le plastiche e questi
selezionatori molto spesso non sono capaci di distinguere una stoviglia
di plastica da una in Mater-Bi o
PLA (due materiali compostabili), per cui ambedue finiranno in un
inceneritore o in una discarica.
Negli impianti di compostaggio il selezionatore è “a valle” ma la conseguenza è uguale: materiali compostabili un
poco più compatti sono scambiati per
plastiche seguendone il medesimo destino.
3) Prodotto realizzato a partire da materie
prime rinnovabili nulla ci dice sul suo impatto
ambientale. Per esempio il mais utilizzato per oggetti biodegradabili e
compostabili e derivanti da materie
prime rinnovabili talvolta è prodotto in campi ricavati distruggendo le foreste o facendo ampio uso di fertilizzanti di
sintesi e di pesticidi e altre tecniche agricole
che nel breve periodo ottimizzano i guadagni ma che danneggiano
fortemente e spesso
irreversibilmente gli ecosistemi. Senza contare che imprese così poco
attente all’ambiente spesso non
rispettano nemmeno i diritti umani e sindacali.
Altre due cose sono da considerare:
- l’Italia non ha sufficienti impianti di biodigestione e/o compostaggio
per ricavare metano e/o concime dai
rifiuti umidi attualmente prodotti (viene trattato meno del 55%
[9]),
- la gestione dei rifiuti umidi è quella più onerosa.
Sostituire i prodotti in plastica con analoghi da compostare è quindi
una presa in giro perché non ci
sono impianti per farlo (o, se vengono compostati, è perché altri
rifiutiorganici non lo saranno più)
e determinerà inevitabilmente un aumento dei costi per i
comuni e per i cittadini. L’unica
maniera per risolvere il problema dell’inquinamento da plastica senza
prendere in giro i cittadini e
determinare nuovi problemi ambientali è abolire tutti i prodotti usa e getta che possono essere sostituiti da prodotti
riutilizzabili (stoviglie, contenitori ecc.) o
che non indispensabili (gadget, alcuni imballaggi ecc.).
Purtroppo tutti i Governi che abbiamo avuto e la stragrande maggioranza
dei Parlamentari hanno operato in
maniera opposta. Le leggi finanziarie del 2018, 2019 e 2020 hanno destinato finanziamenti per le imprese che
sostituivano prodotti usa e getta in plastica
con analoghi compostabili, ma non per quelle che le sostituiscono con
prodotti riutilizzabili. Inoltre è
stato varato un incentivo economico per il sistema del “vuoto a rendere” ma che si applica solo alle imprese
con sede nei Parchi nazionali (cioè quasi
nessuna) [10]. Purtroppo si è
creata un’alleanza tra alcuni gruppi industriali (produttori
d’imballaggi, catene di
distribuzione, aziende che producono materiali biodegradabili e
compostabili) e una parte dei
cittadini (quelli che non vogliamo cambiare le loro abitudini fortemente impattanti sull’ambiente): le aziende offrono
pseudosoluzioni tecnologiche illudendo i
cittadini che non è necessario cambiare le loro abitudini e questi ci
credono o fanno finta di crederci.
Altre volte per vendere prodotti inquinanti
e continuare in abitudini non ecosostenibili si
inventano problemi che non esistono. Per esempio quello dell’igiene.
Quasi tutti, infatti, ritengono che
un bicchiere usa e getta è più igienico di uno di vetro, ma ciò non ha alcun fondamento. Non esiste infatti alcuna
ricerca che dimostri ciò mentre esistono varie
ricerche che dicono che sulla plastica i virus resistono più a lungo che
sul vetro (quello del covid quasi
il doppio [11]). Inoltre se si mette un bicchiere per alcuni minuti in
acqua e detersivo (anche a
temperatura ambiente) la carica batterica e virale si riduce
enormemente, se viene poi lavato
con acqua e detersivo scompare ogni problema d’igiene e se viene lavato in lavastoviglie si sterilizza [11]. Le linee
guida dell’Istituto Superiore di Sanità per bar
e ristoranti per la prevenzione del covid non danno alcuna indicazione
di privilegiare i bicchieri monouso
perché non offrono nessuna garanzia in più di quelli di vetro [12]. D’altra parte è quasi impossibile che il covid
(e altre malattie respiratorie) possano
trasmettersi con i bicchieri (piatti, posate ecc.). L’unica maniera
possibile, infatti, è che il
bicchiere sia contaminato con una carica virale non irrilevante
(qualcuno deve tossire o starnutire
nelle vicinanze dei bicchieri), che le dita di una persona tocchino la
parte contaminata e si contaminino
a loro volta e che il soggetto metta le dita nel naso o negli occhi (il covid e altre malattie respiratorie
non si trasmettono per ingestione). Eppure
tantissime persone vogliono solo bicchieri usa e getta anche se poi
tutti tocchiamo altri oggetti più a
rischio senza alcuna preoccupazione (per esempio i soldi, i carrelli dei supermercati, le pompe della benzina ecc.). In
realtà anche questi oggetti sembrano
pochissimo implicati nella trasmissione del covid che avviene
soprattutto tramite le goccioline
di saliva (da qui l’importanza delle mascherine e della distanza) e gli
aerosol (da cui l’importanza di
evitare locali affollati o poco areati).
Insomma il pericolo non viene dalle
stoviglie riutilizzabili ma da quelle usa e getta che
inquinano mare, fiumi, suoli e aggravano l’effetto serra (un piatto
compostabile 5 volte di più di uno
in porcellana lavato in lavastoviglie [13]).
Ricordiamocelo quando facciamo acquisti, andiamo al bar, pub, ristorante
e facciamolo sapere in giro. Siamo sicuri che questo avrebbe detto Marco
Mascagna, che già negli anni ‘80 era contro
l’usa e getta e lottava per una società ecosostenibile, non consumista,
non sprecona, più equa e giusta.
Marco sapeva che grandissimi problemi derivano da banali comportamenti, ma attuati da milioni di persone, e che è
fondamentale informare e convincere quante più
persone è possibile (che a loro volta informano e convincono altri)
determinando un effetto a catena,
che è uno dei meccanismi principali dei cambiamenti che avvengono nella società. Una frase che piaceva a Marco
era “Se tante persone di poco conto, in molti
luoghi di poco conto, facessero cose di poco conto ... la faccia del
mondo cambierebbe”.
Note: 1) WWF: Fermiamo l’inquinamento da plastica: come i Paesi del Mediterraneo possono salvare il proprio mare, Report 2019; 2 European Research Council: TOPIOS (Tracking Of Plastic In Our Seas) http://topios.org; 3) Kieran D et al.: Human Consumption of Microplastics, Environmental Science & Technology, 2019; 4) Istituto Superiore di Sanità https://www.iss.it/alimentazione-nutrizione-sicurezzaalimenti/-/
Domanda: “All’interno di un sistema finito e chiuso (che non può scambiare materia con l’esterno), può accadere che un elemento cresca in maniera infinita? O, per dirla con un esempio: può accadere che in una stanza una pianta, per esempio un ficus, cresca in maniera infinità, diventando un albero gigantesco?”. Qualsiasi persona dotata di ragione dirà: “No! E’ impossibile”. Infatti, solo un’idiota o un pazzo può sostenere il contrario. In un sistema finito la crescita di un elemento può avvenire per un certo tempo ma non indefinitamente perché, a lungo andare, determina alterazioni tali nel sistema che faranno sì che quella crescita si arresti, quasi sempre tragicamente. La realtà ne è ricca di esempi: per esempio il tumore maligno non è altro che una cellula che si sgancia dai meccanismi che ne limitano la replicazione e inizia a moltiplicarsi indefinitamente creando una massa che invade con le metastasi tutto l’organismo determinandone la morte e con esso anche la morte delle cellule tumorali. Un altro esempio è il fenomeno della desertificazione per superpascolo, cioè la desertificazione dovuta al fatto che il numero degli erbivori è cresciuto tanto che essi mangiano più erba di quanto possa crescere o riprodursi, determinando a cascata la scomparsa dell’erba, degli erbivori e dei carnivori. Malgrado la lampante evidenza di tutto ciò un’enorme massa di persone (in primis imprenditori, politici, opinion leader ecc.) credono (o fanno finta di credere) che ciò sia possibile e fanno di tutto perché nel nostro pianeta finito vi sia una crescita infinita di “beni materiali”, di consumi e, spesso, anche della popolazione umana. E ciò nonostante tutte le conseguenze negative che tale crescita già ora determina: inquinamento, cambiamenti climatici, perdita di biodivesità, desertificazione, nuove epidemie ecc. Quando le persone che cercano di opporsi a questa crescita infinita diventano una massa troppo “rumorosa” si promettono svolte più o meno fasulle, e si inventano allocuzioni truffaldine, come “crescita sostenibile” o “sviluppo sostenibile” (cioè una crescita infinita ma sostenibile: una contraddizione in termini).
Negli ultimi tempi vanno di moda le allocuzioni “transizione ecologica”, “crescita verde”, “economia verde” e “decoupling” (“sganciamento”, nel senso di sganciare la crescita economica dal consumo di energia, dall’inquinamento e in generale dalle pressioni sull’ambiente: cioè aumentare la produzione, i consumi e la ricchezza, senza aumentare l’impatto sull’ambiente ma, al contrario, diminuendolo sempre più). Goldsmith, l’economista fondatore di The Ecologist, ha evidenziato che l’impatto ambientale di una società dipende dalla quantità di prodotti e servizi pro capite, dall’impatto di ciascuno di tali beni e servizi e dalla numerosità della popolazione, e che l’introduzione di prodotti meno impattanti sull’ambiente porta spesso a un aumento del loro acquisto che determina alla fine un aumento complessivo dell’impatto ambientale. Per esempio le attuali automobili fanno molti più Km con un litro di carburante e inquinano molto meno di quelle di 50 anni fa e continuamente si sfornano nuovi modelli ulteriormente meno impattanti. Malgrado ciò le emissioni del settore trasporti sono aumentate notevolmente e continuano a crescere, perché il numero di auto (e il loro uso) è andato sempre più aumentando. Inoltre frequentemente tecnologie che si reputano meno impattanti mostrano degli “effetti collaterali” più o meno inaspettati. Per esempio il pile sembrava un tessuto estremamente “ecologico” perché si ricava dai rifiuti plastici ed è di lunga durata. Ora si sa che è estremamente inquinante: infatti il lavaggio di una singola felpa rilascia circa 1.000.000 di particelle di microplastiche indistruttibili [1]). Il pellet sembrava un combustibile “verde” perché non fossile, “rinnovabile” e “naturale”, poi si è scoperto (in realtà lo si sapeva benissimo) che bruciando produce enormi quantità di polveri fini. Nel Nord e Centro Italia la concentrazione di polveri fini nell’aria è aumentata notevolmente e la principale causa sono le stufe a pellet [2]. Insomma migliorare e cambiare tecnologia non serve a niente se i consumi continuano ad aumentare.
Se i consumi si riducono si ridurrà anche l’impatto ambientale, e ancora di più se si adottano contemporaneamente tecnologie effettivamente meno inquinanti, ma puntare solo su tecnologie più pulite è una strada fallimentare che non tiene conto della realtà. Malgrado tutto ciò oggi si vuole riconvertire la nostra società puntando solo sul miglioramento della tecnologia, perché chi ha le leve del comando del nostro sistema economico, sociale e politico, per ideologia o per interesse non vuole mettere in discussione il dogma della crescita, dell’aumento continuo e perenne della produzione, dei consumi, del PIL. Per questo si parla in continuazione di “crescita verde”, “green economy”, di “decoupling” e si cerca di far credere che è possibile produrre e consumare di più diminuendo contemporaneamente l’impatto ambientale (non è un caso che tale tesi è propagandata da fondazioni e think tank promossi o finanziati da banche, multinazionali e superricchi). Per sostenere tale tesi sono riportati i dati sull’andamento del PIL e delle emissioni di CO2 per affermare che già ora è in corso il decoupling e ancora di più lo sarà in futuro. Molto citati, per esempio, sono i dati di una ricerca pubblicata su Nature che esamina gli andamenti di CO2 e PIL tra il 2005 e il 2015 in 18 Paesi sviluppati [3]. Il Paese col più rilevante decoupling è la Gran Bretagna: le sue emissioni di CO2 sono diminuite del -2,1% all’anno tra il 2005 e il 2015 con tassi di PIL dell’1,1% circa all’anno. Questo risultato, portato ad esempio della possibilità del decoupling e dell’efficacia della crescita verde, è in realtà ridicolo: infatti la Gran Bretagna per rispettare l’accordo di Parigi deve ridurre le emissioni del 13% all’anno, cioè 6 volte di più di quanto avvenuto [4]. Inoltre una crescita del PIL dell’1,1% all’anno non è una gran crescita e gli stessi autori dello studio affermano che “le diminuzioni dell’uso di energia potrebbero essere spiegate almeno in parte dalla minore crescita del PIL” [3]. Nel marzo 2021 i medesimi autori hanno pubblicato un nuovo studio che prende in considerazione gli anni tra il 2016 e il 2019 e 214 Paesi [5]. 64 nazioni sono riusciti a tagliare le loro emissioni annuali di CO2 (complessivamente di 0,16 Giga tonnellate, cioè solo di un decimo di quanto necessario per rispettare gli accordi di Parigi) e 150 Paesi le hanno aumentate. Insomma quando sentite parlare di decoupling, crescita verde, green economy state attenti perché quasi sempre stanno cercando di prendervi in giro: vogliono illudervi che non è necessario cambiare modello economico e stili di vita per scongiurare il cambiamento climatico e tutti gli altri effetti negativi determinati dalla nostra società sul pianeta Terra. La nostra società deve svilupparsi molto di più, ma nel senso che deve diventare più giusta, più equa, più salutare, più produttrice di benessere che di malessere, disagio, emarginazione. Come diceva il grande economista Nicolai Georgescu-Roegen il fine del processo economico non è la produzione e distribuzione di beni, ma il benessere dei cittadini, che in alcuni casi dipende dalla produzione e dal consumo di beni, ma in molti altri casi no: per questo invitava economisti e cittadini ad “interessarsi di più alle cose che contano che a quelle che si possono contare”.
Note: 1) https://www.nature.com/articles/s41598-019-43023-x; 2) ISPRA: Qualità dell’ambiente urbano XIV rapporto, 2018; 3) https://www.nature.com/articles/s41558-019-0419-7; 4) https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/14693062.2020.1728209; 5) https://www.nature.com/articles/s41558-021-01001-0;
Farsi
guidare da chi crede che sia possibile una crescita infinita in un
sistema finito (19/07/2021)
Domanda: “All’interno di un sistema finito e chiuso (che non può scambiare materia con l’esterno), può accadere che un elemento cresca in maniera infinita? O, per dirla con un esempio: può accadere che in una stanza una pianta, per esempio un ficus, cresca in maniera infinità, diventando un albero gigantesco?”. Qualsiasi persona dotata di ragione dirà: “No! E’ impossibile”. Infatti, solo un’idiota o un pazzo può sostenere il contrario. In un sistema finito la crescita di un elemento può avvenire per un certo tempo ma non indefinitamente perché, a lungo andare, determina alterazioni tali nel sistema che faranno sì che quella crescita si arresti, quasi sempre tragicamente. La realtà ne è ricca di esempi: per esempio il tumore maligno non è altro che una cellula che si sgancia dai meccanismi che ne limitano la replicazione e inizia a moltiplicarsi indefinitamente creando una massa che invade con le metastasi tutto l’organismo determinandone la morte e con esso anche la morte delle cellule tumorali. Un altro esempio è il fenomeno della desertificazione per superpascolo, cioè la desertificazione dovuta al fatto che il numero degli erbivori è cresciuto tanto che essi mangiano più erba di quanto possa crescere o riprodursi, determinando a cascata la scomparsa dell’erba, degli erbivori e dei carnivori.
Malgrado la lampante evidenza di tutto ciò un’enorme massa di persone (in primis imprenditori, politici, opinion leader ecc.) credono (o fanno finta di credere) che ciò sia possibile e fanno di tutto perché nel nostro pianeta finito vi sia una crescita infinita di “beni materiali”, di consumi e, spesso, anche della popolazione umana. E ciò nonostante tutte le conseguenze negative che tale crescita già ora determina: inquinamento, cambiamenti climatici, perdita di biodivesità, desertificazione, nuove epidemie ecc.
Quando le persone che cercano di opporsi a questa crescita infinita diventano una massa troppo “rumorosa” si promettono svolte più o meno fasulle, e si inventano allocuzioni truffaldine, come “crescita sostenibile” o “sviluppo sostenibile” (cioè una crescita infinita ma sostenibile: una contraddizione in termini).
Negli ultimi tempi vanno di moda le allocuzioni “transizione ecologica”, “crescita verde”, “economia verde” e “decoupling” (“sganciamento”, nel senso di sganciare la crescita economica dal consumo di energia, dall’inquinamento e in generale dalle pressioni sull’ambiente: cioè aumentare la produzione, i consumi e la ricchezza, senza aumentare l’impatto sull’ambiente ma, al contrario, diminuendolo sempre più).
Goldsmith, l’economista fondatore di The Ecologist, ha evidenziato che l’impatto ambientale di una società dipende dalla quantità di prodotti e servizi pro capite, dall’impatto di ciascuno di tali beni e servizi e dalla numerosità della popolazione, e che l’introduzione di prodotti meno impattanti sull’ambiente porta spesso a un aumento del loro acquisto che determina alla fine un aumento complessivo dell’impatto ambientale. Per esempio le attuali automobili fanno molti più Km con un litro di carburante e inquinano molto meno di quelle di 50 anni fa e continuamente si sfornano nuovi modelli ulteriormente meno impattanti. Malgrado ciò le emissioni del settore trasporti sono aumentate notevolmente e continuano a crescere, perché il numero di auto (e il loro uso) è andato sempre più aumentando. Inoltre frequentemente tecnologie che si reputano meno impattanti mostrano degli “effetti collaterali” più o meno inaspettati. Per esempio il pile sembrava un tessuto estremamente “ecologico” perché si ricava dai rifiuti plastici ed è di lunga durata. Ora si sa che è estremamente inquinante: infatti il lavaggio di una singola felpa rilascia circa 1.000.000 di particelle di microplastiche indistruttibili [1]). Il pellet sembrava un combustibile “verde” perché non fossile, “rinnovabile” e “naturale”, poi si è scoperto (in realtà lo si sapeva benissimo) che bruciando produce enormi quantità di polveri fini. Nel Nord e Centro Italia la concentrazione di polveri fini nell’aria è aumentata notevolmente e la principale causa sono le stufe a pellet [2].
Insomma migliorare e cambiare tecnologia non serve a niente se i consumi continuano ad aumentare. Se i consumi si riducono si ridurrà anche l’impatto ambientale, e ancora di più se si adottano contemporaneamente tecnologie effettivamente meno inquinanti, ma puntare solo su tecnologie più pulite è una strada fallimentare che non tiene conto della realtà.
Malgrado tutto ciò oggi si vuole riconvertire la nostra società puntando solo sul miglioramento della tecnologia, perché chi ha le leve del comando del nostro sistema economico, sociale e politico, per ideologia o per interesse non vuole mettere in discussione il dogma della crescita, dell’aumento continuo e perenne della produzione, dei consumi, del PIL. Per questo si parla in continuazione di “crescita verde”, “green economy”, di “decoupling” e si cerca di far credere che è possibile produrre e consumare di più diminuendo contemporaneamente l’impatto ambientale (non è un caso che tale tesi è propagandata da fondazioni e think tank promossi o finanziati da banche, multinazionali e superricchi).
Per sostenere tale tesi sono riportati i dati sull’andamento del PIL e delle emissioni di CO2 per affermare che già ora è in corso il decoupling e ancora di più lo sarà in futuro. Molto citati, per esempio, sono i dati di una ricerca pubblicata su Nature che esamina gli andamenti di CO2 e PIL tra il 2005 e il 2015 in 18 Paesi sviluppati [3]. Il Paese col più rilevante decoupling è la Gran Bretagna: le sue emissioni di CO2 sono diminuite del -2,1% all’anno tra il 2005 e il 2015 con tassi di PIL dell’1,1% circa all’anno. Questo risultato, portato ad esempio della possibilità del decoupling e dell’efficacia della crescita verde, è in realtà ridicolo: infatti la Gran Bretagna per rispettare l’accordo di Parigi deve ridurre le emissioni del 13% all’anno, cioè 6 volte di più di quanto avvenuto [4]. Inoltre una crescita del PIL dell’1,1% all’anno non è una gran crescita e gli stessi autori dello studio affermano che “le diminuzioni dell’uso di energia potrebbero essere spiegate almeno in parte dalla minore crescita del PIL” [3].
Nel marzo 2021 i medesimi autori hanno pubblicato un nuovo studio che prende in considerazione gli anni tra il 2016 e il 2019 e 214 Paesi [5]. 64 nazioni sono riusciti a tagliare le loro emissioni annuali di CO2 (complessivamente di 0,16 Giga tonnellate, cioè solo di un decimo di quanto necessario per rispettare gli accordi di Parigi) e 150 Paesi le hanno aumentate.
Insomma quando sentite parlare di decoupling, crescita verde, green economy state attenti perché quasi sempre stanno cercando di prendervi in giro: vogliono illudervi che non è necessario cambiare modello economico e stili di vita per scongiurare il cambiamento climatico e tutti gli altri effetti negativi determinati dalla nostra società sul pianeta Terra.
La nostra società deve svilupparsi molto di più, ma nel senso che deve diventare più giusta, più equa, più salutare, più produttrice di benessere che di malessere, disagio, emarginazione.
Come diceva il grande economista Nicolai Georgescu-Roegen il fine del processo economico non è la produzione e distribuzione di beni, ma il benessere dei cittadini, che in alcuni casi dipende dalla produzione e dal consumo di beni, ma in molti altri casi no: per questo invitava economisti e cittadini ad “interessarsi di più alle cose che contano che a quelle che si possono contare”.
Note: 1) https://www.nature.com/articles/s41598-019-43023-x; 2) ISPRA: Qualità dell’ambiente urbano XIV rapporto, 2018; 3) https://www.nature.com/articles/s41558-019-0419-7; 4) https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/14693062.2020.1728209; 5) https://www.nature.com/articles/s41558-021-01001-0;
“Transizione ecologica” è un’espressione di moda; ne parlano politici, amministratori, economisti, imprenditori. Ne parla l’Unione Europea, che ha varato nel 2019 il programma European Green Deal (anche per rispondere all’estesa mobilitazione del movimento Fridays for Future promosso da Greta Thunberg) e che, secondo quanto affermato, “trasformerà l’Unione Europea in una società giusta e prospera, con un’economia di mercato moderna e dove le emissioni di gas serra saranno azzerate e la crescita sarà sganciata dall’utilizzo delle risorse naturali”. Anche il Next Generation EU ha questo fine: infatti, per rilanciare l’economia dopo la crisi determinata dal covid, prevede investimenti e riforme “per accelerare la transizione ecologica e digitale; migliorare la formazione delle lavoratrici e dei lavoratori; conseguire una maggiore equità di genere, territoriale e generazionale”. Ne parla l’Italia che ha istituito il Ministero della Transizione Ecologica) e che per accedere ai 191,5 miliardi dei finanziamenti del Next Generation EU e ai 30,6 miliardi del Fondo Complementare ha varato il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Che si metta al centro dell’agenda politica la questione ecologica e si stanzino ingenti fondi ad hoc è senz’altro positivo, perché siamo vicini al punto di non ritorno del cambiamento climatico, con effetti disastrosi per l’ambiente e, quindi, per la salute, per l’economia e per la sopravvivenza di milioni di persone (qualcosa di molto peggiore di quanto abbiamo sperimentato col covid) e perché significa che l’impegno di tante persone, soprattutto giovani e ragazzi, è servito a qualcosa. Ma a nostro giudizio, a giudizio di molte associazioni ed enti che si interessano d’ambiente e di quella parte del mondo politico più attenta alle questioni ambientali e alla giustizia sociale ci sono gravi difetti in questi piani. Vediamo i principali. Gli scienziati ci dicono che per scongiurare l’aumento di temperatura di 1,5° dovremmo entro il 2030 ridurre le emissioni di almeno il 56% rispetto a quelle del 2019 [1]. La UE ha stabilito una riduzione del 55%, che sembra in linea con quanto prescritto dagli scienziati, ma in realtà non lo è. La UE infatti si è posta l’obiettivo di ridurre le emissioni del 55% rispetto a quelle del 1990, il che significa di ridurle del 38% rispetto a quelle del 2019, quindi una percentuale molto inferiore a quella prescritta dagli scienziati [2]. Il motivo di tale scelta è non mettere in difficoltà le aziende inquinanti, in particolare quelle legate alla produzione di energia elettrica da petrolio, carbone e metano, le aziende automobilistiche, la zootecnia e le aziende collegate (mangimi, concimi, industria alimentare ecc.), le compagnie aeree, ecc. L’indicazione della UE, quindi, è quella di salvaguardare soprattutto le aziende, i capitali, i profitti e solo subordinatamente la vita delle persone, l’ambiente, la salute. E l’indicazione è stata ben compresa dagli Stati, come si evince dalle decisioni dell’Italia. Il PNRR del nostro Paese destina solo 8,58 miliardi per quanto attiene la “transizione ecologica” della mobilità urbana (cioè solo il 3,8% dei fondi del Next Generation EU) [3]. Una cifra del tutto inadeguata tenendo conto che circa il 12% dei gas serra è dovuto ai trasporti in ambito urbano [4]. 3,6 miliardi sono destinati a costruire 11 km di metropolitane, 85 Km di reti tramviarie, 120 km di filovie e 15 km di funivie metropolitane. Se si considera che Roma (2,8 milioni di abitanti) dispone di circa 60 Km di metropolitana, mentre Monaco di Baviera (1,5 milioni di abitanti) di 103 Km (considerando la sola U-Bahn), si può comprendere come l’obiettivo di costruire solo 11 Km di metrò sia del tutto ridicolo [5]. Lo stesso vale per le linee tramviarie (36 Km a Roma, 79 a Monaco) e per le filovie (in Italia smantellate quasi dappertutto nei decenni passati). Solo 0,6 miliardi sono stanziati per la ciclabilità: serviranno per costruire 570 Km di piste ciclabili urbane (cioè 4 Km di piste ciclabili per ognuna delle città italiane con oltre 50.000 abitanti, oppure 12,6 Km per ogni città superiore ai 100.000 abitanti) e 1.250 ciclovie turistiche. Si consideri che gran parte delle città del Sud non ha piste ciclabili o solo qualche Km e che, per fare un raffronto internazionale, Roma ha 225 Km di piste ciclabili [6], mentre Monaco oltre 1.000 Km, malgrado abbia un’estensione che è un quarto della nostra capitale. 2,4 miliardi sono stanziati per comprare 3.360 autobus elettrici, cioè 24 autobus per ogni comune superiore a 50.000 abitanti (se invece che elettrici fossero a metano se ne potrebbero comprare il doppio e durerebbero 3 volte di più [7]) e 0,75 miliardi per installare colonnine di ricarica per auto elettriche. 1,2 miliardi per l’acquisto di nuovi treni per le metropolitane esistenti. Neanche un euro è stanziato per percorsi pedonali, per mettere in sicurezza i percorsi casa-scuola, per servizi di bike-sharing e monopattini-sharing, per incentivi all’acquisto di bici e monopattini. Per quanto riguarda i trasporti non in ambito urbano 13,1 miliardi sono per ferrovie ad Alta velocità (di cui 2/3 al Nord e 1/3 a Centro e Sud) e 7,8 miliardi per le ferrovie regionali e i nodi metropolitani. Colpisce l’enorme sperequazione tra Nord e Centro/Sud (alla faccia del solenne proclama di perseguire “una maggiore equità territoriale”) e la poca considerazione per le ferrovie regionali e metropolitane, che versano in uno stato quasi sempre pietoso e le cui carenze sono la causa principale dell’uso dell’auto da parte dei pendolari (auto che poi intasano le nostre città con tutti i problemi di inquinamento, traffico, lentezza degli autobus ecc.). Per ridurre i rischi idrogeologici sono previsti 2,5 miliardi, cioè meno di un decimo di quanto il Ministero della Transizione Ecologica stima sia necessario [8].Però si puntano 3,2 miliardi per produzione, distribuzione e usi finali dell’idrogeno, che ricordiamo non è una fonte energetica (non esistono giacimenti di idrogeno), ma un combustibile prodotto usando quantità molto maggiori dell’energia che riesce a sprigionare. Da questi dati, ai quali se ne potrebbero aggiungere altri, appare chiaro che i nostri governanti e quasi tutti i partiti e politici non hanno nessuna volontà di cambiare l’attuale modello di sviluppo e di passare, o transitare che dir si voglia, a uno che sia compatibile con le immodificabili e cogenti leggi che regolano l’ecosistema Terra. Essi sono succubi di grandi aziende, banche e finanziarie o di settori produttivi non ecosostenibili. Lo sono consciamente (perché finanziati, supportati, minacciati, impauriti da tali soggetti) o inconsciamente (perché hanno introiettato la loro ideologia, i loro valori e imperativi categorici). Governanti e gran parte dei partiti e dei politici sembrano non rendersi conto della drammatica situazione ambientale nella quale ci troviamo. La cosa forse più grave è che prendono in giro i cittadini, illudendoli che la soluzione sia essenzialmente tecnologica (sostituire l’auto a benzina con quella elettrica, il gasolio con l’idrogeno, l’olio combustibile con l’energia solare o eolica, i piatti di plastica con quelli in bioplastica, ecc.). La soluzione non è tecnologica ma politica e culturale. La tecnologia può dare una mano ma non risolvere il problema. Per costruire batterie di auto elettriche, pannelli fotovoltaici, microchip occorrono metalli rari e già oggi la loro estrazione è causa di distruzione di foreste, di inquinamento del suolo, di fiumi e laghi, di perdita di biodiversità e anche di guerre e conflitti nei “fortunati” Paesi che posseggono giacimenti (Congo, Mozambico, Nigeria, Ruanda, Brasile ecc.)[9]. E poi, come si smaltiranno milioni di batterie, pannelli fotovoltaici, pale eoliche, colonnine di ricarica ecc? Come si faranno a contenere i rischi di un uso diffuso dell’idrogeno, una sostanza altamente esplosiva? La soluzione non è tecnologica ma politica e culturale: bisogna lasciare l’attuale modello economico e passare a un altro sistema che garantisca vita dignitosa a tutti producendo e consumando di meno e bandendo tutto ciò che ha un eccessivo impatto ambientale; bisogna lasciare i valori oggi dominanti (i soldi, il possesso delle cose, il potere sugli altri, la vita frenetica ecc.) per praticare altri valori (l’amicizia, la solidarietà, il benessere del corpo e dello spirito, lo stare in pace con se stessi, il godere delle bellezze della natura ecc) e cambiare gli stili di vita (la nostra alimentazione, il modo col quale ci spostiamo, ci vestiamo, ci divertiamo ecc.). Non è l’auto elettrica la soluzione per la mobilità urbana ma camminare di più, usare la bici, i mezzi pubblici, evitare gli spostamenti non necessari (comprare in negozi vicini e non in centri commerciali fuori città per esempio). E’ assurdo che oltre il 90% degli italiani non fa un’adeguata attività fisica [10], peggiorando il proprio stato di salute, e continuare a prospettare una mobilità urbana che rende difficile spostarsi facendo attività fisica perché tutta al servizio di auto e moto (elettriche o a benzina la differenza è minima). I soldi del Next Generation UE devono finanziare piste ciclabili e percorsi pedonali sicuri e piacevoli (in particolare rendere sicuri i percorsi casa scuola così da consentire a bambini e ragazzi di andare a piedi a scuola da soli o con gli amici ed abituarsi fin da piccoli a camminare invece di usare auto o moto), dotare le città di un sistema di trasporto pubblico puntuale, frequente, rapido e comodo (treni, metropolitane, funicolari, tram, filobus, autobus), finanziare servizi di bike-sharing, di monopattini-sharing. Le città che hanno realizzato questo (per esempio Copenaghen) hanno visto ridurre enormemente l’uso dell’auto e aumentare i ciclisti e i pedoni. L’attuale modello economico è folle, determina milioni di morti per inquinamento, sta alterando le condizioni del nostro pianeta e genera disuguaglianze intollerabili (700 milioni di persone che vivono con meno di 47 euro al mese e persone che hanno patrimoni di 197 miliardi di dollari, come Elon Musk, proprietario della Tesla, che produce auto elettriche e pannelli fotovoltaici [11]). Possiamo vivere in una società molto migliore dell’attuale, ma solo se cambiamo il modello economico attuale e l’ideologia egemone che lo giustifica. E’ strano ma oggi il solo leader mondiale che ha il coraggio di dire le cose come stanno è il papa:“Cercare solamente un rimedio tecnico per ogni problema ambientale che si presenta significa nascondere i veri e più profondi problemi del sistema mondiale” [12]. “Urge una diversa narrazione economica, urge prendere atto responsabilmente del fatto che l’attuale sistema mondiale è insostenibile da diversi punti di vista e colpisce nostra sorella terra, tanto gravemente maltrattata e spogliata, e insieme i più poveri e gli esclusi. […] E’ indispensabile far crescere e sostenere gruppi dirigenti capaci di elaborare cultura, avviare processi […] cambiare gli stili di vita, i modelli di produzione e di consumo, le strutture consolidate di potere che oggi reggono le società. Senza fare questo, non farete nulla” [13]. Note: 1) UNEP: Emissions Gap Report 2020; 2) https://www.consilium.europa.eu/it/policies/green-deal si veda anche Euromemogroup: Un’agenda per la trasformazione socio-ecologica dell’Europa dopo la pandemia http://www2.euromemorandum.eu/uploads/euromemorandum_2021_italian.pdf; 3) https://www.governo.it/sites/governo.it/files/PNRR_0.pdf; 4) ISPRA: Ridurre le emissioni climalteranti, 2019; 5) La fonte dei dati riportati sono rispettivamente del Comune di Roma e di quello di Monaco; 6) htts://www.vediromainbici.it/news/155-2020-01-20-politica-cic; 7) Un veicolo elettrico costa circa il doppio di uno a combustibile perché la batteria è molto costosa. Questa dopo 4-5 anni deve essere cambiato perché riduce in maniera significativa la sua efficienza. Il costo di una batteria è quasi pari a quello di un veicolo a combustibile; 8) ISPRA: Primo Rapporto RENDIS 2019 https://www.isprambiente.gov.it/it/progetti/cartella-progetti-in-corso/suolo-e-territorio-1/rendis-repertorio-nazionale-degli-interventi-per-la-difesa-del-suolo; 9) Il Paesi che ha maggiori giacimenti di terre rare è la Cina, seguono a distanza Sud Africa, Brasile, Canada, Stati Uniti, Russia, Australia, Congo, Nigeria, Ruanda, Mozambico, Uganda, Etiopia, Venezuela, Vietnam; 10) Vi è evidenza scientifica che la più consistente riduzione della mortalità si ha con un livello di 7-8 ore di attività fisica alla settimana (Samitz G, Egger M, Zwahlen M. Domains of physical activity and all-cause mortality: systematic review and dose-response meta-analysis of cohort studies. International Journal of Epidemiology 2011) secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità (indagine Passi) tale livello è praticato da meno del 10% degli italiani tra 18 e 65 anni; 11) Il dato sul numero dei poveri è della FAO (anno 2020), quello su Elon Musk è tratto da https://www.corriere.it/economia/finanza/21_marzo_02/i-ricchi-mondo-sempre-piu-ricchi-2020-hanno-guadagnato-3500-miliardi-dollari-come-pil-tedesco-c1fdd380-7b42-11eb-a9cc-1eebe11a6a7c.shtml; 12) Laudato sì, par. 114; 13) Papa Francesco: videomessaggio per il forum “L’economia di Francesco” 21 novembre 2020.
La popolazione dell’Italia è diminuita di 1,1 milioni negli ultimi 7
anni (da 60.346.000 a 59.259.000). Di anno in anno la popolazione italiana
e le nascite si riducono. Nel 2020 al calo delle nascite si è aggiunto un
forte aumento della mortalità (a causa del covid) facendo crescere ancor
più il saldo negativo: 344mila nascite contro 737mila decessi. Anche il
bilancio tra persone che emigrano dall’Italia e quelle che sono accolte è
negativo: 96.000 sono gli emigrati italiani e 47.000 le persone accolte.
Sia i primi che i secondi sono soprattutto giovani [1].
Secondo le previsioni dei demografi tra 20 anni la popolazione italiana si
ridurrà di 6 milioni, e diminuiranno soprattutto i giovani e le persone in
età lavorativa, perché i vecchi aumenteranno di molto: 11 milioni in meno
la popolazione tra 0 e 70 anni (10 milioni in meno quelli tra 18 e 70
anni), 5 milioni in più la popolazione sopra i 70 anni. Oggi per ogni
persona sopra i 70 anni ci sono 1,9 persone in età lavorativa, nel 2040 ce
ne saranno solo 1,15 [2].
Con 10 milioni di lavoratori in meno e 5 milioni di vecchi in più la
situazione economica sarà drammatica. Anche il sistema sanitario
nazionale, la previdenza, l’assistenza sociale saranno in crisi. E pure la
vita delle persone: chi assisterà gli anziani? Come si barcameneranno le
persone tra il lavoro (che dovrà essere molto più produttivo di quello di
oggi), i figli, gli anziani? Chi porterà idee nuove, voglia di fare,
speranze?
Molti pensano che la soluzione sia fare più figli, ma i demografi ci
dicono che ciò difficilmente può avvenire e che, se anche accadesse,
avrebbe un effetto minimo.
Difficilmente può accadere perché il ruolo della donna è cambiato, perché
i giovani hanno altre aspettative e desideri e ritardano l’età in cui
avere un figlio (e più si è avanti con gli anni più aumenta il rischio di
non riuscire ad avere bambini), perché il lavoro assorbirà più tempo ed
energie (anche per effetto della riduzione della popolazione), perché è
difficile volere più figli quando si deve lavorare e pensare anche ai
genitori anziani.
La situazione cambierebbe di poco anche con un aumento del numero di figli
perché le donne in età fertile sono fortemente diminuite (negli ultimi 20
anni sono diminuite di 2 milioni) e continueranno a diminuire per i
prossimi 20 anni (perché le persone di 0-15 anni sono molte meno di quelle
degli anni passati) [1]. Se il numero di figli per donna oggi fosse lo
stesso di 20 anni fa ci sarebbero comunque circa 100.000 nati in meno di
20 anni fa a causa della riduzione del numero di donne in età fertile [3].
L’attuale riduzione della natalità, infatti, è per il 70% causato dal
ridotto numero di donne in età fertile e per il 30% dalla riduzione del
numero di figli per donna [3]. Se anche si riuscisse a raddoppiare il
numero di figli per donna la popolazione continuerebbe a calare a causa
del calo delle donne in età fertile, che continuerà per i prossimi 20
anni.
Spesso si cita la Francia come Paese virtuoso che, grazie a forti aiuti
economici alle donne con figli, non ha i nostri problemi. Ma le cose non
stanno così. Per mantenere la popolazione costante ogni donna dovrebbe
fare 2 figli. In Francia tale tasso negli ultimi 47 anni si è avuto solo
nel 1974 e nel 2010, in tutti gli altri anni è stato sempre inferiore e
dal 2010 a oggi il tasso di fecondità è in continuo calo (nel 2019 è stato
di 1,8) [4]. Eppure la popolazione della Francia è in crescita. Come mai?
La popolazione della Francia cresce per due principali ragioni tra loro
intrecciate: perché vi sono molte donne in età fertile e perché la Francia
ha accolto molti stranieri. Questo Paese è stato investito da una grossa
immigrazione (soprattutto dalle ex colonie) negli anni 60-70-80 e gli
immigrati hanno fatto più figli (attualmente 2,8 figli per donna, ma in
passato più di 3 [4]) e la gran parte dei nati da questi immigrati oggi è
in età fertile. La Francia quindi ha molte più donne in età fertile
dell’Italia e gran parte di queste donne sono straniere e, quindi, con una
maggiore propensione a fare più figli. Si pensi che ben il 25% dei nati in
Francia nel 2018 ha uno o entrambi i genitori nati all’estero [4].
Purtroppo non sappiamo quanti dei nuovi nati hanno almeno un nonno nato
all’estero, ma il loro numero è sicuramente molto consistente. Quindi non
è l’assegno per i figli che mantiene il tasso di fecondità più alto che in
Italia, ma la maggiore presenza di stranieri e di francesi di origine
straniera (in Francia vige lo ius soli).
Se si vuole arrestare il declino demografico del nostro Paese (e le sue
drammatiche conseguenze economiche e sociali) bisogna allora fare
soprattutto due cose: cercare di arrestare l’emigrazione dei giovani
italiani e favorire l’immigrazione di giovani. Lo dicono l’ISTAT, l’ONU,
l’INPS e i demografi [5, 6, 7, 2]. Secondo l’Istat e l’ONU dovremmo
accogliere circa 200.000 stranieri all’anno, secondo altri forse possono
bastare 170.000 [2], ma solo se si riuscirà a ridurre l’emigrazione dei
giovani italiani. Cosa che sarà difficile perché vari Paesi europei (in
primis Germania e Svezia) per arrestare il proprio calo demografico
attuano politiche che tendono a favorire l’immigrazione di giovani
europei.
Accogliere giovani stranieri è la politica più conveniente dal punto di
vista economico, più rapida e più facile da attuare per combattere il calo
demografico.
E’ anche quella più ecosostenibile. Sul nostro pianeta ci sono ormai 7,8
miliardi di uomini e la popolazione continua a crescere di circa 1
miliardo ogni 10 anni (nel 2000 eravamo 6 miliardi). L’impatto dell’uomo
sull’ambiente è devastante (alterazione del clima, inquinamento
dell’atmosfera, distruzione delle foreste, inquinamento da plastica,
riduzione delle specie selvatiche ecc.). Siamo già troppi e pensare di
crescere all’infinito è da folli, per cui prima o poi l’aumento della
popolazione deve essere arrestato e invertito. Più tardi lo si farà e
peggio sarà.
L’impronta ecologica degli italiani è di oltre 2 volte quella sostenibile,
per cui, per garantire l’ecosostenibilità, o dobbiamo dimezzare il numero
degli abitanti (con conseguenza tragiche) o dobbiamo cambiare
drasticamente modello di società e stili di vita (dimezzare il numero
delle auto e moto, l’uso della plastica, il consumo di carne, i viaggi
ecc.) o abbandonare le tecnologie più impattanti cercando di sostituirle
con altre meno impattanti (cosa molto difficile come gli esempi delle
stufe a pellet, del pile e dell’auto elettrica dimostrano, cioè tecnologie
che si credevano “ecologiche” e si sono dimostrate ad alto impatto). La
maniera più realistica e meno dolorosa è attuare un mix di queste tre
strategie. Accogliere gli immigrati ci permette di risolvere i problemi
legati al calo demografico di giovani senza aumentare ulteriormente la
popolazione mondiale.
Purtroppo per cinici calcoli elettorali la politica nei confronti
dell’emigrazione è idiota e crudele.
E’ idiota perché invece di stabilire canali di accesso legali per gli
stranieri che vogliono venire in Italia, da circa 10 anni li costringe ad
affidarsi ai trafficanti come unica possibilità per venire (facendo così
un gran favore alla criminalità organizzata), a dichiararsi profughi o
perseguitati (costringendo l’Italia a esaminare un gran numero di pratiche
di richiesta di asilo), a essere irregolari (favorendo il lavoro nero,
l’evasione fiscale, l’accattonaggio, la criminalità ecc.). Inoltre si è
fatto a gara tra vari partiti (Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia,
Cinquestelle, PD) a chi più contrastava l’arrivo di stranieri, per cui da
vari anni il loro numero si è ridotto (nel 2019 47.000 nuovi arrivi in
tutto). Questa politica è anche costosa: finanziamenti a vari Paesi
(Libia, Niger, Turchia ecc.) per fermare lì i migranti o respingerli,
spese per l’operazione Frontex (5,6 miliardi di euro versati dalla UE nel
2019 [8]), per le guardie di frontiera (10.000 nella UE [8]), per i centri
di accoglienza, per l’esame delle domande di asilo, per i respingimenti
ecc. Inoltre con questa politica si è rafforzato il potere delle bande e
delle milizie libiche e del “dittatore” turco Erdogan.
Questa politica è crudele perché causa un enorme numero di morti (dal 2014
al 2020 sono morte nel Mediterraneo 20.000 persone [9]), perché ha reso
sempre più pericoloso il viaggio degli immigrati (nel 2015 per ogni 50
migranti che sbarcavano in Italia uno annegava, nel 2018 ne moriva uno
ogni 20 e nel 2019 uno ogni 13 [10]; perché ha determinato la detenzione
di migliaia di persone in campi di concentramento (nella sola Libia vi
sono attualmente 3.858 migranti detenuti in centri di detenzione ufficiali
e circa 10.000 persone prigioniere di bande e gruppi armati [11]); perché
costringe chi vuole emigrare a rivolgersi ai trafficanti, pagandoli
profumatamente (tra i 4.000 e i 15.000 euro [12]) e indebitando tutta la
famiglia.
Insomma una politica che determina solo danni. Eppure tanti italiani sono
convinti che gli immigrati siano un problema per noi e premiano i partiti
che adottano questa politica. Sono convinti perché c’è stata un’ampia,
sistematica, martellante opera di disinformazione, con vere e proprie
fake-news: “è un invasione” (quando sono meno di quelli che ci
servirebbero), “non possiamo accoglierli tutti noi” (quando non siamo tra
i Paesi con più stranieri [13]), “sono un pericolo perché delinquono”
(quando invece delinquono meno degli italiani [14]), “l’Italia diverrà un
Paese islamico” (quando la maggioranza degli immigrati è cristiana [15]).
Per questo è necessario che ognuno di noi faccia un’opera di corretta
informazione, di confutazione delle tante fake-news che circolano su
questa questione, di contrasto alle paure irrazionali e autolesioniste.
Bisogna diffondere un’altra narrazione sugli immigrati e anche su come
affrontare il calo della natalità: una narrazione basata sulla razionalità
e su sentimenti di fraternità.
Note: 1) ISTAT https://www.istat.it/it/files/2021/05/REPORT_INDICATORI-DEMOGRAFICI-2020.pdf; 2) Livi Bacci M: Un’Italia più piccola e più debole? La questione demografica. Il Mulino; 3) Presidenza del Consiglio: Impatto della pandemia covid-19 su natalità e condizioni delle nuove generazioni, 2020; 4) Institut national d'études démographiques (INED), https://it.other.wiki/wiki/Demographics_of_France; 5) ISTAT, Il futuro demografico del Paese: www.istat.it/it/archivio/48875; 6) ONU Department of Economic and Social Affairs Population Division,Word Population Ageing 1950-2050,www.un.org; 7) INPS Centro Studi e Ricerche 2017; 8) Frontex preferisce la soluzione militare, Internazionale 12/2/21; 9) ISMU 2020; 10) IOM: Calculating death rates in the context of migration journeys, https://publications.iom.int/system/files/pdf/mortality-rates.pdf; 11) ONU: Centri di detenzione e violenza in Libia, 2021; 12) Global Initiative against Transnational Organized Crime (GITOC); 13) Eurostat 2020; 14) Gli stranieri regolari costituiscono solo il 4% dei carcerati mentre in Italia sono poco meno del 10%% della popolazione, quindi delinquono meno della metà di quanto gli italiani (fonte Ministero della Giustizia); 15) CESNUR Centro Studi Nuove Religioni.
“Il contributo dei rom alla cultura”. Per molti questa frase suona
strana: “E quale contributo hanno dato i rom alla cultura?”, penseranno.
Lo stereotipo del rom è di accattone, ladro, nullafacente, impostore,
vagabondo, nomade. Brutti, sporchi e cattivi e anche ignoranti.
Eppure tra pochi giorni (8 aprile) si festeggerà la Giornata
internazionale del popolo rom, istituita nel 1990 e
riconosciuta dall’ONU, per fare conoscere e celebrare la cultura romanì
(il popolo romanì si compone di vari sottogruppi - sinti, rom, kalè,
romanichal, ecc. - tutti accomunati dalla medesima lingua, simile
all’antico sanscrito, da determinate tradizioni e da una lunga storia di
discriminazioni e persecuzioni da parte dei “non-zingari” [1]).
Allora cerchiamo di conoscere qual è il contributo che i rom hanno dato
all’umanità.
Cinema
Pochi sanno che il più grande cineasta di tutti i tempi
(sceneggiatore, regista, montatore, attore, produttore e autore delle
musiche) è un rom: stiamo parlando di Charlie Chaplin.
Figlio di due attori girovaghi di etnia rom; nato su un carro;
“conosciuto” dallo Stato solo all’età di 2 anni (all’anagrafe non
risultava); vissuto per un paio di anni in un ospizio per bambini poveri
(la Central London School, che in un enorme casermone “curava” oltre mille
bambini); poi “attore comico” (alias pagliaccio) in un circo, insieme al
fratello. Chaplin non ha mai detto in vita di essere un rom (forse aveva
già avuto abbastanza problemi e non voleva averne altri). Solo dopo la
morte (grazie anche a figli) si è conosciuta la verità.
Eppure lo si poteva immaginare perché la poetica di Chaplin è
profondamente rom: Charlot è un vagabondo, uno che vive
alla giornata, un discriminato, il perdente per
antonomasia perché schiacciato da una società a lui estranea, uno
non attaccato al denaro, generoso fino alla prodigalità, pacifista, sempre
pronto a ricominciare, a fare baldoria, a ridere, cantare, ballare; il
suo “nemico” è il poliziotto, la “gente per bene”, lo Stato, che non è
il suo Stato. Insomma Charlot è lo stereotipo del rom per il
popolo romanì.
Tra i rom che hanno dato un contributo alla settima arte vanno ricordati
anche Michael Caine e Yul Brinner (entrambi hanno
ricoperto la carica di presidente della Romanì Unione, l’associazione
mondiale dei popoli romanì), Rita Hayworth, Antonio Banderas, Bob
Hoskins.
Musica
Il contributo dato alla musica da parte del popolo romanì è generoso e
sotterraneo. Fonti storiche evidenziano che fin dal XVI secolo gitani,
lautari, rom, kalè suonavano presso le corti (Spagna, Ungheria, Russia) e
i palazzi nobiliari. Erano famosi per un modo tutto loro di suonare (in
particolare il violino) e per l’arte dell’improvvisazione.
Molti sono i musicisti che si sono ispirati alle loro musiche o che le
hanno trascritte, orchestrate “arrangiate”:
Haydn: il Trio in sol maggiore termina con un rondò
in stile zingaro, il Quartetto n.4 ha un movimento alla
zingara e il Concerto per pianoforte una danza ungherese
(in realtà zigana).
Schubert: secondo alcuni musicologi la melodia del famoso
Momento musicale n. 3 è rom.
Brahms: le famosissime Danze ungheresi sono in
maggioranza danze zigane ascoltate da Brahms e “arrangiate” (di qualcuna
oggi si conosce anche il nome dell’autore). La czarda, infatti è una
composizione di origine rom, poi utilizzata da compositori ungheresi e
anche italiani: per esempio famosissima è quella di Monti. Altre
composizioni di Brahms spirate alla musica romanì sono i Canti zingari
op. 103 e il rondò alla zingaresca del piano Quartetto
n.1.
Listz: le rapsodie ungheresi sono piene di
musiche zigane. Listz fu il primo che indagò i rapporti tra musica romanì
e musica ungherese e scrisse anche un libro nel quale evidenziava che gran
parte delle musiche popolari ungheresi erano in realtà rom [2]. Per questo
suo scritto fu molto criticato dagli ungheresi.
Ravel, dopo avere ascoltato un violinista romanì lo
interrogò a lungo per capire la tecnica e gli stilemi. Poi si chiuse in
casa per alcuni giorni e compose Tzigane per violino e
pianoforte (poi orchestrata).
De Falla ha compiuto studi sulla musica gitana e in
particolare sul Cante Jondo (canto profondo), la forma più
antica del flamenco (che è una danza gitana) e si è ispirato a tali
musiche per varie sue composizioni (per esempio in El amor brujo,
El Sombrero de tres picos e nelle 7 Canzoni popolari
spagnole).
Bartok: una delle sue più popolari composizioni, Danze
rumene, sono ispirate alla musica dei rom lautari.
De Sarasate ha scritto Arie zingare, Saint-Saens
Danze zingare, Dvorak Melodie zigane,
Debussy la Danse bohemienne, Ligeti
il Concert romanesc.
Con una lunga tradizione di improvvisatori non stupisce che molti
“zingari” siano diventati jazzisti e che esista un particolare tipo di
jazz (jazz manouche) tipicamente romanì. Massimo
esponente di questo stile è Reinhardt Django ,
musicista sinto dal precocissimo talento per il banjo (django
nella lingua romanì significa talentuoso, geniale). Quando aveva 18 anni
il carro sul quale abitava prese fuoco e si ustionò gravemente la
mano sinistra, che, mal curata, riportò l’atrofizzazione e la
fusione del mignolo e anulare. Con enorme tenacia e inventiva sviluppò una
tecnica tutta particolare di suonare la chitarra e riprese la sua carriera
arrivando a suonare con Duke Ellington e a esibirsi alla Carnegie Hall.
Non avendo mai frequentato la scuola era del tutto analfabeta (imparò a
scrivere il suo nome quando dovette firmare il primo contratto) e digiuno
di conoscenze musicali (si racconta che una volta chiese ad altri
musicisti che parlavano di scale: “ma cos’è una scala?”).
Nell’ambito della musica leggera vanno ricordati Elvis Presley
(la madre era sinti e il padre romanichal), Ronnie Wood
(il chitarrista del Rolling Stone, anche lui romanichal), i Gipsy
King (kalò) e Goran Bregovich, bosniaco, ma
la cui musica è per gran parte rom.
Pittura
Il più importante pittore “napoletano” del ‘400 è un rom abruzzese Antonio
Solaro Lo Zingaro, autore del ciclo di affreschi
sulla vita di San Benedetto del chiostro del Platano (chiesa dei santi
Severino e Sossio). Otto Mueller, pittore tedesco inviso
ai nazisti (bruceranno oltre trecento suoi quadri, sequestrati da musei,
palazzi, case d’asta), era sinti e ritrasse spesso personaggi e scene di
vita zingara.
La vita degli zingari è fonte di ispirazione per molti artisti ed è alla
base del movimento dei Bohemien. Murger scrisse Scene
della vita di boheme (da cui Illica e Giacosa trassero
il libretto per la Boheme di Puccini); Merimée
autore di Carmen (poi messa in musica da Bizet)
conosceva bene la cultura rom (parlava anche un poco il romanì); Courbet
viene considerato l’iniziatore degli artisti bohemien, avendo affermato:
“Nella nostra società così civile bisogna che io conduca una vita da
selvaggio, bisogna che io mi liberi dei governi. Devo rivolgermi al popolo
per trarre ispirazione e sostentamento. Ecco perché ho appena dato inizio
alla mia nuova, grande vita vagabonda e indipendente di bohémien”.
Posizione che fu fatta propria da Touluse Lautrec, Modigliani,
Van Gogh, Sisley, Utrillo, Monet e tanti altri artisti.
Augustus John, pittore gallese, prese talmente sul serio
l’invito di Courbet che si unì a una carovana di zingari e poi si comprò
un suo carro, dove visse girando per l’Europa (la bellezza dei suoi quadri
convinse gli invisi accademici inglesi a nominarlo membro onorario della
Royal Academy).
Letteratura
Tra i poeti chi maggiormente si è fatto influenzare dalla cultura romanì è
Garcia Lorca: studiò l’originario flamenco gitano con De
Falla, e con lui organizzò la Fiesta del Cante Jondo,
3 giorni di esibizioni all’aperto di danza, musica, poesia, teatro con
artisti gitani e spagnoli; fondò La Barraca,
una compagnia di teatro girovaga, per la quale scrisse i suoi drammi più
famosi; i titoli delle sue raccolte di poesie esplicitano l’influenza
della cultura zingara (Poema del Cante jondo, Romancero gitano);
scrisse e musicò canzoni di stile gitano.
Tra i più importanti scrittori romanì va citata Mariella Mehr,
che ha vissuto l’infanzia in diversi brefotrofi, perché in
Svizzera dagli anni ‘20 agli anni ‘70 i bambini venivano tolti agli
“zingari” (la Svizzera da pochi anni ha riconosciuto questa
pratica come genocidio). Questa esperienza ha segnato
tragicamente la vita sua e della madre. I suoi libri sono tradotti anche
in italiano.
L’UNESCO solo nel 2015 ha invitato gli Stati ha riconoscere e
tutelare la lingua e la cultura romanì.
La UE ha tra i propri principi la tutela delle minoranze e delle lingue
minoritarie. In Europa gli “zingari” sono 12 milioni,
molti più degli estoni (1,5 milioni), gli irlandesi gaelici (1,5 milioni),
lettoni (2 milioni), sloveni (2 milioni), lituani (3 milioni), lingue che
l’UE rispetta talmente che il sito istituzionale e gran parte dei
documenti sono redatti anche in tali lingue. I rom sono cittadini europei
ma non possono leggere nella loro lingua ciò che li riguarda.
L’Italia tutela 12 minoranze linguistiche (12.000 greci,
20.000 catalani, 24.000 croati, 35.000 ladini ecc.), ma non
riconosce come minoranza linguistica quella rom composta da oltre
120.000 persone (di cui ormai solo 50.000 parlano il romanì),
eppure sono cittadini italiani anche loro.
Più passano gli anni e sempre meno persone parlano il romanì e si
va perdendo la cultura “zingara”.
L’UNESCO ha dichiarato patrimonio dell’umanità molte cose
(il caffè turco, i pupi siciliani, la danza cocolo, i canti tenores sardi,
le danze baltiche, il pugnale indonesiano, il flauto a 3 fori slovacco, la
birra belga, la transumanza, la cultura del popolo Zapara e quella dei
beduini, i canti pigmei, ecc.), ma, tranne il flamenco (ascritta però alla
tradizione spagnola) non tutela niente dei popoli romanì (né la
lingua, né genericamente la cultura, né musiche, danze, tradizioni,
feste “zingare”).
Un appello di intellettuali e cittadini a Google perché inserisse
nel suo traduttore anche la lingua romanì è caduto nel vuoto (eppure
provate a vedere quante lingue sono contemplate in questa app).
Far scomparire una cultura è un crimine perché impoverisce tutta
l’umanità e per sempre. Abbiamo visto come grandi capolavori
sono nati dalla conoscenza di culture estranee alla propria.
Qualche Paese finalmente è “svegliato”: Svezia, Austria, Germania
e Finlandia hanno riconosciuto i romanì come minoranza linguistica,
tutelando lingua e cultura. In Italia nel 2015 è stata
presentata una nuova proposta di legge dalle
associazioni di rom e sinti (sottoscritta solo da 21 parlamentari), ma
a oggi nulla è stato fatto. E’ un maledetto circolo
vizioso: la gente non conosce la cultura rom ed è, quindi,
piena di pregiudizi negativi su di loro; i politici o cavalcano e
rinfocolano tali pregiudizi per avere voti o preferiscono essere defilati
per non scontentare parte del proprio elettorato. In questa maniera nessun
provvedimento viene preso per far conoscere e tutelare la cultura rom e
superare i pregiudizi negativi su rom e sinti. Per questo,
dobbiamo cercare di adoperarci noi, intervenendo quando qualcuno parla
male dell’intero popolo rom o ripete luoghi comuni e accuse false,
facendo conoscere la loro cultura e il contributo che hanno dato alla
nostra.
Note: 1) Gli appartenenti al popolo romanì sono chiamati in vario modo dai non appartenenti a questa etnia: “zingari”, “zigani”, “gitani”, “bohemien”, “gipsy”, “nomadi”. Essendo eteronimi (come “terrone”, “negro”, “polentone” ecc.) e quasi sempre con valore dispregiativo, tali termini non dovrebbero essere adoperati. Per questo li scriviamo tra virgolette; 2) Des Bohémiens et de leur musique en Hongrie,1859.
Nell’ultimo messaggio abbiamo visto che in Italia nel 2019 la povertà è
significativamente diminuita: un milione in meno le persone a rischio di
povertà e mezzo milione quelle in povertà assoluta[1]. Purtroppo nel
2020, a causa dell’epidemia di Covid, la povertà è aumentata
(oltre un milione di poveri assoluti in più) e non solo in Italia,
colpendo soprattutto le persone occupate e quasi in uguale misura i
lavoratori dipendenti e indipendenti: nel 2019 il 6,0% delle famiglie con
persona di riferimento lavoratore dipendente era in povertà assoluta, nel
2020 il 7,8% (tra gli operai dipendenti si è passati dal 10,2% al
13,3%); nel 2019 il 4,0% delle famiglie con lavoratore autonomo
era in povertà assoluta, nel 2020 il 6,1% [1].
Questi dati smentiscono il luogo comune che sono i lavoratori autonomi a
pagare la crisi e a impoverirsi. In realtà la povertà colpisce di
più i lavoratori dipendenti che quelli autonomi. Il principale
motivo sono i bassi salari degli operai e di chi occupa
gli scalini inferiori del mercato del lavoro.
Il 6% di tutti i lavoratori (e il 7,1% degli operai) guadagna meno
di 1.340 euro lordi (cioè circa 1.000 euro netti)[2].
Con uno stipendio così misero come può una famiglia arrivare alla fine del
mese?
Purtroppo la situazione reale è anche più grave di quanto queste cifre
indicano, perché una parte dei datori di lavoro non versa al dipendente
l’intero salario spettante. Si stima che il 10% dei lavoratori in
settori regolati da contratti collettivi di lavoro percepisce in media
il 20% in meno di quanto previsto dai minimi contrattuali [3].
Questa odiosa pratica avviene soprattutto al Sud, impoverendolo ancor più.
D’altronde il datore di lavoro ha il coltello dalla parte del manico
perché sa che il dipendente non lo denuncerà per paura di restare senza
lavoro e stipendio finché non viene accertato che è stato vittima di tale
reato.
Quanti giornali, tv, social trattano questo argomento? Quante
volte hanno titolato “Imprenditore ruba parte del salario ai propri
operai”? Mai. I nostri mezzi di informazione, tranne qualche
piccola eccezione, come Il Manifesto e pochi altri (per esempio Avvenire,
forse memore che frodare la mercede all’operaio è un peccato che “grida
vendetta al cospetto di Dio”, come il catechismo insegnava) preferiscono
parlare del lavoratore a nero che prende anche il reddito di
cittadinanza o di qualsiasi notizia che possa mettere in cattiva
luce gli immigrati, i rom, i poveri, così che il malcontento e la rabbia
si scatenino contro costoro e non contro i ricchi.
Un altro argomento continuamente riproposto da giornali, tv e
opinion leader è la necessità di ridurre le tasse.
Questa delle troppe tasse è forse la più grande e più creduta
fake news di tutti i tempi. Non è vero che l’Italia è il Paese
dove si pagano più tasse: in Europa, come pressione fiscale
complessiva, siamo al 7° posto[4], come tassa sulle persone fisiche
(IRPEF) al 13° posto [5], come tassa sulle persone giuridiche
(imprese ecc.) al 7° posto [5], come tassa su eredità e donazioni
all’ultimo posto [6]. Da quasi quarant’anni si diminuiscono le
tasse ai ricchi e le si aumentano a poveri e meno abbienti.
Nel 1974 le aliquote IRPEF andavano dal 12% all’86% in
proporzione al reddito, poi si sono ridotte sempre più per chi guadagna
molto (oggi l’aliquota massima si ferma al 43%) e
aumentate per chi ha bassi redditi (l’aliquota minima è passata
dal 12% al 23%). Sono state poi aumentate le tasse indirette,
per esempio l’IVA che paghiamo quando compriamo una
merce o un servizio che è passata dal 18% al 22%, ma non
per i beni di lusso, la cui IVA è stata diminuita
dal 38% al 22% (quindi un ulteriore regalo ai ricchi e
un’ulteriore batosta per tutti gli altri) [7].
Questo enorme taglio delle tasse ai ricchi ha comportato sempre minori
incassi da parte dello Stato ed è la causa principale, insieme agli
interessi sul debito (negli anni ‘80 sono oscillati tra il 14% e il 20%),
dell’enorme debito pubblico accumulato.
Nel 1974 il debito pubblico era pari solo al 54% del PIL,
nel 1991 al 95% (750 miliardi di euro). Le minori entrate
IRPEF e l’enorme debito hanno portato a tagliare le spese e, infatti, dal
1992 a oggi, lo Stato ha sempre speso meno di quanto incassato ma,
malgrado questo, il debito pubblico di anno in anno è aumentato
per gli interessi da dare ai creditori (sui 60-70 miliardi all’anno).
Oggi il debito pubblico ammonta a 2.500 miliardi (il 158% del
PIL) [8], grazie a un meccanismo per cui si pagano gli
interessi con ulteriori debiti nei confronti dei creditori. Questo
meccanismo (detto anatocismo) è vietato dalla legge
perché impedisce a chi ne è vittima di uscirne fuori e permette ai
creditori di lucrare indefinitivamente e sempre di più sulle somme
prestate. Purtroppo quello che è vietato nei confronti dei singoli
cittadini non è vietato nei confronti di un’intera nazione.
Questa cronica crisi economica ha determinato tagli alla spesa
pubblica, aumento della disoccupazione, minori servizi ai cittadini
(sanità, politiche sociali, cultura, ambiente, trasporti ecc.) con
enormi danni alla popolazione, ma ha beneficiato ulteriormente i grandi
ricchi che si sono presi a poco prezzo aziende e beni che lo Stato
ha svenduto per fare cassa.
Dagli anni ‘80 le disuguaglianze sono andate aumentando, ricchi sempre più
ricchi, poveri sempre più numerosi e sempre più poveri. Oggi in
Italia le persone con una ricchezza tra i 200mila e il milione di euro
(esclusi gli immobili) sono 1,5 milioni. I 36 più ricchi possiedono
oltre il miliardo di euro e in questo nero anno del covid la
loro ricchezza è aumentata del 31% e il loro numero di 4 unità
[9, 10]. I 21 uomini più ricchi di Italia possiedono,
cumulativamente, lo stesso patrimonio posseduto dal 20,3% della
popolazione italiana (i 12 milioni di cittadini più poveri)
[11]. Eppure questi 1,5 milioni di ricchi pagano la stessa
aliquota di tasse di chi guadagna 75.000 euro lordi all’anno
(circa 3.670 euro netti al mese).
Come affermano grandi economisti se si vuole combattere la
povertà bisogna combattere l’eccessiva ricchezza: aumentare le
tasse a ricchi e benestanti (aumento delle aliquote IRPEF, patrimoniale,
aumento dell’IVA sui beni di lusso, tassa sulle transazioni finanziarie
ecc.), combattere l’elusione e la grande evasione fiscale, costringerli a
dare salari non da fame ai loro lavoratori ecc. In questa maniera
Stato, Regioni, Comuni potranno avere le risorse necessarie per svolgere
al meglio e con il dovuto personale le loro funzioni (sanità, trasporti,
opere pubbliche, ambiente, scuola, cultura, politiche sociali ecc.) e di
ciò beneficeranno tutti i cittadini [12].
D’altra parte la Storia ci insegna che il maggiore sviluppo economico si è
avuto quando si sono fatte pagare molte tasse a ricchi e benestanti: negli
anni ‘50-’60 l’aliquota massima negli Stati Uniti era del 70%, in
Germania e Giappone dell’80%, in Italia del 90% ed è
stato il periodo del boom.
Note: 1) ISTAT 2021; 2) ISTAT 2020; 3) Forbes
https://forbes.it/2019/06/26/salario-minimo-rischi-esplosione-lavoro-nero;
4) Eurostat 2018; 5)
www.infodata.ilsole24ore.com/2018/11/20/pil-reddito-tasse-calcola-la-pressione-fiscale-europ/?refresh_ce=1;
6)
https://taxfoundation.org/estate-and-inheritance-taxes-around-world/#_ftn1;
7)
www.ssef.it/sites/ssef/files/Documenti/Rivista%20Tributi/Supplemento%201-%20Libro%20Bianco/Capitoli%201%20-%20I.pdf;
8) Centro nuovo modello di sviluppo
http://www.cnms.it/images/documenti/Gesualdi_contronarrazione-debito.pdf;
9) Boston Consulting Group: Rapporto sulla ricchezza globale, 2019; 10)
www.ilsole24ore.com/radiocor/nRC_07.10.2020_14.04_39210392;
https://focsiv.it/wp-content/uploads/2019/06/8.3.b-report-IT_ita.pdf;
12) Sono ormai numerosi gli economisti che sostengono ciò, per esempio
Picketty, Stiglitz, Krugman, Tobin, Schmitt, Zipperer, Saez, Zucman,
Diamond, Atkinson ecc.
Molti credono che i poveri sono quelli che non hanno
un lavoro. Ma le cose non stanno così. In Italia il 10% degli
operai e l’1% degli impiegati è “in povertà assoluta” (cioè
guadagna così poco da non riuscire a soddisfare i suoi bisogni primari:
meno di 603 euro al mese per una persona di 18-59 anni che abita a Napoli,
meno di 566 euro se abita in un piccolo comune, meno di 980 euro per una
coppia di napoletani con un bimbo piccolo [1]). Il 12% di tutti i
lavoratori è a rischio povertà [2].
Le persone in povertà assoluta sono 4,6 milioni (di cui 1,4
milioni minorenni) e si trovano soprattutto al Sud:
l’8,5% delle famiglie del Meridione si trova in questa situazione, al Nord
è il 6% e al Centro il 4,5% [1].
Un altro indicatore di quanto sia diffusa la precarietà economica è il
numero di persone che non hanno alcun euro da parte o una quantità davvero
misera: in Italia 10 milioni di persone hanno meno di 400 euro di
“risparmi”.
Questi dati si riferiscono al 2019, prima della crisi economica
determinata dal covid, e dipingono un quadro drammatico. Eppure
nel 2019 la situazione è migliorata: dopo quasi 10 anni la
povertà per la prima volta diminuisce e in maniera molto significativa.
Infatti le persone a rischio di povertà sono diminuite di un
milione, quelle in povertà assoluta di circa mezzo milione e chi rimane
povero lo è un poco meno [1].
La causa principale di tale miglioramento è l’istituzione del
cosiddetto reddito di cittadinanza (in realtà un sostegno al
reddito per persone povere o a rischio di povertà). Probabilmente non è
l’unica causa (come qualche giornale e qualche politico ha detto). Ciò è
vero soprattutto per la riduzione del numero delle persone a rischio di
povertà, perché in tutta la UE c’è stata una diminuzione di tale
categoria, anche se da noi è stata doppia (-1,7% contro -0,8% della UE
[3]).
La povertà è un fenomeno complesso e per giudicare i provvedimenti per
contrastarla bisogna cercare di non avere preconcetti, conoscere bene le
caratteristiche del provvedimento e cercare verificare tutti gli effetti.
Qui cercheremo di analizzare il reddito di cittadinanza (RdC)
Il reddito di cittadinanza si propone tre obiettivi: 1) sostenere
economicamente chi è povero; 2) far lavorare i poveri che possono
lavorare; 3) recuperare socialmente quelli che non possono lavorare.
Esso è condizionato a determinati requisiti e obblighi.
Tra i requisiti: essere cittadino italiano o straniero regolare risiedente
in Italia da almeno 10 anni; avere un reddito complessivo ISEE
inferiore a 9.360 euro annui (se si è in casa in affitto); non
avere depositi bancari/postali superiori a determinate cifre;
non avere proprietà immobiliari del valore superiore a 30.000 euro
(esclusa la casa dove si abita); non possedere veicoli superiori
a un determinato valore ecc.
Per quanto riguarda gli obblighi essi variano a
seconda se si viene giudicati idonei a lavorare o bisognosi di un
reinserimento sociale. Nel primo caso si è obbligati a
svolgere corsi di qualificazione, accettare il lavoro offerto, prestare
tra 8 e 16 ore settimanali di lavori socialmente utili organizzati dal
Comune ecc. Nel secondo caso a partecipare a un patto
personalizzato per l’inclusione sociale, che può prevedere
obblighi quali: sottostare a determinate cure (psichiatriche, di
disassuefazione da dipendenze ecc.), mandare i figli a scuola ogni giorno,
partecipare a colloqui o corsi, accettare l’aiuto di operatori sociali
ecc.
L’assegno economico che si riceve varia in base al reddito, al
numero di componenti della famiglia, alla presenza di persone disabili
ecc. e può andare da 40 euro a oltre i 1.000 euro al mese (per
200mila percettori è inferiore a 200 euro, per 60mila superiore a mille
euro, la media è 253 euro per i pensionati e 573 euro per chi non lo è
[4]).
Come ogni intervento esso è esposto a due tipi di “errore”:
1) non raggiungere le persone che si prefiggeva di aiutare; 2)
reclutare persone che non si voleva aiutare. Dall’analisi dei
vari tipi di sostegno al reddito attuati nella UE si sa che circa
il 20% dei soggetti bisognosi del sostegno non lo riceve [5]. I
motivi possono essere vari: mancata conoscenza di questa
opportunità, convinzione che non si è capaci di presentare la domanda,
sfiducia, difficoltà di poter fornire i dati richiesti, timore di perdere
condizioni che non si vuole perdere (lavoro a nero, altri sussidi),
indisponibilità a sottostare agli obblighi richiesti, vergogna a svelarsi
come povero, criteri troppo stringenti ecc.
L’altro tipo di “errore” può avere due ordini di cause: la
difficoltà di individuare efficaci criteri (e buoni strumenti
per certificane il possesso) e i comportamenti illegali
(evasione fiscale, lavoro nero, dichiarazioni false, documentazione
contraffatta ecc.). In genere più si cerca di evitare uno dei due errori e
più aumenta la probabilità di cadere nell’altro. Secondo alcuni autorevoli
esperti [5, 6] il reddito di cittadinanza cade soprattutto
nell’errore di primo tipo (non riesce a raggiungere il 30% di quelli che
ne avrebbero realmente bisogno [5]). Non c’è molto da stupirsi:
questa misura di sostegno ai poveri è stata molto avversata e con
argomentazioni che facevano riferimento solo al secondo tipo di “errore”:
“Soldi ai nullafacenti”, “Così si invoglia la gente a starsene seduta sul
divano”, “Lo Stato aiuta i disonesti e non si interessa dei lavoratori”,
“No all’assistenzialismo” ecc. Per alcuni opinion leader la
possibilità di percettori impropri era un motivo sufficiente per non
introdurre una tale misura (come a dire che poiché alcuni non
pagano il biglietto sui mezzi pubblici si può anche abolire il servizio).
Così sono stati aumentati criteri e obblighi per accedere al
sussidio: forse abbiamo avuto meno non aventi diritto che
l’hanno percepito, ma abbiamo sicuramente avuto più aventi diritto che non
lo hanno avuto. Ci si dovrebbe chiedere se ne è valsa la pena.
Soprattutto in considerazione del fatto che i non aventi diritto che
ricevono il sussidio sono comunque persone con basso reddito anche se non
povere (è difficile che un ricco o un benestante acceda al RdC, ma proprio
per questo riceve enorme attenzione dai media). Certo bisogna impedire
tali comportamenti delittuosi, ma il problema lo si deve
affrontare con attività investigativa (controlli incrociati) e con la
certezza della pena. Quanti siano i percettori illeciti del
reddito di cittadinanza è impossibile saperlo. Nel 2019 sono
state denunciate alla magistratura 709 persone e, spesso,
grazie a questi controlli, sono state scoperte aziende in nero. Sarebbe
bene che la lotta al lavoro nero fosse molto più incisiva, perché in tal
modo diminuirebbe l’evasione fiscale, lo sfruttamento dei lavoratori,
l’inquinamento ambientale e anche il fenomeno dei finti “privi di reddito”
che percepiscono sussidi.
Malgrado i limiti sopra esposti possiamo dire che il primo
obiettivo (sostenere i poveri e le persone a rischio di povertà) è stato
abbastanza raggiunto.
Esaminiamo ora il secondo obiettivo (far lavorare i poveri che possono
lavorare). Il 55% dei percettori del reddito di cittadinanza non
è, al momento, idoneo al lavoro (perché pensionato, malato,
responsabile della cura di un minore o di un disabile, disoccupato da
troppo tempo ecc.). Il restante 45% (1.369.000 persone) ha
sottoscritto il patto per il lavoro ma solo 352mila persone, cioè il
26%, hanno avuto almeno un rapporto di lavoro (il 65% a tempo
determinato, il 15,5% a tempo indeterminato) [4]. Tale magro risultato è
solo in parte ascrivibile al ritardo col quale sono entrati in servizio i
cosiddetti “navigator”. Due sono i motivi principali: 1)
l’offerta di lavoro è scarsa; 2) le persone povere, anche se
teoricamente adatte a lavorare, non sono quelle che il mercato del
lavoro oggi cerca (per esempio il 70% ha solo un titolo di
studio inferiore, mentre oggi si vuole personale qualificato [5]).
Pensare che i corsi di formazione e i centri per l’impiego avrebbero
potuto risolvere la questione era ingenuo e velleitario. Ancora più fuori
dalla realtà è pensare che servano le minacce (togliere il sussidio) o
costringere i datori di lavoro a prendere personale non qualificato o
non idoneo (si pensi alle proposte della Lega e di Fratelli
d’Italia di utilizzare i percettori del reddito di cittadinanza per
svolgere i lavori agricoli). Proposte demagogiche che però fanno presa su
chi non conosce le situazioni.
Il secondo obiettivo, quindi, in parte è fallito, ma è fallito
perché era velleitario. La disoccupazione la si combatte con la
politica economica, industriale, del lavoro, agricola, turistica,
sanitaria, educativa, con la velocizzazione della giustizia civile ecc.
molto più che con una misura come il reddito di cittadinanza.
Per quanto riguarda il terzo obiettivo (il recupero sociale di soggetti
problematici) a oggi non vi sono dati sufficienti per dare un giudizio.
Un’altra accusa che è stata fatta al reddito di cittadinanza è di
favorire “l’indolenza e la pigrizia” dei poveri (come se la
povertà fosse una colpa dei poveri e non un problema sociale ed
economico). In realtà le ricerche effettuate in altri
Paesi UE evidenziano che tale fenomeno è del tutto marginale
e ciò, molto probabilmente, vale anche per il reddito di cittadinanza,
perché utilizza accorgimenti, quale la riduzione scalare dell’assegno in
base al numero dei componenti il nucleo familiare, che hanno proprio
questo fine [7]).
Un’altra critica che viene mossa è che pochissimi percettori del
reddito hanno svolto le 8-16 ore settimanali di lavori socialmente utili,
ed è vero (sono solo 7.000 persone). Bisogna però
considerare che il decreto attuativo è stato varato a ottobre
2019, dopo il quale i Comuni hanno potuto attivarsi (deliberare
i progetti di lavoro ecc.), ma da marzo a luglio a causa del
covid si è fermato tutto e quando si è ripartiti c’erano tutte le
difficoltà legate alla pandemia. In realtà è molto più
complicato di quel che si pensa impiegare i percettori di reddito in
lavori socialmente utili. Come ha detto il responsabile per il welfare
dell’ANCI: “È un problema di risorse umane e finanziarie.
Risorse che i Comuni non hanno. Dietro ai Puc (i lavori socialmente utili,
ndr) c’è un gran lavoro: programmazione, raccordi con i nuclei familiari,
i Centri per l’impiego e il Terzo settore, predisposizione di bandi,
stipula di convenzioni e assicurazioni, formazione, tutoraggio, acquisto
dei dispositivi di protezione, predisposizione di schede e via di seguito.
Un insieme di attività che richiede personale e fondi, spesso sottratti ad
altri compiti” [8]. Tutto ciò scoraggia molti Comuni dal servirsi di
questa opportunità.
Una critica che noi facciamo al RdC è la scarsa considerazione per
gli stranieri in povertà. Concedere il sussidio solo agli
stranieri che da almeno 10 anni risiedono legalmente in Italia è, a nostro
giudizio, una scelta ingiusta e sbagliata. Questi lavoratori
hanno pagato per 3, 5, 7, 9 anni contributi pensionistici e tasse e a
moltissimi di loro l’INPS non verserà mai la pensione (perché
avranno lasciato il nostro Paese o perché non avranno raggiunto il
minimo): se ora una parte di loro è povera, perché non aiutarla?
L’integrazione degli stranieri non passa anche dal venire incontro ai loro
bisogni e dal farli sentire parte della nostra società? Meno
disuguaglianze non significa anche meno tensioni e conflitti?
Purtroppo per vari esponenti politici e opinion leader dare soldi
agli stranieri è una bestemmia e darli ai poveri quasi. Il
reddito di cittadinanza è costato 3,8 miliardi nel 2019 e
poco meno di 6 miliardi nel 2020 e c’è stato un coro di voci di
protesta, come se per colpa di questa manovra l’Italia andasse in
bancarotta. L’abolizione dell’IMU costa 4 miliardi all’anno, il
superbonus al 110% 10 miliardi (che per il 35% andranno a
famiglie ad alto reddito [9]), eppure sono pochissime le voci contrarie a
tali provvedimenti. Forse perché i beneficiari non sono i poveri (la
maggioranza dei poveri abita in case in affitto e un centinaio di migliaia
abita per strada)? Lo Stato regala 8.000 euro a chi compra
un’auto elettrica (prezzo da 26.000 a 116.000 euro), 4.500
a chi compra un’auto ibrida (prezzo da 30.000 a 182.000 euro),
260 milioni alle aziende delle acque minerali, 1.316 milioni alle
proprietarie di centrali elettriche a combustibili fossili (i
principali responsabili del cambiamento climatico) eppure solo qualche
associazione ambientalista protesta [10]. Si sono fatti
innumerevoli regali ai ricchi (abolizione dell’IVA sui beni di lusso,
riduzione delle aliquote IRPEF per i redditi alti, diminuzione delle
tasse di successione ecc.) e solo pochi hanno protestato. Insomma
in Italia ci si indigna solo quando sono i poveri a essere aiutati.
Forse anche perché la maggioranza dei poveri è al Sud e il Sud deve
sempre avere meno finanziamenti del Nord e del Centro.
Note: 1) Istat: Report povertà 2019; 2) Per l’Istat le persone “a rischio di povertà” sono quelle che vivono in famiglie con un reddito equivalente inferiore al 60 per cento del reddito equivalente mediano, per una famiglia composta da una sola persona significa guadagnare meno di 1100 euro lorde al mese; 3) Eurostat 2020; 4) INPS: www.inps.it/nuovoportaleinps/default.aspx?itemdir=51758; 5) www.eticaeconomia.it/le-critiche-al-reddito-di-cittadinanza-proviamo-a-fare-chiarezza; 6) ci riferiamo alle analisi degli economisti Maurizio Franzini e Michele Raitano (docenti alla Sapienza) e Elena Granaglia (doc. a Roma Tre); 7) www.eticaeconomia.it/le-critiche-al-reddito-di-cittadinanza-proviamo-a-fare-chiarezza-seconda-parte; 8) VITA: reddito di cittadinanza e progetti utili alla collettività; 9) Lo dichiara un documento del Governo Italiano che stima che solo il 10% dei fondi del superbonus avvantaggeranno le persone di basso reddito, mentre per il 35% quelle ad alto reddito. Si veda: Bloomberg: Climate Adaptation Italy Bets on a Low-Tech Plan to Green the Economy and Save Jobs, 29 dicembre 2020; 10) Legambiente: Stop sussidi alle fonti fossili e ambientalmente dannosi, 2020
Il 30 gennaio, anniversario della morte di Gandhi, è la giornata della
nonviolenza e anche quest'anno è passata senza alcuna attenzione da parte
dei media. Un gran peccato, perché crediamo che anche nella attuale
momento è estremamente utile confrontarsi col pensiero nonviolento.
Vogliamo per questo richiamare in estrema sintesi gli elementi
fondamentali della nonviolenza, che è innanzitutto un pensiero politico
(Gandhi, ML King, Chavez, Mandela, Maulana, Muller e molti altri
nonviolenti sono politici).
I principi della nonviolenza:
- il nonviolento è una persona che lotta contro l'ingiustizia e
la violenza e, quindi, è impegnata a cambiare la società nella
quale vive (le strutture, le leggi, i rapporti ecc.). Al tempo stesso egli
cerca di avere uno stile di vita e comportamenti coerenti con
gli obiettivi per i quali lotta;
- ingiustizia, violenza e falsità sono tra loro intimamente
legati, così come giustizia, nonviolenza e verità. Per
raggiungere obiettivi giusti bisogna agire con giustizia e verità e
astenersi dalla violenza fisica e verbale;
- tutti gli uomini sono degni di rispetto, in tutti c'è
qualcosa di buono e tutti hanno possibilità di cambiamento. Ogni uomo è
innanzitutto un fratello, quindi bisogna avere rispetto e considerazione
per tutti.
- la nonviolenza è satyagraha (forza dell'amore-verità).
Forza della verità perché, se si ha ragione, si può
riuscire a convincere e, quindi a “vincere” col consenso e non con
l’imposizione. Forza dell’amore perché l’amore è
disposto anche a fare sacrifici e a soffrire per l’altro e questa
disponibilità dimostra l'importanza di ciò per cui si lotta e che non si
persegue il proprio tornaconto ma il bene di tutti. In questa maniera si
guadagna stima, simpatia, considerazione e ciò determina ulteriore
consenso e incrina il fronte degli avversari;
- ogni potere, quello dittatoriale e, a maggior ragione,
quello democratico si regge sempre sul consenso dei
cittadini, che, in qualche misura, collaborano con esso. Quindi per
ottenere cambiamenti bisogna togliere consenso all’avversario e fare in
modo che i cittadini attuino forme di non collaborazione con esso;
- alla "lotta contro" va affiancato sempre un "impegno per",
cioè l'attuazione di un “programma costruttivo”, che
mostri concretamente l'alternativa che si vuole instaurare e la inizi a
rendere operante.
I principali metodi di lotta nonviolenta sono:
- il coinvolgimento dell'opinione pubblica e la creazione di
alleanze. Ci si deve guadagnare il consenso e l'appoggio di
quante più persone e soggetti è possibile;
- il dialogo con la controparte, per esporre il proprio
punto di vista e le proprie rivendicazioni e cercare di realizzare almeno
parte dei propri obiettivi. Le rivendicazioni devono rispondere ai criteri
di giustizia e fattibilità;
- l'utilizzazione degli strumenti democratici presenti
(petizioni, accordi, proposte di leggi, referendum ecc.);
- la non-collaborazione. Si tratta di esercitare il
proprio potere di consumatori e lavoratori non acquistando, non vendendo,
non utilizzando, non lavorando per una o più "cose" che interessano alla
controparte;
- la disobbedienza civile. Il nonviolento ha un grande
rispetto per la legge ma egli si prende la responsabilità d’infrangerla se
la ritiene ingiusta, accettando di subire la pena prevista, senza
sottrarsi e senza opporre resistenza;
- il digiuno. Serve a far capire alla controparte e
all'opinione è pubblica l'estrema importanza e urgenza delle richieste
avanzate.
Riportiamo alcune frasi di nonviolenti:
“Dobbiamo diventare il cambiamento che vogliamo vedere” (MK.Gandhi);
“Qualsiasi cosa tu faccia potrebbe non fare alcuna differenza, ma è molto
importante che tu la faccia” (MK. Gandhi);
“L’uomo si distrugge con la politica senza principi, col piacere senza
coscienza, con la ricchezza senza lavoro, con la conoscenza senza
carattere, con gli affari senza morale, con la scienza senza umanità” (MK
Gandhi);
“La verità ha molteplici sfaccettature e il conflitto e l’odio sorgono
perché gli individui rivendicano il monopolio della verità e della virtù”
(Maulana Abul Kalam);
“La nonviolenza non è per i deboli. La non violenza è un duro lavoro” (C.
Chavez);
“La non violenza è la risposta ai cruciali problemi politici e morali del
nostro tempo; la necessità per l’uomo di aver la meglio sull’oppressione e
la violenza senza ricorrere all’oppressione e alla violenza” (ML. King);
“Non si può dire di volere la pace e lasciare la società come è, con i
privilegi, i pregiudizi, lo sfruttamento l'intolleranza, il potere in mano
ai pochi” (A. Capitini);
“Il compromesso è l'arte della leadership e i compromessi si fanno con gli
avversari, non con gli amici” (N. Mandela);
“Coloro che affrontano i problemi con atteggiamento intollerante non sono
adatti alla lotta politica” (N. Mandela);
“Il primo obiettivo della lotta nonviolenta è creare le condizioni per il
dialogo con l’avversario; col dialogo possiamo trovare un compromesso che
rispetti i diritti di ciascuno” (JM Muller);
“La nonviolenza vuole coniugare al presente giustizia, libertà, dignità”
(JM. Muller);
“La grandezza politica si mostra quando, in momenti difficili, si opera
sulla base di grandi principi e pensando al bene comune a lungo termine”
(Papa Francesco).
Se pensiamo all'Italia di oggi – alle ingiustizie presenti; all’uso
politico di fake-news; agli attacchi personali a chi ha idee diverse; alla
comunicazione aggressiva e violenta di tanti politici, opinion leader e,
purtroppo, anche cittadini comuni; all’accezione negativa che si è diffusa
di termini quali dialogo, discussione, compromesso, mediazione; allo
sfoggio d’arroganza e di machismo di molti politici e ai tanti cittadini
che pensano che ciò sia segno di capacità politica – non possiamo non
concludere che c'è un gran bisogno di nonviolenza.
Una molecola di CO2 presente nell’atmosfera impiega in media 50
anni per scomparire grazie ai vegetali che la captano e la
trasformano in glucosio, cellulosa o lignina. Ovviamente se le foreste si
riducono occorrerà più tempo per farla scomparire.
Gli scienziati ci dicono che la situazione è estremamente grave perché
l’accumulo di CO2 e altri gas serra sta facendo aumentare la temperatura
del pianeta con conseguenze catastrofiche, per cui bisogna ridurre subito
e drasticamente la produzione di tali gas e incrementare il manto
vegetale.
Attualmente la temperatura media del pianeta è aumentata di 0,5°C
e tale cambiamento ha determinato:
- scioglimento dei ghiacci polari e montuosi: nel 2018 si sono
sciolti 475 miliardi di tonnellate di ghiacci polari
(negli anni ‘90 erano 81 miliardi di tonnellate all’anno). La
Groenlandia ha già perso il 60% dei suoi ghiacciai [1];
- innalzamento del livello degli oceani di 3 cm [2];
- aumento dei fenomeni meteorologici estremi (bombe d'acqua, tempeste di
vento, siccità ecc.). In Italia nel 1999 sono stati 17, nel 2009
213 e nel 2020 1.499 [3]. Anche i danni causati da tali eventi
sono sempre maggiori: si pensi ai milioni di alberi abbattuti in
pochi minuti dalla Tempesta Vaia nel Nord-Est nell'ottobre
2018, all'acqua alta a Venezia (187 cm), alle alluvioni
di Matera, della Liguria e di Livorno.
Nell'ultimo decennio i soli danni alla produzione agricola e alle
opere edili provocati dai fenomeni meteorologici estremi
ammontano a oltre 14 miliardi di euro. Le persone
a rischio di vedere franare la propria abitazione sono 1.280.000,
quelle a rischio alluvione 8.250.000 [4];
Gli scienziati ci dicono che se non si prendono provvedimenti
seri tra 20 anni la temperatura media aumenterà di 1,5°C, con
conseguenze molto più gravi. Va sottolineato che già nel 1972 gli
scienziati avevano previsto per il 2020 un aumento di 0,5°C della
temperatura media del pianeta, con tutte le conseguenze che ora stiamo
vivendo [5].
I dati ci dicono anche che ogni anno in Italia oltre 40.000
persone (probabilmente circa 50.000) muoiono per
malattie causate dall'inquinamento atmosferico (tumori,
patologie polmonari e cardiovascolari) [6].
Il 2020 è stato un anno molto difficile: l’epidemia di covid
ha causato enormi problemi sanitari, economici, sociali, costringendoci a
molte rinunce. Ma sapevamo e sappiamo che questi sacrifici, per quanto
lunghi, sono transitori. Sappiamo che un vaccino può immunizzarci da
questa malattia e risolvere il problema. Per i cambiamenti
climatici non è e non sarà così. Una volta creato il problema ci
vorranno decenni di sacrifici per cercare di arginarlo e
superarlo, né potrà mai esistere un “vaccino”, una
soluzione tecnologica, che ci tiri fuori dai guai. L’unica
maniera per venirne fuori è arrestare ora il cambiamento climatico, ridurre
da subito il più possibile le emissioni di gas serra. Lo dobbiamo
fare per noi, per i nostri figli, per i nostri nipoti, per l’umanità
intera.
Molti dei cambiamenti che dobbiamo mettere in atto non sono per nulla
sconvolgenti: gran parte dei gas serra, infatti, sono determinati
da comportamenti che possono essere considerati folli. Ecco alcuni
esempi:
- buttare alimenti nella spazzatura: se non sprecassimo
più il cibo ridurremo del 7% i gas serra
[7];
- mangiare in piatti non di porcellana: quando usiamo
piatti usa e getta produciamo molto più gas serra di quando usiamo quelli
di porcellana: per esempio 5 volte di più con quelli
biodegradabili [8];
- mangiare verdura non di stagione: determina 3
volte più gas serra che se consumassimo quella di stagione [9];
- bere acqua in bottiglia: fabbricare una
bottiglia di plastica da 1,5 litri produce 200g di CO2 e per
trasportarla fino alle nostre case un altro bel po' [9];
- mangiare troppa carne (soprattutto bovina): per
produrre 1 Kg di carne vengono emessi circa 18 Kg di gas serra se
la carne è bovina, 4 Kg se è di maiale, 2 Kg se di pollo; per
produrre 1 Kg di legumi circa 0,8 Kg [10]. I
nutrizionisti ci dicono che si può seguire un'alimentazione corretta ed
equilibrata anche senza mangiare carne, anzi mangiare spesso carne
(soprattutto conservata o bovina) fa male alla salute;
- usare troppo il riscaldamento e i condizionatori: se
decidessimo di vestirci con abiti un po' più caldi, così da accendere il
riscaldamento solo quando fa veramente freddo, per esempio per la
metà dei giorni che attualmente lo accendiamo, l'Italia
produrrebbe quasi il 10% di gas serra in meno [11];
- usare l'auto o la moto quando se ne potrebbe fare a meno:
il 30% degli spostamenti in auto serve per arrivare a una destinazione
raggiungibile a piedi in 5-30 minuti, il 25% degli spostamenti una
destinazione raggiungibile a piedi in 60 minuti [12]. Se usassimo i
muscoli invece che auto e moto circolerebbe meno della metà delle auto,
produrremmo il 12% di gas serra in meno [10] e faremmo
l’attività fisica consigliata per ottenere i maggiori benefici di salute,
cioè un’ora di attività fisica leggera (tipo camminare in piano o in
discesa) e un’ora di attività fisica vigorosa (per esempio camminare in
salita) al giorno [13]. Purtroppo i mass media invece di darci queste
informazioni ci illudono che l’auto elettrica sia la soluzione. A tal
proposito vale la pena citare un recente documento dell’Istituto Superiore
per la Ricerca e la Protezione Ambientale (ISPRA): La mobilità
sostenibile deve ridurre il numero di macchine in circolazione; l’idea
dell’auto elettrica sta sviando da questo vero obiettivo e porta a
rimandare le azioni che invece sarebbero veramente utili, poiché ci si
illude che poi “arriverà l’auto elettrica a risolvere tutti i mali”. Non
è così. […] Per il momento non abbiamo una produzione di energia da
fonti alternative sufficiente a caricare un gran numero di automobili,
la gran parte sarebbe alimentata da fonti tradizionali e quindi le
attuali centrali non potrebbero essere dismesse ma forse addirittura
potenziate. Le emissioni sarebbero solo spostate dalla città per essere
prodotte altrove. Anche volendo aspettare di poter sfruttare la sola
energia del sole per muovere le nostre auto elettriche i tempi sarebbero
troppo lontani; più volte abbiamo sottolineato come sia urgente agire
subito per mitigare i cambiamenti climatici e le emissioni inquinanti
per la salute [14];
- usare l’aereo per spostamenti non necessari: l’aereo
è il mezzo di trasporto più inquinante, dovrebbe essere utilizzato con
molta parsimonia. Le riunioni e gli incontri di lavoro possono essere
fatti più comodamente online e, per quanto riguarda il turismo, ha senso
visitare posti lontani quando non conosciamo tanti bei posti più o meno
vicini?
- e ancora, separare approssimativamente i rifiuti (o
peggio metterli dove capita), comprare prodotti che usiamo poco o
niente, tenere le luci accese (o la televisione o il computer,
ecc.) quando non servono ecc. ecc.
Insomma, non è intelligente determinare una catastrofe su scala
planetaria per continuare a fare cose inutili, superflue o dai
bassissimi vantaggi.
Non è nemmeno giusto nei confronti di chi subisce già oggi i danni
dovuti ai cambiamenti climatici e all’inquinamento o dei nostri figli e
nipoti che dovranno affrontare sacrifici durissimi per cercare
di rimediare ai guasti determinati da comportamenti che potremmo cambiare
senza grandi sacrifici.
Note: 1) www.osservatorioartico.it/scioglimento-dei-ghiacciai;
2) National Oceanic and Atmospheric Administration’s Centers for
Environmental Information: State of the Climate in the 2018; 3) European
Severe Weather Database, 2019; 4) www.cmcc.it
2019; 5) MIT: Study of Critical Environmental Problems, 1972; 6)
elaborazione su dati dello studio ESCAPE; 7) ispra www.isprambiente.gov.it/it/pubblicazioni/rapporti/spreco-alimentare-un-approccio-sistemico-per-la-prevenzione-e-la-riduzione-strutturali-1;
8) http://pro-mo.it/wp-content/uploads/2018/06/1.%20Ricerca%20Life%20Cycle%20Assessment%20%28LCA%29%20comparativo%20di%20stoviglie%20per%20uso%20alimentare.pdf;
9) http://89.97.205.100/AzzeroCO2/calcolatore.jsp;
10) Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia
agraria http://sito.entecra.it/portale/public/documenti/sccai-cra-inea.pdf;
11) www.isprambiente.gov.it/files2018/pubblicazioni/rapporti/Rapporto_295_2018.pdf;
12) ISFORT 2012; 13) Samitz G, Egger M, Zwahlen M. Domains of physical
activity and all-cause mortality: systematic review and dose-response
meta-analysis f cohort studies. International Journal of Epidemiology
2011; 14) ISPRA: Ridurre le emissioni climalteranti, 2019, www.isprambiente.gov.it/files2019/pubblicazioni/quaderni/Quad_AS_20_19.pdf;
L’epidemia di covid, purtroppo, ha ripreso alla grande. A luglio i nuovi
positivi sono stati 7.068, ad agosto 22.357, a settembre 47.220, a ottobre
(primi 28 giorni) 272.363. Vi sono stati a settembre411 morti per covid, a
ottobre 2.228 [1].
In Campania ad agosto ci sono stati 2.059 nuovi casi e zero morti, a
settembre 15.676 e 18 morti, a ottobre 33.040 e 100 morti [2].
Nelle prossime settimane avremo un notevole incremento dei decessi perché
tra l’esordio della malattia e la morte passano in media 12 giorni (in
realtà oggi di più perché il dato è stato calcolato quando erano
soprattutto gli anziani a prendersi il covid).
Attualmente (30 ottobre) in Italia l’Rt, che indica quante persone un
contagiato infetta tenendo conto di tutte le misure prese per evitare il
contagio, è 1,7 (in alcune regioni è superiore a 2). Ciò significa che
nelle prossime settimane il numero di casi aumenterà ancora. Con un Rt 2,
due persone ne infettano 4, che ne infettano 8, e poi 16, 32, 64, 128,
256, 512. Oggi non partiamo da 2 casi ma da 26.830 e con Rt di 1,7 vuol
dire che se non si prendono subito nuove misure nel giro di qualche
settimana arriveremo a incrementi giornalieri superiori a 100.000.
Perché siamo arrivati a questa situazione? Era imprevedibile? Non si è
fatto niente?
Una ripresa dell’epidemia in autunno era prevista da chiunque si interessa
di epidemiologia e, quindi, anche dal Governo e dalle Regioni. Proprio per
questo è stata messa in atto tutta una serie di provvedimenti per
contenere il più possibile la ripresa dell’epidemia. Vediamo i principali.
Già a marzo il Governo ha varato decreti e circolari che, oltre ad
affrontare l’epidemia in atto, erano finalizzati a contrastare la ripresa
autunnale. Per esempio, col Decreto-legge del 18 marzo Cura Italia
sono stati stanziati 1,410 miliardi per la sanità, prevedendo l'assunzione
di 4.917 medici, 16.176 operatori sanitari e socio-sanitari (infermieri,
assistenti sanitari, tecnici della prevenzione ecc.).
Col decreto-legge del 19 maggio, Decreto Rilancio, sono stati
stanziati altri 3,250 miliardi per la sanità (assunzione di 9.600
infermieri, raddoppio dei posti di terapia intensiva, acquisto dispositivi
di protezione, ecc.), e col decreto-legge Agosto altri 478
milioni di euro.
Sono state prodotte linee guida su vari argomenti (sanificazione,
tracciamento, terapia ecc.), protocolli per prevenire contagio (per
scuole, fabbriche, ristoranti, luoghi di culto, parrucchieri, RSA,
macelli, palestre, stabilimenti balneari, teatri, orchestre, ecc.), corsi
di formazione per operatori sanitari, un documento che stabilisce cosa è
opportuno fare a seconda di come si presenta la ripresa dell’epidemia [3]
ed è stata lanciata l’app Immuni per favorire il tracciamento dei contatti
e l’immediata quarantena dei soggetti che sono stati a contatto con un
positivo.
Per quanto riguarda mascherine e disinfettanti al 31 agosto il Ministero,
per affrontare la seconda ondata dell’epidemia, aveva in dotazione 746
milioni di mascherine (con un’ulteriore capacità di approvvigionamento di
900 milioni di mascherine al mese), 8 milioni di visiere e 21 milioni di
litri di gel disinfettante [3].
Tutte le Regioni, sulla base delle disposizioni e dei finanziamenti
stabiliti nei provvedimenti prima indicati, hanno varato piani di
riorganizzazione ospedaliera, concorsi per l’assunzione a tempo
determinato, indeterminato e come co.co.co. di operatori sanitari (medici,
infermieri, assistenti sanitari, tecnici della prevenzione ecc.), gare per
l’acquisto di attrezzature, linee guida e protocolli su aspetti di
competenza regionale.
Quindi chi dice che non è stato fatto niente dice il falso. E poiché lo
dicono i partiti d’opposizione e vari giornali e opinion leader significa
che o non si informano (e per figure pubbliche ciò è imperdonabile) o, più
probabilmente, che dicono il falso con piena coscienza (e ciò è
altrettanto grave).
Dunque tutto bene? La ripresa dell’epidemia è solo colpa del fato? No.
Vediamo dove si è sbagliato o cosa non è andato bene e perché.
1) Malgrado i decreti del Governo non abbiamo sufficiente personale
sanitario e, con la carenza di anestesisti, forse era meglio puntare sul
contrasto all’epidemia che a raddoppiare le terapie intensive.
Nell’anno 2020, grazie ai decreti prima indicati e a fondi stanziati prima
dell’inizia dell’epidemia (dicembre 2019), sono stati assunti oltre 31.000
operatori sanitari [4]. Purtroppo nel solo 2019 quasi altrettanti sono
andati in pensione, di cui 7.225 per effetto di quota 100 [5]. Il Governo
ha cercato di sopperire a questa carenza disponendo la possibilità di
assunzione anche per specializzandi dell’ultimo anno o per persone
specializzate all’estero e l’assunzione di medici pensionati, ma con
scarsi risultati. Quindi serve a poco o niente creare nuovi posti letto in
terapia intensiva (da 5179 posti si è arrivati a circa 7.000, mentre ne
erano programmati 8.679) se non abbiamo specialisti in rianimazione. Se
prima dell’epidemia c’erano in media 2,5 medici per ogni posto letto in
rianimazione (con punte di 3,5 medici della Val d’Aosta, che era un vero
spreco!), oggi, che abbiamo 7.000 posti di terapia intensiva, il rapporto
è 1,6 medici per posto letto, che è veramente poco [4].
Quei politici e giornalisti che ci dicono che occorrono più posti di
terapia intensiva dicono una cosa senza senso e prendono in giro i
cittadini, perché non ha senso creare posti letto se non ci sono i medici
che li fanno funzionare e prima di 3-5 anni non si possono avere
incrementi significativi nel numero di anestesisti.
La carenza di personale sanitario (soprattutto nella prevenzione e nella
medicina territoriale, relativa ai “paramedici” più che ai medici) ha
queste cause:
a) cattiva programmazione sanitaria: numero esiguo di posti nei corsi di
laurea in infermieristica, assistente sanitario, tecnici della prevenzione
(in tutta la Campania non c’è nessuna università che abbia un corso di
laurea in assistente sanitario, cioè il professionista addetto alla
prevenzione, promozione della salute e, in parte, alla medicina
territoriale). Analoga situazione, ma in misura minore, si verifica per i
corsi di laurea in medicina e le scuole di specializzazione (ricordiamo
che in Italia il numero di medici per 1000 abitanti è pressoché uguale
alla media europea mentre quello di “paramedici” è molto più basso: 5,8 su
1.000 abitanti contro una media UE di 8,0);
b) taglio dei fondi alla Sanità (37 miliardi tra il 2010 e il 2018 [6]) e
blocco del turnover, che hanno ridotto enormemente il personale sanitario;
c) Quota 100,che ha ulteriormente aggravato la carenza di
personale, permettendo a oltre 10.000 medici e paramedici di andare in
pensione prima del tempo stabilito [5].
La carenza di personale paramedico porta (spesso in maniera colpevole) a
un utilizzo improprio dei medici: è assurdo che i tamponi o le telefonate
per effettuare l’analisi dei contatti siano effettuati da medici di base o
delle USCA, che hanno ben altri compiti da svolgere.
Quindi era preferibile aumentare tutto il fronte dell’individuazione dei
positivi e del tracciamento dei contatti, perché ciò è importantissimo per
prevenire e contrastare un’epidemia. Inoltre per svolgere tali funzioni
occorrono infermieri, assistenti sanitari, tecnici della prevenzione,
assistenti sociali, biologi e medici neolaureati (cioè personale più
facile da reperire e con costi più bassi) e pochi medici specialisti.
Autorevoli esperti di sanità pubblica avevano proposto già ad aprile di
assumere per un anno gli studenti dell’ultimo e penultimo anno dei
suddetti corsi di laurea, facendo seguire loro un breve corso.
2) Non si è fatto tutto quello che era necessario per impedire situazioni
strutturali di affollamento.
Discoteche, feste, assembramenti di giovani, mezzi pubblici affollati sono
stati i principali contesti di contagio da agosto in poi.
Mantenere il distanziamento nelle discoteche è impossibile per cui non si
doveva permetterne la riapertura. Per le feste, bar, pub, ristoranti
bisognava predisporre norme più severe (soprattutto riguardanti la vendita
d’asporto), effettuare più controlli ed essere più duri con i
trasgressori. La multa da 280 a 560 euro (e la chiusura del locale per un
massimo di 5 giorni) non è un grande deterrente. E infatti tutti abbiamo
visto esercenti che non rispettavano le norme.
Se si leggono i dati riportati nel documento sulla scuola del Comitato
tecnico scientifico, varato a maggio, si capisce benissimo che in molte
scuole era difficile, e in alcune impossibile, rispettare i protocolli di
sicurezza e che il carico degli studenti universitari e delle scuole
superiori sui trasporti pubblici era ed è insostenibile (il 25% degli
utenti dei mezzi pubblici sono studenti, il che significa che negli orari
di apertura e chiusura delle lezioni anche il 90% dei passeggeri di
autobus e metropolitane sono studenti) [7]. Se si fosse detto a maggio che
le scuole superiori e l’università per i primi mesi dell’anno scolastico
avrebbero dovuto funzionare con la didattica a distanza (tranne le
attività pratiche di laboratorio) si sarebbe dato il tempo di organizzare
al meglio tale didattica e si sarebbe dato un grande contributo per
impedire l’affollamento dei mezzi pubblici. Inoltre non è vero che la
scuola incide poco sulla trasmissione del covid. I dati ci dicono che a
metà ottobre l’85% dei casi si era infettato in famiglia, ma poiché il
virus non penetra dalle finestre ma viene portato da un familiare che si è
contagiato fuori casa, è importante sapere come ci si contagia fuori casa.
Ora i dati ci dicono che il 28,5% dei contagi fuori casa è avvenuto in
ambito scolastico [8]. Allora, invece di chiudere tutte le scuole,
compresi asili e nidi, era molto più saggio fare didattica a distanza agli
studenti universitari e delle superiori (e possibilmente anche delle
scuole medie di 1° grado), perché non sono i bambini dell’asilo e delle
primarie che affollano gli autobus, perché i gradi più bassi di scuola
sono quelli più importanti per combattere le disuguaglianze, perché la
chiusura di queste scuole è quella che crea più problemi alle famiglie.
Andava inoltre favorito (e nella pubblica amministrazione imposto) il
lavoro da casa. Andava disposto a giugno per settembre e i mesi autunnali
e non deciso il 24 ottobre, come è avvenuto. Questo per limitare
l’affollamento dei mezzi pubblici e le occasioni di contagio.
Anche in questo caso chi dice che bisognava aumentare i mezzi pubblici o
le aule scolastiche o le strutture della P.A. prende in giro i cittadini:
per avere un autobus occorre fare una gara, ordinarlo e costruirlo (gli
autobus non si comprano “chiavi in mano”) e i tempi minimi sono 1-1,5 anni
(per un treno i tempi sono il doppio); per costruire una scuola o un
edificio della P.A. ci vogliono minimo 1,5-2 anni.
3) E’ inutile che l’Istituto Superiore di Sanità appronti un documento
sulle misure da prendere nel caso di ripresa dell’epidemia, lo discuta con
tutti i ministeri e le Regioni (che poi lo approvano) se poi non si
prendono le misure in esso stabilite per gli scenari 1, 2, 3 e 4 [3].
Infatti molte Regioni (tra cui la Campania) non hanno preso le misure
previste per lo scenario nel quale si trovavano o hanno preso le misure
dello scenario 2 quando si trovavano ormai nel 3. Le misure antimovida e
la chiusura delle scuole superiori e delle lezioni universitarie sono
state decise in Campania (e in altre Regioni) almeno dieci giorni dopo di
quando dovevano e lo stesso vale per i dpcm del Governo [3]. Quando
un’epidemia compare o si riaccende la tempestività degli interventi di
contenimento è estremamente importante e 10-20 giorni di ritardo sono un
ritardo enorme, che può avere effetti tragici.
4) Non tutte le regioni si sono comportate in uguale maniera. La Sicilia è
stata capace di aumentare dell’8% la dotazione del personale medico (700
operatori), il Veneto del 6% (438 operatori), il Lazio del 5% (362
operatori) e la Lombardia e la Campania solo del 4% (rispettivamente 583 e
264 operatori). Che altre Regioni (Liguria, Puglia ecc.) abbiano fatto
peggio è una magra consolazione [4].
Un altro errore (molto grave) della Campania è stato il ridotto numero di
tamponi effettuati ad agosto e settembre (ultimi in classifica). De Luca
ha affermato: «i tamponi non si fanno a cazzo come altrove». E’
un’affermazione sconcertante, perché l’individuazione degli asintomatici e
l’analisi dei contatti sono fondamentali per contrastare un’epidemia.
Probabilmente questa è una delle principali cause della drammatica
situazione odierna (insieme all’affollamento abitativo).
Malgrado questi errori compiuti da chi ci governa e ci amministra va detto
che la principale responsabilità della tragica ripresa dell’epidemia è di
quella parte di cittadini che non ha seguito le norme di igiene
(mascherina, distanziamento, disinfezione delle mani ecc.) e i protocolli
stabiliti per i vari contesti (spiagge, ristoranti, pub, bar ecc.), che
non ha scaricato l’app Immuni (in Italia a ottobre il 14% l’aveva
scaricata, in Germania il 22%), che si è opposta alla didattica a
distanza, che non ha voluto vedere che la situazione stava precipitando,
che ha diffuso fake-news negazioniste o minimizzanti.
Ancora maggiore è la responsabilità di quei politici e giornalisti che
hanno negato l’utilità della mascherina, che hanno tirato in ballo in
maniera ridicola la libertà personale o la dittatura [9], che si sono
opposti a qualsiasi provvedimento per prevenire e contenere il contagio,
che hanno disinformato e preso in giro i cittadini diffondendo notizie
false e proponendo soluzioni irrealizzabili o inutili. Questi politici
hanno dimostrato che, pur di guadagnare voti, sono disposti a danneggiare
la salute di centinaia di migliaia di italiani e di provocare morti e
sofferenze.
Un’altra parte di responsabilità ce l’hanno quegli imprenditori che hanno
preteso l’apertura di attività molto rischiose (discoteche) e si sono
opposte a limitazioni e chiusure indispensabili, dimenticando che la cosa
più importante per salvaguardare l’economia e l’occupazione è impedire la
ripresa dell’epidemia.
Un altro grande responsabile è la retorica: le guerre non si vincono con
le belle parole o con i discorsi che strappano gli applausi. Dire “La
scuola (o la cultura o l’arte) è il perno del Paese e non si chiude” è
molto bello e vero, ma se c’è un’epidemia è retorica perniciosa. E’ come
se una persona dicesse “Stare a casa propria o all’aria aperta con i
propri familiari e amici è importantissimo per la salute e la qualità
della vita”. Certo! Ma se si ha un infarto in atto è meglio stare in un
letto di una unità coronarica.
In questi mesi, purtroppo, di verità buone in tempi normali ma non in caso
di epidemia ne sono state dette tante e si spera che gli italiani
capiscano al più presto che con la retorica si passano solo guai e che
siano diventati guardinghi e sospettosi verso qualsiasi forma di retorica
e verso chiunque la usi. Se questo avverrà l’epidemia di covid avrà avuto
anche dei lati positivi.
Note
1) https://statistichecoronavirus.it/coronavirus-italia;
2) https://statistichecoronavirus.it/coronavirus-italia/coronavirus-campania;
3) ISS: Prevenzione e risposta a COVID-19: evoluzione della strategia e
pianificazione nella fase di transizione per il periodo autunno-invernale;
4)La legge sulla protezione https://altems.unicatt.it/altems-altems%2025%20instant%20report.pdf;
5) INPS: Rapporto annuale 2020; 6) www.gimbe.org/osservatorio/Report_Osservatorio_GIMBE_2019.07_Definanziamento_SSN.pdf;
7) Presidenza del Consiglio dei Ministri: Modalità di ripresa delle
attività didattiche del prossimo anno scolastico 28 maggio 2020; 8) Il
Ministero della Salute afferma che l’81,7% delle persone si contagia in
famiglia ma questa “rappresenta un contesto di amplificazione della
circolazione virale e non il reale motore dell’epidemia”, che sono i
contesti extrafamiliari. Tra questi quello scolastico incide per il 3,5%.
Ora il 3,5% corrisponde al 28,5% dei contagi extrafamiliari. Si veda:La
legge sulla protezione http://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronavirus/dettaglioNotizieNuovoCoronavirus.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=5137;
9) Per la Costituzione la salute è un diritto fondamentale (quindi
preminente rispetto agli altri diritti (articolo 32: La Repubblica tutela
la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della
collettività”), e prevede limiti alle libertà personali per salvaguardare
tale diritto. Si vedano l’articolo 16 (Ogni cittadino può circolare e
soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo
le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di
sanità e sicurezza), art. 17 (I cittadini hanno diritto di riunirsi ...
pacificamente e senz’armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al
pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve
essere dato preavviso alle autorità,che possono vietarle soltanto per
comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica), art. 41
“L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto
con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla
libertà e alla dignità umana). La legge sulla protezione civile prevede la
possibilità di dichiarare lo stato di emergenza della durata massima di 2
anni e tutti i dpcm sono stati emanati perché il Parlamento ha autorizzato
a ciò il Governo. Crediamo che quegli uomini pubblici (politici,
giornalisti ecc.) che accusano di dittatura il Governo e invitano più o
meno palesemente a non rispettare i suoi decreti dovrebbero ricordare
l’articolo 54 della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno il dovere di
essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi.
I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di
adempierle con disciplina ed onore.
Nell’ultimo messaggio abbiamo visto come i
principi di uguaglianza davanti alla legge e di pari dignità sociale,
affermati dalla Costituzione, spesso siano contraddetti dai fatti
(poveri e persone poco istruite curate peggio e controllati di
più dalle forze dell’ordine; senza tetto privati della residenza e quindi
dell’assistenza sanitaria e di protezione economica; rom e sinti non
riconosciuti come minoranza linguistica al pari di ladini, occitani,
tedeschi, e fortemente discriminati e oggetto di discorsi d’odio).
In questo messaggio vediamo altri gruppi di persone discriminate,
perché ciò danneggia tutti e cosa possiamo fare.
Stranieri
Gli stranieri, in particolare se neri, arabi,
rumeni, albanesi, sono fortemente discriminati. A comportarsi
in maniera ingiusta e razzista non sono solo semplici cittadini, ma anche
partiti politici, giornali, televisioni, siti web, amministratori e enti
pubblici .
E’ inconcepibile che un presidente di Regione (il Veneto), possa
dire pubblicamente in televisione: “Li abbiamo visti
tutti mangiare i topi vivi o questo genere di cose. L’igiene,
che ha il nostro popolo, i veneti e i cittadini italiani, la
formazione culturale che abbiamo, è quella di fare la doccia, di
lavarsi, di lavarsi spesso le mani, di un regime di pulizia
personale particolare. Anche l’alimentazione, le norme igieniche, il
frigorifero, le date di scadenza sugli alimenti. Cosa c’entra? C’entra
perché è un fatto culturale”. Cos’è questo se non un discorso razzista e
che incita alla discriminazione? Razzismo, come sempre, basato su
pregiudizi, che non hanno riscontro nella realtà. Infatti, mentre
tra i 4.950.000 veneti ci sono stati 30.504 positivi al covid (cioè
1 ogni 163 veneti), tra i 59.200 cinesi della Toscana vi sono
stati 2 soli casi (cioè un caso ogni 29.600 cinesi) [1].
Spessissimo i concorsi pubblici (di Comuni, Regioni,
enti) prevedono la clausola della “cittadinanza italiana”, che
impedisce la partecipazione ai circa 5 milioni di stranieri
regolarmente presenti in Italia. Perfino i concorsi per mediatore
culturale (cioè persone che devono conoscere l’italiano e un’altra
lingua come l'amarico, l’oromo, il berbero, lo swahili,
l’igboe, il cingalese, il punjabi ecc. nonché la cultura e il modo di
pensare delle persone che parlano queste lingue) spesso sono
riservati ai soli cittadini italiani. Finanche il Ministero
della Giustizia ha bandito un concorso siffatto, che è stato poi annullato
dalla magistratura [2].
Anche i bandi per l’assegnazione di case popolari, sussidi o
servizi molto spesso sono riservati solo agli italiani o
formulati in modo tale che uno straniero non potrà vincerlo mai.
Se lo straniero è irregolare la discriminazione e il razzismo si
accentuano. E per essere irregolare basta perdere il
lavoro o provenire da un Paese estremamente povero ma non in
guerra, che perseguita alcuni gruppi di persone ma che l’Italia - per
ragioni politiche - fa finta di ignorare. Si è irregolare anche se si
appartiene a una categoria discriminata (es gay) in un determinato Paese
(che ha la pena di morte per i gay) ma non si è riusciti a dimostrare di
essere stati effettivamente perseguitati. A questi stranieri, in quanto
considerati irregolari, la legge impedisce di affittare una casa,
di avere un contratto di lavoro, di guidare una moto o un’auto.
Per di più il solo fatto di essere irregolare è considerato un
reato punibile col carcere, anche se la persona non ha fatto
niente di male: un reato che possono compiere solo gli stranieri e
che non è legato a fatti compiuti ma a una condizione
nella quale ci si viene a trovare è una palese violazione dell’articolo 3
della costituzione (“uguali davanti alla legge senza distinzione di
condizioni personali”).
Vari giornali, televisioni, siti web, politici e amministratori si
accaniscono con discorsi razzisti e che incitano all’odio per lo
straniero. Libero recentemente ha titolato in prima
pagina: “Accogliamo i clandestini e uccidiamo i cinghiali” [3], un titolo
palesemente razzista e il cui senso è che trattiamo gli stranieri
irregolari meglio dei cinghiali e questo è scandaloso. Questo giornale
(recensito in tutte le rassegne radio e tv) continuamente scrive cose del
genere, ma non viene chiuso e il suo direttore e i giornalisti che
scrivono tali enormità, pericolose e immonde, non finiscono in galera né
sono radiati dall’Ordine dei giornalisti.
Meridionali.
La discriminazione e i pregiudizi negativi nei confronti dei meridionali
purtroppo non sono solo un ricordo di anni passati. Quanto sia stato e sia
diffuso lo dimostrano la fortuna che ha avuto la Lega Nord, un partito
dichiaratamente antimeridionale, e gli articoli e i servizi su Napoli e il
il Sud, che, se non manifestamente razzisti, sono spessissimo pieni di luoghi
comuni negativi. In particolare il Sud ha una nomea di
inefficienza e spreco di risorse (contraddetta dai dati [4]),
e questa nomea viene utilizzata da decenni per destinare la maggioranza
delle risorse statali al Nord e al Centro. Basta pensare che ogni
cittadino del Nord e del Centro riceve dallo Stato 17.065 euro all'anno,
mentre ciascun cittadino del Sud 13.394 euro, cioè 3.671
euro all'anno di meno. Se lo Stato avesse fatto parti uguali tra
tutti i cittadini il Sud avrebbe avuto 61,5 miliardi di euro
all'anno in più e il Centro e il Nord 61,5 miliardi di euro in
meno [5]. Tutto ciò non sembra per niente in linea con l’articolo 3 della
Costituzione perché tratta i cittadini del Sud Italia come
cittadini di serie B e perché non rimuove gli
ostacoli economici per rendere effettiva l’uguaglianza, ma anzi incrementa
le disuguaglianze effettive e di opportunità.
Donne
Che le donne ancora oggi siano discriminate lo dimostrano alcuni dati: sono
donne solo 2 rettori su 83, solo 2.800 docenti universitari su 18.000,
solo il 14% degli alti dirigenti della pubblica amministrazione
(pur essendo il 57% dei dipendenti) [6, 7]. Inoltre nel 2019 circa 20.000
lavoratrici si sono “dimesse” dopo avere avuto un figlio (nella
stragrande maggioranza di casi si tratta di licenziamenti fatti passare
per dimissioni) [8].
Va detto che negli ultimi decenni sono state emanate varie leggi e
provvedimenti per contrastare le discriminazioni contro le donne (nei
confronti dei poveri, rom e stranieri è successo il contrario), ma
purtroppo le leggi hanno poco effetto se continuano ad esserci pregiudizi
e luoghi comuni negativi e se non “si rimuovono gli ostacoli”
per rendere effettiva l’uguaglianza.
Succede quindi che si varano leggi a favore delle donne perché la
maggioranza degli elettori sono donne e leggi e disposizioni
discriminatorie nei confronti di poveri, stranieri, rom e sinti perché
essi o non votano o sono una piccola minoranza degli elettori
(l’astensione dal voto è massima tra i poveri). I provvedimenti
discriminatori sono varati per avere i voti di quella parte della
popolazione che è spaventata dal diverso, a cui si è fatto
credere che i principali problemi dell’Italia sono la criminalità
(tra le più basse d’Europa e in continua diminuzione [9]), l’arrivo
di qualche decina di migliaia di stranieri (quando la
popolazione residente diminuisce di circa 200.000 persone all’anno) [10],
il rischio di islamizzazione dell’Italia (gli islamici
sono circa il 4% della popolazione presente sul nostro territorio e il
dato è abbastanza stabile da vari anni [11]). I veri problemi
dell’Italia sono altri: le enormi disuguaglianze (in gran
parte dovute a un sistema fiscale poco progressivo, alla mancanza di
lavoro per i giovani e al proliferare di lavori sottopagati e senza
tutele), l’inquinamento e i cambiamenti climatici che provocano
ogni anno circa 60.000 morti in Italia [12] e che in futuro
potranno essere causa di disastri con danni umani ed economici
incalcolabili (l’epidemia di covid può essere considerata una prima
avvisaglia di tali problemi); l’enorme debito pubblico e la
scarsa crescita economica; la disgregazione sociale, l’individualismo,
l’egoismo, il rancore, l’intolleranza e il risorgere
del fascismo. Affrontare e risolvere questi problemi non è
facile e richiede provvedimenti anche spiacevoli e impopolari. Per questo
molti politici preferiscono illudere i cittadini che i problemi sono altri
e che occorre poco per risolverli. Dove si arriva per questa strada la
Storia ce l’ha insegnato e, per questo, dovremmo essere vigili e
particolarmente attivi. Come diceva Martin Luther King la
cattiveria dei malvagi deve preoccupare ma molto di più deve preoccupare
il silenzio delle “persone per bene”, senza il quale i malvagi
non possono niente. Per questo non rimaniamo in silenzio nei confronti
delle discriminazioni e delle ingiustizie; prendiamo le parti
dell’emarginato, del povero e del debole; denunciamo gli
episodi di razzismo e di incitamento all’odio; sfatiamo i luoghi
comuni su rom, donne, stranieri, poveri, meridionali; combattiamo i
pregiudizi e prendiamo consapevolezza che anche noi
probabilmente ne siamo vittime; sosteniamo le associazioni e gli
enti che si battono contro ogni discriminazione [13]. In questo
modo aiuteremo altre persone che la pensano come noi a non rimanere in
silenzio e inattive e potremo costruire un’Italia migliore, all’altezza di
quanto è proclamato nella nostra Costituzione.
Note: 1) I dati si riferiscono alla situazione al
14 ottobre 2020. Poiché non tutte le regioni suddividono i dati in
italiani e stranieri e tipologia di stranieri si è riportato il solo
dato della Toscana, che è la regione col maggiore numero di cinesi; 2) https://www.asgi.it/wp-content/uploads/2018/07/Nesletter-n.-3-giugno-luglio.pdf;
3) Libero 12 ottobre; 4) Si vedano SOSE: Dalla perequazione
dei costi alla perequazione dei servizi 2° parte www.sose.it/it/west/workshop-economico-statistico-e-tecnologico-2017;
e: https://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-Efficienza_dei_comuni_nelle_regioni_a_statuto_ordinario_OCPI_AB_220519.pdf;
5) http://lnx.svimez.info/svimez/wp-content/uploads/2019/05/2019_04_09_nota_regionalismo-7.pdf;
6) https://www.cnr.it/en/press-release/4314/donne-nella-ricerca-molte-alla-base-poche-al-vertice;
7) https://www.infodata.ilsole24ore.com/2020/02/21/dipendenti-pubblici-piu-donne-che-uomini-nella-pa-ma-quasi-mai-ai-vertici;
8) https://www.laleggepertutti.it/411105_dimissioni-volontarie-3-su-4-presentate-da-donne;
9) Eurostat: La criminalità in Europa, 2019; 10) Istat; 11) https://www.lenius.it/musulmani-in-italia;
12) https://www.isprambiente.gov.it/files2018/pubblicazioni/stato-ambiente/ambiente-urbano/5_Inquinamentodellariaecambiamenticlimatici.pdf;
13) Ricordiamo Amnesty International, Associazione 21 luglio,
Associazione Antigone, Chi rom e chi no, Associazione 3 febbraio,
Associazione Lunaria, Avvocato di Strada.
Diffondi questo articolo e le informazioni contenute.
Il regime Sud Africano dell’apartheid era qualcosa di scandaloso.
Come si poteva accettare che all’interno di uno stesso stato non tutti i
cittadini avessero uguali diritti e doveri? Che si fosse
trattati in modo diverso a seconda del colore della pelle? Che se avevi la
sfortuna di nascere nero tutta una serie di diritti, opportunità, vantaggi
ti fossero preclusi? Avere un colore diverso della pelle diventava uno
stigma: se sei nero allora sei sporco, incivile, ignorante, bugiardo, poco
affidabile, violentatore di donne, ladro, parassita e incline al
vittimismo. E poiché sei così, poiché questa è la tua indole, sarai
trattato come una persona sporca, incivile, bugiarda, violentatore, ladro
ecc.
La Costituzione italiana, per fortuna, è contro ogni
discriminazione (Tutti i cittadini hanno pari dignità
sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di
razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni
personali e sociali), per cui ogni comportamento discriminatorio
deve essere bandito e perseguito. La Costituzione va anche oltre:
afferma che vanno rimossi gli ostacoli sociali ed economici per rendere
sostanziale l’uguaglianza dei cittadini. C’è veramente da
essere fieri del nostro ordinamento e di vivere in Italia.
Purtroppo questi principi solennemente affermati spesso sono
contraddetti dai fatti. Vi sono gruppi di persone, infatti, che
sono discriminate e sembrano non avere gli stessi diritti degli altri.
Quali? Ne indichiamo i principali:
I poveri e le persone poco istruite.
Spesso i poveri e le persone poco istruite sono trattati con meno
considerazione e rispetto dei loro diritti. E non solo dai comuni
cittadini, ma perfino dagli enti pubblici e dai rappresentanti delle
istituzioni. Varie ricerche hanno dimostrato che i poveri e le
persone di bassa istruzione ricevono più spesso trattamenti medici
inadeguati o non ottimali (in caso di infarto cardiaco meno
spesso ricevono la disostruzione coronarica; in caso di tumori benigni
dell’utero più facilmente sono trattati con isterectomia totale; in caso
di scompenso cardiaco non grave più facilmente sono ospedalizzati; più
spesso partoriscono col taglio cesareo, ecc.) [1]. Probabilmente tali
discriminazioni avvengono per atteggiamenti e comportamenti discriminatori
da parte dei sanitari, magari inconsapevoli.
Altre ricerche evidenziano analoghe discriminazioni nel campo dell’ordine
pubblico e della giustizia: se sei povero e di bassa istruzione
più facilmente sei trattato con meno riguardo dalle forze
dell’ordine, più frequentemente sei controllato, fermato,
arrestato [2].
Se un cittadino italiano per una serie di eventi negativi (perdita del
lavoro, malattia, problemi familiari ecc.) si impoverisce a tal
punto da non avere più un tetto rischia di diventare un cittadino di
serie B.
Molti comuni, infatti, pongono tutta una serie di ostacoli per non
dare la residenza a queste persone [3]. Alcuni
(per fortuna pochi) semplicemente si rifiutano di registrarli nell’anagrafe,
altri lo fanno solo se si dimostra di essere nati in quel comune
o solo se si è in carico ai servizi del comune o se il senza
tetto dimostra che un’associazione o ente caritatevole lo assiste
o una combinazione delle condizioni prima elencate. Tutto ciò è contro
legge. La residenza, come la possibilità di muoversi liberamente sul
territorio nazionale, è un diritto, e le leggi sono chiare (Nell’anagrafe
della popolazione residente sono registrate le persone
che hanno fissato nel comune la residenza, nonché le persone senza
fissa dimora che hanno stabilito nel comune il proprio domicilio
[4]). Il fatto è che alcuni comuni non vogliono avere persone senza dimora
sul proprio territorio ed emanano disposizioni discriminanti e segreganti.
Spesso tali disposizioni sono annullate dalla magistratura, che
interviene però solo se qualcuno presenta un ricorso.
Altrettanto spesso, però, il comune reitera l’ordinanza cambiando un poco
il testo ma non la sostanza: l’ordinanza così viene applicata fino a una
nuova sentenza della magistratura.
L’iscrizione all’anagrafe di un comune è importantissima. Chi
non è iscritto, infatti, perde molti diritti e opportunità: non
ha più l’assistenza sanitaria ordinaria (il medico di base, la
possibilità di avere farmaci, accertamenti diagnostici, ricoveri ordinari,
interventi di prevenzione e riabilitazione: praticamente si ha diritto
solo al pronto soccorso), non ha la possibilità di avere sostegni
economici (invalidità, reddito di cittadinanza, ecc.), non
può accedere a determinati servizi offerti dal comune
(prestazioni sociali, opportunità culturali ecc.).
Una legge del 2017 ha poi proibito di sedersi o sdraiarsi su
marciapiedi, scalinate, vie pedonali, stazioni, vagoni abbandonati,
aiuole e ha proibito anche di sdraiarsi sulle
panchine dei centri storici o situate vicino a musei e monumenti.
Chi lo fa è punito con una multa da 100 a 300 euro e se reitera, oltre
alla multa, gli viene proibito di frequentare quella zona. E’ ovvio che
questa legge è contro i senza tetto e rende loro la vita ancora più
difficile.
Rom e sinti.
Un’altra categoria di persone fortemente discriminate sono quelle
appartenenti al popolo romanò (rom, sinti ecc.). I rom e i sinti sono una
popolazione presente in Italia da quasi 6 secoli, con una loro
lingua (particolarmente interessante perché tra quelle più
vicine al sanscrito e unica lingua indoariana attualmente parlata) e
una loro cultura (musica, leggende, racconti, balli, feste,
proverbi, poesie, cucina ecc.). Nella Costituzione è scritto che l’Italia
tutela le minoranza linguistiche (art.6). Ma la legge sulle
minoranze linguistiche del 1999 le tutela tutte tranne una: quella
romanì. Eppure è sicuramente la più minacciata
e, dopo sardi, friulani e germanici, è la più numerosa.
Si stima che in Italia vi siano tra 120.000 e 180.000 rom e
sinti, di cui solo 50.000 ancora parlano il romanì. La
stragrande maggioranza è perfettamente integrata. Infatti solo
25.000 rom-sinti abitano nei cosiddetti “campi rom” o “campi
nomadi”. In realtà “nomadi” sono ormai pochissimi (lo sono solo circensi,
ambulanti e lavoratori stagionali che si spostano per lavorare tutto
l’anno) e molto raramente abitano in “campi nomadi”. Questi
famigerati campi sono abitati in stragrande maggioranza da rom
provenienti dalla Romania, dalla ex Jugoslavia, dall’Albania e
da altri Paesi europei, fuggiti a causa della guerra o di pesanti
discriminazioni. Sono quindi profughi o perseguitati e, come
tali, aventi diritto a essere accolti e protetti dallo Stato italiano. Le
altre 95.000-155.000 persone romanì sono cittadini italiani e così
integrati che nessuno sa che sono rom o sinti. Sono
commercianti (spesso ambulanti), artigiani, operai, musicisti, domestiche,
impiegati, dirigenti e perfino professori universitari. La stragrande
maggioranza di loro nasconde di essere rom o sinti, smettono di parlare la
loro lingua (anche con i propri figli), abbandonano e tradiscono la loro
cultura. Ovviamente nascondere la propria identità culturale e
non trasmetterla ai figli è qualcosa di estremamente doloroso, ma
100.000-150.000 italiani sono costretti a farlo per potere lavorare e
non subire discriminazioni e angherie dovute ai pregiudizi sui
rom e al razzismo nei loro confronti.
Se si chiede alle persone: “Hai un conoscente o amico ebreo”, la
stragrande maggioranza delle persone risponde di sì. Mentre se si chiede
“Hai un conoscente o amico rom o sinti” quasi tutti rispondono di no.
Eppure gli ebrei sono solo 35.000-45.000, cioè un quarto dei rom e sinti.
Il fatto è che gli ebrei oggi non si nascondono più, mentre rom e sinti
sì.
Tutte le ricerche sulla discriminazione e il razzismo in Italia
evidenziano che rom e sinti sono le persone più discriminate e
verso cui più diffusi e più radicati sono i pregiudizi negativi.
Ecco alcune delle discriminazioni nei loro confronti [5]:
- i profughi rom quasi sempre non sono sistemati in centri
d’accoglienza, ma lasciati per strada o ammassati in “campi”,
con la scusa che sono nomadi;
- vari comuni, con motivazioni sanitarie o di ordine pubblico,
distruggono gli accampamenti spontanei dei profughi rom (spesso
con tutti gli arredi, suppellettili e ricordi delle persone che li
abitano, in maggioranza bambini) senza fornire alcuna alternativa, facendo
diventare questi poveri ancora più poveri e senza nemmeno un tetto di
fortuna. Alcuni più subdolamente dispongono un do ut des di
questo tipo: io ti offro un contributo economico mensile se lasci i
“campi” e vai ad abitare in una casa, ma se ciò non avviene entro un
determinato tempo ti distruggo la roulotte o la baracca dove abiti (e
quanto in essa contenuto). Poiché pochissimi proprietari di casa sono
disposti ad affittare un appartamento a un rom (per di più non italiano e
proveniente da un “campo nomadi”), e, se sono disposti, quasi sempre
pretendono il versamento di una consistente somma come “garanzia” (somma
che ovviamente la povera famiglia rom non ha), l’effetto finale è la
distruzione certa di quanto posseggono, incolpandoli per giunta di non
volersi integrare e collaborare;
- se una famiglia rom, partecipando a un regolare bando, ottiene
una casa popolare non è detto che riesca ad accedervi perché
spesso gruppi razzisti e fascisti organizzano proteste, minacce o violenze
che rendono impossibile alla famiglia prendere possesso della casa o
rimanerci;
- molti datori di lavoro non assumono rom e sinti e, se vengono a
sapere che un loro dipendente appartiene a questa comunità, li
licenziano o fanno in modo che la persona si licenzi;
- giornali, televisioni, siti web, politici e amministratori
ripetono luoghi comuni razzisti su questo popolo e incitano all’odio nei
loro confronti;
- raramente le autorità competenti reprimono e sanzionano i
comportamenti razzisti nei confronti di rom e sinti. Quando lo
fanno è quasi sempre su sollecitazione di associazioni per i diritti
civili, e, in alcuni casi, sembra che stiano dalla parte dei razzisti (per
esempio, la questura di Roma ha autorizzato il sit-in di Casa Pound sotto
il condominio di Casal Bruciato dove 2 giorni prima la stessa
organizzazione, in maniera violenta, aveva cercato di impedire a una
famiglia rom di prendere possesso della loro casa popolare).
Giustificare e tollerare tali discriminazioni o rimanere passivi
senza alzare la voce in difesa di queste persone ci fa diventare
complici. Ed è particolarmente triste che i meridionali
facciano ciò, essendo a loro volta un gruppo di persone che sono state, e
in parte sono ancora, discriminate.
Nel prossimo messaggio vedremo altri gruppi di persone che sono
considerate e trattate in maniera diversa da come lo sono la maggioranza
dei cittadini.
Note: 1) https://www.saluteinternazionale.info/2015/02/variazioni-e-diseguaglianze;
2) Padovan D: Meccanismi di valutazione della moralità e dell’identità
sociale degli attori soggetti a provvedimenti restrittivi, in MosconiG,
Padovan D: La fabbrica dei delinquenti, Torino, 2005; 3) Associazione
Avvocato di Strada: Rapporto Senza tetto, non senza diritti,
2019; 4) Legge 24.12.1954, n. 1228; 5) si vedano i rapporti
dell’Associazione 21 luglio (https://www.21luglio.org),
dell’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (http://www.unar.it/documenti/biblioteca/indagini-statistiche)
e i libri bianchi sul razzismo in Italia dell’Associazione Lunaria (https://www.lunaria.org/about/pubblicazioni).
Negli ultimi due messaggi abbiamo illustrato i principali rischi
che sia noi sia tutta la società corre dal tracciamento della nostra
attività sul web. Infatti, usando device (smartphone, computer,
tablet, smartwatch, tomtom ecc.), browser (Chrome, Explorer, Edge ecc.),
motori di ricerca (Google, Bing, ecc.) assistenti vocali (Cortana, Siri,
Alexa ecc.), social (Facebook, Instagram, Whatsapp ecc.), servizi di e-bay
(Amazon ecc.), Youtube, posta elettronica, antivirus, ecc. forniamo dati
che sono raccolti, memorizzati ed elaborati dalle aziende proprietarie di
queste app, in modo da avere un “fascicolo” su ognuno di noi e un
nostro profilo sintetico estremamente veritiero. Dati,
dossier e profili sono venduti dai proprietari di queste app
(Amazon, Microsoft, Huawei, Facebook, Google ecc.) ad altre
aziende a nostra insaputa e talvolta anche senza il nostro
consenso[1, 2]. Grazie a questi dati, aziende, partiti, politici e Stati
possono inviare messaggi estremamente mirati, riuscendoci a persuadere
subdolamente a pensarla in un modo o in un altro, a votare questo o quel
partito, a essere d’accordo o no con un determinato
provvedimento ecc [3, 4, 5]. Dei delinquenti, inoltre, potrebbero
impossessarsi di questi dati per impersonarci, truffarci o
perseguitarci.
Abbiamo anche illustrato il fenomeno eco, cioè
una percezione deformata della realtà dovuta al fatto
che i motori di ricerca (Google ecc.) fanno apparire l’elenco dei siti
riguardanti una determinata ricerca sulla base delle precedenti ricerche e
pagine visualizzate e del nostro profilo personale (creato
dall’elaborazione continua di tutta l’enorme massa di dati da noi
forniti). Se digitiamo “Immigrati” e visitiamo soprattutto le pagine che
riportano episodi criminosi compiuti da immigrati le volte successive ci
compariranno soprattutto le pagine che riportano episodi criminosi
compiuti da immigrati, perché il sistema ci riconosce e seleziona
i contenuti in accordo col nostro profilo.
Le persone, quindi, si confermano sempre più nelle loro opinioni,
nella loro visione parziale e deformata della realtà; si
disabituano al confronto tra diverse tesi, a mettere sotto giudizio
critico le proprie opinioni; la società diventa sempre più un insieme di
tribù chiuse in se stesse, ostili le une alle altre, incapaci di dialogare
e di trovare sintesi e mediazioni.
Altri effetti negativi della profilazione degli utenti sono il
rischio di pagare di più merci e servizi o di non trovare un posto di
lavoro o di non fare carriera o di essere licenziati.
Internet è, però, una grandissima risorsa e ha innumerevoli
aspetti positivi e così i motori di ricerca, i social media,
gli smartphone e tantissime app. Che fare allora per ridurre al minimo i
rischi per noi e per la società tutta? Per evitare di trovarci velocemente
e impercettibilmente in una società orwelliana?
Ovviamente è necessario un quadro normativo (anche a
livello internazionale) che:
- impedisca monopoli, cartelli e accordi sottobanco tra
aziende;
- contrasti seriamente l’elusione fiscale, grazie alla
quale le grandi aziende del web accumulano ingentissimi somme che le danno
un enorme potere. L’elusione determina anche una concorrenza sleale nei
confronti di altre aziende. Per esempio, prendendo per vero quanto
dichiara Amazon, risulta che questo colosso del commercio nel 2018 ha
pagato in totale tasse per un valore pari all’11% dell’utile [6]. In
Italia un piccolo commerciante che ha un utile di 20.000 euro l’anno paga
il 26% di tasse e guadagnando di più si può arrivare a pagare circa il 50%
(Irpef, Irap e addizionale comunale e regionale, cioè versamenti INPS
esclusi) [7];
- salvaguardi il diritto delle persone alla riservatezza
(nessun dato personale può essere memorizzato, elaborato, utilizzato o
venduto senza l’assenso della persona) e al controllo sui propri
dati (conoscere cosa ci viene chiesto e cosa concediamo per
potere utilizzare quella app o accedere a quel servizio, dove sono
memorizzati i dati, come saranno trattati e utilizzati, se saranno venduti
e a chi ecc.);
- contrasti l’uso dei big data profilati nella comunicazione
politica;
- garantisca un’informazione veritiera, completa e pluralista
(punendo severamente e contrastando chi diffonde notizie false o semina
odio).
Varie norme esistono (soprattutto nella UE), ma esse,
oltre a essere spesso insufficienti per varie ragioni, possono
poco se i cittadini “liberamente” concedono alle aziende di registrare
quel che vogliono della loro attività nel web e di farne l’uso che più
piace. La maggioranza delle persone, infatti, non si rende
conto che ogni volta che scarica una app firma un contratto e non
è prudente firmare un contratto senza leggere cosa concediamo e a cosa
ci impegniamo. E’ necessario, quindi, che le persone siano più
consapevoli di questi problemi, più attente, più prudenti e più a
conoscenza di cosa possono fare per minimizzare i rischi che abbiamo
descritto.
Ecco alcuni consigli da attuare quando usiamo un
qualsiasi device (quindi non solo il computer ma anche e soprattutto lo
smartphone, il tablet ecc):
1) Decidiamo noi cosa concedere.
Quando scarichiamo una app o apriamo una pagina e ci compare il riquadro
per l’autorizzazione all’uso dei dati o all’installazione e uso dei
cookie, non bisogna cliccare subito su Accetto, ma su Più
informazioni (o altro modo d’indicare l’opzione di
personalizzare il “contratto di concessione”: per esempio Scopri di
più, Personalizza ecc.). In questa maniera possiamo
disattivare alcune delle autorizzazioni (consigliamo di
disattivare: Archiviare e/o accedere a informazioni su un
dispositivo, Creare un profilo di annunci personalizzati, Creare un
profilo di contenuto personalizzato, Utilizzare dati di
geolocalizzazione, Scansione attiva delle caratteristiche del
dispositivo ai fini dell’identificazione).
Diciamo al nostro browser (Explorer, Edge, Firefox ecc.) come deve
tutelare la nostra privacy. Aperta la pagina del browser andare
in Strumenti, poi cliccare su Opzioni e quindi su Privacy,
dopo di che si possono definire restrizioni all’uso dei nostri
dati. Per esempio si può decidere di avvisare se un sito cerca
d’installare un componente aggiuntivo o di bloccare le richieste di
accesso alla nostra posizione o alla fotocamera o al microfono, d’impedire
finestre pop-up ecc. E’ possibile anche definire pagine per cui queste
restrizioni non valgono.
Leggiamo cosa abbiamo concesso alle varie app che abbiamo già
scaricato.
Andiamo sulle impostazioni di privacy del nostro cellulare,
computer, tablet e disattiviamo alcune delle concessioni. Farlo
è semplice: cliccare su Start, poi su Impostazioni e
poi su Privacy. Cliccare sulle varie voci del menù (Generale,
Comandi vocali, Cronologia ecc.) e disattivare le concessioni che
non ci sono indispensabili o molto utili e che possono essere rischiose
per noi o per la società.
Se un’app non permette di disattivare alcune delle concessioni
che vorremmo disattivare o che abbiamo disattivato, chiedersi se
vale comunque la pena scaricare quell’app e se ci sono app analoghe ma
più rispettose dei nostri diritti, della nostra privacy e meno
rischiose per la società. Spesso sono le app di nessuna utilità, se non
per ammazzare il tempo e farsi una risata, quelle che più invadono la
nostra privacy. Per esempio le app che permettono di “vedere” come sarà il
nostro viso da vecchi o di deformarlo o di fonderlo con quello di un altro
sono app che quasi sempre permettono all’azienda che le propone di
diventare proprietaria dell’immagine del nostro viso e d’inserirlo nel
“fascicolo che ci riguarda” e poterlo vendere ad aziende interessate al
riconoscimento facciale per inviarci messaggi profilati per noi.
2) Informiamoci su dove saranno conservati i nostri dati
(la UE ha una normativa severa sulla privacy e sulla conservazione e uso
dei dati sensibili, non così gli USA e molto meno la Russia, l’India e la
Cina) e chiedersi se veramente è così importante per noi
scaricare quell’app e se ci sono app simili che conservano i dati nella
UE (per sapere dove sono conservati i dati basta leggere i
termini del contratto o le informazioni sulla privacy).
3) Usare app che danno maggiori garanzie di rispetto della
privacy. Per esempio, invece di utilizzare Google,
Bing o Yahoo come motore di ricerca si può utilizzare Duckduckgo
(https://duckduckgo.com/) o
Startpage Search (https://www.startpage.com).
Invece di utilizzare Google Maps o Tom Tom Go o Maps-me si può utilizzare
Openstreetmaps (https://www.openstreetmap.org).
Invece di Chrome o Explorer o Edge si può utilizzare Firefox (https://www.mozilla.org/it/firefox/new),
invece di Google Drive Resiliosinc (https://www.resilio.com/individuals).
Sono tutte app di alta qualità ma molto più rispettose
della privacy. Per esempio, Duckduckgo non memorizza i dati
dell’utente che effettua la ricerca, né cosa si sta ricercando e quali
pagine si visitano. Non memorizzando tutto ciò, si può essere sicuri che i
nostri dati non saranno utilizzati né da Duckduckgo né da altri (perché
comprati, rubati, estorti o avuti in forza di norme statali non rispettose
della privacy). Inoltre, non memorizzando i dati, non si è profilati per
cui qualsiasi persona effettua una ricerca su Duckduckgo digitando una
determinata parola o frase ottiene gli stessi risultati che ottengono gli
altri o la stessa persona alla prima volta. In questa maniera non si
verifica l’ “effetto eco”. Non solo: Duckduckgo impedisce anche che le
pagine a cui si accede conoscano i termini che sono stati digitati nella
ricerca. Inoltre avvisa se il video che si sta cercando, oltre che su
Youtube, è su altri canali più rispettosi della privacy (va detto, però,
che come motore di ricerca di video Duckduckgo lascia a desiderare).
Ovviamente, avere impostato Duckduckgo o Startpage Search come motore di
ricerca predefinito non pregiudica la possibilità di utilizzare un altro
motore (Google, Bing ecc.) per una specifica ricerca (basta cercare
Google, Bing o altro motore con Duckduckgo o Startpage Search e, una volta
aperta la relativa pagina, fare la ricerca col motore digitato).
Alcune di queste app più rispettose della privacy hanno anche altri
vantaggi. Per esempio, Firefox offre maggiori garanzie
contro attacchi di virus, malware e truffe informatiche,
rispetto a Explorer o Edge.
Installare tali app è semplicissimo: basta andare sul
loro sito è attivare il download. Ricordarsi di cliccare l’opzione di far
diventare quella app programma predefinito.
4) Per inserire video e visualizzarli, invece di Youtube, si può
utilizzare Vimeo (https://vimeo.com).
5) Invece di utilizzare come server di posta Gmail,
Libero, Hotmail, Yahoo e altri che memorizzano mittente,
destinatario, oggetto e contenuto della mail (e incrociano tali dati con
quelli ricavati dalle altre app dello stesso gruppo aziendale), si
possono utilizzare Tutanota, Posteo, Protonmail,
Countermail, che offrono molte più garanzie che solo il
mittente e il destinatario sappiano della loro corrispondenza.
6) Evitare di utilizzare lo stesso account per app e servizi
diversi, perché in questa maniera tutti i dati registrati dalle
diverse app sono incrociati. In particolare mai utilizzare il
proprio account social (ad esempio di Facebook, Twitter ecc.) per
accedere ad altri servizi. La cosa migliore è farsi un account
ad hoc per ogni app che ce lo richiede.
7) Non usare la stessa password per app e servizi diversi, non far
memorizzare le password all’app, non utilizzare password facili da
scoprire. Per esempio, non usare il proprio nome o quello del
partner o dei figli o del cane; la propria data di nascita o quella del
partner o figlio; il modello di auto che si è comprato o la via dove si
abita; sequenze tipo 12345678 o abcdefgh, o termini
come password, parolasegreta, chiavedaccesso. Meglio usare
password di almeno 10-12 lettere, di cui alcune maiuscole, che contengano
anche numeri e altri simboli (punteggiatura, caratteri speciali). Per
renderla facile da ricordare conviene utilizzare frasi opportunamente
modificate (per esempio Ed&SubitoSera!, 1NaBonaJurnata!).
8) Non riportare nel proprio profilo (Facebook a di altra
app) il proprio sesso, data di nascita, luogo di residenza, titolo di
studio, professione, la propria foto, notizie su famiglia e amici,
interessi, preferenze musicali, letterarie, cinematografiche,
sportive, politiche ecc. Meno notizie si forniscono e meglio è. Se l’avete
già inserite comunque è utile cancellare tutto ciò che non è
indispensabile.
9) Non compilare mai questionari online (a meno che non
siano sicuramente dell’Istat) e non firmare petizioni a meno che non
vengano da soggetti conosciuti e affidabili come Amnesty, Greenpeace, WWF
ecc. Verificare sempre che provengano realmente da questi soggetti e non
siano mittenti truffaldini (i mittenti truffaldini spesso utilizzano un
nome simile a quello di un soggetto affidabile, per esempio Ammesty,
Greenpace), E’ sempre meglio andare sul sito dell’organizzazione per
controllare se realmente hanno lanciato quella petizione.
10) Non aprire mail senza prima verificare l’indirizzo di posta
del destinatario (non il nome, che può anche essere quello di
un vostro familiare o amico, ma proprio l’indirizzo mail, quello
contenente il segno @) e non cliccare mai su link presenti in
mail o messaggi di persone sconosciute. Spesso in questa
maniera, oltre a tentativi di truffe e clonazione del vostro indirizzo
mail, sono introdotti virus e malware per accedere ai vostri dati
personali.
11) Se si ha una app per sapere quanti Km si percorrono a piedi,
quanto dislivello ecc. conviene usarla solo quando si fa
un’escursione o una corsa. In tutte le altre occasioni conviene
tenerlo spento a casa, così da non essere geolocalizzati e profilati.
12) Scaricare programmi antitracciamento, che cioè
rendono impossibile o molto difficile l’attività di profilazione e/o
tracciamento (per esempio Ghostery, Privacy Badger, Trackerblock,
Ublock Origin, OpenVPN ecc.).
13) Sbarazzarsi del cookie scaricati. I cookie sono dei
piccoli file che le pagine che visitiamo inviano al nostro computer per
memorizzare informazioni relative alla nostra navigazione in Internet.
Oltre a non cliccare subito su accetto, ma a gestire noi cosa vogliamo
concedere (vedi il punto 1), è utile anche cancellare spesso i cookie
memorizzati. E’ possibile farlo in automatico, ogni volta che si
chiude il proprio browser (Explorer, Firefox, Edge). Basta
cliccare, nella pagina del browser utilizzato, su Strumenti, poi
su Opzioni e quindi su Privacy e poi sull’opzione di
eliminare i cookie a ogni chiusura del programma. E’ possibile
farlo non in automatico andando su Pulizia disco,
spuntando la casella File temporanei di Internet e poi dando
l’ok. Cancellare i cookie serve anche per non occupare la memoria
dall’hard disk con file inutili.
14) Quando navighiamo su internet è preferibile usare la
navigazione in incognito che non lascia tracce sul device
utilizzato (telefonino, computer, tablet ecc.). Sempre per non lasciare
traccia sul device conviene cancellare il più frequentemente possibile la
cronologia delle ricerche effettuate. Per cancellare quella di Alexa
conviene andare sul sito di Amazon alla pagina https://www.amazon.it/alexaprivacy,
perché è l’unico modo per cancellarla senza perdere innumerevoli ore o
addirittura giorni. Per cancellare la cronologia di Google Assistant,
invece, bisogna andare alla pagina https://myactivity.google.com.
Con la navigazione in incognito e la cancellazione della cronologia non
impediamo alle aziende del web il tracciamento della nostra attività ma
otteniamo solo che nel nostro device (computer, smartphone ecc.) non è
presente traccia, per cui siamo un poco più protetti da malfattori che
vogliono accedere ai nostri dati.
15) Non diventare complici di chi crea o diffonde fake-news. Creare
e diffondere fake-news è un’azione grave (spesso un vero e proprio
crimine), compiuta da potenze straniere, organizzazioni criminali, gruppi
politici, truffatori. Quando riceviamo una notizia che ci indigna o che
discredita qualcuno o un’istituzione o un’organizzazione non dobbiamo
assolutamente diffonderla se non dopo che siamo più che certi che la
notizia è vera (ricordiamoci che è grazie a fake news inviate dalla Russia
e forse anche dagli Usa, che la brexit ha vinto, e che la Russia ha
favorito la vittoria di Trump tramite fake news inviate a cittadini
profilati che poi le hanno enormemente diffuse). L’avere ricevuto una
notizia da un amico, un familiare o una persona fidata non garantisce in
alcun modo della veridicità della notizia (per accertarsi della veridicità
leggi i consigli riportati nel nostro messaggio del marzo 2020 [8]).
Alcuni, forse, possono pensare che le preoccupazioni per il tracciamento
e l’uso dei nostri dati sono eccessive, tanto “non ho niente da
nascondere”. Come abbiamo cercato d’illustrare nei precedenti due messaggi
il problema non è se si ha o non si ha qualcosa da nascondere, ma
cosa determina il possesso d’informazioni estremamente dettagliate,
precise, aggiornate, continue su miliardi di persone da parte di poche
aziende (che sono anche quelle più ricche del mondo) e la
possibilità che criminali, potenze straniere, partiti e gruppi politici o
aziende possano accedere a questi dati (per furto, compravendita, o
acquisizione in forza di norme). Tutti gli enti che si interessano di
diritti umani, di diritto all’informazione o alla riservatezza sono
unanimi: ciò è estremamente pericoloso.
In un importante Rapporto congiunto sui big data di tre autorità
indipendenti (AGCM, Autorità garante della concorrenza e del mercato;
AGCOM, Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e Garante per la
protezione dei dati personali) è scritto che le procedure legate
all’utilizzo di big data comportano “rischi
significativi per quanto riguarda la protezione dei diritti
fondamentali, quali il diritto alla privacy,
alla sicurezza dei propri dati, alla libertà di espressione,
d’informazione e di non discriminazione” [9].
L’Unione Europea e l’Italia hanno varato norme per cercare di limitare
questi rischi. Per esempio: il Regolamento UE 2016/679 General Data
Protection Regulation (GDPR); la Risoluzione legislativa 12/3/2019 della
UE che modifica il regolamento 1141/2014 e inasprisce le pene per la
violazione delle norme sull’uso dei dati personali durante le elezioni;
la legge italiana sulla privacy (196/2003 e 101/2018); il Provvedimento
del 18 aprile 2019 del Garante della Privacy in materia di propaganda
elettorale e comunicazione politica. Ma tutte queste norme
servono a ben poco se i cittadini danno il loro consenso alle aziende
del web a utilizzare in modi poco rispettosi della privacy e
pericolosi per la società i dati personali che li riguardano.
Quasi sempre ciò è fatto per ignoranza, inconsapevolezza, pigrizia,
abitudine, conformismo. Altre volte per insipienza. Infatti è
proprio delle persone equilibrate e sagge aprirsi totalmente solo a
persone che meritano tutta la loro stima e fiducia (il partner, un
amico/a fidato ecc.), perché si è certi del loro amore e
della loro correttezza, per cui mai potrebbero utilizzare qualche
informazione su di noi per farci del male, per lucrarci, per ingannarci,
per manipolarci. Oggi tantissime persone dicono più cose di sé
a Google, Facebook o Amazon che al proprio partner o al loro migliore
amico.
E’ necessario quindi che le persone più accorte e più
consapevoli dei rischi legati alla concessione dei
dati personali alle aziende del web si diano da fare per far
prendere consapevolezza di questo problema a quante più persone è
possibile, illustrando come è facile, con piccoli
accorgimenti, tutelare i propri diritti, evitare spiacevoli sorprese
(per esempio di pagare più di altri beni e servizi, di essere vittime di
truffatori o di sapere che la propria casella di posta elettronica è
stata clonata) e impedire che pochissime persone, Stati, aziende o
gruppi politici possano manipolare e influenzare subdolamente milioni di
cittadini per i loro fini economici o politici.
Note: 1) https://www.ilsole24ore.com/art/Facebook-offri-netflix-airbnb-e-lyft-accesso-speciale-dati-utenti-AE4E0etG?refresh_ce=1;
2) https://privacyinternational.org/report/2647/how-apps-android-share-data-Facebook-report;
3) https://www.privacy.it/2019/05/22/privacy-elezioni-politica-era-digitale-massimini;
4) https://www.bbs.unibo.it/elezioni-il-ruolo-dei-big-data-nelle-campagne-politiche-2;
5) https://www.valigiablu.it/cambridge-analytica-big-data-trump-Facebook;
6) https://www.ilsole24ore.com/art/da-amazon-google-tasse-pagate-italia-solo-14-milioni-ACpWERc?refresh_ce=1;
7) https://www.money.it/Aprire-un-attivita-quali-sono-le-tasse-da-pagare-Intervista-alla-Consulente-del;
8) http://www.giardinodimarco.it/archivio.htm;
9) https://www.agcm.it/dotcmsdoc/allegati-news/IC_Big%20data_imp.pdf.
Immaginate di vivere in un Paese dove siete sorvegliati notte e
giorno, dove di voi sanno tutto: l’orientamento sessuale, le
vostre idee ideologiche e politiche, se siete religiosi e di quale
religione, se siete iscritti a un partito, gruppo, associazione, dove
state in ogni ora del giorno e della notte, che malattie avete, cosa
leggete, ascoltate, vedete (e che giudizio date di tutto ciò), chi
conoscete e chi no, chi vi è simpatico e chi antipatico, chi frequentate,
a chi scrivete e chi vi scrive, cosa vi piace e cosa non sopportate, che
pensate del vostro datore di lavoro, dei vostri colleghi, dei vicini di
casa, dei vostri amici e conoscenti, del Governo e delle diverse forze
politiche, cosa avete comprato e cosa avevate intenzione di acquistare e
non l’avete fatto, su quali cose non badate a spese e su quali siete
“tirati”. Non solo, immaginate che tramite voi si riesca a sapere
gran parte di queste informazioni anche delle persone con cui state in
contatto.
Un Paese del genere è sicuramente da fuggire o da combattere.
Quello che non permetteremmo a nessuno Stato di sapere di noi, lo
permettiamo ad aziende e persone di cui sappiamo poco o niente
e sulle quali non abbiamo alcun potere decisionale o di controllo (non
possiamo nemmeno avere voce nella scelta del manager o del consiglio di
amministrazione). Oggi, infatti, non c’è più bisogno di accumulare e
spulciare documenti cartacei, di pedinare le persone, di arruolare
informatori, cercando poi di costruire un quadro coerente dall’insieme di
dati eterogenei raccolti su una singola persona: la tecnologia
rende possibile una sorveglianza individuale, continua, approfondita e
intelligente.
Ogni volta che utilizziamo Crome, Explorer o Edge, ogni volta che
facciamo una ricerca con Google, Bing o Yahoo il sistema memorizza tutte
le pagine che abbiamo visto, segnando in quale ora del giorno,
da quale posto e per quanto tempo. Lo stesso vale per tutte le
richieste vocali fatte a Cortana, Siri, Alexa o l’assistente di Google.
Tutto quello che inseriamo sulla pagina Facebook (notizie
personali, post, foto, video, commenti, “mi piace” ecc.), sul
nostro canale Youtube, su Twitter o Instagram viene memorizzato e
diventa “proprietà” delle rispettive aziende.
Sono anche memorizzate tutte le mail e i messaggi Whatsapp che
inviamo (destinatario, data, ora e contenuto), le foto, i video
che abbiamo visto, le musiche ascoltate o scaricate.
Grazie allo smartphone, Microsoft, Apple o Huawei sanno dove siamo
in ogni ora del giorno e della notte, cosa visioniamo e ascoltiamo,
quali app abbiamo scaricato e, tramite alcune di queste, quanto pesiamo,
quanto siamo alti, che volto abbiamo, se siamo sportivi, aggressivi,
riflessivi, pazienti, intelligenti, colti o ignoranti, chi sono i nostri
amici e conoscenti.
Tutta questa enorme massa di dati viene continuamente analizzata da
programmi estremamente sofisticati e intelligenti, che li incrociano per
arrivare a costruire un ampissimo “dossier” su ciascuno di noi e
un “profilo” sintetico estremamente veritiero. Dati,
dossier e profili che sono venduti ad altre aziende a nostra insaputa
e talvolta anche senza il nostro consenso.
Il New York Times, per esempio, ha denunciato che Facebook ha dato a
Netflix e Spotify la possibilità di leggere i messaggi privati degli
utenti (quelli su Messenger) e ha permesso ad Amazon di ottenere i nomi
degli utenti e le informazioni sui loro contatti: e tutto ciò senza il
consenso da parte degli utenti [1]. D’altra parte Dropbox, Spotify,
Shazam, Duolinguo, Tripadvisor e altre app hanno dato a Facebook
informazioni sui loro utenti [2].
La maggioranza delle persone non è consapevole di tutto questo.
Solo una piccolissima parte di chi firma un contratto con Google,
Facebook, Instagram o altre app legge cosa concede e cosa autorizza
per potere utilizzare quel determinato programma o sa dove queste
e altre aziende conservano i loro dati. Infatti è molto diverso
se tali dati sono conservati in Paesi UE, che devono sottostare a leggi
abbastanza severe sul loro uso, soprattutto sull’uso dei cosiddetti “dati
sensibili” (quelli sulla salute, sull’orientamento sessuale, religioso,
politico ecc.) o in Paesi la cui normativa è molto meno rigorosa o nei
quali lo Stato ha il diritto di accedere a questi dati.
Queste grandi multinazionali, tra le più ricche e potenti del mondo, non
offrono gratis le loro app per generosità, ma per guadagnarci qualcosa. Spesso
si risponde superficialmente: “Non leggo i termini del contratto di
licenza perché so già cosa vogliono: inviarmi della pubblicità
mirata, e, di fronte ad avere gratis dei programmi che mi sono utili,
ricevere un po' di pubblicità non mi sembra un gran problema.”
Ma davvero è solo questo il prezzo che paghiamo? No.
Innanzitutto concediamo di raccogliere, conservare (in vari casi quasi per
sempre) e utilizzare tutte le informazioni su di noi prima elencate.
Un domani qualcuno (dei delinquenti, un’azienda, uno
Stato, un’organizzazione politica) potrebbe riuscire ad accedere
a queste informazioni per prendere la nostra identità e impersonarci per
fini criminali o che noi non condividiamo. Oppure per
attuare ritorsioni per cose dette, scritte o fatte. O, ancora,
per controllare gli oppositori e i dissidenti ed emarginarli e
perseguitarli. In Cina, Hong Kong, India, Egitto, Turchia
questo è già accaduto [3]. E anche negli USA, come ha denunciato Edward
Snowden (e confermato la Corte d’Appello USA).
La Cina ha una legge che obbliga le aziende cinesi detentori di
dati (per esempio Huawei) a fornirli al Governo se questo lo richiede.
Quanti dei possessori di un telefono Huawei lo sanno? Quante delle persone
che usano come antivirus Kaspersky sanno che i suoi dati sono conservati
in Russia? Paese che certo non offre le garanzie della UE.
Molti risponderanno: “Per fortuna sono in Italia e non in Cina o in
Russia”, ma dimenticano che la Cina e la Russia hanno interessi
anche in Italia. E anche gli USA e potenti gruppi economici
(tra cui quelli che raccolgono le informazioni su di noi). Tramite
il possesso dei big data si possono influenzare subdolamente i cittadini
e spingerli a credere o a non credere in determinati fatti, a votare in
un modo o in un altro e fare gli interessi della Russia, della
Cina o degli USA o d'imprese economiche e non certo quello dei cittadini
italiani.
Oggi sappiamo che la Russia, grazie al possesso dei Big data, ha
influenzato i cittadini del Regno Unito a votare Sì al referendum sulla
Brexit. E sembra che anche gli USA abbiamo agito in ugual modo.
Sappiamo che una società, vicina ad ambienti della destra, la
Cambridge Analityca, grazie al possesso dei dati personali di 87 milioni
di cittadini statunitensi, li ha influenzati per far vincere Trump
e che la Russia è riuscita a raggiungere le pagine Facebook di
quasi la metà degli elettori americani per screditare la Clinton (anche
tramite fake news) e sostenere Trump [4,5].
Alcune ricerche hanno dimostrato che è molto facile ed economico,
tramite la profilazione dei cittadini e messaggi mirati, convincere le
persone ad andare o non andare a votare puntando su aspetti
emotivi (scoramento, disillusione, rabbia, indignazione ecc.) e sul
meccanismo dell'imitazione sociale (se persone per me importanti, come
amici, familiari, persone che stimo, fanno una determinata scelta anche io
sono più propenso a farla).
“Noi troviamo i vostri elettori e li mettiamo in azione”, recita lo slogan
di Cambridge Analityca. In realtà, questa e altre
aziende simili, non solo trovano i possibili elettori e li fanno andare a
votare e li attivano per far andare a votare altri, ma trovano
anche quelli che sicuramente non sono “vostri elettori” e li persuadono
a non andare a votare e a persuadere altri a non andare a
votare. E diciamo “persuadono” e non “convincono” perché le
strategie usate sono quasi sempre basate sull’emotività o, al più, su
fallacie logiche, e non sulla ragione e lo spirito critico,
portando argomenti pertinenti, logici e basati su fatti reali.
Sia Obama che Trump hanno utilizzato massicciamente messaggi
mirati per convincere le persone ad andare o non andare a votare e a
votare per loro. I messaggi erano costruiti,
per linguaggio utilizzato, temi trattati (e non trattati), argomenti
utilizzati, su misura del singolo destinatario (conoscendo il suo livello
d'istruzione, le sue idee, le sue abitudini, le sue inclinazioni ecc.).
Addirittura, spesso i momenti dell’invio erano scelti sulla base
di quando potevano più facilmente essere letti o più facilmente essere
persuasivi per quella persona (per esempio dopo la conoscenza
di episodi di cronaca o dopo che il soggetto aveva espresso il suo “like”
su determinati argomenti). Sembra che lo staff di Trump abbia inviato
simili messaggi a 220 milioni di statunitensi attentamente profilati
tramite le tracce da loro lasciate in Internet [3].
Ci sono sospetti che anche nelle elezioni politiche italiane del
2018 e in quelle europee del 2019 sia avvenuto qualcosa di simile.
Nel 2019, a due settimane dal voto, Facebook ha chiuso 23.000
pagine apparentemente italiane con 2,4 milioni di follower che
diffondevano fake news su temi di rilevanza politica per orientare a
destra gli elettori [3].
In Italia, nel 1993, un ricchissimo imprenditore, che mai si era
interessato di politica, è riuscito a diventare in pochi mesi capo del
Governo e a far diventare il suo partito, fondato solo qualche
mese prima, il partito più votato. E ciò soprattutto grazie all’essere
proprietario di 3 canali televisivi e vari giornali. Figuratevi
cosa potrebbero fare i proprietari di Amazon, Microsoft, Apple, Amazon,
Facebook, se decidessero di “scendere in campo”. La ricchezza
di Berlusconi è stimata in 5 miliardi di dollari, quella di Bezos
(proprietario di Amazon) di 113 miliardi, di Bil Gates (Microsoft) di 98
miliardi, di Zuckerberg (Facebook) 55 miliardi, di Bage (Google) 51
miliardi [6]. Berlusconi aveva solo 3 televisioni e vari giornali, queste
persone sono in possesso di dati personali dettagliatissimi su miliardi
di persone e gestiscono i più importanti organi d'informazione
planetari.
Ma vi sono anche altri problemi legati alla concessione dei nostri dati
alle aziende del web. Lo vedremo nel nostro prossimo messaggio
della Marco Mascagna, nel quale daremo anche indicazioni su
cosa fare per potere continuare a usufruire dei molti vantaggi di Internet
e dei servizi ad esso collegati minimizzando gli effetti negativi e i
rischi.
Note: 1) https://www.ilsole24ore.com/art/Facebook-offri-netflix-airbnb-e-lyft-accesso-speciale-dati-utenti-AE4E0etG?refresh_ce=1;
2) https://privacyinternational.org/report/2647/how-apps-android-share-data-Facebook-report;
3) https://www.privacy.it/2019/05/22/privacy-elezioni-politica-era-digitale-massimini;
4) https://www.bbs.unibo.it/elezioni-il-ruolo-dei-big-data-nelle-campagne-politiche-2;
5) https://www.valigiablu.it/cambridge-analytica-big-data-trump-Facebook;
6) https://it.wikipedia.org/wiki/Persone_pi%C3%B9_ricche_del_mondo_secondo_Forbes.
L'epidemia di covid-19, oltre a essere una tragedia per
il gran numero di morti e di malati, è una sciagura anche dal
punto di vista economico. L'obbligo di rimanere a casa, la
chiusura di fabbriche, negozi e cantieri e la sospensione di servizi
turistici, attività artistiche e ricreative era l'unico modo d'arrestare
l'epidemia una volta scoppiata, ma non poteva non determinare una crisi
economica: il prodotto interno lordo annuo calerà del 9% in
Italia, del 7% nella UE e del 3% nel mondo [1]. Se
l'epidemia dovesse riaccendersi, la recessione sarebbe molto più grave.
Come sempre i più colpiti sono i poveri. Chi viveva
d'elemosina o di lavoretti, chi era precario o aveva piccole attività
commerciali ha subito un colpo gravissimo e, spesso, è riuscito a non
morire di fame solo grazie alla solidarietà di enti benefici o di persone
generose. Il numero di disoccupati è cresciuto e crescerà ancora di più e
molte piccole e medie imprese rischiano non solo di fatturare di meno ma
di chiudere.
In una situazione così grave tutti chiedono aiuto allo Stato:
non solo cassa integrazione, ma anche sostegno al reddito, finanziamenti a
fondo perduto, sgravi fiscali, prestiti a tasso agevolato e a garanzia
statale. Dopo che per anni abbiamo sentito che lo Stato doveva
“farsi da parte” e “lasciar fare al mercato” oggi tutti vogliono un
massiccio intervento dello Stato nell'economia, ben sapendo
che, se si lasciasse fare al mercato, migliaia d'imprese
fallirebbero e precipiteremmo in una crisi economica da cui
probabilmente non ci potremmo più risollevare.
Il Governo italiano ha stanziato 80 miliardi di euro per
interventi e aiuti di vario tipo [2]. E' una cifra consistente,
pari a tre finanziarie. Sono soldi che lo Stato, prima o poi,
dovrà prendere da qualche parte, per non aumentare in maniera
insostenibile il proprio debito e rischiare la bancarotta. Il problema è
che una crisi così grave determinerà una diminuzione delle
entrate fiscali (se gli italiani guadagnano meno pagheranno
anche meno tasse e lo Stato incasserà di meno). E' necessario
quindi decidere da dove devono essere presi i soldi per
sostenere chi è in difficoltà e per uscire da una crisi economica che, se
non adeguatamente affrontata, può diventare irreversibile e catastrofica.
Recentemente sono stati pubblicati quattro documenti che
analizzano la situazione in atto e danno indicazioni sugli interventi
per “salvarsi dalla catastrofe” e, addirittura, utilizzare
l'attuale crisi per risolvere alcune questioni cruciali (per
esempio la questione ambientale).
I quattro documenti, pur provenendo da soggetti molto
diversi (Fondo Monetario Internazionale, Accademia del Lincei,
Sbilanciamoci e Alleanza per lo Sviluppo Sostenibile [3, 4, 5,
6]), dicono cose molto simili e si ritrovano sui
seguenti quattro punti strategici:
1) impedire che l'epidemia si riaccenda sostenendo adeguatamente i
servizi sanitari, in particolare la prevenzione e la medicina
territoriale. Se l'epidemia dovesse riaccendersi non sarebbe
solo un enorme problema sanitario ma un ulteriore colpo durissimo a
un'economia già traballante;
2) aiutare le persone in difficoltà affinché possano provvedere ai
loro bisogni. In questo modo si sostiene anche la domanda di
beni e servizi, condizione indispensabile per una ripresa produttiva;
3) aiutare le imprese in difficoltà, garantendo la liquidità
necessaria per resistere fino alla ripresa economica (tramite
sussidi, prestiti a tasso agevolato, garanzia statale dei debiti contratti
ecc.). Secondo l'ASviS questi aiuti dovrebbero riguardare prioritariamente
il settore green e dovrebbero essere dati in cambio di programmi e impegni
a favore della sostenibilità ambientale e della parità di genere, così da
promuovere la transizione verso un'economia più ecosostenibile e più equa.
Gli economisti di Sbilanciamoci propongono anche di elargire gli aiuti
alle sole aziende con sede fiscale in Italia o che si impegnano a
riportare la sede fiscale in Italia (per contrastare l'elusione e
l'evasione);
4) contrastare la disoccupazione anche con investimenti pubblici (che
dovrebbero privilegiare i territori con maggiore disoccupazione e povertà;
gli interventi più in linea con l'ecosostenibilità, il benessere sociale e
l'equità).
Per realizzare questi quattro punti sono necessarie risorse che certamente
non si possono chiedere ai poveri e ai meno abbienti. L'FMI in precedenti
documenti aveva sottolineato la necessità di una maggiore
progressività fiscale (quindi introdurre aliquote più alte per
i redditi più alti) e di tassare maggiormente i patrimoni (quindi
introdurre o aumentare le tasse patrimoniali e tassare maggiormente le
eredità), strategia sulla quale concordano anche gli altri tre documenti,
che propongono anche tasse sulle attività economiche a maggiore
impatto ambientale, sulle transazioni fiscali (tobin tax) e sulle
attività digitali e l'e-commerce (uno dei pochi settori che si
è avvantaggiato con l'epidemia). Un'altra parte delle risorse dovrebbe
venire da una seria lotta all'evasione e all'elusione fiscale
(che toglie alle casse dello Stato tra i 107 e i 190 miliardi all'anno
[7]).
Gli economisti sottolineano anche che una crisi così grave e globale e
l'interdipendenza delle economie dei diversi Stati richiedono interventi
concordati e coordinati. Se i singoli Stati andassero ognuno per
sé o, peggio, l'uno in competizione con gli altri, uscire dalla crisi
sarebbe molto difficile per tutti, ma sopratutto per i piccoli
Stati e le economie non forti (e, quindi, per l'Italia e per gran parte
dei Paesi europei). La UE ha quindi un ruolo importantissimo. Bisogna
smetterla di ragionare come italiani, tedeschi, francesi, olandesi,
spagnoli e ragionare come europei, perché ciò è nell'interesse
di tutti.
E' molto difficile combattere l'evasione e l'elusione fiscale se nella
stessa UE esistono paradisi fiscali (Lussemburgo, Cipro, Malta, Ungheria,
Irlanda, Olanda, Belgio) o aumentare la progressività delle imposte e
applicare tobin tax ed ecotasse se in Paesi vicini questo non avviene. E'
velleitario pensare che un singolo Stato della UE possa “persuadere” una
grande multinazionale o un paradiso fiscale extra-UE, ma quello
che è quasi impossibile per un singolo Stato può diventare invece
possibile per la UE, che conta 27 Paesi ed è al secondo posto nel mondo
sia come import che export.
Se fosse la UE, e non i singoli Stati, a introdurre una
patrimoniale le cose sarebbero più semplici e non si
litigherebbe più tra i vari Paesi membri ma tra le forze
politiche di destra e di sinistra.
Il documento di Sbilanciamoci fa propria la proposta di alcuni
economisti della London School of Economics che hanno suggerito
una patrimoniale “a tempo” (in vigore solo per gli anni necessari a
superare la crisi economica dovuta al covid): chi ha un
patrimonio tra i 2 e gli 8 milioni di euro dovrebbe pagare una tassa
patrimoniale dell'1%, chi tra i 8 e i 1.000 milioni il 2% e chi
superiore ai 1.000 milioni il 3%. Una tale tassa, essendo in
vigore solo per pochi anni e finalizzata a contrastare gli effetti
negativi dell'epidemia, potrebbe scoraggiare pratiche di elusione fiscale,
interesserebbe solo l'1% più ricco e darebbe
alla UE una disponibilità di oltre 150 miliardi di euro all'anno
[8].
In vari Paesi europei alcuni partiti (sinistra, verdi) hanno chiesto
interventi in linea con quanto prima indicato.
In Italia PD e LEU hanno avanzato una timida proposta: introdurre
per soli tre anni un'aliquota del 47% per la quota di reddito tra 80.000
e 100.000 euro di imponibile, del 49% per la quota di reddito tra
100.000 e 150.000 euro e del 51% per la quota superiore ai 150.000 euro
(attualmente per tutti i redditi superiori a 75.000 euro l'aliquota è del
43%). Questa proposta chiede quindi un piccolo sacrificio allo
0,4% più ricco degli italiani (solo 200.000 persone dichiarano
un reddito imponibile superiore agli 80.000 euro). Immediatamente
tutte le altre forze politiche hanno manifestato la loro netta
contrarietà. Ma se i ricchi non si devono toccare, significa che i soldi
vogliono prenderli dai poveri e dal ceto medio.
Fare un'opposizione demagogica è facile, basta dire: “Molti più soldi a
tutti, meno tasse a tutti, più investimenti” (e secondo Lega e Fratelli
d'Italia anche “niente prestiti dalla UE ma solo regali”), illudendo la
gente chetutto ciò sia possibile e che viviamo nel mondo delle favole.
Eppure tutti sanno, o dovrebbero sapere, che “senza denari non si
cantano messe” e che “non si può avere la botte piena e
la moglie ubriaca”.
Note: 1) www.ilsole24ore.com/art/fmi-recessione-globale-2020-3percento-e-l-italia-pil-calo-9percento-ADWExyJ; 2) www.ilsole24ore.com/art/manovra-80-miliardi-marzo-e-maggio-come-covid-ha-capovolto-calendario-conti-pubblici-ADkePDP; 3) www.imf.org/en/Publications/WEO/Issues/2020/04/14/weo-april-2020; 4) www.lincei.it/it/article/la-crisi-covid-e-la-possibile-svolta-l%e2%80%99unione-europea; 5) https://sbilanciamoci.info/come-riformare-la-giustizia-fiscale-ai-tempi-della-pandemia/?spush=cGlvcnVzc29rcmF1c3NAdGlzY2FsaS5pdA==; 6) https://asvis.it/public/asvis2/files/Pubblicazioni/RapportoASviSCovidAgenda2030.pdf; 7) La stima più bassa è del Ministero delle Finanze la più alta di uno studio dell'Università di Londra: Study and Reports on the VAT Gap in the EU-28 Member States: 2018FinalReport; 8) C. Landais, E. Saez, G. Zucman “A progressive European wealth tax to fund the European Covid response”.
Se restiamo a casa possiamo proteggerci dal coronavirus e arrestare
l'epidemia. Purtroppo le bufale (cioè le notizie false o parzialmente
false) ci raggiungono anche a casa e si diffondono molto più rapidamente
di qualsiasi virus.
Se 100 persone ricevono una bufala su WhatsApp o su facebook e ciascuna di
esse la invia ad altre 20 persone e ciascuna persona raggiunta dopo un'ora
la invia ad altre 20 persone e così ogni ora, dopo solo 4 ore 16
milioni di persone hanno ricevuto la notizia falsa e dopo 8 ore
640 milioni di persone. Questa rapidissima diffusione è
determinata dal fatto che chi riceve una bufala invece di cestinarla la
rilancia a tutti i suoi contatti, facendosi così complice di persone
senza scrupoli, di truffatori, di fanatici, di imbecilli, di
ignoranti, di persone con disturbi psichici (paranoici, narcisisti ecc.)
Varie inchieste hanno dimostrato che molte bufale sono create ad
arte da aziende a ciò deputate.
Grazie alle bufale infatti si possono spostare migliaia di voti da un
partito a un altro, far cadere governi, vincere le elezioni, far alzare il
valore dei propri pacchetti azionari, vendere più prodotti di una
determinata azienda o di un intero comparto merceologico. Quindi ci sono
soggetti che pagano altri soggetti perché producano bufale (per esempio
contro gli immigrati, i musulmani, i rom, il governo, i partiti e le
aziende avversarie).
Altre bufale sono prodotte dai proprietari di siti, pagine
facebook o canali youtube. Si crea una notiza sensazionale, una
foto o un video falso spacciato per vero, la si mette sul proprio sito,
pagina o canale e la si sostiene con messaggi WhatsApp. Il sito, la pagina
o il canale hanno inserzioni a pagamento per cui più persone li
visitano e più il proprietario guadagna.
La procedura sopra descritta può essere attuata anche da
narcisisti che godono se migliaia o centinaia di migliaia di
persone visitano la loro pagina o se sono stati capaci di darla a bere a
centinaia di migliaia di persone.
Bufale sono create da giornali che campano su questo. Per
esempio il Daily Mail britannico sforna in continuazione
bufale mediche e razziste, riuscendo così ad ottenere quattordici
milioni di visitatori giornalieri [1]. In Italia ci sono
giornali che spesso producono o rilanciano notizie false (per esempio
Affari Italiani, Il Giornale, Libero) [2].
Bufale sono create anche da appartenenti a sette e gruppi di
fanatici per convincere persone fragili a farne parte, oppure
per convincere persone ad aderire a una particolare visione
del mondo o per fare in modo che si odi ciò che l'autore della
bufala odia o si apprezzi ciò che si apprezza. Esistono siti che producono
o rilanciano falsità di questa specie (ad esempio il sito mednat.news).
Altre volte la bufale si producono come nel gioco del telegramma:
si legge una notizia vera e la si riporta esagerandola un poco o
aggiungendo qualche elemento di colore e la si manda in giro; qualcun
altro procede allo stesso modo e dopo poco la notizia vera è totalmente
travisata o mischiata con informazioni false.
Può accadere che un soggetto ignorante, non esperto del campo o
poco intelligente sbagli a interpretare o a comunicare una notizia, per
cui lancia un messaggio disinformante, che spesso, proprio
perché inusuale e strano, finisce per diffondersi molto velocemente.
La psicologia ci insegna che le notizie strane, inusuali, che ci
indignano, ricevono molta più attenzione delle altre, sono ricordate più
facilmente e più facilmente lasciano una “traccia emotiva”. Non
solo, noi tendiamo a ignorare (e a reputare false) le notizie che non sono
in linea con le nostre convinzioni e pregiudizi e a prestare più
attenzione (e a credere) alle notizie che rafforzano le nostre convinzioni
e pregiudizi.
Un effetto di tutte queste bufale che, per loro natura,
fanno leva soprattutto sull'emotività, sui pregiudizi e su schemi
interpretativi rozzi, è che la gente finisce per “ragionare”
sempre più con la pancia o in base a stereotipi o in base
all'appartenenza di gruppo.
Un altro effetto estremamente pericoloso delle bufale è che se una persona
si convince della verità di una notizia falsa farle cambiare idea è poi
difficile ed è ancora più difficile che cambi idea rispetto al messaggio
veicolato dalla notizia falsa. Per esempio, se ho creduto a una
bufala sugli immigrati, poi è difficile che ammetterò che è tale e se
anche lo ammetto il messaggio veicolato dalla notizia (per es. gli
immigrati sono un pericolo per la nostra società) è acquisito e
molto difficilmente lo ripudierò.
L'epidemia di covid ha letteralmente scatenato i creatori di bufale.
Circolano decine e decine di notizie false ed è criminale che si usi un
momento del genere per diffondere notizie false che tantissime persone
prendono per vere e rilanciano ai loro contatti. Non diventiamo
complici di tali criminali!
Che fare? Semplice: mai credere e/o girare una
notizia senza prima essere più che certi che non sia una bufala.
Il fatto che l'ha inviata un amico o una persona per bene, intelligente e
preparata non è assolutamente sufficiente per pensare che non sia una
bufala, perché potrebbe non averla controllata.
Ecco alcuni suggerimenti per accertarsi che non siamo di fronte a
una bufala:
1) cercate su un sito antibufala se la notizia è segnalata.
Basta digitare su un motore di ricerca www.butac.it
o www.bufale.net o https://bufalopedia.blogspot.com
seguito dalle parole chiave della notiza avuta. Per esempio per sapere se
è vera la notizia che trattenendo il respiro si può sapere se ci si è
infettati dal coronavirus basta scrivere butac coronavirus trattenere
respiro e subito comparirà che è una bufala. I siti antibufala ci
mettono almeno un paio di giorni per smascherare una bufala;
2) se nessun sito la segnala come bufala leggete per bene
la notizia e verificate se riporta nome e cognome di chi fa le
affermazioni, l'istituzione di cui fa parte e la data (giorno
mese anno). Se questi dati non sono riportati molto probabilmente
è una bufala. Se sono riportati scrivete su un motore
di ricerca il nome e cognome trovato o l'istituzione trovata per
verificare se è una fonte autorevole o no (ovviamente un
professore di economia non è una fonte autorevole su argomenti di
epidemiologia, ma lo sono un epidemiologo o uno specialista in malattie
infettive). Se è una fonte autorevole bisogna:
a) verificare se effettivamente ha fatto l'affermazione che viene
riportata. Per esempio sul sito della Croce Rossa non c'è la
tabella con i sintomi del covid, dell'influenza e del raffreddore
attribuita alla CRI, per il semplice fatto che questo ente non l'ha mai
prodotta e pubblicata;
b) se i ragionamenti che fa non sono basati su fallacie logiche
[3];
c) se gli eventuali dati sono riportati sia in termini assoluti
che relativi, perché altrimenti non se ne può trarre nessuna
conclusione. Per esempio, se leggete “Scoperta una sostanza che aumenta
del 300% la rigenerazione dei capelli", non possiamo dedurre che è
efficace, perché se prima la rigenerazione era 0 (come nei calvi) e dopo
il farmaco continua a essere 0 si può anche dire che c'è stato un aumento
del 300%: 0x300 è infatti uguale a 0. Bisogna sapere inoltre che in
statistica il solo dato dell'aumento o della diminuzione del rischio non
ha valore se non si riporta anche l'intervallo di confidenza e se questo
comprende il valore 1 (per es. IC 0,7-1,2) l'aumento o la diminuzione
riscontrata non è significativa;
d) se gli eventuali studi che cita sono reali o inventati
e se sono reali se dicono effettivamente quanto riportato.
Per esempio in questi giorni gira uno scritto di un giornalista, Blondet,
che afferma che chi ha praticato la vaccinazione antiinfluenzale ha più
facilmente il covid. Per sostenere questa tesi oltre a fare ragionamenti
epidemiologici errati cita una ricerca che dimostrerebbe quello che
afferma. Ma in realtà la ricerca lo smentisce perché i risultati non sono
significativi (l'intervallo di confidenza è 0,86-1,09).
Se non volete fare tutta questa fatica non prendete per vera la
notizia e, soprattutto, non giratela ai vostri contatti.
Inoltre, se più volte avete presa per vera una bufala sappiate che
siete una persona che facilmente può essere ingannata: è bene,
quindi, che prendiate serenamente consapevolezza di ciò e siate molto
accorti, perché potreste essere vittima di truffatori,
manipolatori e persone senza scrupoli.
Note: 1) https://attivissimo.blogspot.com/2016/12/il-cinico-business-delle-bufale-seconda.html;
2) www.butac.it/tag/affari-italiani;
www.bufale.net/il-documento-segreto-per-decidere-chi-salvare-direttiva-choc-ai-medici;
www.bufale.net/inutile-allarmismo-per-la-tassa-su-prelievo-contanti-con-libero-e-feltri-governo-prepara-la-rapina;
3) per una brevissima illustrazione delle fallacie logiche si veda www.psyjob.it/le-fallacie-una-introduzione-ai-piu-comuni-inganni-dellargomentazione.htm,
per saperne di più si legga Cattive argomentazioni: come riconoscerle
di F.F. Calemi e M.P. Paoletti, Ed. Carocci, 2014
La salute è una cosa preziosa, purtroppo ce ne accorgiamo
soprattutto quando ci ammaliamo. Lo stesso può dirsi
della sanità pubblica: è in momenti come questi che stiamo
vivendo che ci accorgiamo di come è importante avere un sistema sanitario
nazionale.
Purtroppo da molti anni il nostro SSN (Sistema Sanitario Nazionale) è
sotto attacco, gli sono state tolte risorse e si è cercato di screditarlo.
Ha fatto discutere il battibecco tra l'ex presidente
dell'Istituto Superiore della Sanità (Ricciardi) e un
deputato di Italia Viva (Marattin), col primo che
affermava che in 7 anni sono stati tolti 37 miliardi al SSN e
il secondo che gli dà del bugiardo affermando che il fondo sanitario è
sempre cresciuto.
Vediamo le cose come stanno.
Nel decennio 2010-2019 (dal Governo Berlusconi al primo
Governo Conte), il finanziamento pubblico del SSN è aumentato
complessivamente di 8,8 miliardi di euro, crescendo in media dello 0,9%
all'anno [1]. Il fondo sanitario quindi è cresciuto, ma non
sempre (come invece sostenuto dal deputato di Italia Viva). Infatti nel
2013 (Governo Letta) è stato ridotto di quasi un miliardo e nel 2015
(Governo Renzi) di 200 milioni [1]. Ma, come sempre, per
interpretare correttamente i dati bisogna non fermarsi ai soli valori
assoluti e, nel nostro caso, esaminare anche se questo aumento dello 0, 9%
corrisponde a un equivalente aumento del potere d'acquisto. Infatti, se
guadagno il 1% di più ma i prezzi dei beni di prima necessità aumentano
del 10%, mi sono impoverito (è come se mi avessero tagliato il
9% dello stipendio). Negli ultimi 10 anni l'inflazione media
annua è stata dell'1,1% [2], quindi, aumentando il
fondo sanitario dello 0,9%, si ha una riduzione effettiva dello 0,2%
annuo, equivalente a 2,2 miliardi di euro in 10 anni.
Purtroppo l'inflazione del settore sanitario (acquisto
apparecchiature, farmaci ecc.) è di molto superiore al'1,1%.
Per esempio il prezzo delle apparecchiature mediche è aumentato
mediamente del 20%, quello dei farmaci ospedalieri del 32% [3].
Il che significa che in termini reali si sono tolti al SSN non 2,2
miliardi ma decine di miliardi, e tutti i Governi dal 2010 al 2019 hanno
operato in tal senso.
La Fondazione GIMBE (Gruppo Italiano per la Medicina
Basata sull'Evidenza) ha cercato di calcolare di quanto è stato
effettivamente definanziato il SSN (di quanto è stato tagliato “lo
stipendio effettivo” del SSN). Per fare ciò non calcola
l'inflazione dei prezzi dei vari beni necessari al SSN, ma i soldi che i
vari Governi hanno promesso al SSN sulla base delle previsioni delle sue
necessità (aumento dei prezzi, nuovi bisogni sanitari, invecchiamento
della popolazione ecc.). Va detto che queste previsioni governative sono
sempre state molto, ma molto prudenti. Calcolando quanto era stato
previsto e quanto è stato effettivamente dato risulta una differenza di 37
miliardi di euro [1]. Cioè, rispetto a 10 anni fa, sono stati
tolti dallo “stipendio effettivo” del SSN 37 miliardi di euro.
Probabilmente, se si calcolano i soldi effettivamente erogati al SSN e
l'inflazione dei beni necessari al SSN (attrezzature, farmaci, beni di
consumo come stent, siringhe, cateteri, indumenti sterili monouso ecc.),
il taglio è anche maggiore.
Due dati illustrano in maniera evidente gli effetti di questo enorme
taglio:
- tra il 2009 e il 2017 si sono persi 46.500 unità di personale
(chi andava in pensione non è stato sostituito) [4]. Purtroppo i dati
ufficiali si fermano al 2017, ma nel 2018, 2019 e in questi mesi del 2020
i pensionamenti sono cresciuti ancora di più per effetto anche di leggi
quali “Quota 100”, che hanno favorito i prepensionamenti;
- tra il 2007 e il 2017 sono stati eliminati 42.000 posti letto,
passando da 3,9 a 3,2 posti letto per 1.000 abitanti (la media europea è
di 5 posti letto per abitante) [5].
Ma la situazione non è uguale in tutta Italia. Le regioni del
Sud, infatti, sono state penalizzate due volte: dai
criteri di ripartizione del fondo sanitario nazionale (le
regioni con più persone anziane, dove cioè l'aspettativa di vita è
migliore e che sono anche quelle più ricche, ricevono di più delle altre;
le regioni che fanno più prestazioni, cioè che storicamente hanno più
servizi perché sono più ricche, ricevono più delle altre) e dai
tagli draconiani a cui sono state sottoposte per i piani di rientro.
In Campania tra il 2007 e il 2017 si sono persi oltre 12.000 unità
di personale, cioè più di un quarto dell'intera riduzione del
personale sanitario di tutta Italia [6].
Come è facile immaginare quando ci sono pochi soldi si tagliano
per prima e soprattutto le attività di prevenzione e di promozione della
salute. Molte ASL non solo hanno ridotto drasticamente il
personale operante in questi settori ma hanno cancellato perfino le Unità
Operative di Educazione e Promozione della Salute, sostituendole con un
“referente” (cioè un dipendente, spesso già impegnato in altri compiti).
Era necessario ridurre così drasticamente le risorse del SSN? No.
L'Italia, rispetto agli altri Paesi ha sempre speso poco per la
sanità: nel 2008 la spesa pubblica è stata
pari al 7% del PIL, tra le più basse d'europa e dei
Paesi OCSE; anche la spesa pro capite (corretta per il potere d'acquisto)
era tra le più basse (1.940 euro pro capite), circa 400
euro in meno di Francia e Germania [7]. Malgrado una spesa così
bassa avevamo una sanità che veniva considerata la migliore al mondo
(per anni siamo stati al 1° o al 2° posto nelle classifiche OMS e Living).
Oggi lo Stato destina solo il 6,5% del PIL alla sanità e la nostra
spesa sanitaria pubblica pro capite è di 2.247 euro, tra le più basse
d'Europa (giusto la metà di quella della Germania) e siamo
scivolati al 9° posto nella classifica dei migliori sistemi sanitari
[8, 9].
In conclusione, analizzando i dati dal 2007 a oggi appare evidente che si
sono tolte ingenti risorse pubbliche alla sanità (intorno ai 37 miliardi
di euro), malgrado avessimo uno dei migliori sistemi sanitari al mondo e
spendessimo molto meno degli altri Paesi sviluppati. Come conclude la
Fondazione GIMBE: i Governi che si sono succeduti hanno utilizzato
la Sanità come un bancomat da cui prelevare soldi per fare altro.
Quello che è strano è che tutto ciò è avvenuto senza che la
stragrande maggioranza dei cittadini se ne rendesse conto e senza
particolari proteste. La sanità non è mai stata al centro
dell'attenzione politica e pubblica (se non per gli episodi di malasanità,
la cui enfatizzazione ha portato acqua alla sanità privata togliendola a
quella pubblica). In questi anni al centro dell'attenzione dei
cittadini, della stampa e dei politici sono stati tre argomenti:
l'immigrazione irregolare, la sicurezza, l'eccessiva pressione fiscale.
Il primo è un fenomeno in gran parte determinato dal blocco decennale dei
permessi di ingresso per lavoro (quindi determinata proprio dai Governi);
il secondo è una bufala perché siamo uno dei Paesi più sicuri al
mondo e con un numero di reati costantemente in calo [10]; il
terzo è in gran parte una bufala [11]. I primi due sono pseudo-problemi
pompati ad arte da una parte della stampa e da alcuni partiti politici,
che hanno potuto così aumentare i loro voti e consensi, e grandi “armi
di distrazione di massa” che hanno impedito di capire quanti soldi si
stavano togliendo alla sanità rovinando uno dei migliori sistemi
sanitari del mondo. Il terzo pura demagogia perché tutti
vorrebbero pagare meno tasse.
Speriamo che l'epidemia di covid-19 serva ad aprire gli occhi e a
comprendere quanto è importante avere una buona sanità pubblica e
degli efficaci servizi di prevenzione e promozione della salute
e quali sono realmente i problemi del nostro Paese.
Note: 1) www.gimbe.org/osservatorio/Report_Osservatorio_GIMBE_2019.07_Definanziamento_SSN.pdf;
2) Istat; 3) Eurostat, si veda www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=65110;
4) Ragioneria dello Stato, si veda www.panoramasanita.it/2019/03/26/ssn-costante-riduzione-del-personale-in-servizio-dal-2009-persi-46-500-addetti/;
5) Eurostat, si veda www.upbilancio.it/wp-content/uploads/2019/12/Focus_6_2019-sanit%C3%A0.pdf
pag. 21; 6) Ragioneria dello Stato, si veda www.panoramasanita.it/wp-content/uploads/2019/03/Grafico-n7.pdf;
7) OCSE; 8) OCSE 2018; 9) The Lancet Public Health www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/31759893;
10) Eurostat: La criminalità in Europa, 2019; 11) www.facebook.com/notes/associazione-marco-mascagna/perch%C3%A9-il-nostro-sistema-fiscale-%C3%A8-iniquo/2629018700469842/.
Si può essere molto forti pur essendo miti e aperti alle buone
ragioni degli altri”, anzi, “soltanto così si è veramente forti”.
Così ha detto qualche giorno fa il presidente della Repubblica
ricordando Chiara Lubich. A noi è venuto in mente un nostro messaggio di
5 anni fa nel quale trattavamo appunto della mitezza, virtù purtroppo
ecclissatasi e che ora sembra essere riscoperta.
Abbiamo pensato per questo di riproporvi le nostre riflessioni.
Eccole.
A noi non importa niente essere alla moda e nemmeno dire cose originali.
Le mode passano velocemente e, una volta passate, ci appaiono ridicole;
l’originalità non è un valore in sé (una cosa originale può anche essere
brutta, falsa, inutile, malvagia): acquista valore solo se si accompagna a
qualcosa che ha valore in sé (che è bella, vera, utile, buona ecc.).
Oggi vogliamo parlarvi della mitezza, una cosa non di
moda, e probabilmente diremo cose non originali. Anzi, pensiamo che sia
utile parlarne proprio perché non è di moda, proprio perché questa virtù
si è eclissata ed è invece importante riscoprirla e praticarla.
Sembra che il significato originale di mite sia “maturo al punto
giusto”, cioè né acerbo ed aspro, né fracido ed andato a male.
Da qui i significati di tenero, dolce, né troppo né troppo poco (da cui
per es. “una temperatura mite”). Il contrario di mite è
aggressivo, arrogante, violento, eccessivo.
Molte pagine facebook, trasmissioni televisive, liste di discussione sono
piene di violenza e aggressività. Troppo spesso vediamo persone pronte a
saltar su, a sbraitare, ad offendere, a “mandare a ...” chi la pensa in
maniera diversa; troppo spesso le discussioni diventano dei combattimenti,
il confronto con gli avversari una guerra senza esclusione di colpi, il
vivere quotidiano una perenne lotta.
C’è troppa violenza nella nostra società, troppa aggressività nei
rapporti umani, troppa arroganza. Questo è un primo motivo per
riscoprire e praticare la mitezza: per rompere il circolo vizioso
dell’aggressività, per spezzare la spirale della violenza, per
rendere il mondo più vivibile.
La comunicazione, le relazioni umane sono processi circolari: se ci si
sente minacciati ci si mette sulla difensiva e si attaccherà e ciò
determinerà un'uguale reazione nell'interlocutore. In questa maniera si fa
emergere il peggio dalle persone e si determinano circoli viziosi
pericolosi, nei quali lo scontro non è più tra diverse posizioni ma tra le
persone. Anzi spesso si è contrari o d'accordo a un'opinione (o a una
posizione politica o a un provvedimento) a seconda se la persona (il
politico o il partito) ci è antipatico o simpatico. Tutto ciò è ridicolo e
non è segno di onestà intellettuale.
Avere una comunicazione mite, improntata al rispetto per
gli altri, dà la possibilità di fare emergere gli aspetti positivi
dell’altro, di instaurare non un combattimento ma un vero dialogo e il
dialogo permette di capire le ragioni dell’altro, di
vedere la realtà da punti di vista diversi. In questa maniera ci si
arricchisce perché si ha uno sguardo più ampio e si favorisce la
crescita intellettuale e morale (come anche tante ricerche
scientifiche dimostrano [1]).
Non va confusa la mitezza con la tolleranza. La
tolleranza si basa sulla reciprocità (“Io ti tollero se tu mi tolleri”),
mentre la mitezza è incondizionata, perché è basata sul
fatto che tutti gli uomini sono degni di rispetto, anche chi non rispetta
gli altri. Tutti gli uomini sono degni di rispetto, ma non tutte
le opinioni, le idee e le ideologie sono degne di rispetto
(l’opinione che le donne, gli ebrei, i negri, gli arabi, gli zingari siano
“esseri inferiori” non è degna di rispetto). Il mite non può tollerare
tali opinioni e ideologie, sente che ha il dovere di combatterle e di
difendere chi è debole o subisce violenza.
La tolleranza è figlia dell’indifferentismo, del “Io mi faccio i
fatti miei e tu ti fai i tuoi”; la mitezza, invece, nasce da
“Siamo tutti fratelli, tutti degni anche se tutti impastati di bene e di
male”.
Alcuni pensano che la mitezza non paghi, non realizzi niente e che con
l’aggressività, l’arroganza e la prepotenza si ottiene di più. Noi
crediamo che le cose non stanno così. “Mandare a quel paese” qualcuno o
“dirgliene quattro”, può farci credere di aver raggiunto un obiettivo, ma
è una infantile ed effimera soddisfazione personale (un mero “sfogo”), che
nulla cambia nella realtà. Il mite non sa che farsene di una tale magra
soddisfazione personale, egli vuole incidere, vuole cambiare la situazione
in maniera irreversibile. E sa che per incidere profondamente nella realtà
bisogna sentire le ragioni dell'altro, instaurare un dialogo e, spesso,
cercare anche mediazioni (mediazioni alte e non di bassa lega). I
diktat, le imposizioni, i colpi di mano possono dare l'illusione di
fattività ma alla lunga non pagano, non cambiano realmente e
profondamente. Non basta vincere, bisogna anche convincere
e, soprattutto, convincere chi la pensa in altro modo.
Martin Luther King, Gandhi, Nelson Mandela sono persone che hanno
cambiato profondamente la realtà, grandi politici e uomini d’azione.
Persone che hanno fatto della mitezza il loro carattere distintivo, che
hanno vinto perché hanno convinto. Purtroppo oggi quasi tutti i
politici fanno sfoggio d’arroganza e di machismo e, ahi noi, tanti
cittadini pensano che ciò sia segno di capacità politica.
Note: 1) Si vedano per esempio le ricerche di L. Kolhberg
La conoscenza dei fatti storici è sempre incompleta e di parte. Per
esempio noi italiani siamo a conoscenza soprattutto delle vicende che
riguardano l’Italia e queste sono narrate e interpretate dal nostro punto
di vista. In fin dei conti ciò è inevitabile: non si può conoscere tutto
ed è molto difficile assumere altri punti di vista. E’ bene, però, essere
consapevoli di questa limitatezza e stortura della nostra conoscenza per
potere meglio interpretare la realtà e agire.
Quel che è estremamente grave è la totale ignoranza di fatti
storici che ci riguardano oppure una narrazione falsa o
un’interpretazione campata in aria solo per non dovere fare i
conti con aspetti negativi di noi italiani o di noi europei.
Tutto ciò succede soprattutto per quanto riguarda l’Africa.
Eccone alcuni esempi.
Tra il 1550 e il 1850 furono catturati, resi schiavi e deportati nelle
Americhe da noi europei milioni di persone (le stime degli storici variano
tra 10 e 100 milioni di persone schiavizzate) [1]. Le
navi negriere erano talmente stipate di persone che spesso scoppiavano
epidemie e gran parte del “carico” moriva. Si stima che il 30%
degli Africani catturati morì prima di raggiungere l’America [2].
Nella seconda metà dell’ottocento il Belgio cercò di assoggettare gran
parte del Congo, ammantando tale operazione col fine di civilizzare le
popolazioni residenti. Nella conferenza di Berlino del 1885 ottenne dalle
altre nazioni europee il benestare all’occupazione della regione
meridionale del Congo. Un enorme territorio divenne proprietà
personale del re del Belgio Leopoldo II. Si mise in atto un sistema
di sfruttamento disumano per ottenere le risorse di quel Paese
(soprattutto caucciù). I lavoratori che non producevano le quote stabilite
venivano puniti con estrema crudeltà ("Se un giovane
africano non accontentava i suoi padroni, una mano o un piede, e talvolta
tutti e due, gli venivano tagliati… Per dimostrare la loro diligenza in
questo campo, i sorveglianti portavano ai loro superiori ceste piene di
mani" e venivano premiati per questo [3]). Chiunque si ribellava
veniva ucciso e vi furono varie rappresaglie e stragi.
Quando le notizie delle atrocità commesse si diffusero in Europa e negli
USA alcuni gruppi minoritari iniziarono una campagna di protesta, che
riuscì a mettere in difficoltà tale sistema. Nel 1908 il re fu costretto a
rinunciare ai propri possedimenti personali e a metterli sotto il
controllo del Parlamento. Si stima che da 5 a 30 milioni di
congolesi sono morti tra il 1885 e il 1908 a causa di tale
dominio [4].
Alla fine dell'ottocento i tedeschi occuparono l’attuale Namibia
(Africa sudoccidentale tedesca) ed espropriarono con raggiri e
violenze le terre più fertili per darle ai propri coloni. Gli
Herero, una popolazione dedita soprattutto alla pastorizia, cercarono di
stipulare un accordo con i tedeschi per evitare la sorte delle altre
popolazioni dell’Africa sub-occidentale. Gli accordi stipulati
furono sistematicamente violati dai tedeschi e il 14 gennaio 1904 gli
Herero si ribellarono e uccisero 123 soldati tedeschi. La
reazione dei tedeschi fu durissima. Furono fatte arrivare nuovi contigenti
militari e si giunse a una battaglia nella quale gli Herero
furono sconfitti. I sopravvissuti furono deportati nel deserto del
Kalahari a morire di fame. I tedeschi avvelenarono i pozzi
d’acqua per impedire che potessero tornare indietro. Fu emanato
l’ordine di uccidere qualsiasi Herero presente nel Paese, di
qualsiasi età e sesso. Successivamente si decise di internarli in
campi di concentramento dove furono utilizzati per esperimenti o
sottoposti a lavori forzati, mentre i non idonei al lavoro venivano
uccisi. Si stima che 65.000 Herero furono uccisi
(alcuni stimano “solo” 25.000 morti, altri 100.000) Ancora oggi i
discendenti dei tedeschi sono proprietari della gran parte delle terre
fertili mentre le popolazioni autoctone abitano le zone più povere del
Paese. Solo nel 2015 la Germania ha riconosciuto che si è trattato di un
genocidio, ma ha dichiarato che non è disposta a discutere nessun
risarcimento per quanto commesso [5].
I Francesi per impedire l’indipendenza dell’Algeria utilizzarono
in maniera sistematica la tortura e la rappresaglia, uccidendo tra il
1954 e il 1962, tra 500.000 e oltre 1 milione di persone (sui
circa 10 milioni di residenti). Di contro gli algerini uccisero tra
120.000 e 250.000 tra francesi e collaborazionisti [6].
Gli italiani per conquistare e mantenere sotto il proprio dominio
l’Eritrea e l’Etiopia uccisero circa 400.000 persone tra il 1887 e il
1941; per il medesimo fine in Libia furono uccisi
circa 100.000 persone. In entrambe le regioni furono usati bombardamenti
a tappeto, l’uso di bombe incendiarie, di gas, la tortura, le
rappresaglie, la deportazione di intere popolazioni civili, gli stupri
(anche di minori), i campi di concentramento, il sequestro dei beni
(bestiame, case ecc.).
Tra gli episodi più efferati ricordiamo le stragi del 19, 20 e 21 febbraio
1937, avvenute in seguito a un attentato (fallito) contro il
viceré Rodolfo Graziani. Gli italiani su suo ordine attuarono una
spietata rappresaglia uccidendo 30.000 cittadini etiopi, quasi tutti
civili, e in maggioranza anziani, donne e bambini.
Un’altra gratuita strage fu quella perpetrata a Debre Libanos, la più
importante città conventuale dell’Etiopia. Gli italiani, sempre su ordine
di Graziani, uccisero più di 1.200 monaci e chierici cristiani, alcuni
giovanissimi [7].
L’Italia non ha mai fatto i conti con questo suo passato criminale
e vergognoso. Graziani e gli altri criminali di guerra in
Africa non sono mai stati processati e condannati (in realtà nessuno
della lista dei 1200 criminali di guerra italiani stilata
dall’ONU alla fine della seconda Guerra Mondiale è stato mai
processato e condannato). A scuola queste pagine nere della
nostra storia non si studiano. La televisione italiana non ha mai
trasmesso trasmissioni come Fascist Legacy ("L'eredità del fascismo") sui
nostri crimini o film sulle brutalità del nostro colonialismo (come Il
leone del deserto). Non sapendo tutto ciò finiamo per essere
convinti di essere “brava gente”, di non avere mai fatto male
ad alcuno, di non avere niente di cui vergognarci, chiedere scusa
e dovere riparare.
Queste vergognose vicende storiche prima ricordate sono solo alcune delle
molte perpetrate dai vari Paesi europei. La politica di questi Paesi nei
confronti dell’Africa è stata quasi sempre di conquista,
colonialismo, rapina, oppressione, violenza. Tale
politica è stata giustificata raccontando che gli africani erano essere
inferiori, incivili, immorali e che noi europei andavamo a civilizzarli
e a moralizzarli.
Lo sfruttamento dell’Africa da parte degli europei è tra le cause
principali della povertà di questo continente, dovremmo
sempre ricordarcelo, soprattutto quando,
senza alcuna pietà e senza alcun rimorso per quanto fatto, rimandiamo
indietro chi ha rischiato la vita nel deserto o in mare per
fuggire alla povertà, a regimi dittatoriali (spesso appoggiati da Paesi
europei) o a guerre (fomentate o sostenute da Paesi europei) e cercare
fortuna da noi. Dovremo anche ricordarcelo quando vediamo i
nostri governanti fare accordi con gruppi di potere della Libia o del
Niger perché rinchiudano questi poveri cristi in lager dove,
come più volte documentato dall'ONU e da Amnesty International, sono
trattati in modo disumano.
Pensate a un bambino di 5 anni, o
di 6 o di 7. L'età delle favole, dei sogni, dei giochi; l'amore dei
genitori, dei nonni; la tenerezza della quale sono circondati.
Per molti bambini le cose non stanno così.
Nel Madagascar 11.000 bambini lavorano nelle miniere di mica
[1]. Miniere a cielo aperto, immensi formicai, dove in ogni buco c'è una
persona, spesso un bambino, che tira fuori il minerale, che poi altre
persone, spesso bambini, con le mani nude sfaldano nei vari fogli di cui
è costituito. Lavorano dalle 6 alle 10 ore al giorno
all'aperto, sotto il sole tropicale, nella stagione secca e in quella
delle abbondanti piogge pomeridiane, accovacciati per terra o in piedi,
col mal di schiena, le ferite alle mani procurate dal lavoro di
sfaldatura del minerale, tossendo per l'aria inquinata di polveri.
Mediamente ricevono un compenso di 4 centesimi di euro per ogni
chilo di minerale [1]. Per un adulto il guadagno di un'intera
giornata di lavoro varia da 25 centesimi di euro a 2,5 euro, a seconda
delle caratteristiche della miniera, delle condizioni meteorologiche,
della forza e dell'abilità personale e, soprattutto, da se si scava su
un terreno proprio o di altri (in questo secondo caso bisogna versare
metà di quanto si guadagna al proprietario). Un bambino, ovviamente,
guadagna meno. Con paghe di tale entità spesso non si riesce ad
avere il necessario per fare due pasti al giorno.
Un poco meglio stanno i 20.000 bambini indiani che lavorano
nelle miniere di mica [2]. Lì le paghe sono circa il doppio,
ma anche il costo della vita è maggiore. Proprio perché il lavoro costa
di più le aziende che commerciano mica si stanno rivolgendo sempre più
al Madagascar e meno all'India. Il ruolo da padrone lo fanno soprattutto
quelle cinesi: l'87% della mica malgascia va in Cina, il resto
in Estonia, Russia, Giappone, India, Corea [1].
La mica è un materiale prezioso per l'industria elettronica,
automobilistica, degli elettrodomestici e dei macchinari, della
cosmetica, delle vernici. Così la mica raccolta dai bambini
del Madagascar o dell'India è nel nostro computer, nel
telefonino, nel condizionatore d'aria, nell'automobile o
nella moto che usiamo, nel rossetto o nel fondo tinta [2]. E
non solo nei prodotti “made in Cina”, ma anche in quelli giapponesi,
europei e americani, perché le industrie cinesi spesso
producono semilavorati e componenti per aziende di questi Paesi, come le
giapponesi Panasonic, Fujitsu, Murata, o l'elvetica Von Roll o
l'austriaca Isovolta e talvolta queste stesse aziende producono
componenti per altre industrie [1].
Panasonic nel 2018 ha fatturato 65 miliardi di euro con 3
miliardi di utile [3], ma si serve da aziende che
pagano 4 centesimi di euro un chilo di mica, scavato da
bambini a cui viene rubata l'infanzia e distrutta la salute. La
Panasonic alle accuse molto ben documentate del rapporto di Save the
Children ha dichiarato che le linee guida della catena di fornitura
“vietano espressamente l’uso del lavoro minorile e richiedono ai
fornitori di trattare tutti i lavoratori con dignità e rispetto” e che
non erano assolutamente a conoscenza della situazione denunciata [4].
Potrebbe anche essere vero, probabilmente hanno solo scelto
l'azienda che faceva il prezzo molto più basso di altre, senza
chiedersi come riuscivano a farlo.
Ma gli 11.000 bambini del Madagascar, i 20.000 dell'India che lavorano
nelle miniere di mica sono solo una piccolissima parte di un tragedia di
cui si parla pochissimo e che tendiamo a ignorare. Nel mondo vi
sono 152 milioni di bambini/ragazzini vittime di sfruttamento
lavorativo: un bambino/ragazzino su 10 [5]. Ma le medie
deformano la realtà: in Africa sono tanti, in Europa o nell'America del
Nord pochissimi. Nell'Africa subsahariana 4 bambini su 10 sono
vittime di sfruttamento lavorativo, in Nigeria, Mali, Ciad 1 su 2
[5].
Di questi 152 milioni di lavoratori bambini/ragazzini 73
milioni sono costretti a svolgere “lavori duri e pericolosi, che
mettono a grave rischio la salute e la sicurezza, con gravi
ripercussioni anche dal punto di vista psicologico”[4].
Uno dei motivi per cui africani, srilankesi, indiani, pakistani
emigrano e vengono in Europa è questo: riuscire a mandare a casa quel
po' di soldi necessario per fare in modo che i loro figli non debbano
lavorare ma possano andare a scuola, prendere un titolo di
studio, avere la possibilità di una vita migliore. Meglio chiedere un
prestito per racimolare la somma necessaria per pagare i trafficanti che
ti permettono di attraversare le frontiere e arrivare in Europa o negli
USA, meglio affrontare il deserto su un camion riempito
all'inverosimile, meglio rischiare di essere presi da bande criminali o
di finire in un lager in Libia o in Messico, meglio attraversare il mare
su un canotto o un vecchio peschereccio in disuso, meglio sentirsi
trattare da uomini di serie B o rischiare di essere vittima di razzisti
e imbecilli, meglio tutto questo che vedere i propri figli senza
alcuna speranza di futuro, lavorare tutta la vita, rimetterci la
salute per riuscire a stento a sopravvivere.
Ovviamente non è un caso che chi da anni combatte questo sfruttamento
dei bambini, che chi ha studiato tutta la filiera della mica scoprendo
quello che abbiamo descritto, che chi sta facendo pressione su
aziende e governi per impedire questa tragedia sono le stesse ong che
salvano i migranti su imbarcazioni in balia delle onde o
naufragati in mare aperto [6]. Loro hanno a cuore il bene di
tutti e soprattutto dei più sfortunati e cercano di costruire un mondo
migliore; altri pensano solo a sé e non si importano
se, così facendo, danneggiano altre persone, soprattutto i più deboli
e sfortunati, e rendono questo mondo inumano e brutto.
L'inverno è la stagione dell'influenza. Basta che la temperatura corporea
si innalzi di 1-2 gradi (38-39°C) e stiamo male e non possiamo più
lavorare. Se poi arriva a 40°C si sta malissimo, prostrati a letto e
spesso si sragiona. Piccoli aumenti di temperatura (1-4°C) negli organismi
biologici sono capaci di alterare tutta una serie di processi chimici,
fisici e biologici e di funzioni di organi e apparati. Lo stesso succede a
quell'enorme e complessissimo sistema ecologico che è il nostro
pianeta: basta un aumento di 1-3 gradi e si determina una cascata di
conseguenze. Gli scienziati temono soprattutto che la temperatura,
aumentando, faccia sciogliere parte del permafrost, cioè del suolo
perennemente gelato presente nelle regioni artiche e subartiche (il 17%
delle terre emerse è ricoperto di permafrost). Lo scioglimento del
ghiaccio, infatti, può liberare nell'aria le ingenti quantità di metano
racchiuse in questi terreni e, poiché il metano è un potente gas serra (30
volte più della CO2), ciò determinerebbe un ulteriore aumento della
temperatura del pianeta, con altro scioglimento di permafrost e
liberazione di metano, in un tragico circolo vizioso ed effetto a cascata.
Negli ultimi 30 anni la temperatura media della Terra è aumentata di mezzo
grado a causa dell'enorme aumento dei gas serra dovuta all'azione
dell'uomo (la loro concentrazione nell'atmosfera è la più alta degli
ultimi 800.000 anni). [1]. Gli scienziati da tempo ci avvertono che, se
non riduciamo drasticamente la produzione di questi gas, tra 30 anni la
temperatura media del pianeta sarà di 1,5-3°C maggiore di quella che era
30 anni fa. Questo non solo determinerà un vertiginoso aumento della
frequenza e dell'intensità dei fenomeni meteorologici estremi (tempeste di
vento, bombe d'acqua, siccità ecc.), un aumento del livello del mare e
numerosi altri effetti negativi, ma anche lo scioglimento di una parte del
permafrost, innescando quel tragico effetto a cascata e l'impossibilità di
ritornare a una situazione “normale” del nostro pianeta. Voltare la testa
dall'altra parte o metterla sotto terra come gli struzzi, credere che
tutto quello che dicono gli scienziati da quasi 50 anni (e le cui
previsioni si sono puntualmente realizzate) è una immensa bufala o un
complotto di chi sa chi e per che cosa, illudersi che si troverà una
soluzione miracolosa che metterà per incanto le cose a posto è da idioti e
irresponsabili. Non fare nulla per impedire il cambiamento climatico, che
determinerà danni a noi, ai nostri figli, fratelli, nipoti, è anche
immorale.
Spesso ci si nasconde dietro scuse pretestuose, come: “Sono i governi e gli industriali che devono fare qualcosa, non noi poveri cittadini”, “Non è certo questa piccola cosa che faccio la causa dei cambiamenti climatici”, “Non posso rovinarmi la vita per una cosa così lontana nel tempo”. Ora è vero che i governi dei vari Stati e gli industriali possono fare molto, ma essi sono così poco impegnati perché sanno che solo l'8% degli italiani ritiene che la risoluzione di questo problema deve essere una priorità del governo [2]. Quindi, la prima cosa che possiamo e dobbiamo fare è far capire a governi e politici che devono impegnarsi realmente ed efficacemente contro i cambiamenti climatici (legiferando per ridurre al minimo l'estrazione e l'uso dei combustibili fossili e il consumo di suolo) e, ovviamente, convincere altre persone a comportarsi come noi. Ma c'è un altro discorso da fare. Se noi usiamo l'auto o la moto per ogni spostamento e protestiamo per ogni provvedimento che ne limiti l'uso, se compriamo prodotti usa e getta, se facciamo compere in centri commerciali situati fuori città, se acquistiamo ogni sorta di elettrodomestici, se amiamo stare in inverno in case surriscaldate e in estate in abitazioni gelate, insomma, se ci comportiamo come se non esistesse il problema del cambiamento climatico, perché mai i politici, che cercano il consenso, e gli industriali, che devono vendere, dovrebbero fare una politica contraria al modo di comportarsi della maggioranza dei cittadini? Anzi, vedendo come la maggioranza delle persone si comporta, cercheranno di soddisfare queste nostre abitudini costruendo strade e autostrade, centri commerciali, centrali elettriche, gasdotti, raffinerie, prodotti usa e getta, elettrodomestici inutili, cercando nuovi giacimenti di combustibili fossili, aumentandone l'importazione e il consumo. Cioè facendo una politica che invece di contrastare il cambiamento climatico lo avvicinerà sempre più. La frase “Non è certo questa piccola cosa che faccio la causa dei cambiamenti climatici” era scritta anche su un cartello tenuto da un ragazzino a una delle manifestazioni del friday for future, ma sotto c'era scritto: “dissero 3 miliardi di persone”.
I cambiamenti climatici, infatti, sono prodotti in gran parte dai comportamenti di 3 miliardi di persone, cioè da noi abitanti nel Paesi ricchi e dai ricchi dei Paesi poveri, mentre i loro effetti colpiscono già oggi soprattutto quei 4 miliardi di persone che poco o nulla contribuiscono ai cambiamenti climatici. Dobbiamo prendere coscienza che “queste piccole cose che facciamo” non le dobbiamo fare perché danneggiare altre persone (tra cui, oltre i 4 miliardi prima detti, ci sono anche i nostri figli e nipoti) è immorale. E, rientrando nella sfera morale, non ha alcuna importanza come gli altri si comportano: sono cose che non vanno fatte e basta. Come non facciamo violenza e rubiamo (anche se ci sono persone violente e ladre), così non dobbiamo avere comportamenti non ecosostenibili, anche se ci sono altre persone che si comportano in questo modo. Riguardo all'ultima scusa (“Non posso rovinarmi la vita per una cosa così lontana nel tempo”) va detto che gli effetti negativi dei cambiamenti climatici già sono in corso e aumentano di anno in anno e che il punto di non ritorno potrebbe essere probabilmente tra 20-30 anni, un tempo per niente lontano (così come gli anni 2000 o '90 non sono un passato remoto, ma recentissimo). I cambiamenti che dobbiamo mettere in atto non sono sconvolgenti: non dobbiamo mica ritornare nelle caverne o rinunciare alle conquiste della medicina e dell'informatica. Gran parte dei cambiamenti climatici, infatti, avvengono per comportamenti che possono essere considerati folli. Ecco alcuni esempi:
- Buttare alimenti nella spazzatura: se non sprecassimo più il cibo
ridurremo del 7% i gas serra [3].
- Mangiare in piatti non di porcellana: quando usiamo piatti
biodegradabili produciamo 5 volte più gas serra di quando usiamo quelli di
porcellana (con lavaggio in lavastoviglie) [4];
- Scegliere verdura non di stagione: determina 3 volte più gas serra che
quella di stagione [5];
- Bere acqua in bottiglia. Fabbricare una bottiglia di plastica da 1,5
litri produce 200g di CO2 e per trasportarla fino alle nostre case un
altro bel po' [5]. Vale la pena produrre tutto questo gas serra quando
l'acqua del rubinetto è più controllata e più sicura delle acque in
bottiglia?
- Mangiare troppa carne (soprattutto bovina). Per produrre 1 Kg di carne
vengono emessi circa 18 Kg di gas serra se la carne è bovina, 4 Kg se è di
maiale, 2 Kg se di pollo; per produrre 1 Kg di legumi circa 0,8 Kg [6]. I
nutrizionisti ci dicono che si può fare un'alimentazione corretta ed
equilibrata anche senza mangiare carne e che i non vegetariani non
dovrebbero mangiarne più di 2-3 volte alla settimana (meglio 1 sola
volta), limitando al massimo quella bovina e quella secca (salumi ecc.),
mentre bisogna mangiare almeno 3-4 porzioni di legumi alla settimana.
- Usare troppo il riscaldamento e i condizionatori. Se decidessimo di
vestirci con abiti un po' più caldi così da accendere il riscaldamento
solo quando fa veramente freddo, per esempio per la metà dei giorni che
attualmente lo accendiamo, l'Italia produrrebbe quasi il 10% di gas serra
in meno [7].
- Usare l'auto quando se ne potrebbe fare a meno. Il 30% degli spostamenti
in auto servono per raggiungere una destinazione tra 0,7 e i 3 Km, il 25%
degli spostamenti una destinazione tra 3 e 5 Km [8]. Se usassimo i muscoli
invece che l'auto circolerebbe la metà delle auto che oggi circolano e
l'Italia produrrebbe il 10% di gas serra in meno di quanto produce [6]. Se
si considera che l'attività fisica ha enormi benefici sulla salute (riduce
il rischio di malattie cardiovascolari e tumorali, di diabete,
osteoporosi, sovrappeso e ha un effetto antidepressivo) e che, per avere
il massimo dei benefici, bisognerebbe fare ogni giorno un'ora di attività
fisica leggera (es. camminare in piano) e un'ora di attività fisica
vigorosa (es. camminare in salita), non si riesce proprio a capire perché
la maggioranza degli italiani si comporta in modo così folle [9].
Per far sì che non si arrivi a un aumento della temperatura del pianeta
che determini loscioglimento del permafrost, l'Italia si è impegnata a
ridurre le proprie emissioni di gas serra di circa il 40% rispetto a
quelle attualmente emesse. Ognuno di noi dovrebbe cambiare i propri
comportamenti più ecoinsostenibili in modo da ridurre del 40% il proprio
contributo alla produzione di gas serra. E' una scelta saggia e dovrebbe
essere per tutti un imperativo etico.
Note: 1) National Oceanic and Atmospheric Administration’s Centers for
Environmental Information: State of the Climate in the 2018; 2)
https://sondaggibidimedia.com/sondaggio-ipsos-economia; 3) ispra
www.isprambiente.gov.it/it/pubblicazioni/rapporti/spreco-alimentare-un-approccio-sistemico-per-la-prevenzionee-
la-riduzione-strutturali-1; 4)
http://pro-mo.it/wp-content/uploads/2018/06/1.%20Ricerca%20Life%20Cycle
%20Assessment%20%28LCA%29%20comparativo%20di%20stoviglie%20per%20uso%20alimentare.pdf;
5) http://89.97.205.100/AzzeroCO2/calcolatore.jsp; 6) Consiglio per la
ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria
http://sito.entecra.it/portale/public/documenti/sccai-cra-inea.pdf; 7)
www.isprambiente.gov.it/files2018/pubblicazioni/rapporti/Rapporto_295_2018.pdf;
8) ) ISFORT 2012; 9) Samitz G, Egger M, Zwahlen M. Domains of physical
activity and all-cause mortality: systematic review and doseresponse
meta-analysis of cohort studies. International Journal of Epidemiology
2011.
C'è una enorme discrepanza tra i problemi reali e le preoccupazioni dei
cittadini e delle forze politiche.
Gli scienziati continuamente ci dicono che la situazione ambientale è
estremamente grave. La concentrazione di gas serra nell'atmosfera
è la più alta degli ultimi 800.000 anni, e purtroppo continua a
crescere. Il livello degli oceani si è innalzato di 3 centimetri
nell'ultimo decennio e gli oceanografi temono che l'enorme
massa di acqua dolce che si scioglie dai poli possa alterare le correnti
marine con effetti disastrosi per molti Paesi (in particolare quelli
europei) [1].
L'Italia è investita in pieno da questi problemi. Gli eventi
meteorologici estremi (siccità, bombe d'acqua, tempeste di
vento) che interessano il nostro Paese aumentano di anno in anno: nel
1999 sono stati 17, nel 2009 213 e nei primi 11 mesi del 2019 1.543
[2]. Anche i danni causati da tali eventi sono sempre maggiori: si pensi
ai milioni di alberi abbattuti in pochi minuti dalla Tempesta
Vaia nel Nord-Est nell'ottobre 2018, all'acqua alta a
Venezia (187 cm), all'alluvione a Matera e in
Liguria nel novembre 2019 e a quella di Livorno
del 2017 e nel beneventano nel 2015. I soli
danni alla produzione agricola e alle opere edili provocati dai
fenomeni meteorologici estremi ammontano a oltre 14 miliardi di
euro nell'ultimo decennio. Le persone a rischio di
vedere franare la propria abitazione sono 1.280.000, quelle
a rischio alluvione 8.250.000 [3].
Tutti questi cataclismi sono stati determinati dall'aumento della
temperatura media del pianeta di 0,5°C.
Gli scienziati ci avvertono che se non si prendono provvedimenti
seri tra 30 anni la temperatura media aumenterà tra 1,5-3°C,
con conseguenze molto più gravi e danni di centinaia di miliardi.
Previsioni che sono estremamente attendibili considerando che l'aumento di
0,5°C della temperatura media del pianeta, con tutte le conseguenze che
ora stiamo vivendo, erano già state predette nel 1972 dallo studio del
MIT, base del rapporto sulla situazione ambientale dell'UNEP-ONU [4].
Gli scienziati ci dicono anche che già ora ogni anno in Italia
oltre 40.000 persone (probabilmente intorno alle 50.000) muoiono per
malattie causate dall'inquinamento atmosferico (tumori,
patologie polmonari e cardiovascolari) [5].
Di fronte a una tale situazione ci si aspetterebbe una grande
preoccupazione da parte dei cittadini e la richiesta di provvedimenti
seri. Invece solo il 9% degli italiani ritiene che l'ambiente e i
cambiamenti climatici devono essere una priorità del governo.
Secondo gli italiani le priorità sarebbero, oltre la
disoccupazione e la situazione economica, l'immigrazione (22%) e
la riduzione delle tasse (17%) [6].
Un sondaggio IPSOS dà un quadro ancora più sconfortante:
l'ambiente e i cambiamenti climatici devono essere una priorità
del governo solo per l'8%, mentre l'immigrazione per
il 37% e la sicurezza per il 24% [7]. Un analogo sondaggio
dell'ottobre dà una situazione analoga ma con un 34% degli
italiani che ritiene che tra le priorità c'è la riduzione delle tasse
[8].
Ora come abbiamo illustrato nel messaggio n.20 del 7 ottobre la
pressione fiscale in Italia non è per niente alta come si crede
(per quanto riguarda le tasse di successione e sulle donazioni addirittura
è tra le più basse del mondo). Una riduzione generalizzata delle
tasse farebbe aumentare ancor più il debito pubblico e leverebbe risorse
allo Stato per affrontare i problemi che ha di fronte.
Per quanto riguarda la sicurezza e la criminalità la situazione
italiana è tra le migliori d'Europa. Siamo al
penultimo posto sui 28 Paesi della UE come tasso di omicidi (9
volte di meno che in Lettonia). Anche come furti in casa e rapine non
siamo messi male (9° posto): abbiamo un terzo delle rapine che
avvengono in Belgio, Francia, Spagna e Regno Unito, la metà di quelle di
Portogallo e Svezia, il 25% in meno del Lussemburgo e un
livello quasi uguale a quello di Germania, Olanda, Irlanda, Malta e
Grecia. Inoltre la criminalità è in continuo calo da oltre 20
anni [9].
Per quanto riguarda l'immigrazione il numero di stranieri che
arriva in italia è così basso da non riuscire mai a
compensare il calo demografico (in alcuni anni è stato 20 volte
inferiore ad esso [10]). Inoltre il flusso di profughi
e richiedenti asilo verso l'Europa e l'Italia si è ridotto notevolmente
da quando l'ISIS ha perso il controllo di molti territori (anni
2016-2018), la situazione in Etiopia ed Eritrea è migliorata (grazie al
governo del premio nobel per la pace Abiy Ahmed) e la guerra civile in
Siria si è raffreddata. Per quanto riguarda i permessi di lavoro
agli stranieri siamo all'ultimo posto in Europa: 0,2 nuovi ingressi per
mille abitanti nel 2018 (la Polonia ne ha dati 16 ogni 1000
abitanti) [11]. Quindi non c'è nessuna invasione di stranieri, anzi ne
arrivano troppo pochi. Infatti, secondo INPS e ISTAT ci servirebbero tra i
200.000 e i 250.000 stranieri all'anno, cioè 10 volte di più di quelli che
attualmente arrivano. E', ovviamente, ci servono regolari, perché solo
così pagano tasse e contributi INPS, non favoriscono il lavoro nero e
l'evasione fiscale e possono avere un reddito sufficiente per avere una
casa e fare una vita decente.
Certo se giornali, TV, politici e opinion leader continuamente ci
parlano d'immigrazione, criminalità e tasse troppo alte raccontandoci
una montagna di balle non c'è da meravigliarsi che la maggioranza dei
cittadini pensi che questi sono i più gravi problemi che
l'Italia ha e che quindi il governo deve affrontare.
Altri forse sono mossi da un egoismo idiota: “I
soldi che guadagno li voglio tutti per me, senza dare niente allo Stato”.
Non capendo che senza lo Stato non guadagnerebbero nemmeno un centesimo e
non ci sarebbero sanità pubblica, strade, energia elettrica, acqua,
trasporti, scuola, polizia, protezione civile, tutela dell'ambiente,
pensioni ecc.
Altri ancora, forse, semplicemente cercano di
rimuovere l'enorme problema del cambiamento climatico e
dell'inquinamento, anche perché non vogliono cambiare comportamenti a
cui sono affezionati. Mettono la testa sotto terra come gli
struzzi per non vedere il pericolo che incombe, concentrandosi su
questioni di scarsa o nulla rilevanza.
E' urgente invece darsi da fare per ridurre il più possibile le
emissioni inquinanti, scongiurare situazioni catastrofiche e
migliorare la situazione ambientale. Come?
Innanzitutto bisogna far capire ai governi, ai partiti, ai
politici e agli amministratori che questa deve essere
la loro priorità, che su questo soprattutto li giudicheremo.
Devono smetterla di promuovere, sostenere e finanziare attività inquinanti
(il trasporto privato, l'autotrasporto merci, le compagnie aeree, la
ricerca di combustibili fossili ecc.), adottare provvedimenti per ridurre
tali attività (tramite tasse ecologiche, divieti, limiti alle emissioni
ecc.), favorire le tecnologie sostenibili (tramite sostegno alla domanda,
incentivi economici, fondi alla ricerca ecc.), favorire gli investimenti
in attività sostenibili e di “riparazione ambientale” e penalizzare quelli
in attività inquinanti.
Contemporaneamente bisogna modificare i comportamenti personali:
usare meno auto e moto e più i muscoli (fa anche molto bene
alla salute, tanto che si consiglia di fare un'ora di attività fisica
leggera e un'ora di vigorosa al giorno); mangiare poca carne (una
volta alla settimana è più che sufficiente) e preferibilmente non di
vitello e più verdure e legumi (anche questo aiuta a prevenire malattie e
a stare bene in salute); accendere il calorifero solo quando è
veramente necessario e non a temperatura eccessiva;
consumare il meno possibile di energia elettrica (pochi
elettrodomestici, ad alta efficienza energetica e utilizzati con
intelligenza); bandire l'usa-e-getta; ridurre
il più possibile l'uso della plastica e dell'alluminio; comprare
meno cose e più durevoli; mangiare solo frutta e
verdura di stagione e coltivata il più vicino possibile; preferire
le cose prodotte vicino a quelle che vengono da lontano; non
sprecare il cibo o altri beni; ridurre gli imballaggi
e preferire i prodotti con pochi imballaggi; fare la raccolta
differenziata in maniera scrupolosa; evitare i viaggi
in aereo. E, in ultimo, fare un'opera d'informazione ed
educazione (con garbo e rispetto, senza saccenteria e
paternalismo).
Una recente ricerca dell'Università di Bologna ha evidenziato che una
parte consistente della popolazione è trattenuta dall'avere comportamenti
ecosostenibili dal timore di essere visti come “strani” e che c'è un
effetto a cascata: se pubblicamente si hanno comportamenti
ecosostenibili, altre persone, pronte a cambiare ma timorosi di
farlo, iniziaranno a metterli in atto e questo spingerà altri
ancora a sperimentare comportamenti più ecologici e poi ad
adottarli, finché in quel contesto diverrà “norma sociale” comportarsi
correttamente e una grande maggioranza adotterà tali comportamenti (non
fosse altro che per conformismo).
Questo fa ben sperare, come fa ben sperare che gli adolescenti e i
giovani siano le persone più sensibili alle tematiche ambientali
e che hanno creato in tutto il mondo un movimento per spingere i governi a
prendere provvedimenti e la popolazione tutta a rendere il proprio stile
di vita più ecosostenibile. Loro hanno capito che combattere
l'inquinamento e il cambiamento climatico oltre a essere un
comportamento intelligente per salvaguardare la nostra vita e il nostro
benessere, è un dovere morale, come prendersi cura dei propri figli o
non distruggere con i propri comportamenti la casa nella quale tutti
abitiamo.
Note: 1) National Oceanic and Atmospheric
Administration’s Centers for Environmental Information: State of the
Climate in the 2018; 2) European Severe Weather Database, 2019; 3) www.cmcc.it
2019; 4) MIT: Study of Critical Environmental Problems, 1972; 5)
elaborazione su dati dello studio ESCAPE; 6) Eurobarometro giugno 2019; 7)
https://sondaggibidimedia.com/sondaggio-ipsos-economia;
8) www.ipsos.com/it-it/ciak-migraction-indagine-sulla-percezione-del-fenomeno-migratorio-italia;
9) Eurostat: La criminalità in Europa, 2019; 10) Ministero degli Interni;
11) si veda www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2019/09/23/industriali-al-governo-servono-piu-migranti/5470330.
Il 12% delle famiglie degli operai è in una situazione di povertà
assoluta (cioè ha un reddito che non permette di soddisfare i
bisogni essenziali: mangiare, vestirsi, avere una casa, provvedere alla
salute e all’istruzione, muoversi, comunicare, informarsi). Nel
2007 solo l'1,5% delle famiglie degli operai era in questa condizione
[1].
Questo è uno dei dati più inquietanti del rapporto dell'ISTAT La
povertà in Italia. Le cause di un tale boom della povertà tra gli
operai sono da ricercare nella mancata crescita dei salari (anzi nella
decrescita perché i salari reali negli ultimi 10 anni sono
diminuiti del 2%), nell'aumento del part-time involontario e
nella riduzione dei servizi.
In totale in Italia 1.800.000 famiglie sono in situazione di
povertà assoluta, cioè oltre 5 milioni di persone
(l'8,4% degli italiani), di cui 1.260.000 minori. Nel 2008
erano la metà (940.000 famiglie, 2,6 milioni di persone).
L'aumento è avvenuto soprattutto nel 2011 e 2012 e tra il 2014 e il 2017
(cioè anche quando la crisi economica era finita).
La povertà ha colpito soprattutto gli stranieri (il rapporto considera
solo gli stranieri regolari), le famiglie con figli (soprattutto quelle
con 3 o più figli), con un solo genitore, del Sud Italia (qui il 12% delle
famiglie è in povertà, contro il 6,8% del Nord Italia e il 6,6% del
Centro).
Mentre 2,5 milioni di italiani diventavano poveri e molti poveri
diventavano ancora più poveri i ricchi sono diventati ancora più
ricchi: mentre nel 2007 l'1% più ricco possedeva il 17% della ricchezza
totale italiana ora ne possiede il 24% [2].
Siamo il 5° Paese al mondo per numero di super-ricchi
(persone con un patrimonio superiore a 100 milioni di euro) e al
9° posto per numero di milionari (persone con un patrimonio
superiore a 1 milione di euro): ben 400.000 persone [3].
Il private banking (cioè la gestione
finanziaria personalizzata da parte di banche di una somma di almeno
500.000 euro) ammonta in Italia a circa 944 miliardi di euro [4].
Questi dati danno un'immagine delle enormi disuguaglianze presenti nel
nostro Paese. Disuguaglianze che sono andate aumentando bloccando
i salari; rendendo sempre più precario, parziale e mal pagato il lavoro;
riducendo le tasse a ricchi e benestanti (abolizione dell'IVA
sui beni di lusso, riduzione delle tasse di successione e donazione,
riduzione della progressione fiscale dell'IRPEF ecc.).
E anche riducendo i servizi. Il taglio dei finanziamenti
ad ASL, ospedali, scuole, comuni, università, e vari enti pubblici non
solo ha ridotto i servizi ma ha significato anche blocco delle assunzioni
e diminuzione degli appalti, cioè aumento della disoccupazione e quindi
aumento della povertà.
Il ritornello che continuamente abbiamo sentito e “Non ci sono
soldi, quindi bisogna tagliare”. Ed effettivamente
coll'impoverimento di gran parte degli italiani lo Stato finisce per
incassare di meno con le tasse. Inoltre l'enorme debito pubblico
ci costa un mare di soldi (nel 2018 ci sono costati 64 miliardi di
interessi [5]). Ed è anche vero che vi sono molti sprechi e
attività improduttive, ma, purtroppo, più che intervenire oculatamente per
eliminarli o diminuirli, si è proceduto soprattutto con i tagli
indiscriminati.
Quello che non si sente mai dire e che si può leggere solo sui giornali
specializzati è che il private banking italiano è di 944
miliardi. Che è la dimostrazione che un'enorme massa di ricchezza
è in mano a pochi e che non è investita in attività produttive ma nella
speculazione finanziaria.
Quando si parla dell'economia italiana bisogna avere sempre presente l'enorme
evasione/elusione fiscale: tra i 107 e i 190 miliardi all'anno [6].
Siamo al primo posto in Europa e con un enorme distacco
dagli altri Paesi: in Italia l'evasione è più che doppia rispetto
al Regno Unito o alla Spagna [6].
Un altro argomento di cui poco si parla sono i “regali” elargiti dallo
Stato, frutto di “leggine” che vari gruppi di interesse sono riuscite a
far approvare e che sembra nessun governo ha il coraggio di cancellare.
Per esempio gli 880 milioni che ogni anno lo Stato dà ai
produttori d'acqua minerale, grazie all'IVA agevolata sulle
acque minerali al 10% invece che 22%; oppure i 457 milioni dati
agli armatori grazie alla norma che stabilisce l'esenzione
totale delle accise per i carburanti per le navi [7].
Ma invece di parlare di queste cose da anni si parla quasi
esclusivamente di immigrati, di una presunta invasione quando
il numero di stranieri che arriva in italia è sempre stato inferiore al
saldo negativo della popolazione (cioè non riesce mai a compensare il calo
demografico dell'Italia e in alcuni anni è stato 20 volte inferiore al
saldo negativo [8]). Oppure di criminalità e di sicurezza, quando
la criminalità da oltre 20 anni è in calo e l'Italia è uno dei
Paesi dove i cittadini sono più sicuri [8].
Si fa credere che sono gli immigrati che tolgono il lavoro mentre
è soprattutto la mancanza di risorse statali da investire nei
servizi e per favorire la crescita economica e l'occupazione.
E la criminalità diminuirebbe ancora di più e la sicurezza e il
decoro urbano sarebbero molto maggiori se si desse un'abitazione a chi
non l'ha, un lavoro a chi lo cerca, un reddito a chi non è capace di
procurarselo e si investisse nell'educazione, nella
socializzazione e nel recupero di chi delinque.
Le risorse occorrenti per poter realizzare tutto ciò ci
sono: vanno prese da chi è ricco e ha continuato ad arricchirsi
anche negli ultimi 10 anni e da chi evade ed elude le tasse.
Certo non è facile e non lo si fa con un colpo di bacchetta, ma è
possibile [9] e l'Unione Europea può essere uno strumento per realizzare
provvedimenti efficaci (soprattutto nella lotta all'elusione fiscale)
Forse prima dei politici lo devono capire gli italiani.
Perché se lo capissero smetterebbero di votare partiti e politici che
invece di contrastare le disuguaglianze, combattere l'evasione e
l'elusione fiscale e prelevare le risorse da chi ne ha in stragrande
abbondanza hanno additato nell'immigrato, nel mendicante, nel senzatetto,
nell'operaio o nell'impiegato pubblico la causa di tutti i problemi degli
italiani.
Note: 1) ISTAT; 2) www.oxfamitalia.org/wp-content/uploads/2019/01/Scheda-Italia_Inserto-Rapporto-Davos_2019.pdf; 3) Boston Consulting Group: Report: Global Wealth. Report 2019; 4) Magstat Consulting www.we-wealth.com/it/news/aziende-e-protagonisti/private-banking/private-banking-italia-alla-conquista-di-207-miliardi; 5) Ministero dell'Economia: DEF 2018; 6) Il Ministero delle Finanze stima 100 miliardi di evasione e 7 di elusione, la Corte dei Conti 130 miliardi di evasione/elusione all'anno e uno studio dell'Università di Londra ( Study and Reports on the VAT Gap in the EU-28 Member States: 2018FinalReport ) addirittura 190 miliardi; 7) 2) Ministero dell'Ambiente: Catalogo dei sussidi ambientali www.minambiente.it/sites/default/files/archivio/allegati/sviluppo_sostenibile/catalogo_sussidi_ambientali.pdf; 8) Ministero degli Interni; 9) Delle proposte concrete per ridurre l'evasione e combattere le disuguaglianze sono formulate dal gruppo degli economisti di Sbilanciamoci in una proposta di controfinanziaria http://sbilanciamoci.info/scarica-e-diffondi-la-controfinanziaria-2020.
Nell’ultimo messaggio riportavamo i dati che mostravano come il Nord e il
Centro Italia ricevano molti più finanziamenti da parte dello Stato
rispetto al Sud Italia. Lo Stato ogni anno dà al Nord e al Centro
735 miliardi di euro e al Sud 291 miliardi. Dividendo queste
cifre per il numero di abitanti risulta che ogni cittadino del
Nord e del Centro riceve dallo Stato 17.065 euro all'anno, mentre
ciascun cittadino del Sud 13.394 euro, cioè 3.671 euro
all'anno di meno. Se lo Stato avesse fatto parti uguali tra tutti
i cittadini il Sud avrebbe avuto 61,5 miliardi di euro all'anno in più e
il Centro e il Nord 61,5 miliardi di euro in meno [1].
L’ex ministro Erika Stefani, leghista, per sostenere
l’autonomia differenziata di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, ha
riportato dei dati dellaRagioneria Generaleche
evidenziavano come queste tre regioni erano quelle che ricevevano meno
fondi dallo Stato e come le regioni del Sud fossero
quelle che ne ricevevano di più. Una tesi sostenuta non solo dalla
ministra ma da tutta la Lega e da molti giornalisti, opinion leader,
politici. Ma la stessa Ragioneria dello Stato nel documento citato dalla
ex ministra avverte che tali dati sono parziali
perché si riferiscono solo ai trasferimenti diretti dello Stato alle
Regioni cioè riguardavano solo il 48%
delle spese correnti (trasferimenti ad amministrazioni locali,
stipendi a dipendenti pubblici ecc.) e solo 21% delle spese in
conto capitale (contributi per investimenti) [2]. Non venivano
considerati i fondi dati a INPS, ANAS, CNR, Fondo per lo sviluppo e la
coesione, Fondo per la crescita sostenibile, Fondo per la lotta alla
povertà e all'esclusione sociale, ecc. I dati Svimez invece tengono conto
anche di questi finanziamenti statali indiretti (cioè soldi che lo Stato
da a enti o fondi e che questi danno in misura diversa ai vari territori).
Possiamo dire che l’ex ministro leghista, nonché tutti quei
partiti, politici e giornalisti che l’hanno seguita hanno diffuso una
fake-news, una notizia falsa, una bufala. Infatti, come altro
si può definire fornire dei dati parziali per dimostrare il contrario di
quello che succede? La realtà invece è quella evidenziata dai dati del
Ministero delle Finanze e Istat e illustrata nel nostro ultimo messaggio:
gli enti locali del Sud forniscono meno servizi di quelli del Nord ma
ricevono molti meno soldi da parte dello Stato. Basti pensare che ogni
valdostano riceve ogni anno 25.492 euro e ogni campano solo 12.084.
Spesso si sente dire che il Nord e il
Centro è giusto che ricevano più soldi perché sanno spenderli meglio e
sono più efficienti, mentre il Sud è sprecone e inefficiente.
Ricordiamo che l'efficienza è il rapporto tra i servizi realizzati e le
risorse impiegate. L'agenzia SOSE del Ministero delle Finanze e Istat, in
una sua pubblicazione [3], calcola questo rapporto utilizzando gli
indicatori dei servizi offerti da comuni e regioni (il numero di
passeggeri trasportati e il numero di Km percorsi da autobus,
metropolitane, tram e funicolari in un anno; la percentuale di bambini di
0-3 anni iscritti agli asili nido; la percentuale di alunni a cui viene
garantita la refezione scolastica ecc. ) e la spesa sostenuta. Viene anche
calcolato un indicatore globale di tutti i servizi offerti (trasporti,
sanità, politiche sociali, cultura, ambiente e gestione dei rifiuti,
polizia locale, sostegno alle attività produttive), così da potere
calcolare l'efficienza complessiva di un comune o di una regione. I
risultati che emergono sono molto più complessi e meno schematici del
luogo comune “Nord e Centro efficienti e Sud inefficiente”. Infatti nel
2010 il Comune più efficiente è Reggio Calabria seguito da Genova,
Torino, Ravenna, e poi da Bari e Milano. Agli ultimi posti
Taranto e Venezia. Napoli è un po' più in basso di metà lista
(uguale punteggio di Roma e Bologna), ma meglio di Firenze e
Padova.
Nel 2013 la situazione cambia notevolmente: Napoli, Bari, Foggia,
con un bel balzo in avanti, si piazzano pari merito con
Torino e Genova. Reggio Calabria precipita all'ultimo posto, Venezia
rimane al penultimo posto e Firenze
e Padova nella parte bassa della lista.
I dati del 2013 sono gli ultimi ufficiali, ma l'Università
Cattolica di Milano nel 2019 pubblica uno studio
relativo all'anno 2016. La situazione cambia ancora:
la città più efficiente è Pisa, seguita da Parma e Padova. Milano
Genova e Roma sono a metà lista, Torino precipita a
tre quarti di lista e Napoli e Foggia addirittura tra le ultime [4].
Va detto che la metodologia di calcolo della Cattolica è diversa da
quella del SOSE per cui non è corretto fare confronti con i dati del 2010
e 2013.
Stando agli ultimi dati ufficiali (2013) la
regione più efficiente è il Molise, seguita dal Piemonte, Lombardia,
Veneto, Puglia e Calabria, poi seguono Campania, Marche
e Abruzzo, agli ultimi posti la Toscana e il Lazio (ma il
Lazio, avendo la capitale, deve svolgere funzioni che non possono non
peggiorare l'efficienza) [3].
Questi dati dovrebbero farci capire che la realtà è complessa
e che i luoghi comuni nella migliore delle
ipotesi sono delle schematizzazioni rozze e quasi sempre solo delle
costruzioni mentali che non hanno alcun riscontro nella realtà,
ma che continuiamo ad avere perché sono rassicuranti, perché rendono la
realtà semplice e prevedibile.
Note: 1) http://lnx.svimez.info/svimez/wp-content/uploads/2019/05/2019_04_09_nota_regionalismo-7.pdf;
2) www.rgs.mef.gov.it/_Documenti/VERSIONE-I/Pubblicazioni/Studi-e-do/La-spesa-s/Anni-prece/SSR-2017-stima.pdf;
3) SOSE: Dalla perequazione dei costi alla perequazione dei servizi 2°
parte www.sose.it/it/west/workshop-economico-statistico-e-tecnologico-2017;
4) https://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-Efficienza_dei_comuni_nelle_regioni_a_statuto_ordinario_OCPI_AB_220519.pdf.
Nell’ultimo messaggio riportavamo i dati di un'agenzia del Ministero
delle Finanze e ISTAT (SOSE) che mostravano come il luogo comune di un
Nord e Centro Italia efficienti e del Sud Italia inefficiente e sprecone
non risponde ai fatti, perché la situazione è molto meno schematica e
varia anche nel tempo. Secondo gli ultimi dati ufficiali (purtroppo
relativi al 2013) le città più efficienti sarebbero Torino,
Genova, Napoli, Bari, Foggia, agli ultimi posti troviamo Reggio
Calabria, Venezia e Padova. A livello regionale la regione più
efficiente è il Molise, seguita dal Piemonte, Lombardia, Veneto, Puglia
e Calabria, poi seguono Campania, Marche e Abruzzo,
agli ultimi posti la Toscana e il Lazio [1].
Sull'efficienza/inefficienza va anche precisato che non è detto che
dipenda sempre da colpe di chi gestisce e amministra.
L'efficienza dipende anche dal contesto in cui si opera
(infrastrutture e servizi migliori, una popolazione più istruita e più
ricca ecc.) e dalle risorse di cui si dispone. Vediamone
alcuni esempi.
Se un'alta percentuale di persone non paga i biglietti dei mezzi
pubblici il servizio sembrerà inefficiente perché risulterà che
gli utenti trasportati sono pochi. Il numero degli utenti infatti viene
desunto dal numero di marcature e se molti non marcano risulteranno meno
della realtà. Questo comportamento riprovevole (se usufruisco di un
servizio è giusto che lo paghi) e non lungimirante (se pochi pagano i
biglietti la società che gestisce il servizio non avrà entrate sufficienti
per comprare nuovi autobus, assumere altri autisti ecc. e quindi tutti
saremo danneggiati) più facilmente si verificherà lì dove la popolazione è
più povera e più ignorante o lì dove il servizio funziona peggio perché
per molti decenni lo Stato ha dato meno soldi a chi doveva organizzarlo e
gestirlo.
Un altro esempio: in un territorio pianeggiante è più facile
realizzare servizi rispetto a uno montuoso ma (per fortuna)
ancora abitato. Quindi realizzare un'assistenza domiciliare in Trentino,
Alto Adige, Abruzzo, Calabria è molto più difficile e costoso che non in
Emilia-Romagna.
Le caratteristiche di Venezia rendono più costoso l'erogazione di alcuni
servizi. Roma, essendo la capitale e “ospitando” il papa e la Città del
Vaticano, deve svolgere funzioni che incidono sull'efficienza.
Ancora, potere disporre di risorse adeguate è estremamente
importante, perché permette di comprare attrezzature più efficienti, di
ripararle o sostituirle prontamente se si guastano, di
investire nella formazione e nell'aggiornamento del personale,
di assumere figure professionali più consone al mutare del contesto (per
esempio informatici, esperti in gestione aziendale o dietisti nelle ASL),
di evitare i pagamenti ritardati che finiscono per far lievitare i
prezzi e spesso determinano contenziosi legali con ulteriori
spese per gli enti pubblici.
Alcuni pensano che per migliorare l'efficienza bisogna “punire” l'ente
inefficiente (per esempio riducendo i fondi assegnati a quell'ente).
Spesso tale strategia ha determinato un'ulteriore riduzione di fondi a chi
già ne riceveva pochi, aumentando così le disuguaglianze tra i cittadini
di una stessa nazione.
Le inefficienze purtroppo esistono ma per combatterle le soluzioni
semplici (come quasi sempre succede) non funzionano. E'
necessario, invece, un approccio complesso: analizzare la
produttività e l'efficienza, e lì dove sono basse cercare di capire quali
problemi ci sono (attrezzature vecchie? Contesto difficile? Poco o troppo
personale o con qualifiche e non rispondenti alle esigenze? Pochi o troppi
fondi? Scarsa professionalità? Scelte sbagliate? Malcostume? Corruzione?
Ecc.) e agire di conseguenza.
Quello che sicuramente deve essere evitato è ragionare sulla base
di luoghi comuni e stereotipi (“Sud inefficiente e sprecone,
Nord efficiente e virtuoso”, “Meridionali pigri e indolenti,
settentrionali stakanovisti e rampanti”) o in base a logiche
campanilistiche ed egoiste (“Prima gli italiani, prima il Nord,
il Centro, il Sud, la mia Regione, il mio Comune, il mio municipio, io”).
In questa maniera si alimentano solo i risentimenti e i conflitti,
si crea l'humus ideale per l'emergere di demagoghi e truffatori e
si finisce per stare peggio tutti.
Ormai è assodato che le disuguaglianze economiche e sociali sono
un importante freno allo sviluppo, che la carenza di
coesione sociale è un enorme problema per qualsiasi società,
che il non saper fare squadra, rete, sistema è una grave
debolezza e non solo per l'economia. Il declino dell'Italia e
dell'Europa dipende anche da questi fattori.
Anche la matematica, con la teoria dei giochi, ha dimostrato che
l'egoismo, il “prima io” (o l'insieme di cui reputo di far
parte) è una strategia che ha molte più probabilità di fallire e
danneggiare tutti (compreso chi la mette in atto)
della cooperazione e condivisione.
Quindi, bandiamo i luoghi comuni e gli stereotipi, ogni forma di egoismo
personale e sociale e battiamoci per una società più giusta, più
fraterna, più solidale. Staremo tutti meglio.
Note: 1) SOSE: Dalla perequazione dei costi alla perequazione dei servizi
2° parte www.sose.it/it/west/workshop-economico-statistico-e-tecnologico-2017.
“Meno reati, ma sempre più stranieri a commetterli” (Corriere della
Sera), “Criminalità: reati in calo, uno su tre commesso da cittadini
stranieri” (Repubblica), “I dati non mentono, straniero un reato su tre”
(Il Giornale), “Stranieri e criminalità: il problema esiste, lo dice il
capo della polizia” (Panorama).
Quasi tutti i giornali hanno titolato o scritto così negli articoli che
hanno ripreso le dichiarazioni del capo della polizia Gabrielli al
Festival delle Città tenuto a Roma ai primi di ottobre.
Gli articoli si somigliano molto e somigliano a quello dell’ANSA titolato
“Gli stranieri coinvolti in un reato su tre”. Ma il capo della
polizia ha veramente dichiarato quanto riportato dai giornali e
televisioni? No.
Testualmente ha detto: “Nel 2016 su 893mila persone denunciate e
arrestate, il 29,2% erano stranieri; nel 2017 gli stranieri sono aumentati
al 29,8%; nel 2018 sono arrivati al 32%”. Quindi tra le persone
“denunciate e arrestate” la percentuale di stranieri è in aumento, e,
attualmente, un denunciato o arrestato su 3 è straniero. Gabrielli,
quindi, non ha detto che un reato su tre è commesso da stranieri.
Ha solo spiegato che un denunciato/arrestato su tre è straniero.
Sono due cose molto diverse e un giornalista, che dovrebbe conoscere bene
la lingua italiana, dovrebbe saperlo e informare correttamente i suoi
lettori/ascoltatori.
Se avete subito un furto o uno scippo o una rapina e avete sporto
denuncia, quasi certamente l’avete sporta contro ignoti, perché è molto
improbabile che sappiate i nomi di chi vi ha rubato, scippato o rapinato.
Infatti in Italia il 95% delle denunce riguardanti i furti sono
contro ignoti, il 97% delle denunce riguardanti i borseggi, il
93% di quelle sugli scippi e oltre il 97% dei furti di auto e ciclomotori
sono contro ignoti [1]. Non solo, alcuni reati sono molto poco denunciati.
Per esempio solo l’8% delle donne stuprate denuncia di aver subito
una tale violenza [2].
Quindi su 100 persone che commettono reati come rapine, furti,
scippi, stupri sono denunciate o arrestate circa il 3-8% (a
seconda dei reati). Quindi del 92-97% di questi reati non sappiamo chi lo
ha commesso e se è italiano o straniero.
Se questo 92-97% fosse commesso tutto da italiani e un terzo di quel 3-8%
dagli stranieri, solo da 1 a 3 reati su 100 sarebbe commessi da stranieri.
Certo è difficile che i reati non denunciati o con denunce contro ignoti
siano commessi tutti da italiani, ma in alcuni casi ci si avvicina molto.
Per esempio, intervistando un campione di donne italiane, si viene a
sapere che la maggioranza degli stupri è commessa dal partner (il
64%), poi da parenti (15%), da amici (10%), da datori di
lavoro, colleghi, amici dei genitori [3]. Poiché è difficile che
una donna italiana abbia partner, parenti, amici, datori di lavoro,
colleghi e amici dei genitori stranieri, possiamo dire che la
stragrande maggioranza degli stupri è commessa da italiani, e che meno
del 10% è commesso da stranieri. Eppure circa il 40% dei denunciati e
arrestati per stupro è straniero [3].
Pensare che quello che avviene nel 3-8% dei casi accade nel 100% dei casi
è un grave errore. Soprattutto quando questo 3-8% non è un campione
significativo. Infatti per essere significativo un campione deve essere
preso con un metodo casuale (per esempio traendo a sorte un certo numero
di casi) e i dati di Gabrielli non provengono da un campione siffatto.
Inoltre non vi devono essere bias, cioè distorsioni. Nel nostro caso la
probabilità di partenza di commettere un reato deve essere uguale negli
stranieri e negli italiani, ma in Italia oggi non è così. Ecco alcuni
esempi.
Se un italiano non ha con sé un documento di identità, questo non
è un reato, ma per uno straniero sì.
Se a uno straniero è scaduto il permesso di soggiorno e rimane sul
suolo italiano sta commettendo un reato, mentre a un
italiano non potrà mai capitare di commettere un tale reato. Lo
stesso si può dire per gli stranieri che sono entrati senza permesso in
Italia (perché in fuga da guerre, regimi dispotici o dalla fame) finché
non sono “regolarizzati” essi risultano colpevoli del reato di
immigrazione clandestina, un reato che gli italiani, anche volendo, non
possono compiere. Ora si stima che nel nostro Paese ci siano
circa 550.000 immigrati irregolari, cioè 550.000 persone che per il
semplice fatto di non avere un permesso di soggiorno sono considerate
criminali dalla legge italiana. Di quel terzo dei denunciati o
arrestati, quanti lo sono perché semplicemente immigrati irregolari, cioè
persone che non hanno rubato un centesimo né torto un capello a
qualcuno, ma che si trovano ad avere commesso un reato perché
così ha deciso una legge del 2009 (legge 94) che ha introdotto un reato,
che prima non esisteva e nel quale un italiano non può incorrere e che,
anche per questo, molti giuristi ritengono anticostituzionale.
Se si fa una legge che dice che l’avere i capelli neri è un reato,
poi sicuramente risulterà che chi ha i capelli neri commette più reati di
chi li ha biondi. Ma perché è più delinquente? No, perché così ha deciso
chi ha varato quella legge (la legge che introduce il reato di
“clandestinità” l’hanno voluto Lega, Forza Italia e Alleanza Nazionale e i
governi che dal 2009 a oggi si sono succeduti non l'hanno abrogata).
Ogni volta che leggiamo che una perquisizione in un campo o una fabbrica
ha trovato x soggetti extracomunitari non in regola, significa che quelle
x persone sono state denunciate o arrestate per il reato di immigrazione
clandestina e che sono andati a ingrossare le fila degli “stranieri
denunciati o arrestati” e degli “stranieri che commettono un reato”, anche
se il reato, quello vero, quello che danneggia i produttori e gli
imprenditori onesti nonché tutti noi è stato in realtà commesso da chi
sfruttava questi poveri cristi, pagandoli quattro lire proprio perché
“irregolari” e quindi senza diritti e senza possibilità di ribellarsi.
Quanto detto già spiega perché vi sono tanti stranieri tra i
denunciati e arrestati. Ma c’è dell’altro.
Numerosi studi hanno dimostrato che gran parte delle persone, dei
poliziotti e in misura minore dei pubblici ministeri e dei
giudici ha pregiudizi negativi più o meno forti nei confronti
degli stranieri, tra cui quello che più facilmente delinquono.
La probabilità di essere fermato dalla polizia per un controllo è
di 10 volte maggiore se si è stranieri [4]. Ovviamente poiché
gli italiani sono meno “controllati” degli stranieri è più raro scoprire i
nostri concittadini non in regola, mentre tra gli stranieri sarà
estremamente frequente.
Purtroppo i pregiudizi degli agenti di polizia fanno anche peggio. Nei
loro rapporti spesso si leggono frasi come queste [4]: “E’ stato tratto in
arresto perché non svolge attività lavorativa, per cui si presume che
tragga sostentamento da attività illecite”, “In considerazione
della negativa personalità dell’indagato (trattasi di persona senza
fissa dimora e senza regolare fonte di reddito) è stato trattenuto ... ”.
Ora l’arresto o la denuncia dovrebbero avvenire non in base a
presunzioni tutte da dimostrare, ma a qualche prova
degna di questo nome. Invece finisce che se sei straniero,
senza dimora, senza lavoro, povero, vestito di stracci ecc. e soprattutto
se hai più di una di queste condizioni allora per ciò stesso sei un
soggetto pericoloso, hai una personalità negativa e quasi certamente sei
un delinquente, per cui meriti di essere denunciato e arrestato. Per
fortuna molti di questi arrestati e denunciati sulla base di pregiudizi e
supposizioni degli agenti di polizia poi sono assolti e scarcerati da
parte dei giudici che vogliono qualche prova per emettere una condanna, ma
nel frattempo hanno anche loro ingrossato le file degli stranieri
denunciati o arrestati.
Da quanto detto appare chiaro che:
- non è vero che un terzo dei reati è commesso da stranieri;
- alcuni reati (che fino a 10 anni fa non erano tali
perché considerati solo degli illeciti amministrativi) possono
essere commessi solo da stranieri, per cui si è deciso per legge che
550.000 persone sono criminali pur non avendo fatto niente di male;
- uno straniero, per il semplice fatto di essere tale, ha molta
più probabilità di essere controllato, denunciato, arrestato e,
probabilmente, condannato, rispetto a un italiano e ciò anche
se non ha fatto nulla di male:
- i dati citati da Gabrielli non dimostrano la maggiore
delinquenzialità degli stranieri ma la discriminazione e i pregiudizi di
cui sono vittime;
- i numerosi giornali che hanno scritto “in Italia un
reato su 3 è commesso da uno straniero” hanno scritto il falso
e hanno riportato in maniera del tutto errata le dichiarazioni del capo
della Polizia (le uniche eccezioni che conosciamo sono Fanpage, Africa
Rivista e Cronache di Ordinario Razzismo, che hanno spiegato come stanno
realmente i fatti e Avvenire e Il Manifesto, che hanno riportato solo la
notizia dei reati in calo).
Negli ultimi 20 anni la criminalità è nettamente diminuita
(le rapine in banca si sono più che dimezzate, i furti d’auto sono
diminuiti di circa il 25%, gli stupri del 30% [5]) eppure gli
italiani si sentono più insicuri e l’80% ritiene che ci sia più
criminalità [6]. Questo netto calo della criminalità è avvenuto
mentre il numero di stranieri presenti sul nostro territorio andava
aumentando sempre più, eppure la stragrande maggioranza degli italiani è
convinta che essi sono un problema per l’ordine pubblico e la causa
principale dell'infondato aumento della criminalità.
Perché accade questa cattiva percezione della realtà? Perché siamo
influenzati dagli organi di informazione e da quello che dicono le
persone che conosciamo [7]. Se quasi tutti i giornali e le
televisioni ci raccontano che un reato su 3 è commesso dagli stranieri, le
persone ci credono e ne parlano con altri e si diffonde e rafforza la
paura verso gli stranieri. Se nei TG nazionali fra le prime 3
notizie c'è quasi sempre una di cronaca nera, molto spesso la
seconda [6], la gente si convince che la criminalità è
diffusissima. Se il 92% di tutti i servizi di Studio
Aperto ha come tema la criminalità e soprattutto quella commessa da
stranieri, se il 67% dei servizi TG5 fa lo stesso [6] è
inevitabile che la gente vede delinquenti dappertutto e ha paura degli
stranieri.
Che fare? Dobbiamo avere più spirito critico,
non prendere per oro colato tutto quello che ci raccontano, non
diffondere notizie prima di essere sicuri che siano vere (verificando
su un sito antibufala quelle più eclatanti e strane). Bisogna poi diffidare
di quei giornali e giornalisti che più volte hanno riportato notizie non
vere o distorte e informarsi non solo attraverso i canali
televisivi e i giornali più diffusi ma, almeno ogni tanto, anche
attraverso organi di informazione piccoli ma autorevoli (ad
esempio www.cronachediordinariorazzismo.org
e www.asgi.it per le questioni relative
agli stranieri oppure www.sbilanciamoci.info
per le questioni economiche).
Ovviamente è fondamentale diffondere le notizie della Marco
Mascagna, come questa che oggi ti abbiamo inviato.
Note: 1) http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCCV_DELITTIPS;
2) ISTAT 2017 www.istat.it/it/archivio/203838;
3) https://www.istat.it/it/violenza-sulle-donne/il-fenomeno/violenza-dentro-e-fuori-la-famiglia/numero-delle-vittime-e-forme-di-violenza;
4) Padovan D: Meccanismi di valutazione della moralità e dell’identità
sociale degli attori soggetti a provvedimenti restrittivi, in MosconiG,
Padovan D: La fabbrica dei delinquenti, Torino, 2005; 5) I dati sono
tratti dai Rapporti sulla Criminalità del Ministero degli Interni; 6) www.fondazioneunipolis.org;
7) Coluccia A, Ferretti F, Lorenzi L, Buracch T: Media e percezione della
sicurezza: analisi e riflessioni, Criminologia 2/2008.
Le ricerche scientifiche dimostrano che le persone sottostimano
le disuguaglianze economiche presenti nel proprio Paese: si
pensa che i poveri siano meno poveri e meno numerosi di quello che in
realtà sono e che i ricchi siano meno ricchi [1, 2].
E' interessante che più si è ricchi e più si sovrastima il
reddito medio dei poveri o di alcune categorie (operai semplici
ecc.) e più si è poveri e più si sottostima il reddito di ricchi
e benestanti (quello dei supermanager per molti poveri è
talmente inimmaginabile che viene enormemente sottostimato o ci si rifiuta
di rispondere) [1].
Una ricerca ha evidenziato che i ricchi prestano meno attenzione ai
passanti e “non vedono” i poveri [3].
Se si chiede alle persone se ritengono di essere sottopagati, sono
soprattutto i benestanti che rispondono di sì (il 24% dei
laureati risponde “molto più basso del giusto”, mentre tra quelli che
hanno al massimo il diploma sono il 20%) e mentre i primi danno come
motivazione “perché io valgo di più”, i secondi danno come motivazione
soprattutto “perché non riesco ad arrivare alla fine del mese” [1].
Molte ricerche evidenziano che ricchi e benestanti ritengono di
valere molto e di meritarsi quanto guadagnano (e anche di più), mentre
chi è povero o ha uno stipendio basso ha un giudizio più severo su di sé
e bassa autostima [1, 4].
Deve far riflettere il fatto che in società nelle quali la
disuguaglianza socio-economica è alta sono molto
diffuse le opinioni che ciascuno meriti la propria condizione,
che se si è ricchi o si ha una professione alta è perché si hanno molti
talenti e ci si è impegnati duramente, mentre se si è poveri o si
svolge una “professione” bassa è perché non si ha talento, non ci si è
impegnati o si ha qualche vizio o difetto.
Queste convinzioni sono un significativo ostacolo verso una
società più equa e solidale, perché fanno percepire le enormi
disuguaglianze economiche come qualcosa di accettabile e addirittura di
giusto: nella “gara” della nostra società vincono i migliori. E' la
meritocrazia, che è buona e che, per questo, dovrebbe essere maggiormente
messa in pratica. Ora, se meritocrazia significa che determinati posti
devono essere occupati da chi ha più competenze e conoscenze per svolgere
bene le funzioni proprie di quel posto, essa è sicuramente qualcosa di
buono. Ma se meritocrazia significa che è merito delle persone
avere quelle competenze e conoscenze e quindi guadagnare di più (anche
enormemente di più) di chi non le ha, questo non è per niente giusto.
I “meriti”, infatti, sono merito nostro solo in minima parte.
Infatti, alcuni “meriti” sono caratteristiche e disposizioni
innate e quindi frutto del caso.
Il contesto nel quale si vive gioca poi un ruolo ancor più
determinante, perché può permettere di far sviluppare e mettere
a frutto i talenti avuti alla nascita e perfino di sopperire alla loro
quasi totale assenza.
Se Einstein nasceva nel Camerun non avrebbe imparato nemmeno a
leggere e scrivere. Se Zuckerberg, invece di
essere figlio di due medici fosse stato figlio di due spazzini,
non avrebbe mai iniziato a prendere lezioni private di informatica già a
dieci anni e non si sarebbe mai potuto iscrivere all'Università di
Harvad e non avrebbe mai creato facebook diventando uno degli
uomini più ricchi del mondo. Se Lapo Elkann non fosse stato il
trisnipote di Giovanni Agnelli, ricco proprietario terriero tra
i soci fondatori della FIAT, ora, quasi certamente, non sarebbe
nessuno.
In Gran Bretagna solo il 9,5% dei medici, avvocati e laureati in
economia e commercio sono figli di operai, contadini e impiegati di
basso livello [5].
In Italia il 65% dei figli di laureati è laureato, mentre solo il
14% dei figli di genitori con al massimo il diploma superiore lo è;
il 73% degli studenti con almeno un genitore laureato frequenta un liceo,
mentre è estremamente raro che un figlio di un laureato frequenti un
istituto professionale [6].
Ma anche a parità di titolo di studio chi viene da una famiglia di
basso reddito o istruzione occupa posti meno prestigiosi e guadagna meno
(in Gran Bretagna in media 11mila sterline in meno all’anno per chi lavora
in ambito finanziario, 9mila sterline in meno per chi è occupato nei media
o nel settore giuridico e 5mila sterline per chi è medico) [7].
Chi viene da una famiglia ricca o benestante può iscriversi a
scuole o università più prestigiose, può accettare di svolgere
tirocini non retribuiti o stage sottopagati, può dedicare anche
anni alla costruzione del proprio futuro, mentre chi viene da
una famiglia non benestante è costretto a fare scelte diverse, dettate
dalla necessità economica.
Non solo, chi ha genitori colti e benestanti si esprime meglio,
si comporta in maniera “più distinta”, si veste meglio, frequenta
ambienti che favoriscono incontri e relazioni con persone che
contano ecc.: tutte cose che favoriscono il successo.
Le interviste ai laureati che provengono da famiglie di basso ceto
dimostrano quanto pesi lo stress generato dal non sentirsi adatti nel
proprio posto di lavoro, dal vivere ogni giornata con l’ansia di venire
giudicati “di basso rango” e dal sentirsi costretti a fingere per
allinearsi a un “atteggiamento dominante”. Sono meccanismi che portano
alla convinzione di non valere abbastanza e che per questo non si fa
carriera [4].
Queste differenze tra “ricchi” e “poveri” si determinano già poco dopo la
nascita. I genitori laureati nel 40% dei casi comprano libri per
i propri figli già prima che compiano l'anno e li sfogliano insieme e li
illustrano e li leggono. Solo l'1% dei genitori con licenza elementare e
solo il 10% di quelli con licenza media si comportano così [8].
I primi bambini a 4 anni hanno ascoltato in media 45 milioni di parole,
gli altri solo 26 milioni [9]. Anche per questo, nei bambini a
cui non si sono letti libri nei primi 3 anni di vita, la probabilità di
scarso rendimento scolastico, di rifiuto della scuola e d'evasione
scolastica aumenta enormemente.
Così, di generazione in generazione, le disuguaglianze si perpetuano e
spesso si accentuano.
La nostra società non è meritocratica, perché conta soprattutto la
famiglia in cui si è nati e il posto nel quale si è vissuto. L’ideologia
meritocratica occulta tutto ciò e tende a giustificare le diseguaglianze
che ci affliggono e che si perpetuano di generazione in generazione.
Un importante effetto collaterale di una cultura che interpreta i
talenti come merito e non come doni, è una drammatica carestia di
gratitudine, che è una caratteristica dei sistemi
meritocratici. L'atteggiamento più o meno contrario contro le
varie forme di sostegno a chi occupa i gradini bassi della scala sociale
e l'indifferenza e l'indulgenza verso ricchi e benestanti che
sottraggono decine e decine di miliardi alla collettività tramite
“furbizie fiscali” (da avere la residenza propria o della
propria azienda in un paradiso fiscale a fare risultare che un familiare
risiede dove si ha la casa di villeggiatura) forse è segno
proprio di questa mancanza di gratitudine per la fortuna che si
è avuta e del non percepire la necessità di aiutare chi è stato
molto meno fortunato e diminuire le disuguaglianze in modo che chi
veramente ha meriti possa riuscire a metterli a frutto anche se nato in
una famiglia povera e poco istruita.
Note: 1) https://journals.openedition.org/qds/623;
2) https://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0085293;
3) https://qz.com/816188/science-shows-the-richer-you-get-the-less-you-pay-attention-to-other-people;
4) Chiara Volpato: Le radici psicologiche delle disuguaglianze, Laterza
2019; 5) https://journals.sagepub.com/doi/abs/10.1177/0003122416653602;
6) www.lavoce.info/archives/52980/ma-lascensore-sociale-e-bloccato-dagli-anni-di-scuola;
7) https://blogs.lse.ac.uk/politicsandpolicy/introducing-the-class-ceiling;
8) Ronfani L, Sila A, Malgaroli G, Causa P, Manetti S: La promozione della
lettura ad alta voce in Italia. Quaderni ACP 2006; 9) Hart B, Risley TR:
The early catastrophe: The 30 million word gap. American Educator, 2003.
La plastica è un prodotto utilissimo che ha migliorato
enormemente le nostre condizioni di vita. Basta pensare al suo impiego in
ambito sanitario: siringhe, flebo, guanti e contenitori
sterili, endoscopi, cateteri, cerotti, punti di sutura, protesi
(cardiache, vascolari, oculistiche, odontoiatriche, ecc.). Le plastiche
ormai stanno dappertutto e, per questo motivo, se ne producono sempre di
più. La produzione annua 30 anni fa era di 30 milioni di
tonnellate, oggi e di 340 milioni (di cui il 20% nella UE).
Che fine fa tutta questa plastica? La maggioranza finisce
in discariche, una parte viene bruciata, una è riciclata, un’altra viene
dispersa nell’ambiente e una piccola quantità è riutilizzata più volte.
Poiché la plastica è una sostanza quasi indistruttibile, essa va
sempre più aumentando nei mari, laghi, fiumi, spiagge, suoli e gli
scienziati sono estremamente preoccupati.
Ha suscitato grande attenzione la notizia di un’ “isola di
plastica” nel Pacifico grande oltre 3 volte l’Italia
(1 milione di Kmq). Molti però ignorano che queste isole, pure se di
dimensioni minori, sono più comuni di quanto si pensa e sono presenti
anche nel Mediterraneo (per esempio tra l’isola d’Elba e
la Corsica) e che il nostro mare, pur essendo solo l’1% di tutti
i mari, contiene il 7% delle plastiche [1].
Pochissimi sanno che la plastica galleggiante
sui mari è solo l’1% della plastica presente. Il 99%, infatti,
è dispersa nella massa d’acqua o è depositata sul fondo. Non c’è ormai
tratto di mare esaminato che non sia risultato inquinato da plastiche,
anche quelli ritenuti più “sicuri”, perfino la Fossa delle Marianne [2].
Lo stesso può dirsi per spiagge, laghi, fiumi, suoli. Ovviamente più i
fiumi sono inquinati e più laghi e mari sono inquinati; più la plastica è
presente sul e nel suolo (comprese le spiagge) e più laghi, fiumi e mari
se ne riempiono.
La plastica è quasi indistruttibile ma si frammenta,
diventando sempre più piccola. Così le microplastiche,
cioè plastiche di diametro inferiore a 5 millimetri (non trattenibili
dagli impianti di depurazione), vanno aumentando sempre di più.
Microplastiche sono prodotte anche nel lavaggio di indumenti di pile e
quando si usano prodotti abrasivi (scrub ecc.). Mentre le plastiche di
grandi dimensioni (es. sacchetti) possono danneggiare e uccidere solo
alcuni animali (es. tartarughe, cetacei), le microplastiche
possono essere ingerite da numerosissime specie e possono anche essere
assimilate e distribuirsi nei vari organi.
I frutti di mare, per esempio, possono accumulare
notevoli quantità di microplastiche. E’ facile capire che anche l’uomo,
mangiando alimenti contaminati da microplastiche può finire per ingerirle
e probabilmente assimilarle.
Malgrado gli scienziati da vari decenni mettono in guardia contro questi
pericoli, non solo non si sono presi seri provvedimenti, ma anche la
ricerca scientifica è carente. Non sappiamo bene come si comportano le
microplastiche (sappiamo però che su di esse si depositano altri
inquinanti, per esempio gli idrocarburi); non conosciamo quanta plastica
ingerita viene assimilata dalle varie specie e cosa favorisce o contrasta
l’assimilazione; non sappiamo quali danni la presenza di microplastiche
può determinare e quali malattie può favorire.
Uno studio stima che ogni essere umano
ingerisca da 39.000 a 52.000 particelle di plastica l’anno. Chi
beve acqua in bottiglia di plastica assume molta più microplastica di
chi beve acqua di rubinetto (fino a 20 volte di più) [3]. Per
fortuna la stragrande maggioranza di questa plastica viene espulsa con le
feci, ma più ne ingeriamo e più è probabile che una parte venga assimilata
e, ad oggi, nessuno sa quali danni potrebbe determinare.
E’ come se fossimo le cavie di un enorme esperimento scientifico,
ma quando sapremo i risultati sarà troppo tardi per prendere provvedimenti
per salvaguardare noi e il mondo in cui viviamo. Per questo gli scienziati
ci dicono che dobbiamo arrestare al più presto l’immissione di plastica
nell’ambiente e studiare per bene il fenomeno per prendere successivamente
provvedimenti più mirati.
Certo non possiamo impedire l’uso della plastica in medicina perché
sarebbe un danno per la salute enorme, ma sicuramente possiamo
eliminare tutti quegli usi della plastica di scarsa o nulla utilità.
La UE ha bandito dal 2021 alcuni prodotti di plastica: piatti e posate (ma
non bicchieri), cannucce, vaschette di polistirolo, bastoncini cotonati
(in Italia questi sono già vietati dall’1 gennaio 2019).
Già adesso sono in vendita piatti, bicchieri e contenitori in
materiali compostabili. I più diffusi sono il PLA
(acido polilattico) e i materiali cellulosici. Ma
sono veramente più “ecologici”?
Alcune ricerche hanno valutato l’impatto dell’intero ciclo di vita
(produzione, consumo, smaltimento) di piatti di plastica, PLA, cellulosa e
piatti in ceramica lavati in lavastoviglie tipo mensa. Purtroppo le
ricerche sono finanziate dai produttori di plastiche e, soprattutto, vista
la nostra ignoranza sugli effetti delle microplastiche, non considerano i
potenziali impatti sull’ambiente e sulla salute di tale forma di
inquinamento. Per tali ragioni i dati riportati sull’impatto dei piatti e
bicchieri di plastica sono poco attendibili e quasi certamente
sottostimati (tali dati dimostrerebbero una quasi sostanziale parità di
impatto tra piatti di plastica e piatti di PLA).
Il raffronto tra gli altri tipi di piatti è molto più attendibile e
interessante. Nel caso che il 50% dei piatti fosse compostato e 50%
incenerito e che quelli in porcellana finissero tutti in discarica e
considerando 1000 piatti per quelli usa e getta e 1000 utilizzi di quelli
di porcellana, quest’ultima avrebbe un impatto
ambientale 4 volte inferiore ai piatti in PLA e 3 volte inferiore
rispetto ai piatti in cellulosa. I bicchieri in vetro
avrebbero un impatto 3 volte inferiore rispetto a quelli in PLA e
2 volte inferiore rispetto a quelli in cellulosa [4].
Ovviamente, se invece di essere lavati in lavastoviglie sono lavati a
mano, l’impatto ambientale dei piatti di porcellana si riduce ancora di
più.
Secondo un’altra analoga ricerca il piatto di porcellana risulta
5 volte meno climalterante di quello in cellulosa e 4,5 volte meno di
quello in PLA e 7 volte con meno effetti cancerogeni del piatto
PLA e in cellulosa. Nei vari impatti (sull’aria, mare, suolo,
biodiversità, effetti secondari cancerogeni, altri effetti sulla salute
umana ecc.) la porcellana vince sempre risultando da 30 volte a
0,5 volte meno impattante della cellulosa e da 10 a 2,5 volte meno del
PLA [5].
Insomma i piatti in PLA e in cellulosa non sono privi di effetti
ambientali negativi.
Ma c’è un altro aspetto da considerare. Attualmente in Italia
sono prodotti ogni anno poco meno di 11 milioni di tonnellate di rifiuti
umidi. Solo il 53% di esso viene raccolto in maniera differenziata e
trattato in impianti di compostaggio o di
biodigestione+compostaggio [6]. La causa principale di tale situazione è
la carenza di tali impianti e l’inciviltà dei cittadini. Se si
andrà diffondendo sempre più l’uso di stoviglie, contenitori e sacchetti
compostabili il rischio è che tutti questi rifiuti non saranno
compostati (come oggi metà dei rifiuti umidi non viene
compostato), ma bruciati, messi in discarica o dispersi
nell’ambiente.
La biodegradabilità di un piatto di PLA è abbastanza
buona nelle condizioni ottimali di un impianto di compostaggio, ma se
viene lasciato in un bosco, su una spiaggia o a mare, la sua
biodegradabilità è molto meno buona e può persistere anche per
anni.
Il rischio, quindi, è che succeda come per le stufe in pellet,
pubblicizzate come “ecologiche” e “a basso impatto ambientale” e poi
rilevatisi estremamente inquinanti (producono grandi quantità di polveri
fini e ultrafini, le più pericolose).
Il problema principale, forse, è che non vogliamo cambiare le
nostre abitudini fortemente impattanti sull’ambiente e vorremmo
soluzioni tecnologiche che ci permettano di non farlo e le aziende ci
illudono che è possibile.
Il modo ecologico di usare le stoviglie non può essere l’uso e
getta (anche se in PLA o cellulosa) ma l’uso di stoviglie
riutilizzabili e durature da lavare possibilmente a mano (nonché quello di
non cambiare i piatti ad ogni portata).
Il problema del freddo non va risolto con le stufe in pellet, ma
costruendo case ben coinbentate, vestendosi in maniera
pesante d’inverno, con un impianto di riscaldamento
con pannelli solari e caldaia a metano (e anche avendo un po’
più di sopportazione).
La mobilità ecologica non è quella basata su auto e moto
elettriche (molto costose e di notevole impatto ambientale),
ma quella basata sull’uso dei piedi, della bicicletta, dei mezzi di
trasporto collettivo.
Insomma le bacchette magiche (anche tecnologiche) esistono solo
nelle favole e non ci si può affidare a esse per risolvere
problemi gravissimi e riguardanti noi, i nostri figli e nipoti. E’
necessario valutare per bene l’impatto di ogni tecnologia, merce, opera e
bisogna sapere dire no a quelle troppo impattanti o di scarsa
utilità, avere comportamenti più ecosostenibili, fare in modo
che chi ci governi si interessi di più del bene dei cittadini e meno degli
interessi economici delle grandi aziende e degli speculatori.
Purtroppo i cittadini italiani pensano che i problemi più gravi
sono l’arrivo di qualche decina di migliaia di stranieri
(utilissimi per il nostro Paese se li regolarizzasse), la piccola
criminalità (in calo da 30 anni), le buche nelle
strade e le ong e si dimenticano di problemi gravissimi come il
cambiamento climatico, l’inquinamento, le enormi disuguaglianze, la
povertà, la disoccupazione. Ovviamente pensano così soprattutto perché
determinati giornali, TV, siti, politici e opinion leader vogliono così.
Per questo è importante fare un’opera di corretta informazione e
di dialogo con chi ha paure immotivate e scarsa consapevolezza dei
problemi effettivi.
Noi cerchiamo di dare il nostro contributo con queste “pillole di
informazione” e con documenti e materiali informativi e didattici che puoi
trovare sul nostro sito (www.giardinodimarco.it).
Note: 1) WWF: Fermiamo l’inquinamento da
plastica: come i Paesi del Mediterraneo possono salvare il proprio mare,
Report 2019; 2) Jamieson A et al: Microplastics and synthetic particles
ingested by deep-sea amphipods in six of the deepest marine ecosystems on
Earth, Royal Society Open Science, 2019; 3) Kieran D et al.: Human
Consumption of Microplastics, Environmental Science & Technology,
2019; 4) http://www.ecodallecitta.it/docs/news/EDC_dnws3043.pdf;
5) http://pro-mo.it/wp-content/uploads/2018/06/1.%20Ricerca%20Life%20Cycle%20Assessment%20%28LCA%29%20comparativo%20di%20stoviglie%20per%20uso%20alimentare.pdf;
6) ISPRA: Rapporto rifiuti urbani 2018, www.isprambiente.gov.it/it/pubblicazioni/rapporti/rapporto-rifiuti-urbani-edizione-2018
Ci sono troppe cose che non vanno nel nostro mondo e in Italia.
Non passa giorno senza che gli scienziati ci avvertano che siamo
sull'orlo di un precipizio e che, se non cambiamo rotta,
finiremo per caderci dentro.
I gas serra sono in continua ascesa e il loro valore attuale è il
più alto degli ultimi 800.000 anni. Il monitoraggio dei ghiacci
polari indica una continua diminuzione negli ultimi 30 anni. Il livello
degli oceani si è innalzato di 3 centimetri nell'ultimo decennio
e gli oceanografi temono che l'enorme massa di acqua dolce che si scioglie
dai poli possa alterare le correnti marine con effetti disastrosi
per molti Paesi (in particolare quelli europei) [1]. L'inquinamento
atmosferico provoca ogni anno oltre 40.000 morti nel solo
nostro Paese. Le microplastiche sono ormai presenti in ogni ambiente e
anche nei prodotti che mangiamo e aumentano sempre più perché sono
pressocché indistruttibili e la loro produzione continua e si incrementa.
Le disuguaglianze sono a un livello intollerabile dal punto di vista etico
ed economico: 2 miliardi e 370 milioni di persone (il 30% degli
uomini) sono in grave povertà, mentre l’1% della popolazione
mondiale detiene il 50% dell'intera ricchezza [2]. In Italia l'1%
più ricco detiene il 24% della ricchezza e l'80% più povero il 28%
[3]; 4.700.000 persone sono “povere assolute” (cioè non guadagnano tanto
da potere soddisfare i bisogni primari) e si stima che
50.000-100.000 persone sono senza tetto [4, 5].
Leggendo questi numeri angoscianti si è presi dallo sconforto e
viene da pensare: “Sono problemi talmente grandi e planetari che io non
posso fare nulla. Quindi meglio non angosciarsi, cercare di
non pensarci e continuare a comportarsi come sempre”.
Questo atteggiamento, che può sembrare di buon senso, non è per
niente saggio per vari motivi.
Alcune ricerche scientifiche hanno evidenziato che le persone
socialmente impegnate soffrono meno di depressione e ansia e si
dichiarano più felici. Non solo, darsi degli obiettivi, lottare
per raggiungerli, prendersi cura di qualcosa o di qualcuno sono
comportamenti che prevengono e curano la depressione. Avere
comportamenti ecosostenibili sembra ridurre l'ansia generata
dalla consapevolezza dei problemi ambientali e migliora l'autostima [6].
Quindi la nostra qualità della vita si salvaguarda di più
attuando comportamenti ecosostenibili ed equi e impegnandosi socialmente
che facendo finta che questi problemi non esistano e mettendo la testa
sotto terra come struzzi.
Chi ritiene che il nostro comportamento è ininfluente dovrebbe
considerare che si possono compiere delle azioni solo perché si ritiene
giusto compierle, indipendentemente dalla loro efficacia
pratica, perché la legge morale che è in noi lo esige. E chi ha un
comportamento etico è sicuramente più stimabile di chi non lo ha.
Ma c'è da chiedersi se è vero che i nostri comportamenti
ecosostenibili ed equi sono ininfluenti e se è vero che l'impegno non
produce frutti.
Innanzitutto va detto che nessuno ci chiede di risolvere i
problemi del mondo da soli, cosa veramente impossibile. Per
fortuna ci sono milioni e milioni di persone che in vario modo si
impegnano contro le disuguaglianze, il degrado dell'ambiente e
gli altri problemi della nostra
società. Ci si può impegnare in vario modo: avendo comportamenti
ecosostenibili e solidali e cercando di far prendere
consapevolezza di questi problemi e della necessità del cambiamento a
quante più persone è possibile (cioè sul piano culturale e,
per certi versi, microeconomico); oppure
collaborando con associazioni, gruppi, movimenti in iniziative
di salvaguardia dell'ambiente, di lotta alle disuguaglianze, di
solidarietà ecc. (cioè sul piano sociale); oppure
appoggiando quelle forze politiche e quei candidati che lottano
con coerenza contro le disuguaglianze e il degrado ambientale e
collaborando con loro (cioè sul piano politico e, per
certi versi, macroeconomico).
Quella che ci viene chiesta, in fin dei conti, è una scelta di
campo: agire nel piano culturale, sociale, politico ed
economico contro le disuguaglianze e il degrado ambientale, non per
perpetuare e incrementare questi problemi..
Si potrebbe obiettare che anche facendo così non si risolvono
questi problemi, perché le forze in campo sono impari: coloro
che si impegnano per il cambiamento sono una minoranza e hanno inoltre
meno potere.
Ciò oggi è sicuramente vero, ma non giustifica la rinuncia all'impegno e
il fatalismo per vari motivi.
Innanzitutto se è vero che questa minoranza non riesce a determinare un
cambiamento significativo o radicale essa riesce però a
determinare un argine al degrado ambientale e alle disuguaglianze e
talvolta dei miglioramenti. Per esempio l'impegno di
gruppi minoritari contro il buco d'ozono e i gas che lo causano
(i CFC) ha determinato, in un primo tempo, che alcune aziende hanno
eliminato tali gas dai loro prodotti per fare in modo che potessero essere
comprati da queste minoranze e, in un secondo tempo, il boom dei prodotti
senza CFC e il Trattato di Montreal che vieta la produzione e la vendita
di tali gas. L'effetto è stato che il buco d'ozono ha smesso di allargarsi
e si è notevolmente ridotto.
Gli stessi accordi di Kyoto e di Parigi sui gas serra, benché
insoddisfacenti e non risolutivi, pure hanno posto un certo argine alla
loro produzione, concedendo in questo modo un maggiore tempo per
affrontare in maniera efficace i cambiamenti climatici.
Lo stesso si può dire per l'impegno contro le disuguaglianze:
certamente continuano ad esserci e si sono anche accentuate, ma grazie a
tale impegno milioni di poveri hanno migliorato la loro situazione e altri
non hanno fatto ulteriori passi indietro (forse l'aumento delle
disuguaglianze è dovuto anche, o addirittura soprattutto,
all'indebolirsi del fronte di chi le combatteva).
In secondo luogo i gruppi minoritari possono crescere fino a
diventare maggioranze o, pur rimanendo minoranze, possono acquisire
l'egemonia nella società.
Poiché gli effetti del degrado ambientale o delle eccessive
disuguaglianze si vanno accentuando e interessano fasce sempre
più ampie di popolazione, ciò favorisce la presa di coscienza di
questi problemi e, quindi, la crescita e la determinazione di
questi gruppi minoritari.
Vari studiosi si sono interrogati sul ruolo delle minoranze e su quali
sono i fattori che fanno sì che una minoranza diventi influente o
egemone.
Moscovici, un famoso psicologo rumeno-francese, con brillanti studi ed
esperimenti ha evidenziato che i principali fattori sono l'avere
una posizione alternativa rispetto a quella dominante, il
saperla enunciare in maniera chiara, il portare
argomentazioni, la fedeltà alla propria posizione
(cioè il rimanervi saldamente fedele, opponendosi per tutto il tempo,
senza cedimenti, alle pressioni del gruppo egemone), la coerenza
(avere comportamenti coerenti con la propria posizione), l'unanimità
(la minoranza deve essere compatta nell'esprimere la propria posizione)
[7].
Altri studi hanno evidenziato che le argomentazioni sono più
convincenti se veritiere, se fanno perno su contenuti valoriali o
cognitivi degli interlocutori, se sono numerose e non
contradditorie e se il soggetto che vuole il cambiamento si
mostra attento all'interlocutore e "accogliente" (i comportamenti
spocchiosi sono deleteri) [8].
Ovviamente è più facile avere consenso tra chi subisce il problema o
condivide i valori posti dal gruppo minoritario.
In questa maniera la minoranza guadagna ascolto e stima e successivamente
consenso, diventando sempre più influente fino a divenire egemone o
maggioranza.
Insomma il futuro non è determinato ma offre innumerevoli
possibilità che dipendono in grandissima parte da come le persone si
comportano: se eticamente e con intelligenza, determinazione,
coerenza e mitezza possono svolgere un ruolo di grande importanza e
lasciare un segno positivo.
Questa estate tre amici hanno lasciato noi e questo mondo.
Pochi giorni fa è toccato a Gerhard Pöter e a Massimo Lampa; nel mese di
luglio a Giorgio Nebbia.
Gerhard Pöter, un prete
dell'ordine domenicano, ha lasciato la Germania per impegnarsi contro la
povertà e le disuguaglianze e ha fondato una comunità in uno dei
quartieri più poveri di San Salvador (Sector Primero-Crediza).
Con grande intelligenza e determinazione ha messo su una scuola per
l'infanzia (l'Asilo Sector Primero, adottato dalla Marco
Mascagna dal 1991), un laboratorio artigianale, una fattoria,
un ambulatorio medico, un laboratorio di
farmaci derivati da piante, un dispensario di
medicinali, una scuola elementare e "la
scuola sotto il cielo". In questa maniera ha
migliorato le condizioni di vita di quella povera gente, ha
dato un'educazione e un'istruzione a centinaia di bambini, lavoro
a decine di salvadoregni, ha svolto un'importante
azione di coscientizzazione sia nel Salvador che in Germania e
Italia.
Massimo Lampa è stato non solo un insegnante
ma un vero educatore, capace di instaurare relazioni
educative significative con i suoi studenti. Tra i fondatori
della Bottega del commercio equo e soldale E Pappeci (di cui è
stato anche presidente) e, successivamente, del Friarielli-GAS
(Gruppo d'Acquisto Solidale), con la sua opera silenziosa e
mite Massimo ha sostenuto produttori attenti all'ambiente, alla
salute e alla giustizia sociale e aiutato concretamente chi voleva avere
consumi più equi e ecosostenibili. Inoltre varie escursioni che
la Marco Mascagna propone ci sono state "insegnate" da Massimo.
Giorgio Nebbia, chimico, docente di merceologia ed
ecologo, è stato uno dei padri dell'ambientalismo italiano.
Ha scritto libri, articoli, tenuto conferenze in tutta Italia,
formando generazioni di ambientalisti. Intellettuale acuto ha
cercato di integrare ecologismo, marxismo e nonviolenza.
Impegnato fortemente anche sul piano politico, è stato deputato
della Sinistra Indipendente per due legislature (dal 1983 al
1992).
Il valore di queste tre persone, come di Marco, che ci ha lasciato
l'8 settembre di 28 anni fa, sta proprio nella loro tensione morale,
nella coerenza, nella mitezza, nella determinazione: sono la
dimostrazione che ognuno può dare un contributo significativo per
una società più giusta, più ecosostenibile, meno violenta, lasciando
frutti e semi che germogliano e fruttificano.
Note: 1) National Oceanic and Atmospheric
Administration’s Centers for Environmental Information: State of the
Climate in the 2018; 2) https://www.oxfamitalia.org/wp-content/uploads/2019/01/Bene-Pubblico-o-Ricchezza-Privata_Executive-Summary_Oxfam-2019.pdf;
3) www.oxfamitalia.org/wp-content/uploads/2019/01/Scheda-Italia_Inserto-Rapporto-Davos_2019.pdf;
4) ISTAT: La povertà in Italia. 2018; 5) Coldiretti: La povertà
alimentare e lo spreco in italia. 2018; 6) si veda la bibliografia
riportata nel messaggio 1 dell'8 gennaio 2019 scaricabile dal nostro
sito e dalla nostra pagina facebook; 7) Serge Moscovici, Psicologia
delle minoranze attive, Bollati Boringhieri, 1981; 8) Cacioppo JT.;
Petty RE, The Elaboration Likelihood Model of Persuasion,1984.
Da anni vari partiti, giornali, televisioni, opinionisti vanno dicendo
che l'immigrazione è uno dei principali, se non il primo, problema
dell'Italia.
Dicono che l'Italia non può accogliere una tale massa di persone
(tra 4.000 e 181.000 all'anno, media 79.000, cioè una “massa” di persone pari
allo 0,13% della popolazione italiana [1]), che con gli
immigrati aumenta la criminalità (cosa non vera perché la
criminalità è in diminuzione e gli immigrati delinquono meno dei nostri
concittadini [2]), che tolgono il lavoro agli italiani (in
realtà fanno i lavori che gli italiani non vogliono fare come
badanti, colf, pastori, braccianti ecc. [3]), che la presenza di persone
che dormono per strada o che chiedono l'elemosina è “contro il decoro
delle città” (ed è vero, perché è una vergogna che ci siano persone così
povere da non avere nemmeno una stanza dove abitare).
Il Governo 5Stelle-Lega (e in particolare il ministro Salvini) ha posto
l'immigrazione quale principale problema della società italiana.
Vediamo i provvedimenti presi (decreto sicurezza 4
ottobre 2018 e riduzione del compenso per i servizi di accoglienza) che
risultati hanno ottenuto dopo 9 mesi di loro applicazione.
Il decreto sicurezza ha reso più difficile avere asilo,
protezione e accoglienza umanitaria da parte dell'Italia, ha ridotto le
possibilità di rinnovo del permesso e ne ha diminuito la durata. In questa
maniera molti stranieri che prima avevano un regolare permesso ora non lo
hanno più, perché non rientrano nei nuovi requisiti.
L'effetto è stato (al 30 giugno 2019) che 56.000 stranieri che
prima avevano un permesso ora non lo hanno più [4]. Quindi è
aumentato in maniera consistente il numero di stranieri irregolari in
Italia.
Uno straniero con tutti i documenti in regola facilmente trova lavoro,
paga le tasse su quanto guadagna, versa i contributi INPS, trova una casa
dove abitare.
Uno straniero irregolare può lavorare solo a nero, non paga tasse,
non versa contributi, non riesce a trovare casa o la trova a prezzi più
alti (è reato affittare una casa a un irregolare). Poiché
lavorando a nero non si hanno diritti e si guadagna poco, molti
stranieri irregolari preferiscono chiedere l'elemosina o vendere merce
contraffatta o essere assoldati dalla camorra per spacciare droga.
Un irregolare, proprio perché spesso disoccupato o con occupazioni da
fame, facilmente finisce per vivere per strada,
aumentando il numero dei senzatetto.
Quindi il “decreto sicurezza”, creando 56.000 stranieri irregolari
ha diminuito il “decoro urbano” e la sicurezza dei cittadini e ha
favorito la criminalità (il lavoro nero, l'evasione fiscale, la
contraffazione, la camorra).
Un altro provvedimento del Ministro Salvini è stato quello di
ridurre il compenso a chi si prende cura dell'accoglienza dei migranti (cooperative,
società ecc.). Prima lo Stato dava 35 euro al giorno per ogni
migrante assistito (quando era ministro Maroni la quota era di
45 euro), ora si danno 21,5 euro.
Con i 35 euro bisognava garantire agli stranieri assistiti un
alloggio adeguato con relativa biancheria e pulizia,
disinfezione e disinfestazione periodica; vestiario; colazione,
pranzo e cena; prodotti per l'igiene personale; 2,5 euro
pro-capite/pro-die all'assistito sotto forma di carte prepagate (schede
telefoniche, snack alimentari, biglietti per il trasporto pubblico ecc.);
servizi per l’integrazione (mediazione linguistica e
culturale, corsi di italiano, servizio di informazione sulla normativa
concernente l’immigrazione, sostegno psicologico, assistenza sociale).
Con i 21, 5 euro le cose da garantire sono invariate, tranne che
il Ministero dell'Interno non richiede più il sostegno psicologico e
sociale e i corsi di italiano.
Una persona che ha lasciato i parenti, la casa, il proprio Paese, che ha
fatto un lungo e pericoloso viaggio, che probabilmente ha subito angherie
e violenze, che ha visto familiari o amici subire violenze o morire, ha
assolutamente bisogno di un sostegno psicologico per superare
positivamente questi traumi e potersi inserire nella nostra società.
Anche imparare la nostra lingua e i nostri usi e costumi è
fondamentale per potersi integrare. Eppure il Governo non
chiede più di garantire il sostegno psicologico e i corsi di italiano.
L'effetto di questo provvedimento salviniano è stato che molte
cooperative hanno deciso di non partecipare più alle gare per
l'assegnazione dei servizi di accoglienza/integrazione banditi
dalle prefetture, perché con 21,5 euro non riescono a garantire i servizi
richiesti e a dare i giusti compensi ai lavoratori ingaggiati (avvocati,
mediatori culturali, ditte di pulizia, servizi mensa ecc.). Per esempio,
le cooperative legate alla Caritas hanno deciso di non partecipare ad
alcun bando perché bisogna dare la giusta paga ai lavoratori, per cui la
Caritas si impegnerà nell'accoglienza/integrazione solo come attività di
volontariato. Decisioni simili sono state prese dai valdesi, da Oxfam e da
altre organizzazioni.
La riduzione della retribuzione per gli enti che si impegnano
nell'accoglienza/integrazione decisa dal Governo 5Stelle-Lega ha
determinato vari effetti negativi:
- molte persone hanno perso il lavoro (psicologi,
insegnanti di italiano, mediatori culturali, avvocati, addetti alle
pulizie e ai servizi mensa ecc.). Nei primi 4 mesi dell'anno
4.070 persone che lavoravano in enti che assistono rifugiati o
richiedenti asilo hanno perso il posto. Il dato riguarda soggetti
segnalati alla CGIL, ma il sindacato stima che ne siano almeno 5.000 e che
entro fine anno saliranno ad almeno a 15.000, perché è in
questi mesi che vanno in scadenza i vecchi contratti e devono essere
rifatti i bandi [5]. Quindi si è tolto il lavoro agli italiani e
non sono stati gli stranieri a toglierlo ma le scelte del Governo
5Stelle-Lega.
- poiché questi lavoratori che hanno perso il posto hanno diritto alla
indennità di disoccupazione (alla NASpI), si stima che lo Stato
dovrà sborsare circa 200 milioni di euro all'anno per pagare l'indennità
a queste 15.000 persone [5].
- il danno economico è però maggiore perché va considerato anche l'indotto
(per esempio i proprietari di case o alberghi che affittavano alle
cooperative impegnate nell'assistenza, i fornitori di alimenti ecc.)
- c'è il rischio che ai bandi parteciperanno soprattutto quei
soggetti che non hanno scrupoli a non garantire agli assistiti
quanto previsto nel contratto con la Prefettura e ai lavoratori il giusto
compenso
- ci saranno in Italia più stranieri che non sanno l'italiano, non
conoscono le nostre leggi, i nostri usi e costumi, che hanno problemi
psicologici. Cioè persone che non riescono a integrarsi o che
non vogliono integrarsi e solitamente sono proprio questi stranieri che
sono percepiti dalla popolazione come disturbanti, minacciosi, pericolosi
(e talvolta lo sono realmente).
Insomma Lega e 5Stelle con i provvedimenti sui migranti hanno
turlupinato soprattutto i loro elettori e fans. Prima hanno
sollevato il “problema degli stranieri”, del decoro urbano, della
delinquenza, della sicurezza e poi hanno preso provvedimenti
demagogici che, invece di ridurre al minimo i problemi legati
all'immigrazione e favorire i suoi effetti positivi, ha accentuato gli
effetti negativi, per di più levando il lavoro a migliaia di italiani e
ha ridotto gli effetti positivi.
Purtroppo tali turlupinature succedono spesso perché gli elettori, invece
di basarsi sui dati di fatto, si basano sulle parole, sugli slogan, sulle
battute, sull'antipatia e simpatia.
Per fare in modo che l'immigrazione sia un fattore positivo per la nostra
società, senza che determini effettui negativi è invece
necessario:
Accogliere chi è in difficoltà non è solo un dovere etico, è per
noi anche una manna dal cielo per risolvere i nostri problemi
(l'invecchiamento e la diminuzione della popolazione, il fatto che
pochissimi italiani vogliono svolgere alcuni lavori).
Gli immigrati ci servono, sono indispensabili.Averli
irregolari può essere utile solo a datori di lavoro senza scrupoli
(per poterli sfruttare senza che possano ribellarsi e per utilizzarli
come si usavano i crumiri nell'800) e ai politici che,
invece di affrontare i problemi del Paese (la povertà,
le enormi disuguaglianze, la finanziarizzazione dell'economia, i gravi
problemi ambientali, l'enorme debito pubblico, l'aumento delle persone
non autosufficienti ecc.), li usano come capro
espiatorio per il malcontento diffuso al fine di guadagnare facili
consensi.
Note: 1) www.openpolis.it/numeri/gli-sbarchi-italia-negli-ultimi-10-anni;
2) si vedano i Rapporti sulla criminalità del Ministero degli
Interni e i Rapporti sulla sicurezza e insicurezza sociale della
Fondazione Unipolis www.fondazioneunipolis.org;
3) www.mulino.it/isbn/9788815273048;
4) i dati sono del Ministero dell'Interno, si veda www.avvenire.it/attualita/pagine/i-56mila-esclusi-dallaccoglienza;
5) www.oxfamitalia.org/wp-content/uploads/2019/05/oxfam_invece-si-pu%C3%B2_paper-accoglienza_2.05_digitale.pdfpagina
19; 6) https://ytali.com/2019/06/11/tito-boeri-senza-immigrati-regolari-piu-debito-e-meno-crescita.
Se vi accorgete che sul ciglio della strada c'è un ferito in pericolo
di vita, vi fermate a soccorrerlo o tirate avanti perché non volete
seccature?
Vi fermate a soccorrerlo e non solo perché altrimenti rischiate fino
a 3 anni di carcere per omissione di soccorso (fino a 4,5 anni in caso
di morte del ferito), ma perché c'è una legge morale
antica quanto l'uomo che dice che bisogna aiutare chi è in
pericolo. Questo imperativo morale si basa sulla due
elementari considerazioni:
1) che tutti possiamo trovarci in pericolo: se io
soccorro oggi chi è in pericolo, domani qualcuno soccorrerà me se mi
troverò in pericolo;
2) che non c'è molta differenza tra uccidere qualcuno e non
soccorrere qualcuno che rischia la vita, perché in ambedue i
casi la conseguenza è la morte di una persona. Infatti l'omicidio
colposo è punito con la reclusione fino a 5 anni (7 se il caso deriva da
violazioni del codice della strada o della sicurezza sul lavoro),
l'omissione di soccorso con morte conseguente fino a 4,5 anni.
Sia per la morale che per la legge non sono scusanti ragioni quali
“Dedicando il mio tempo ad aiutare quel disgraziato avrei perso un
grande affare” o “Mi sarei macchiato il vestito nuovo” o “Avrebbe
sporcato la tappezzeria della macchina di sangue”. Insomma, davanti
a una persona che è in pericolo ogni altra istanza passa in secondo
piano, perché la vita umana è sacra. Chi non rispetta questa
norma morale è un essere abietto.
Questo principio è sancito anche da Convenzioni internazionali (sui
diritti dell'uomo, sui rifugiati e richiedenti asilo, sul diritto in
mare, contro la tortura, ecc.) che l'Italia ha firmato e si è
impegnata a rispettare. L'ONU, sotto la cui egida sono queste
convenzioni, ha il compito di verificarne l'effettiva applicazione,
anche richiamando o condannando gli Stati che non rispettano gli impegni
presi.
Una ventina di giorni fa l'ONU ha inviato un richiamo molto
duro all'Italia perché non sta rispettando queste convenzioni [1].
Riportiamo i punti salienti di questo documento.
L'ONU ricorda che ogni Stato “ha il dovere di prestare
assistenza a qualsiasi persona trovata in mare che rischi di perdersi
e procedere il più velocemente possibile al salvataggio
delle persone in difficoltà”, che “tutte le navi che incontrano
persone in pericolo in mare devono trasportarle in
un posto sicuro, indipendentemente da chi esse siano.
Un'operazione di ricerca e soccorso non è terminata fino a quando le
persone soccorse non abbiano raggiunto un posto sicuro”. Poiché “è stato
ampiamente documentato che i migranti in Libia sono
soggetti a diverse violazioni dei diritti umani, tra
cui il traffico di persone, prolungate detenzioni arbitrarie in condizioni
disumane, torture e maltrattamenti, uccisioni illegali, stupri
e altre forme di violenza sessuale, lavori forzati, estorsioni
e sfruttamento, la Libia non può essere considerata un posto
sicuro ai fini dello sbarco dei migranti”. Inoltre la
Guardia costiera libica è stata coinvolta in una serie di violazioni
dei diritti umani, tra cui "il deliberato affondamento di
imbarcazioni usando armi da fuoco" [2]. Quindi non intervenire in
soccorso di persone in pericolo in mare in attesa che intervengano i
libici o consegnare le persone alla guardia costiera libica è
una violazione delle convenzioni internazionali sul Diritto in mare,
sui Diritti dell'Uomo e anche sulla Tortura.
Infatti, secondo questa convenzione, il respingimento di persone che
fuggono da situazioni di grave violazione dei diritti dell'uomo e la
consegna di persone a Paesi “ove vi siano motivi sostanziali per
ritenere che correrebbe un rischio personale e prevedibile di essere
sottoposti a tortura” è un atto di tortura, perché ci si
rende complici dei torturatori. Il documento dell'ONU ricorda all'Italia
che “l'obbligo di non estradare, deportare o
altrimenti trasferire è assoluto e non derogabile e si
applica a tutte le persone senza discriminazione” come viene affermato
nella Convenzione contro la tortura.
Il documento ricorda che l'Italia “è stata precedentemente
condannata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo per
violazione dell'art. 3 della Convenzione europea sui diritti umani e sul
divieto di tortura perché i richiedenti erano stati esposti al rischio
di maltrattamenti in Libia”.
Nel documento si accusa “il governo italiano a non provvedere
sistematicamente a meccanismi di salvataggio a protezione
della vita e della dignità delle persone”, Quindi le ONG sono
indispensabili per fornire tali servizi che l'Italia non garantisce. Per
tali motivi “lo Stato ha l'obbligo positivo di perseguire e
facilitare l'attività umanitaria e l’obbligo negativo” di non
ostacolarla. Cose che a giudizio dell'ONU non avvengono,
pregiudicando così il diritto alla vita. E ciò è dimostrato anche dal
fatto che “la restrizione delle attività delle navi di
salvataggio delle ONG ha portato a una più alta percentuale di persone
che muoiono in mare rispetto a prima”.
Il documento dell'ONU è un ennesima denuncia che gli accordi
fatti con la Libia da Minniti (Governo Gentiloni) e da
Salvini (Governo Conte) hanno sì portato a una diminuzione
degli sbarchi, ma solo perché chi fugge da guerre e
persecuzioni o dalla fame e dalla povertà viene trattenuto in
Libia in situazioni disumane, dove molti di loro
vengono torturati, maltrattati, stuprati, uccisi. Gli
osservatori dell'ONU recentemente hanno documentato che “I detenuti sono
lasciati senza cibo e acqua. Servizi igienici e docce sono rotti.
Vengono negate le cure mediche e un focolaio di tubercolosi si sta
diffondendo velocemente” [2].
L'ONU ci ricorda che chi appoggia e plaude alle politiche di
trattenimento e respingimento in Libia dei migranti o chi sta zitto
volgendo lo sguardo altrove si fa complice di questi crimini.
Note: 1) Il documento in italiano è riportato da
Avvenire: www.avvenire.it/c/attualita/Documents/ONU-lettera%20AL%20ITA%2015_05_19_it.pdf;
2) Anche alcuni video documentano il comportamento contrario ai trattati
internazionali della Guardia costiera libica: www.ilfattoquotidiano.it/2017/11/13/migranti-il-filmato-che-accusa-la-libia-frustate-sul-ponte-e-migranti-gettati-in-mare-nel-video-integrale-di-sea-watch/3975503/,
https://www.youtube.com/watch?v=rxV0hDXuMGA,
https://tg24.sky.it/mondo/2019/01/19/naufragio-gommone-libia-dispersi-ricerche.htm;
3) The Guardian ha pubblicato recentemente un breve filmato dai centri
per migranti libici gestiti dal Governo che fa capire in quale
situazione sono (https://youtu.be/1S8A947QIXg).
Se questi sono i campi legali è facile immaginare le condizioni dei
campi gestiti dalle milizie. LA CNN ha documentato la vendita di
migranti come schiavi www.youtube.com/watch?v=QofZckBpEFc.
Un lavoratore dipendente con una retribuzione lorda di 23.000
euro all'anno, in tutta la sua vita lavorativa (dai 20 ai 65
anni) guadagna in totale circa un milione di euro (lordi), versa contributi
per circa 200.000 euro e paga IRPEF (incluse le
addizionali) per circa 220.000 euro [1].
Ipotizziamo che questo lavoratore vuole pensare anche ai suoi figli e,
quindi, metta da parte ogni mese circa 165 euro (15% del salario netto):
dopo 40 anni di lavoro disporrà di circa 90.000 euro.
Considerate adesso un giovane di 20 anni che erediti dai nonni
l’equivalente di un milione di euro (cioè quanto il
lavoratore precedente ha guadagnato nell'intera sua vita). Questo
giovane, secondo l'attuale legge italiana non paga nemmeno un
euro di tassa di successione. Se questo capitale di un
milione di euro ogni anno si apprezzasse al tasso del 2%, genererebbe un
reddito di 20.000 euro all'anno, per cui questo
giovane, senza lavorare un giorno in tutta la sua vita,
se la passerebbe come il lavoratore dipendente prima considerato. Dopo
45 anni di questa bella vita questa persona avrebbe ancora un milione
di euro su cui contare, e potrebbe tramandare lo stesso
vantaggio ai propri figli o nipoti.
Questo esempio fa capire come l'attuale tassazione sia ingiusta
e come si perpetuano e si accentuano le disuguaglianze: i
ricchi (e i loro figli e nipoti) diventano sempre più ricchi, i poveri
(e i loro figli e nipoti), per quanti sforzi facciano, non riescono a
uscire dalla situazione di povertà.
Infatti l'1% più ricco nel 2010 aveva il 17% della ricchezza
totale, nel 2018 ne possedeva il 24,5%; il 10% più ricco nel
2010 aveva il 45% della ricchezza, nel 2018 ne possedeva il 56%; i
“poveri assoluti” dal 2007 al 2017 sono più che raddoppiati
(dal 4% all'8,5%); negli stessi anni la ricchezza dei 10
italiani più ricchi anche essa quasi raddoppiava (aumento dell'83%) e
la ricchezza media pro capite diminuiva del 15% [2].
Queste enormi disuguaglianze economiche dipendono da una pluralità di
cause. Qui vogliamo esaminare solo la
normativa riguardante eredità e donazioni, che, invece di
essere uno strumento per mitigare le disuguaglianze (come avviene in
molti Paesi), è diventata in Italia un elemento che le accentua.
Non c’è nulla di male nel ricevere un’eredità o una donazione, ma poiché
per costruire case popolari, far funzionare scuole, ospedali, protezione
civile, tutela dell'ambiente e dei beni culturali, politiche sociali
ecc. servono soldi è giusto che chi ha di più contribuisca con una
maggiore proporzione rispetto a chi a meno. Oggi in Italia il
70% delle eredità generate a partire da patrimoni compresi fra i 2,5 e
6 milioni di euro e il 30% di quelle superiori a 10 milioni non pagano
tasse di successione. Mentre circa il 15% delle
eredità provenienti da patrimoni inferiori a 20mila euro sono tassati
[1].
In Italia la legge stabilisce che se si
eredita o si ha in dono da un genitore o un nonno
un patrimonio fino a un valore di un milione di euro non si
paga l'imposta di successione o sulle donazioni. Se il valore
supera il milione si paga un'imposta del 4% sul
patrimonio che eccede il milione di euro. Quindi, se si
ereditano o si hanno in dono 1.200.000, euro si pagherà una tassa del 4%
solo su 200.000 euro (cioè si pagheranno in tutto solo 8.000 euro). Se
si eredita o si ha in dono da un fratello l'imposta è del 6% (sempre
della quota oltre un milione di euro). Se si riceve un dono o
un lascito da un estraneo l'imposta è del 8% e non esiste la
franchigia del milione di euro. Quindi se si vuole donare o
lasciare in eredità a un senza tetto un monolocale del valore di 50.000
euro, il senzatetto dovrà pagare 4.000 euro di tassa di
successione/donazione, quanto paga un figlio o un nipote che ha avuto in
eredità una casa del valore di 1.100.000 euro.
L'Italia è uno dei Paesi con la minore tassazione di donazioni
ed eredità a figli e nipoti. Nei Paesi OCSE la tassa in media
è del 15%, in Giappone arriva al 55%, in Francia
al 45%, negli USA e nel Regno Unito è al 40%
(in quest'ultimo, prima della Thatcher, arrivava anche all'80%), in Spagna
e Irlanda al 34%, in Germania al 30%. Una tassazione
come quella italiana, intorno al 4%, è presente in Guinea, Senegal,
Mozambico, Zimbawe, Botswana [3].
Considerando le franchigie e le aliquote presenti nei vari Paesi, un
erede che riceve un milione di euro dal nonno in Inghilterra
paga 250.000 euro di tassa di successione, in Francia 195.000
euro, in Germania 75.000 euro e in Italia 0 euro [4].
Si consideri inoltre che se una persona con un capitale 7 milioni di
euro lascia un milione di euro a ognuno dei suoi 5 figli e un milione a
2 suoi nipoti lo Stato non prende nemmeno un soldo di tassa di
successione, perché la tassa è a carico di chi la riceve e non sul
patrimonio donato o lasciato (fino al 1972 c'era una doppia tassazione:
sul patrimonio complessivo e sulla quota ricevuta da ciascun erede).
Il nostro sistema non considera l'insieme delle donazioni avute,
per cui, se una persona ogni anno per 20 anni riceve un milione di euro
dal padre, non pagherà neanche un soldo di imposta sulla donazione.
Il meno che si può dire è che sono norme strane, che fanno sì che lo
Stato incassi pochissimo da donazioni ed eredità.
Nel 2016, infatti, lo Stato ha incassato da
tassa di successione e donazione solo 800 euro; se ad esse si
aggiungono anche tutti le altre tasse e oneri accessori (trascrizione,
catasto ecc.), che in parte sono a quota fissa (sia se si ereditano
mille euro o 10 milioni la tassa è uguale), si arriva al massimo
a 1,9 miliardi di euro all'anno [1].
Inoltre è strano e ingiusto che chi senza far niente eredità o ha in
dono un capitale paga poco o niente (a meno che non sia un estraneo),
mentre chi si suda il proprio stipendio paga, e spesso non poco
(soprattutto se lavoratore dipendente).
Un gruppo di economisti ha proposto quindi di riformare la
normativa sulle donazioni ed eredità [1]. La loro proposta
prevede:
- ridurre la franchigia dall'attuale un milione di euro a
500.000 euro;
- fissare delle aliquote progressive: 5% tra 500.000 e un
milione di euro, 25% tra un milione e 5 milioni, 50% per donazioni e
lasciti sopra i 5 milioni;
- abolire la distinzione tra figli, nipoti, fratelli e sorelle
ed estranei: per tutti ci sarebbero uguali franchigie e
aliquote (quelle prima indicate);
- trasformare la tassa sulle donazioni e quella sull'eredità in
un'unica tassa, quella “sui vantaggi ricevuti nel corso della vita”.
Cioè il fisco registrerebbe tutte le donazioni ricevute nel corso del
tempo per cui non si potrebbe più fare lo scherzetto di donare ogni anno
una parte del patrimonio così da non pagare tasse o di donare, poco
prima di morire, una parte dell'eredità che si vuole lasciare, così da
non raggiungere la cifra sopra la quale si pagano le tasse o da ridurre
al minimo le tasse da pagare.
- aggiornare i valori catastali delle case (attualmente
sono in media un terzo del valore di mercato).
In questa maniera chi riceve in dono o in eredità meno di
500.000 euro non paga niente (anche se non parente del
donante), chi riceve di più paga di più e chi riceve ingenti capitali
versa parecchio, ma non tanto da disincentivare la produzione di
ricchezza o favorire l'elusione e l'evasione fiscale (secondo alcuni
studi ciò avviene se si tassano lasciti e donazioni oltre il 60-65%)
[1].
Con queste nuove regole, inoltre, si favoriscono le donazioni e i
lasciti a persone non della propria famiglia (per la parte consentita
dalla legge, la cosiddetta “disponibile”) e quindi la possibilità
che si donino o si lascino in eredità beni a persone povere o con
redditi non elevati, invece di dare tutta l'eredità ai propri
figli. D'altra parte i figli dei ricchi o dei benestanti quasi sempre
sono già ricchi o benestanti di per sé, anche senza donazioni e lasciti
dei genitori, perché hanno fatto studi più elevati, sono andati meglio a
scuola, hanno avuto più opportunità, hanno una rete sociale che offre
più vantaggi, ecc.
Se fossero in vigore queste norme invece di 1,9 miliardi di euro
lo Stato avrebbe incassato da un minimo di 3,5 miliardi a un massimo
di 7 miliardi (nella stima è considerata anche un aumento
dell'elusione ed evasione fiscale) [1].
Con questi 1,5-5 miliardi in più ogni anno si sarebbe potuto
risolvere del tutto il problema della casa per le giovani
coppie e per le persone di basso reddito. Infatti negli ultimi 5 anni per
costruire case popolari, ristrutturarle, aiutare le giovani coppie che
comprano la prima casa, sostenere i non abbienti nel pagamento del
fitto e aiutare gli sfrattati per morosità incolpevole, per
tutto questo lo Stato ha stanziato tra i 300 e i 350 milioni
all'anno [5].
Se avesse stanziato ogni anno 1,5-5 miliardi di euro
invece di 300 milioni avremmo risolto questo drammatico
problema e con esso certamente avremmo più posti di lavoro e più
consumi (quindi meno crisi economica) e molto probabilmente meno
rancore e insofferenza verso “le elite” e meno odio verso rom e
migranti.
Note: 1) Forum Disuguaglianze e diversità: 15 proposte
per la giustizia sociale https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/proposte-per-la-giustizia-sociale/;
2) https://www.oxfamitalia.org/wp-content/uploads/2019/01/Scheda-Italia_Inserto-Rapporto-Davos_2019.pdf;
3) https://taxfoundation.org/estate-and-inheritance-taxes-around-world/#_ftn1;
4) Ronconi S: Imposte di sucessione in Europa: un confronto. https://www.sergioronconi.com/mercati-finanziari-economia-e-fiscalita/fiscalit%C3%A0/;
5) http://www.camera.it/leg17/522?tema=politiche_abitative.
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il post dalla nostra pagina)
Rubare non è una bella cosa. E' un'azione
immorale ed è un reato.
In Italia la pena per un furto semplice (per esempio
se si ruba una mela da un albero) è da 6 mesi e 3 anni,
se è aggravato da 2 a 6 anni e se pluriaggravato
da 3 a 10 anni (la pena spesso è anche maggiore, perché
all'atto del rubare sono concomitanti altri reati).
Anche l'appropriazione indebita (quando ci si appropria
di una cosa che non ci appartiene ma che è “nelle nostre mani”, per
esempio la cassa di un condominio che si amministra) è un'azione
immorale e un reato (pena da 2 a 6 anni, se non aggravata).
Trattenere per sé le somme che dovrebbero essere versate allo
Stato come tasse (cioè l'evasione e l'elusione fiscale)
è ugualmente una brutta cosa e un'azione immorale, ma, per lo
Stato italiano, non è sempre un reato penale (spesso,
infatti, è un semplice illecito, estinguibile con una somma di denaro).
Evadere le tasse è un reato penale solo in determinati casi.
Per esempio:
- se si falsificano i dati della dichiarazione e si evadono più
di 30.000 euro oppure si tolgono dall'imponibile più
di 1,5 milioni di euro (prima del d.lgs. 158/2015 del Governo
Renzi la somma era di 1 milione di euro)
- se si omettono volontariamente dalla dichiarazione alcuni
redditi evadendo più di 150.000 euro (prima del d.lgs.
158/2015 la somma era di 50.000 euro);
- se non si versa l'IVA e il mancato versamento è superiore a
250.000 euro (prima del d.lgs. 158/2015 la somma era di
50.000).
Non versando le tasse che spettano allo Stato si ruba qualcosa
di estremamente importante a tutti i cittadini (soprattutto ai più
poveri): i soldi che servono per costruire case popolari, per
far funzionare la sanità, la scuola, la polizia, i servizi sociali, i
trasporti pubblici, la protezione civile, per tutelare l'ambiente e il
patrimonio culturale. Non si comprende, quindi, perché si
punisce molto più severamente chi ruba una mela (furto semplice) che
chi ruba 150.000 euro alla collettività.
In altri Paesi non avviene così. In Germania e in Inghilterra,
per esempio, si rischia il carcere anche se si evade
volontariamente un solo euro (pena da 1 a 5 anni in Germania,
che possono diventare 10 nei casi aggravati, pena fino a 7 anni in
Inghilterra).
Gli evasori (e politici e giornalisti che li appoggiano)
vogliono far credere che l'evasione fiscale dipende dal fatto che c'è
un'eccessiva tassazione, ma ciò non è per nulla vero. I Paesi
con le tasse più alte sono Francia (46,2% del PIL), Danimarca, Belgio,
Svezia, Finlandia, che hanno un'evasione molto più bassa dell'Italia (in
Francia è la metà di quella italiana) [1].
Gli strumenti per combattere l'evasione non sono solo
le pene severe, ma anche la limitazione
all'uso del contante (abolizione delle banconote di gran
taglio, obbligo di pagare con card o assegni o bonifici sopra una
determinata cifra, promozione dei pagamenti con card, ecc.), l'incrociare
i dati tra redditi dichiarati e beni e tenore di vita posseduti;
l'adozione non solo della fatturazione elettronica ma
anche degli “scontrini telematici”; lo split
payment, ovvero il trattenere direttamente l’IVA sulle
forniture alla pubblica amministrazione o a società da essa partecipate
(introdotto in Italia solo dall' 1 luglio 2017), la certezza
della pena (il contrario di quello che avviene in Italia dove
ogni paio d'anni vine varato un condono, dove le persone che hanno più
di 70 anni non possono andare in galera, dove si può arrivare facilmente
alla prescrizione allungando il processo con cavilli).
L'Italia è il Paese europeo con la maggiore evasione fiscale (ammonta
a circa 110 miliardi all'anno). Sono 110 miliardi di euro
rubati a tutti i cittadini per rimanere nelle tasche di
questa particolare tipologia di ladri.
Un'altra forma di ladrocinio è l'elusione fiscale, cioè
utilizzare artifizi giuridici finalizzati a ridurre il carico tributario
pur rispettando formalmente le norme fiscali. Un esempio di elusione
fiscale è quello operato dalle grandi aziende del web che
realizzano ingenti guadagni in un Paese non pagando alcuna tassa
perché risiedono fiscalmente in un paradiso fiscale. Per
contrastare questa elusione l'Italia ha introdotto la web tax
il 27 dicembre 2013 (Governo Letta) ma è stata abolita nel marzo 2014
(Governo Renzi).
Un'altra forma di elusione fiscale è frazionare l'azienda in
una serie di società alcune delle quali con sede in paradisi fiscali,
in maniera tale da trasferire nel paradiso fiscale i guadagni
realizzati. Tale trasferimento avviene tramite il pagamento di beni,
servizi e consulenze offerte a prezzi eccessivi da società della
medesima holding.
L'utilizzazione di paradisi fiscali per eludere il fisco è una
pratica diffusissima. Tra le imprese italiane ricordiamo la FCA
(ex FIAT), l'ENI, Intesa San Paolo, Unicredit, Finmeccanica, Mediaset,
Enel, Ferrero, Luxottica, Gruppo L'Espresso [2, 3].
Spesso ai ricchi non basta che le proprie imprese paghino poco o niente
di tasse, aumentando così in maniera enorme il proprio reddito, essi
infatti spostano la loro residenza in un paradiso fiscale, spesso
europeo (Montecarlo, Lussenburgo, Svizzera ecc.). Il sig.
Ferrero e il sig. del Vecchio (Luxottica) hanno la residenza nel
principato di Monaco (come anche vari personaggi dello
spettacolo e dello sport).
La cosa più assurda è che queste persone che si
sottraggono al pagamento delle tasse invece di essere additate
al pubblico disprezzo sono anche riverite e perfino insignite di
onorificenze. Per esempio Ferrero, Del Vecchio,
Berlusconi, De Benedetti sono stati insigniti del titolo di cavalieri
del lavoro, un'onorificenza che, secondo legge, richiede come
requisiti “l'aver tenuto una specchiata condotta civile e sociale,
l'aver adempiuto agli obblighi tributari nonché a quelli previdenziali e
assistenziali a favore dei lavoratori, non aver svolto attività
economiche e commerciali lesive dell’economia nazionale, né in Italia né
all’estero”.
Questo fiume di denaro sottratto allo Stato e che
finisce per la gran parte in paradisi fiscali è tra le
principali cause del nostro deficit eppure pochissimi lo
ricordano. Si preferisce invece mettere sul banco degli
imputati i lavoratori del pubblico impiego (che essendo
lavoratori dipendenti pagano fino all'ultimo centesimo di tasse), “i
fannulloni”, “quelli che stanno seduti sul divano”, “i
giovani schizzinosi”. Cioè per la gran parte proprio coloro su cui
ricadono gli effetti negativi dell'evasione ed elusione fiscale. Insomma
i derubati sono additati al pubblico disprezzo e dei ladri veri non se
ne parla e vengono perfino onorati e riveriti.
Note: 1) OCSE 2018; 2) www.nens.it/archivio/le-imprese-italiane-affollano-i-%E2%80%9Cparadisi-fiscali%E2%80%9D;
3) www.pl-insurancebroker.com/wp-content/uploads/04.12.2014-Lussemburgo-paradiso-fiscale-delle-multinazionali.pdf
“Giusti tra le Nazioni” sono quelle persone
non ebree che, a giudizio di una commissione di esperti
israeliani, a rischio della vita e disinteressatamente hanno
salvato uno o più ebrei dalla persecuzione nazifascista. La
decisione è presa sulla base delle testimonianze dei salvati e di
documenti e ai Giusti lo stato d'Israele concede la cittadinanza
onoraria. Tra essi sono famosi Oskar Schindler, Giorgio Perlasca,
Giovanni Palatucci, Bartali, il cardinale Elia Dalla Costa.
Tra i 24.850 Giusti vi sono poco più di settanta musulmani,
in maggioranza albanesi e bosniaci.
Nella piccola Albania circa 2000 ebrei sono stati salvati sulla
base del principio che “un buon musulmano protegge chi chiede rifugio”
e del detto “La casa di un albanese è di Dio e dell'ospite”. Nessun
ebreo albanese è finito nelle mani dei nazifascisti.
Giusto è anche l'islamico Selahattin Ulkumen, console turco a
Rodi che salvò una cinquantina di ebrei e venne per questo
arrestato. Oppure Abdol Hossein Sardari, console
persiano a Parigi, che salvò circa 2000 persone
convincendo le autorità tedesche che questi ebrei non erano semiti ma
ariani, perché discendenti di persiani convertiti all'ebraismo sotto
Ciro il Grande.
Secondo gli storici le persone di religione islamica che
salvarono ebrei furono molte di più di 70. Alcuni casi sono
accertati ed è quanto meno strano che non siano ancora riconosciuti come
Giusti.
Per esempio Kaddour Benghabrit e Abdelkader Mesli, rispettivamente
rettore e imam della moschea di Parigi, accolsero ebrei di
origini magrebine e fornirono loro documenti falsi che attestavano che
erano arabi. Si stima che 1700 ebrei ebbero salva la vita
grazie a loro (sulla vicenda Ismael Ferroukhi, autore del
premiato Viaggio alla Mecca, ha girato il film Les hommes
libres). Sapendo che i tedeschi erano ormai a conoscenza della
loro opera, Mesli fu trasferito alla moschea di
Bordeaux, dove riprese la sua azione a favore degli ebrei e iniziò a
collaborare con la resistenza. Arrestato, fu torturato
perché rivelasse i nomi dei suoi “complici”, ma lui resistette. Fu
trasferito prima a Dachau e poi a Mathausen, dove fu liberato dagli
alleati.
Negli ultimi anni vari storici hanno studiato la persecuzione degli
ebrei nei Paesi africani controllati da tedeschi e francesi e hanno
scoperto numerosi casi di musulmani arabi che hanno protetto ebrei,
spesso rischiando la vita.
All'emanazione delle leggi razziali da parte della Francia di Vichy (3
ottobre 1940), le autorità tunisine, algerine e marocchine cercarono di
opporsi e di renderle vane. E' nota l'opposizione del sultano
Mohamed V del Marocco che dichiarò che “non
esistevano sudditi ebrei, ma solo sudditi marocchini” e che,
se gli ebrei dovevano mettere la stella gialla, allora i francesi
“dovevano ordinarne 10 in più, numero esatto dei membri della famiglia
reale”.
Meno noto è che in Algeria esisteva la Lega Algerina dei
Musulmani e degli Ebrei, un movimento progressista
interreligioso. Il suo leader Shaykh Taieb el-Okbi,
musulmano, nel 1942, avendo saputo che i francesi stavano incitando
truppe musulmane a compiere un pogrom ad Algeri, si adoperò in ogni modo
per impedirlo, anche emanando una fatwa (cioè una presa di posizione
pubblica sulla base del Corano), rischiando così la vita.
Khaled Abdul Wahab, ricco tunisino, grazie alla sue
conoscenze e alla sua ricchezza, salvò decine di ebrei
nascondendole in una sua proprietà vicino Tunisi e
probabilmente corrompendo i funzionari che non potevano non esserne a
conoscenza. Una storia simile a quella dell'industriale Schindler,
immortalato nel film di Spielberg
Abdul Jalil salvò vari ebrei nascondendoli nel
labirinto di sale e salette del bagno turco di Tunisi,
di cui era proprietario.
Si è scoperto che vari imam vietarono ai loro fedeli di
ricevere i beni ebraici confiscati, perché contrario agli
insegnamenti del corano, e che, probabilmente, molti bambini
ebrei furono salvati da famiglie islamiche che li facevano
passare per loro figli. D'altra parte il mondo arabo lungo la
storia ha trattato gli ebrei molto meglio di quanto hanno fatto gli
europei.
Nel 2013, finalmente, la Commissione
israeliana ha riconosciuto un arabo, Mohamed Helmy, Giusto tra le
Nazioni. Helmy salvò una famiglia ebrea a Berlino,
nascondendola nella sua casa. Il riconoscimento è stato lungo e
difficile. E anche la premiazione, che è avvenuta, qualche anno dopo la
proclamazione, a Berlino e non a Gerusalemme, perché la famiglia Helmy
non voleva recarsi a Israele e le autorità israeliane temevano proteste
da parte di integralisti.
Le ricerche degli storici su queste vicende sono
difficili perché molti ebrei hanno temuto e temono di dire di essere
stati salvati da arabi e molti arabi di avere, loro stessi o loro
parenti, salvato gli ebrei. Il conflitto tra Israele e i
Palestinesi, i molti politici di entrambi i popoli che, per avere
consenso, indicano nell'altro la ragione di tutti i propri mali, il
fanatismo e l'integralismo religioso che si diffondono ogni volta che, a
torto o a ragione, ci si sente minacciati hanno creato una forte
inimicizia tra una gran parte degli arabi e degli ebrei. Inoltre per una
parte consistente dell’opinione pubblica araba, la Shoah è vista come la
causa principale della nascita di Israele e della tragedia
arabo-palestinese. Perciò risulta scomodo e doloroso rivendicare la
protezione di ebrei e ricordare che sono stati vittime di una politica
di sterminio. Dall’altra parte, non sono pochi gli israeliani che
demonizzano gli arabi, comparando l’antisionismo palestinese e musulmano
con l’antisemitismo nazista.
Da questi studi si può concludere che arabi, europei, islamici,
cristiani, atei e agnostici si comportarono nei confronti
della persecuzione degli ebrei in maniera molto simile:
i più pensavano ai fatti propri, una parte
vedeva di buon occhio i provvedimenti contro “questi corpi estranei
nella propria patria”, “questo scarto dell'umanità”, alcuni
anche collaborando alla loro persecuzione, ma per una minoranza la
discriminazione e la persecuzione di altri uomini, loro fratelli anche
se di altra religione o etnia, erano considerate qualcosa di disumano e
di profondamente ingiusto, contrario al corano, al vangelo o alle
proprie convinzioni, e non pochi si sono dati da fare per
salvare gli ebrei, anche se era difficile e rischioso.
Oggi onoriamo come Giusti questi ultimi, come
egoisti, vili e codardi i primi e come criminali i secondi.
Tra qualche anno i nostri figli, studiando le discriminazioni e
le angherie che rom, sinti, immigrati, islamici hanno subito e
subiscono nel nostro Paese, come ci giudicheranno?
Bibliografia: 1) Satloff R: Tra i giusti. Storie perdute dell'Olocausto nei paesi arabi, Marsilio 2008; 2) https://it.gariwo.net
Recentemente sono stati pubblicati alcuni studi molto interessanti
sull'impatto ambientale, sanitario ed economico di diversi mezzi di
trasporto.
Lo studio del Ministero dei Trasporti e dell'Agenzia per
l'Energia svedesi ha calcolato l'impatto ambientale
delle batterie delle auto elettriche, esaminando la
letteratura scientifica sull'argomento, che, come affermano gli autori,
“spesso non è trasparente” e “non si comprende bene come sono scelti i
dati di partenza e le ipotesi di modellizzazione, portando a una
situazione in cui il confronto dei risultati diventa molto difficile”.
E' facilmente immaginabile perché ciò avviene: perché i produttori di
batterie e auto elettriche sono coloro che spesso finanziano tali studi
e hanno tutto l'interesse a mostrare che l'auto elettrica “è ecologica”
e ha un impatto trascurabile sull'ambiente (il messaggio 24 del 17/11/18
ne smaschera una, vedi http://www.giardinodimarco.it/archivio.htm).
Malgrado tale criticità lo studio cerca di stimare quanta
energia è necessaria per fabbricare una batteria a litio e
quanti gas serra sono prodotti. Le quantità sono considerevoli:
per produrre una batteria a litio sono necessari da 350 a 650 Mega
Joule di energia per kWh e sono emessi da 150 a 200 Kg di gas serra
(CO2 equivalenti) per kWh (le batterie delle auto variano da 20 a 100
kWh). Lo studio segnala inoltre che, se si vorranno recuperare
i metalli (costosi e tossici) presenti nella batteria (cobalto,
nichel, rame, litio), saranno necessarie ingenti quantità di energia e
saranno emessi rilevanti emissioni di gas serra, perché la
tecnologia oggi disponibile e la “piromettallurgia” [1].
Un'altra pubblicazione ha cercato di calcolare i gas serra
emessi e l'occupazione di spazio di vari
veicoli, per passeggero trasportato. Il veicolo con
la maggiore emissione di gas serra è l'automobile a benzina/gasolio,
seguita dall'auto elettrica, dalla moto, dal treno, tram,
autobus, auto elettrica in condizioni di contesto ideali (cioè se il
100% dell'energia fosse prodotto da solare, eolico e idroelettrico),
bici e in ultimo se si andasse a piedi. Il mezzo che occupa più
spazio è l'auto (elettrica o no non fa differenza), seguita
(a una certa distanza) da moto, bici, autobus, tram, treno e l'andare a
piedi. Va segnalato che la moto, per quanto riguarda i composti
organici volatili (potenti cancerogeni), è di gran lunga il più
inquinante di tutti gli altri mezzi [2].
Riguardo all'occupazione di spazio, si consideri che in Italia per
trasportare 160 persone occorrono 133 auto
(nelle nostre città vi sono in media 1,2 persone per auto), che formano,
da fermi, una fila lunga 800m e larga circa 2m. Se
queste 160 persone vanno in un autobus occorrono 2 grandi
autobus o uno snodato, con una lunghezza totale di 19-20 metri di
lunghezza e 2,5 di larghezza. Se vanno in bici
determinano una fila di circa 190 metri di lunghezza e 0,7m di
larghezza (vedi foto sulla nostra pagina facebook) [2].
Un altro studio ha calcolato i costi per la collettività
dell'uso dell'automobile, della bicicletta e dell’andare a piedi
(sulla base di ricerche e dati riguardanti l'unione europea),
considerando l'impatto sanitario (costo degli anni di vita persi o con
disabilità o malattia a causa dell'inquinamento e degli incidenti), la
costruzione di nuove strade e parcheggi e la manutenzione di quelli
esistenti e i danni non sanitari dovuti all'inquinamento. Gli autori
stimano che i cittadini della UE hanno un danno pari a circa
500 miliardi di euro all'anno dovuto all'uso dell'automobile.
Di contro, l'uso della bicicletta, con i costi
relativi (costruzione e manutenzione di piste e percorsi ciclabili,
incidenti senza il coinvolgimento di veicoli a motore) e i benefici
sulla salute, determina un vantaggio economico di 24 miliardi,
mentre l'andare a piedi determina tra esternalità
negative e positive un vantaggio economico di
66 miliardi all'anno. I costi causati dall'auto sono solo
parzialmente coperti dalla tassazione su veicoli e combustibili presente
nei vari Paesi UE, contravvenendo così a uno dei principi fondamentali
dell'Unione: il “Chi inquina paga”. Quindi pedoni, ciclisti, utenti dei
mezzi pubblici finiscono per pagare i costi determinati da chi usa
l'automobile [3].
Un'altra ricerca è stata condotta in Australia, nella
città di Melbourne, e ha calcolato i costi dell'uso dell'auto,
tram e bicicletta per gli spostamenti casa-lavoro
(periferia-centro). Questo studio ha considerato oltre all’inquinamento
e ai suoi effetti sulla salute e sui manufatti, agli incidenti e alla
costruzione e manutenzione delle infrastrutture, anche il tempo
impiegato dai vari mezzi. La ricerca ha evidenziato che il
mezzo più rapido è il tram (in media, per raggiungere una
meta distante 10 Km in linea d'aria, si impiegano 35 minuti, di cui 10
di attesa e 25 di tragitto), la bici ci mette in media 39
minuti e l'automobile tra i 26 e i 45 minuti a seconda del
traffico (che a Melbourne non è mai come nelle nostre città,
considerando che solo il 36% degli spostamenti avviene in auto, mentre
da noi sono solitamente tra il 65 e il 75%). Nell'articolo non
si parla del tempo impiegato dall'auto per cercare un parcheggio
(forse a Melbourne non esiste questo problema?).
La conclusione dello studio è che per raggiungere una meta
distante 10 Km in linea d'aria l'auto determina un costo per la
collettività di 53 dollari, il tram di 31 e la bici di 3 dollari [4].
Insomma, da tutte queste ricerche (anzi, da tutte le ricerche non pagate
dai produttori di auto e moto) emerge che la maniera più
“ecologica”, più salubre e più economica per spostarsi è andare a
piedi. Segue l'andare in bicicletta o con mezzi
pubblici (tram, autobus, treni, funicolari). Auto e moto sono
i mezzi meno ecologici, meno salutari e meno economici. L'auto
elettrica dal punto di vista ambientale è inquinante quasi come quella
convenzionale (perché produzione e smaltimento delle batterie
sono molto inquinanti e perché la produzione di energia avviene in gran
parte da combustibili fossili). Inoltre costa molto e,
quindi, dal punto di vista economico è meno conveniente.
Malgrado tutto ciò, quando si parla di “mobilità verde” subito si pensa
all'auto elettrica, una tecnologia più vecchia dell'auto a
benzina e a gasolio (inventata nel 1832, ha dominato il
mercato dell'auto fino al 1900). Ci si dovrebbe interrogare sul perché.
Mentre quasi tutti gli altri Paesi e città europee realizzano
fitte reti di piste ciclabili (anche costruendo ex novo
strade, ponti e tunnel esclusivamente dedicati a questo mezzo o
trasformando strade per automobili in piste ciclabili) e servizi di bike-sharing
diffusi e semplici e adottano provvedimenti
per scoraggiare l'uso di auto e moto (ticket per circolare,
zone a traffico limitato, eliminazione di aree di sosta e parcheggi dal
centro della città, woonerf ecc.), da noi si fa poco o niente e
si pensa che la bicicletta è un passatempo e non il mezzo di
trasporto più pratico, meno costoso, meno inquinante e più salubre per
spostarsi in città. Non c’è da meravigliarsi se da noi a piedi
o in bici ci va solo una
minoranza di persone (quasi sempre meno del 15% degli
spostamenti è fatto utilizzando i muscoli, mentre nella maggioranza
delle città di altri Paesi UE sono oltre il 50% [5]),
se le nostre strade sono perennemente ingorgate facendo andare gli
autobus a una velocità 4 volte inferiore a quella delle altre città
(se non ci fosse il traffico è come se avessimo quadruplicato il
numero di autobus circolanti), se abbiamo il maggio numero di morti
per inquinamento (oltre 40.000 all'anno).
Mentre finivamo di scrivere questa nota abbiamo appreso che la
Regione ha rigettato la richiesta della Sopraintendenza di sottoporre
alla VIA (Valutazione di Impatto Ambientale) il parcheggio di piazza
degli Artisti-Via Camaino-De Bustis. Le motivazioni
sono queste: perché “soddisfa la domanda di
parcheggi pertinenziali”, aumenta la disponibilità di parcheggi di
destinazione, “favorendo la fluidità del traffico veicolare”.
Mentre dal Portogallo alla Finlandia si vanno eliminando i parcheggi
dal centro della città e dalle zone congestionate (Parigi ha eliminato
quasi 20.000 posti sosta) e si cerca di scoraggiare l'uso dell'auto e
promuovere quello dei muscoli e dei mezzi pubblici, in Regione
Campania si fa tutto il contrario. Per la Regione
Campania almeno per altri 104 anni (5 anni per
costruire il parcheggio e 99 di vincolo d'uso) ci si
sposterà con le automobili. Questo dimostra che uno
dei principali problemi della nostra Regione è l'estrema
ignoranza, arretratezza culturale, miopiadi chi è
chiamato a decidere e a programmare o, se vogliamo
pensare al peggio, all'asservimento agli interessi di
parte.
Per fortuna c'è la Sopraintendenza che, sia in
questa vicenda che in altre riguardanti la nostra città, sta
operando sulla base delle evidenze scientifiche e nell'interesse della
collettività. Essa esprimerà il suo parere e le sue
prescrizioni attinenti alla tutela dei beni archeologici, artistici e
paesagistici su un'area che, in quanto rientrante nel Centro Storico
di Napoli, è patrimonio dell'UNESCO.
Tenendo conto delle osservazioni presentate alla Regione nel
richiedere la VIA, siamo sicuri che non smentirà la
linea che sta seguendo.
Note: 1) http://www.ivl.se/download/18.5922281715bdaebede9559/1496046218976/C243%20The%20life%20cycle%20energy%20consumption%20and%20CO2%20emissions%20from%20lithium%20ion%20batteries%20.pdf; 2) https://benzinazero.wordpress.com/2018/10/14/confronto-co2-prodotta-e-spazio-urbano-occupato-dai-diversi-mezzi-di-trasporto; 3) Gossling S et al: The Social Cost of Automobility, Cycling and Walking in the European Union. Ecologica Economics, 158, 2019, 65-74; 4) http://blog.deloitte.com.au/divorcing-growth-car; Terril D, Sommek D: Divorcing growth from the car. Deloitte, 9, 2018; 5) ISFORT: 15° Rapporto sulla mobilità degli italiani, 2018.
L'articolo 53 della Costituzione afferma che “il sistema
tributario è informato a criteri di progressività”. Ciò
significa che chi ha di più deve versare allo Stato proporzionalmente
più di chi ha meno. Quindi le aliquote (percentuali di prelievo
sulla ricchezza posseduta) devono crescere al crescere di quanto si
possiede (per scaglioni di reddito, come avviene in Italia, o
in maniera continua, come in Germania).
Nel 1974 in Italia c'erano 32 scaglioni di reddito con
aliquote che andavano dal 10% al 72%. Nel 1983 sono
state ridotte a 9 con aliquote che andavano dal 18% al 65%. Oggi
sono solo 6, con aliquote che vanno dal 23% al 43%.
Come si vede, nel corso degli anni, è stato aumentato il
prelievo su chi guadagna di meno e diminuito su chi guadagna di più,
cioè si è ridotta la progressività del sistema tributario. Oggi
una persona come Berlusconi, che guadagna 4,5 milioni di euro
all'anno, viene tassato con la medesima aliquota di chi guadagna
75.000 euro. Se ci fossero ancora le aliquote del 1983 una
persona come Berlusconi pagherebbe 1.300.000 euro di tasse in più di
quanto ne paga ora. Quindi le riforme sulla tassazione fatte negli
ultimi 36 anni hanno regalato ai super ricchi centinaia e milioni di
euro ogni anno e hanno tolto soprattutto al ceto medio centinaia e
migliaia di euro ogni anno.
A rendere meno progressiva la tassazione c'è anche l'escamotage
dei redditi a tassazione separata. La stragrande maggioranza
delle persone non ricche ha una sola fonte di reddito: il suo lavoro. La
stragrande maggioranza dei ricchi e super ricchi ha invece una
pluralità di fonti di reddito: il suo lavoro, i redditi da capitali
(interessi, dividendi), quelli da imprese
(partecipazioni e utili), quelli fondiari (fitti). Se
questi redditi sono tassati separatamente, succede che una persona che
ha un reddito da lavoro di 75.000 euro viene tassato con l'aliquota del
43% e un'altra persona che ha anche lui un reddito di 75.000 euro, ma
risultante da 50.000 euro di reddito da lavoro e 25.000 euro da altri
redditi, non sarà tassato con l'aliquota del 43%, ma con l'aliquota del
38% (che è l'aliquota dello scaglione compreso tra 28.000 e 51.645 euro)
per i 50.000 euro di reddito da lavoro e con altre aliquote molto sotto
il 43% per le altre tipologie di reddito (12,5% sugli interessi
sui titoli di Stato, 21% per i redditi da affitti, 24% per i redditi
da società di capitali, 26% sui guadagni sui depositi bancari).
Negli ultimi decenni mentre i governi aumentavano la tassazione
sugli stipendi dei lavoratori dipendenti diminuivano le tasse sui
redditi di impresa. Per esempio i redditi da società di
capitale: erano tassati al 37% nel 2000, al 36% nel 2001, al
34% nel 2003, al 33% nel 2004, al 27,5 nel 2008, nel 2015
l'aliquota è stata portata al 24% (ma con decorrenza dal
2017). Una bella sequela di regali ai ricchi e super ricchi (sono
sopratutto loro che hanno quote di società di capitale) con i
soldi di tutti i contribuenti, ma soprattutto del ceto medio
(in particolare dei lavoratori dipendenti, i cui stipendi sono rimasti
al palo).
Insomma, grazie a questa riduzione delle tasse ai ricchi, lo
Stato, di fatto, ha elargito loro ogni anno un paio di miliardi di
euro. Si è calcolato che la sola riduzione
dell'aliquota IRPEF ha fatto guadagnare nel solo 2016 ai 10.000
italiani più ricchi circa 100.000 euro ciascuno [1].
Oggi vi sono persone contrarie a dare qualche decina o centinaia di euro
a chi non ha un reddito sufficiente per soddisfare i propri bisogni
primari, un provvedimento da anni adottato in tutti i Paesi europei. Chi
sa perché queste persone non hanno detto niente quando venivano elargite
decine e centinaia di migliaia di euro ai super ricchi? Probabilmente
perché non lo sapevano. C'è da chiedersi: perché quando si
danno soldi ai ricchi e super ricchi non lo sa quasi nessuno, mentre
se si danno soldi ai poveri o agli immigrati se ne fa un gran parlare
e si grida allo spreco?
Note: 1) Artifoni R, De Lellis A, Gesualdi F: Fisco e debito: gli effetti delle controriforme fiscali sul nostro debito pubblico, CADTM, 2018
Ogni abitante del nostro pianeta possiede in media 48.613 euro,
una cifra più che dignitosa [1]. Ma non
bisogna mai accontentarsi delle medie. Infatti, se si
analizza meglio la situazione, scopriamo che 790 milioni di
persone nel mondo guadagnano non più di 1,7 euro al giorno (51
euro al mese) e che nei Paesi Poveri ci sono altre 900
milioni di persone che guadagnano tra 1,7 e 2,80 euro al giorno (cioè
tra 51 e 84 euro al mese) e che nei Paesi a medio e alto reddito vi sono
678 milioni di persone che guadagnano tra 1,7 e 4,9 euro al giorno (tra
51 e 147 euro al mese). In totale 2 miliardi e 370 milioni di
persone vivono in situazioni di grave povertà. Dalla parte
opposta troviamo l’1% della popolazione mondiale che detiene il 50%
dell'intera ricchezza e il 10% più ricco che ne detiene l’88% [2].
Ora immaginate un'enorme pagnotta che basta e avanza per nutrire
100 individui, ma ecco che una persona se ne prende metà e
altre 9 persone i 4/5 rimanenti. Ne rimane solo un decimo della pagnotta
e 90 persone competono per prenderne almeno un pochettino.
Anche in Italia le disuguaglianze sono enormi: l'1%
più ricco si prende il 24% della pagnotta, il 4% che
viene dopo l'altro 20%: in totale il 5% più ricco si prende
il 44% della pagnotta. Il 20% più ricco il 72%, per cui l'80%
della popolazione italiana deve dividersi il 28% che resta
[3].
Questa maggioranza che si trova costretta a competere per
accaparrare quel poco che resta si guarda in cagnesco e litiga
e sembra non sapere che il grosso della pagnotta se la sono presa ricchi
e superricchi. Gran parte degli italiani, infatti, ce
l'ha con gli immigrati perché “ci tolgono il lavoro”, “ci
costano x euro al giorno”, “minacciano il nostro benessere”. Una buona
parte ce l'ha con chi chiede l'elemosina, con chi lava
i vetri o vende fazzolettini di carta, con chi dorme per strada
e con i poveri in genere perché “se sono poveri e anche colpa loro che
si industriano poco” (stanno “seduti sul divano”). Molti giovani ce
l'hanno con i lavoratori anziani e con i pensionati “che hanno troppe
garanzie” e ci sono anche lavoratori anziani e pensionati che ce l'hanno
con i giovani. Molti se la prendano con i piccoli commercianti, perché
hanno i prezzi troppo alti e non fanno sempre lo scontrino; altri con i
tassisti, perché troppo esosi e non vogliono la concorrenza; altri con
gli insegnanti, che lavorano poco e si lamentano sempre; altri con gli
impiegati statali in genere che non sgobbano quanto dovrebbero; altri
con gli autisti dei mezzi pubblici, con i vigili urbani, con gli
spazzini, con i giardinieri ecc. ecc. Insomma il rancore e il
conflitto è rivolto se non esclusivamente in maniera di gran
lunga preponderante verso quell'80% di persone che deve
spartirsi quel 34% di pagnotta che resta.
Perché ci si dimentica che il 5% più ricco si è appropriato del
44% della pagnotta? Perché non ce la prendiamo con loro?
Se la ricchezza fosse più equamente distribuita staremmo tutti
meglio, non ci sarebbero più poveri e senzatetto e ci sarebbe
anche meno criminalità.
Non solo. Se la ricchezza è nelle mani di pochi ne risente
negativamente l'intera economia. In tal caso, infatti, la
domanda di beni e servizi è scarsa e, quindi, gli imprenditori non
investono per produrre beni o servizi, perché sanno che la probabilità
di rimetterci è altissima. Meglio quindi giocare nella finanza o
comprare lingotti d'oro o diamanti. In questa maniera i posti
di lavoro saranno sempre pochi e i disoccupati molti e il rischio di
bolle finanziarie e di crisi sarà alto. Ormai quasi
tutti gli economisti e anche la Banca Mondiale e il Fondo
Monetario Internazionale, ci dicono che le disuguaglianze
sono a un livello tale da essere un freno per
l'economia e tra le cause principali di molti problemi della nostra
società (la fame, l'analfabetismo, l'emigrazioni, il degrado
ambientale, i conflitti sociali, la criminalità, la sfiducia nelle
istituzioni ecc.). Eppure tantissimi ce l'hanno con i migranti,
con i poveri e con chi arranca per prendersi un poco di quel
che resta della pagnotta e non con i ricchi. E sui
giornali, le televisioni, internet si parla e si aizza il rancore verso
queste categorie di persone e non verso i ricchi. Ce la prendiamo con i
piccoli evasori fiscali quando i ricchi sono i più grandi
evasori fiscali (si stima che i ricchi italiani hanno oltre 170
miliardi di euro in paradisi fiscali [4]). Si dice che la
maggioranza dei poveri è tale perché non ha voglia di lavorare e non si
dice che il 40% dei ricchi italiani non ha mosso un dito per
possedere la sua ricchezza, avendola ereditata da un suo
genitore [5]. Ce la si prende coi senzatetto perché sporcano le strade e
non con i ricchi che con i loro aerei privati, yacht, ville
inquinano l'aria, il mare, l'ambiente in genere alla grande,
avendo un'impronta ecologica di molte volte superiore a quella di un
senzatetto.
Il tragico è che la situazione negli ultimi anni è andata
peggiorando sia nel mondo che in Italia. Nel 2000 l'1% più
ricco del pianeta possedeva “solo” il 25% della ricchezza totale, oggi
ne possiede il 50%; in Italia nel 2007 l'1% più ricco possedeva il 17%
della ricchezza totale ora il 24%. Nella UE siamo all'ottavo posto tra i
Paesi con maggiori disuguaglianze [2,3].
Come molti economisti dicono lottare contro la povertà senza
lottare contro l'eccessiva concentrazione di ricchezza è velleitario.
Purtroppo alcuni temi quali la lotta ai paradisi fiscali e la
regolazione della finanza non sono mai all'ordine del giorno:
non ne parlano i politici, né i giornalisti e gli opinion leader e
nemmeno i cittadini. Ne parlano solo gli addetti ai lavori e quello che
dicono sembra non interessare nessuno.
Altri argomenti, quali una maggiore progressività delle tasse
(cioè chi guadagna poco non paga niente e all'aumentare del guadagno si
paga percentualmente di più: 10%, 20%, 30%, 40%, 50% ecc.), la
patrimoniale o il prelievo statale sulle eredità (interventi
oggi auspicati da quasi tutti gli economisti e anche dalla Banca
Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale), sembrano delle
bestemmie e, non appena qualcuno le propone o chiede di
discuterne, subito una schiera di politici, giornalisti e
opinion leader fanno credere che uno Stato cattivo vuole “mettere mano
nelle tasche degli italiani” e rubare quei quattro
spiccioli che si è guadagnato con una vita di sacrifici. Cioè
si fa credere a chi ha qualche piccolo risparmio o proprietà di stare
sulla stessa barca dei ricchi e superricchi. E così succede che
una buona parte di quel 80% che si spartisce il 28% della ricchezza si
erge a difendere quel 20% che si è preso il 72% della pagnotta.
Note: 1) Credit Susisse Rapporto sulla Ricchezza
Globale 2018; 2) https://www.oxfamitalia.org/wp-content/uploads/2019/01/Bene-Pubblico-o-Ricchezza-Privata_Executive-Summary_Oxfam-2019.pdf;
3) www.oxfamitalia.org/wp-content/uploads/2019/01/Scheda-Italia_Inserto-Rapporto-Davos_2019.pdf;
4) https://www.wallstreetitalia.com/paradisi-fiscali-pil-super-ricchi-evasori-italia;
5) https://www.oxfamitalia.org/wp-content/uploads/2018/01/Rapporto-Davos-2018.-Ricompensare-il-Lavoro-Non-la-Ricchezza.pdf;
Che l’alimentazione sia importante per la nostra salute è risaputo. Se
non mangiamo a sufficienza o non assumiamo tutti i nutrienti che ci
servono (proteine, zuccheri, grassi, sali minerali, vitamine, acqua)
stiamo male e facilmente contraiamo malattie infettive. Tra i poveri
questo accade ancora di frequente: nel mondo 820 milioni di
persone soffrono la fame e ogni giorno 8.500 bambini
sotto i 5 anni muoiono per malattie dovute alla malnutrizione
[1].
Anche se mangiamo troppo o male (poca verdura e frutta, troppi salumi,
fritture e cibi arrostiti) abbiamo una maggiore probabilità di avere una
malattia (obesità, tumore, infarto, ecc.). Nel mondo 672
milioni di persone sono obese e nei Paesi ricchi il
30% dei tumori ha un’origine nelle cattive abitudini alimentari
[2].
Quello che non tutti sanno è che la nostra alimentazione ha un
impatto consistente sull’ambiente e che questo varia molto a
seconda delle nostre abitudini alimentari.
Per produrre una porzione di carne di vitellone (100
grammi, equivalenti a circa 200 calorie e 20g di proteine) occorrono
circa 700 grammi di foraggio, che richiedono 0,7 mq di
superficie agricola; per produrre una porzione di
legumi secchi (60 grammi, equivalenti a 200 calorie e 17 g di
proteine) occorrono solo 0,25 mq. Mangiare
troppa carne, quindi, non solo non fa bene alla salute, ma è deleteria
per l’ambiente, perché costringe ad aumentare le terre
coltivate col conseguente aumento dell’inquinamento dovuto alla
produzione e all’uso di fertilizzanti, pesticidi, macchine agricole e
diminuzione degli ambienti “selvaggi” e della biodiversità. Sulla base
di queste considerazioni si sente spesso sostenere che
l’alimentazione più ecosostenibile è quella vegana, seguita
da quella vegetariana e che se tutti fossimo vegani o vegetariani per il
nostro pianeta sarebbe la cosa migliore.
E’ vero tutto ciò?
L’ecologia è la scienza della complessità, perché
l’ambiente è un sistema complesso. Quindi, prima di affermare
qualcosa bisogna cercare di considerare i vari elementi di questo
sistema e le loro connessioni e tutti i possibili effetti determinati
dalle nostre azioni. Se non si procede in questo modo si
possono prendere scelte che poi si dimostrano deleterie. Per esempio, si
è incentivato l’uso del pellet, considerandolo un combustibile ecologico
e poi si è visto che la sua combustione provoca una grande emissione di
polveri ultrafini, tanto che oggi nel Nord e Centro Italia è la prima
fonte di questo pericoloso inquinante [3].
Negli ultimi anni vi sono state varie ricerche per verificare quale
regime alimentare è quello che ha il minore impatto sull’ambiente. Tali
ricerche non sempre sono concordi, perché utilizzano diverse metodologie
e approcci. Una cosa è considerare l’impatto ambientale di una
minoranza di persone che segue un determinato regime alimentare e
un'altra l’impatto che si avrebbe se tutti gli uomini seguissero
quell’alimentazione. Per esempio se tutti gli uomini
fossero vegani bisognerebbe decidere che fare di
tutti quegli scarti vegetali che oggi sono utilizzati come cibo per
gli animali; non avremmo più letame e questo potrebbe
tradursi in un aumento di fertilizzanti di sintesi (in realtà potrebbe
essere sostituito col compost). Bisogna inoltre considerare che un
terzo delle terre libere del nostro pianeta non può essere utilizzato
per l’agricoltura (è molto spesso nemmeno per piantarci
boschi), ma può essere utilizzato come pascolo [4]:
perché non farlo, visto che a determinate condizioni è un intervento
che sequestra gas serra? [5]. Inoltre vi sono intere
zone del nostro pianeta che possono essere utilizzate solo come
pascolo, se non lo si fa si dovrebbe aumentare di molto l’importazione
di prodotti agricoli verso quelle zone e ciò avrebbe un
impatto negativo sull’ambiente.
Una cosa è considerare l’impatto di un regime alimentare teorico e
un’altra analizzare i reali consumi di persone che seguono una data
alimentazione. Per esempio una ricerca italiana ha evidenziato che l’alimentazione
vegana concretamente praticata in Italia ha un impatto superiore a
quello che ci si aspetta, perché i vegani tendono a mangiare prodotti
che vengono da lontano (con conseguente inquinamento dovuto
ai trasporti) e che subiscono lavorazioni industriali
che hanno un impatto sull’ambiente [6].
Poi ci sono differenze nei medesimi regimi alimentari. Si può
essere onnivori mangiando poca o molta carne, mangiando
soprattutto carne bovina o di altro genere. Infatti le carni
(come i vegetali) non hanno tutte gli stessi effetti sull’ambiente.
La carne bovina è quella che ha il maggiore effetto negativo,
mentre quella suina e ovina ha un impatto molto più basso. I ruminanti –
mucche, pecore, capre, cavalli, cervi, caprioli, ecc. – producono
notevoli quantità di metano, un gas serra 20 volte più
climalterante dell’anidride carbonica. Suini e ovini non sono
ruminanti e producono pochissimo metano. Inoltre, mentre ci vogliono 6-8
chili di mangime per fare un chilo di carne di bovino, per avere la
medesima quantità di carne di maiale o pollo ne occorrono solo 1,5 chili
(ma si usano più granaglie).
Gli ecologi, inoltre, invitano a considerare anche le
particolari condizioni locali. Se in una zona vi è
un’eccessiva quantità di un determinato animale, tale da alterare gli
equilibri di quell'ecosistema, la cosa migliore da fare spesso è
mangiarlo. Ciò può valere per il cinghiale in varie
zone del nostro territorio (soprattutto se cacciato non con la “battuta”
ma con la “girata”) e per gli insetti (ad esempio le
cavallette), che possono anche essere allevati, con un impatto
ambientale minore degli allevamenti bovini, ovini e suini [7, 8].
Insomma come si può capire la questione è molto più complessa
di come molti pensano. Ciò non deve essere una ragione per sostenere che
il proprio regime alimentare è il migliore, né un alibi per non cercare
di avere un’alimentazione più ecosostenibile.
Quello che è certo è che un’alimentazione troppo ricca di carne
fa male alla salute e all’ambiente (soprattutto se è carne
bovina e conservata). L’alimentazione vegetariana sembra la più
ecosostenibile, seguita da quella onnivora con
scarso consumo di carne (in particolare se non bovina), da
quella vegana e in ultimo da quella onnivora con
alto consumo di carne (cioè quella praticata dalla
maggioranza delle persone dei Paesi ricchi).
Un recente rapporto pubblicato su Lancet su
alimentazione-salute-ambiente conclude con i seguenti obiettivi da
perseguire su scala globale: raddoppiare il consumo di verdura, frutta,
legumi e frutta secca oleosa (noci ecc.); dimezzare il consumo di carne
e di zuccheri semplici; ridurre gli sprechi alimentari, i
fertilizzanti di sintesi (sostituendoli con letame e
compost), le monoculture, i combustibili fossili, i pesticidi
[9].
Per la situazione italiana i consigli che i nutrizionisti danno sono i
seguenti: mangiare 3 porzioni di verdure al giorno e 2-3
porzioni di frutta (ambedue solo di stagione);
legumi 3-4 volte alla settimana; pesce 1-2
volte alla settimana (preferibilmente azzurro); carne
massimo 1-2 volte alla settimana (preferendo quella non
bovina e solo eccezionalmente quella conservata); latte o
yogurt un bicchiere al giorno; formaggi una porzione alla
settimana; zuccheri semplici (bibite dolci, caramelle, dolciumi
ecc.) il meno possibile; frutta secca, cereali e
olio extravergine tutti i giorni in quantità proporzionale
all'attività fisica che si fa (l'ideale è fare 1
ora di attività fisica leggera e 1 ora di attività fisica vigorosa al
giorno, meglio se frazionate [10]). E, ovviamente, cucinare
solo quello che effettivamente si ha bisogno di mangiare (così da
ridurre lo spreco alimentare), acquistare prodotti locali e fare una scrupolosa
differenziazione dei rifiuti, così da produrre compost di
qualità, risparmiare energia e materie prime e inquinare di meno.
Fare tutto ciò dipende solo da noi e
determinerebbe un miglioramento della nostra salute, dell'ambiente in
cui viviamo e di quello in cui vivranno i nostri figli e nipoti.
I Governi possono però fare molto per indurre tali
comportamenti: obbligare a etichette chiare che facciano
capire l'impatto sulla nostra salute e sull'ambiente dei cibi che
acquistiamo, eliminare i sussidi a tutti quei prodotti che
hanno un impatto negativo (lo Stato elargisce ogni anno 880
milioni di euro a chi acquista acqua minerale, 447 milioni di euro a chi
acquista pesticidi e 191 milioni a chi compra pesticidi [11]), tassare
quei prodotti ad alto impatto (bibite dolci, carne bovina,
salumi, fertilizzanti di sintesi, pesticidi, ecc.).
In questa maniera, inoltre, entrerebbero nelle casse dello
stato alcuni miliardi di euro che potrebbero essere impiegati in
interventi di tutela ambientale producendo posti di lavoro.
Note: 1) FAO 2018; 2) OMS 2018; 3) Risorse Economia e
Ambiente https://aspoitalia.wordpress.com/2015/12/30/inquinamento-il-colpevole-nascosto;
4) www.bbc.com/future/story/20160926-what-would-happen-if-the-world-suddenly-went-vegetarian;
5) Godfray C et al: Meat consumption, health, and the environment,
Science 20 Jul 2018; 6) Rosi a et al: Environmental impact of
omnivorous, ovo-lacto-vegetarian, and vegan diet Scientific Reports,
luglio 2017; 7) www.isprambiente.gov.it/contentfiles/00006600/6683-linee-guida-gestione-cinghiale.pdf/;
8) www.fao.org/docrep/019/i3264it/i3264it.pdf;
9) Willet W et al.: Food in the Anthropocene: the EAT–Lancet Commission
on healthy diets from sustainable food systems, Lancet 2019; 10) Samitz
G, Egger M, Zwahlen M: Domains of physical activity and all-cause
mortality: systematic review and dose-response meta-analysis of cohort
studies. Int. J Epidemiol 2011; 11) www.minambiente.it/sites/default/files/archivio/allegati/sviluppo_sostenibile/catalogo_sussidi_ambientali.pdf.
“Privazione della libertà e detenzione arbitrarie; tortura;
violenza sessuale; estorsione; lavoro forzato; uccisioni illegali”.
Tutto questo avviene in Libia nei centri di detenzione dei
migranti gestiti dalle autorità libiche. Lo afferma l'ultimo
rapporto dell'ONU sulla situazione di tali centri [1]. L'indagine,
infatti, «non include i centri di detenzione gestiti da gruppi armati».
Inoltre il rapporto indica che su 5.300 persone detenute
esaminate «3.700 hanno bisogno di protezione internazionale» e dunque
meriterebbero di venire trasferiti in Europa e non di stare
in carcere.
La politica dell'Italia e dell'Europa, negli ultimi anni, è
stata quella di fermare i migranti in Libia e in Turchia (e
in Niger), dando a questi Paesi ingenti finanziamenti.
E' interessante ripercorrere le tappe di questa strategia e, in
generale, della politica nei confronti del fenomeno migratorio, e di
come, passo dopo passo, si è arrivati alla situazione attuale,
di naufraghi lasciati morire in mare, di “porti
chiusi”, indifferenza per la sofferenza di questi nostri
fratelli (se non ostilità e odio).
L'arrivo significativo di stranieri in Italia avviene dalla metà degli
anni '90.
Nel 1998 viene varata la legge Turco-Napolitano che
prevede che il Governo stabilisca ogni anno quante persone
hanno diritto a entrare in Italia per lavorare, a queste
viene rilasciato un permesso, per cui diventano immigrati “regolari”. La
legge prevede anche che uno straniero regolare possa ospitare
per un anno un connazionale (garantendogli alloggio, vitto e
assistenza sanitaria) per consentirgli d'iscriversi alle liste di
collocamento e di cercare un lavoro.
Nel 2002 viene varata la legge Bossi-Fini che abolisce la
possibilità che uno straniero ospiti un connazionale per un
anno (e, poiché nessuno prende un lavoratore senza conoscerlo, costringe
le persone a venire irregolarmente per avere un lavoro) e
discrimina i migranti a seconda del Paese da cui provengono:
quelli provenienti da Paesi arabi e africani molto più difficilmente
hanno il permesso, per cui possono venire solo illegalmente (spesso
tramite barconi). L'effetto della Bossi-Fini è stato un aumento
degli immigrati irregolari e la necessità di procedere a sanatorie
per regolarizzarli.
Nel 2009 (Ministro degli Interni il leghista Maroni)
viene varato il Pacchetto Sicurezza che prevede norme
per rendere più facili le espulsioni e per contrastare gli irregolari (pene
per chi affitta agli irregolari, reato d'ingresso e soggiorno
illegale, aggravante della “clandestinità” se si commette un
reato, ecc.). Queste norme non hanno incrementato granché le espulsioni
ma hanno fatto peggiorare la situazione degli stranieri
irregolari (fitti più alti per avere un alloggio;
impossibilità di denunciare reati, vessazioni o sfruttamento di cui si è
vittime ecc.). Il Pacchetto Sicurezza ha anche aumentato il
numero degli irregolari grazie all'introduzione dell'obbligo di
dimostrare la disponibilità di un alloggio conforme a determinati
requisiti, che una parte consistente degli stranieri regolari
non poteva permettersi. Il medesimo Ministro (Maroni) vara anche una sanatoria
(l'ultima) per 295.000 irregolari.
Nel periodo 1998-2009, tra permessi rilasciati e
sanatorie, si è data in media ogni anno la possibilità di
entrare regolarmente in Italia per motivi di lavoro a 201.400
stranieri (senza contare i 31.000 stagionali all'anno). Dal
2010 al 2018 sono stati rilasciati ogni anno in media solo
21.900 permessi di lavoro non stagionale, cioè un decimo di
quanti ne sono stati rilasciati tra il 1998 e il 2009 [2]. Nel
2014 e nel 2015 (Governo Renzi) non è stato
rilasciato nessun permesso per lavoro non stagionale. In
realtà quasi tutti questi permessi sono serviti a regolarizzare persone
già presenti in Italia, per cui possiamo dire che di fatto dal
2010 in poi si è impedito a persone straniere di venire in Italia
regolarmente a lavorare.
Dal 2011, in seguito alle rivolte avvenute in vari Paesi arabi, alla
guerra in Libia e in Siria, all'espandersi dei territori controllati
dall'ISIS e da Boko Haram e, successivamente, all'acuirsi del conflitto
tra Etiopia ed Eritrea (2016), è aumentato il flusso di
perseguitati e profughi che hanno cercato scampo in Europa e che
l'Europa (e l'Italia), contravvenendo ai suoi principi ha
in gran parte rigettato indietro. Ricordiamo, infatti che il
Trattato di Ginevra dice che “Nessuno Stato contraente potrà espellere o
respingere in alcun modo un rifugiato verso le frontiere dei luoghi ove
la sua vita o la sua libertà sarebbe minacciata” (art. 33) e che la
nostra Costituzione afferma che “Lo straniero, al quale sia impedito nel
suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite
dalla Costituzione italiana, ha diritto di asilo nel territorio della
Repubblica” (art. 10)
Nel 2011 viene istituita l'operazione Aeneas col compito di contrastare
l'arrivo di migranti dalla Libia. In seguito all'enorme emozione per la
morte di 366 persone vicino Lampedusa, il 13 ottobre
2013 viene varata l'operazione Mare Nostrum (Governo
Letta) col fine non più di contrastare l'arrivo di
migranti, ma d'impedire nuove stragi e arrestare i trafficanti,
obiettivi effettivamente raggiunti, se si considera che in poco
meno di 13 mesi vengono salvate 150.000 persone e arrestati 728
trafficanti [3]. Purtroppo nell'anno della missione Mare
Nostrum (2014) aumenta il numero di sbarchi: 170.000.
I partiti di destra sostengono che la causa dell'impennata di sbarchi e
proprio la missione, per cui il primo novembre 2014
(Governo Renzi) viene chiusa l'operazione Mare Nostrum e varata
la “Triton” con finalità di “sorveglianza marittima delle frontiere”.
In realtà gli sbarchi diminuiscono di poco nel 2015 (154.000) e
addirittura aumentano nel 2016 (181.000), di converso diminuiscono i
trafficanti arrestati e aumentano i morti (3.500 nel 2014, 3.800 nel
2015, 4.100 nel 2016) [4].
Nel 2015, seguendo lo slogan “aiutiamoli a casa loro”,
viene costituito il Fondo Fiduciario Europeo di Emergenza per l’Africa (Trust
Fund) per finanziare iniziative per «affrontare le
cause profonde delle migrazioni irregolari». Il fondo è costituito per
il 90% dai fondi europei per l'aiuto allo sviluppo e per il
10% da fondi nazionali (in parte di aiuto allo sviluppo), per cui solo
il 5% sono risorse nuove. I progetti finanziati dal Trust Fund, al
contrario degli altri progetti di aiuto allo sviluppo, sono
fuori dal controllo del Parlamento Europeo. Dei 4,09 miliardi
di euro stanziati sono stati spesi 3,1 miliardi.
Mentre nel primo anno i progetti finanziati erano effettivamente di
aiuto allo sviluppo, dal secondo anno si cambia strategia e si
inizia a finanziare progetti di dissuasione dell'emigrazione,
controllo delle frontiere, respingimenti e detenzione dei migranti.
Attualmente si stima che metà delle somme spese non sono per “aiutarli a
casa loro”, ma per impedire, spesso in tutti i modi, che vengano da noi
[5, 6].
Nel 2017 (Governo Gentiloni) l'Italia firma un accordo
con Al Sarraj (presidente della Libia, ma che ne controlla
solo una parte), nel quale l'Italia si impegna a offrire
“supporto tecnico e tecnologico agli organismi libici incaricati della
lotta contro l'immigrazione clandestina”, “finanziamento
dei centri d'accoglienza” e “formazione del
personale libico all’interno dei centri di accoglienza”.
Quindi i centri di accoglienza nei quali l'Onu ci dice che avvengono “privazione
della libertà e detenzione arbitrarie; tortura, violenza sessuale;
estorsione; lavoro forzato; uccisioni illegali”, sono
finanziati dall'Italia e il personale che vi opera è formato dal nostro
Paese. Il mese successivo l'Italia dà 4 motovedette alla Libia e
impegna una sua nave per aiutarla nell'opera di controllo
delle frontiere marine (poiché nessuno cerca di entrare in Libia via
mare l'operazione in realtà serve per non far uscire persone dalla
Libia). Nel luglio 2017 il Governo italiano ventila la possibilità
di chiudere i porti alle navi delle ong, avvalorando la tesi
dei 5Stelle di fungere da “taxi del mare”. Il 31 luglio il Governo rende
obbligatoria per le ong la firma di un codice di condotta (firmeranno
solo 5 ong delle 9 operanti). Sempre nel luglio 2017 il Trust Fund
finanzia un progetto italiano di formazione delle guardie di
frontiera e di fornitura di mezzi militari e di polizia per
“affrontare i flussi migratori”.
Tutto ciò viene fatto malgrado in Libia vi sia una guerra civile
e sia in atto un embargo UE che vieta di fornire materiale bellico e
addestramento ai militari, e malgrado numerosi rapporti denuncino le
modalità disumane con le quali sono trattati i migranti. Ma
l'importante è assecondare la paura e l'ostilità di molti cittadini
verso gli stranieri e, quindi, arrestare i flussi di migranti, invero
sempre di molto inferiori al calo della popolazione italiana. Infatti
essi vanno da un minimo di 4.400 (anno 2010) a un massimo di 181.000
(anno 2016), con una media di 79.000 sbarchi all'anno, mentre il calo
della popolazione è di circa 200.000 persone all'anno [4, 7].
Nell'agosto 2017, grazie al sostegno dell'Italia, la Libia
dichiara una sua SAR (area di ricerca e soccorso in acque
internazionali) e vieta ad altre imbarcazioni di operare in
tale zona. Ciò porta altre due ong a interrompere le loro
operazioni di soccorso nel tratto di mare tra Italia e Libia in quanto
“non esistono più condizioni di sicurezza per i propri equipaggi”. I
migranti trovati in mare in questa zona da questo momento ritorneranno
in Libia, malgrado non sia, secondo il diritto internazionale marittimo,
un “luogo sicuro”.
Nel giugno 2018 (Governo 5Stelle-Lega) inizia
la politica dei porti chiusi alle navi che hanno salvato migranti, dei
“me ne frego” e di ostentazione del cinismo.
Nel luglio viene varato il decreto legge 84 col quale vengono cedute
a titolo gratuito alla Libia 10 navi motovedette e 2 navi, da 27
metri, classe Corrubia. Inoltre sono stanziati 2.470.000 euro
per gli interventi di messa in efficienza delle navi e
addestramento del personale libico.
Nell'ottobre viene varato il decreto sicurezza che rende più
difficile avere asilo e protezione per chi fugge da guerre e
persecuzioni e rende più dura la loro vita in Italia.
E' necessario cambiare radicalmente la politica
sull'immigrazione. L'Italia ha bisogno di lavoratori stranieri perché
gli italiani non vogliono fare i badanti, i pastori, i braccianti, i
muratori e perché la sua popolazione diminuisce ogni anno di 200.000
abitanti, ha troppo vecchi e pochi giovani. Accogliere chi
fugge da guerre e persecuzioni è un obbligo morale e giuridico
che squalifica chi non lo ottempera. E' anche un investimento perché
quando i rifugiati ritorneranno nei loro Paesi, manterranno legami col
nostro utili per garantire la sicurezza e gli scambi economici. Lasciare
che queste persone muoiano in mare o nel deserto o nelle carceri
libiche, contribuendo con lauti finanziamenti e fornitura di
materiale, è un crimine paragonabile a quello della shoà. I
nostri figli, come i figli dei tedeschi, ci chiederanno noi da che parte
eravamo e cosa abbiamo fatto per impedire tale tragedia. Per questo prendiamo
posizione, facciamo sentire la nostra voce, testimoniamo i valori di
fratellanza e solidarietà, forniamo informazioni e conoscenze che
sono un facile rimedio contro paure irrazionali e pregiudizi.
Note: ONU: Desperate and Dangerous: Report on the human
rights situation of migrants and refugees in Libya. 20 December 2018; 2)
Ministero degli Interni; 3) Crescenzi G: Frontex e le operazioni
congiunte nel Mediterraneo: da Mare Nostrum a Triton, LUISS 2016; 4) www.openpolis.it/numeri/gli-sbarchi-italia-negli-ultimi-10-anni;
5) www.concorditalia.org/wp-content/uploads/2017/11/rapporto-completo-EUTF.pdf;
6) www.actionaid.it/app/uploads/2017/12/Fondo_Africa_Il-compromesso_impossibile.pdf;
7) ISTAT
Tra pochi giorni si celebrer à il giorno della memoria, istituito con
la legge 211/2000per “ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico),
le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli
italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte,
nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono
opposti al progetto di sterminio”. Una lodevole legge per ricordare i 6
milioni di ebrei uccisi per il semplice fatto di appartenere al popolo
ebraico e “affinché simili eventi non possano mai più accadere”.
Insieme agli ebrei furono uccisi, per il semplice fatto di appartenere
al popolo romanì, almeno 500.000 persone. Ma per queste 500.000 persone
non è stata istituita una giornata della memoria, né lo Stato organizza
commemorazioni, né vi sono circolari del Ministero della Pubblica
Istruzione che invitano le scuole a trattare questo tema. Come mai?
Allora ci sembra utile ricordare questo genocidio. Lo facciamo
consigliando la visione del bel lavoro teatrale di Pino
Petruzzelli“Porrajmos: l'olocausto dimenticato degli zingari”, trasmesso
da RaiTre nel 2010 alle 9.40 di mattina (sic!), e presente su youtube
frazionato in 6 video
https://www.youtube.com/watch?v=-seKmFQMv_I
https://www.youtube.com/watch?v=Ev_eiakW914
https://www.youtube.com/watch?v=Faat4v-xAs4
https://www.youtube.com/watch?v=zA1dYsWLagA
https://www.youtube.com/watch?v=lm8BuwulPY8
https://www.youtube.com/watch?v=4pQvYO3yGcw
Forniamo qualche informazioni sulla persecuzione delle persone
appartenenti al popolo romanì e, in ultimo, riportiamo alcune poesie di
poeti romanì.
Gli “zingari” presentano molti tratti in comune con i “giudei”: hanno
una forte identità nazionale (lingua, tradizioni, costumi, musica,
danza) ma non un proprio Stato nazionale (gli ebrei lo hanno solo dal
1948) e sono dispersi nelle altre nazioni, per cui sono sempre
minoranza; entrambi i popoli hanno subito i medesimi pregiudizi e le
medesime accuse (erranti per punizione divina, rapitori di bambini,
infanticidi, untori, imbroglioni, gente subdola e che si crede superiore
e si autocommisera) e spesso le medesime crudeltà e angherie:
confinamento in ghetti, espulsioni, deportazioni, uccisioni in massa,
divieto di sposare persone di altra etnia, obbligo di segni di
riconoscimento (per gli zingari spesso consisteva nel taglio di un
orecchio) ecc.
La differenza fondamentale è che vi sono ebrei capitalisti, borghesi,
proletari e sottoproletari, mentre “gli zingari” sono quasi tutti
sottoproletari, perché uno “zingaro” (tranne poche eccezioni come gli
Orfei o Yul Brinner) può diventare ricco solo se nasconde la sua
identità e abiura alla sua cultura. Altre due differenze importanti sono
che il popolo romanì (rom, sinti, kalè, ecc.) è ariano (più di quello
tedesco e molto più di quello italiano) e che, al contrario degli ebrei,
raramente ribellatisi ai nazisti, numerosi sono gli episodi di
ribellione degli “zingari”, con conseguenti morti in scontri armati e
fucilazioni sul posto (e questo è uno dei motivi che rende difficile
stimare con buona approssimazione il numero di romanì uccisi).
Nei primi decenni del 900, sulla base di pseudoteorie scientifiche si
sostenne che “gli zingari” hanno il gene della delinquenza e della
asocialitàe che “non possono stare in mezzo a noi”. Come dirà Himmler:
“Bisogna creare una nuova morale, rude e brutale, che ignori la
compassione e i problemi di coscienza”. In Germania, in Italia e in
altri Paesi si attuano provvedimenti di espulsione dai confini
nazionali, da città e paesini, di possibilità di fermo senza limiti di
tempo (cioè reclusioni senza avere subito un processo), di deportazione
in campi (spesso di lavoro forzato).
Dal 1934 in Germania(e nei Paesi scandinavi) si inizia a procedere in
maniera più o meno coatta alla sterilizzazione “degli zingari” (63.000
nella sola Svezia).
Nel '35 sono vietati i matrimoni e i rapporti sessuali tra “ariani” e
soggetti di razze inferiori o degenerate (“ebrei”, “negri” e “zingari”).
Nel 36 sono organizzati vari campi di concentramento per “zingari”, da
utilizzare come forza lavoro gratuita.
Nel 1937 (legge sulla cittadinanza) zingari ed ebrei vengono privati dei
loro diritti civili. Inizia l'allontanamento di persone di etnia romanì
dalle SS, forze armate, uffici pubblici.
Nel '38 i bambini romanì sono cacciati dalle scuole. Inizia la
deportazione di persone di etnia romanì nel campo di concentramento di
Buchenwald.
Nel '39 tutte le proprietà di persone di etnia romanì sono confiscate.
Internamento di “zingari” a Dachau e Ravensbruck.
Nel '40 inizia l'uso dei bambini “zingari” come cavie per esperimenti,
tra cui studi sugli effetti dei cristalli di cianuro e del gas zyklon-B,
sul decorso di malattie (spesso procurate ad arte) curabili ma non
trattate o incurabili, sugli effetti di menomazioni e lesioni. I bambini
zingari sono considerati le migliori cavie perché di razza ariana e
perché numerosi: oltre il 50% degli zingari internati nei campi di
concentramento sono infatti bambini.
In Italia viene ordinato che tutti gli zingari devono essere racchiusi
in campi di detenzione in quanto stranieri (anche se presenti in Italia
da secoli e anche se del tutto integrati).
Fucilazione in massa e deportazioni di “zingari” nei territori
conquistati dai nazifascisti (25.000 fucilati nella sola Croazia).
Spesso nei villaggi rom i nazifascisti obbligavano tutti a chiudersi
nelle loro case a cui poi appiccavano il fuoco.
Nel '42, malgrado le leggi razziste, rimangono ancora non poche persone
di etnia romanì tra soldati e ufficiali e perfino nelle SS, per cui
viene varata una norma che consente di esentare dalla deportazione gli
“zingari” “legalmente coniugati con individui di sangue tedesco”,
“socialmente integrati con lavoro regolare e residenza stabile”,
impegnati “sotto le armi, o congedati per ferite di guerra o con
decorazioni” o impiegati in “lavori importanti per lo sforzo bellico”, a
condizione però che si facciano sterilizzare.
Il 16 maggio 1944 i 6.000 zingari di Auschwitz si ribellano ai tedeschi
che vogliono portarli alla camera a gas. L'ordine sarà eseguito il 2
agosto.
Nel 1945 ha fine la Germania nazista e il mondo intero è inorridito per
l'olocausto degli ebrei. Per i crimini contro i romanì, a differenza che
per gli ebrei, non si terrà nessun processo. Tutti conoscono il termine
ebraico shoah, ma pochi gli equivalenti termini romanì porrajmos
(divoramento) e samudaripen (genocidio). Il dott. Ritter (direttore del
Centro di Ricerca Igiene Razziale) e la sua collaboratrice, dott.ssa
Justin, non sono stati processati e hanno mantenuto il loro posto di
lavoro statale. Ritter e Justin sono gli autori delle teorie sulla
inferiorità genetica degli zingari, sul gene dell'asocialità e della
delinquenza e, nelle loro relazioni e scritti, hanno propugnato la
necessità di una “soluzione finale” tramite sterilizzazione o
eliminazione fisica delle persone di etnia romanì. La Germania solo nel
1979 ammetterà che l'uccisione di mezzo milione di zingari è avvenuta
per motivi razziali ma ribadisce che i romanì non hanno diritto alla
restituzione delle proprietà né ad alcun risarcimento.
In Italia tutte le minoranza linguistiche storiche sono riconosciute e
tutelate dalla legge tranne una, quella romanì.
Bibliografia: Spinelli S: Rom questi sconosciuti, Edizioni Mimesis
2016; Lewy G, La persecuzione nazista degli zingari, Einaudi, 2002.
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Poesie romanì
Auschwitz
Faccia incavata,
occhi oscurati,
labbra fredde;
silenzio.
Cuore strappato
senza fiato,
senza parole,
nessun pianto.
Santino Spinelli
Maledizione zingara
Gelide mani nere rivolte al cielo,
la palude ricopre la testa
schiacciata,
un grido soffocato si eleva,
nessuno ascolta.
Un popolo inerme
al massacro condotto,
nessuno ha visto
nessuno ha parlato.
Cadaveri risorti
dalla palude,
orribili visi mostrati al sole,
il dito puntato
verso chi
ha taciuto!
Santino Spinelli
Hanno calpestato il violino zigano
Hanno calpestato il violino zigano
cenere zingara è rimasta,
fuoco e fumo
salgono al cielo.
Hanno portato via gli Zingari:
i bambini divisi dalle madri,
le donne dagli uomini,
hanno portato via gli Zingari.
Jasenovac è pieno di Zingari
legati ai pilastri di cemento,
pesanti catene ai piedi e alle mani,
nel fango in ginocchio.
Sono rimaste a Jasenovac
le loro ossa,
denuncia di disumanità.
Altre albe schiariscono il cielo
e il sole continua a scaldare gli Zingari.
Rasim Sejdic
È finita la storia dei Sinti
È finita la storia dei Sinti.
I violini tacciono,
le chitarre non hanno più anima,
le giovani donne non danzano più:
non hanno più piedi.
I fuochi si sono spenti,
gelida è la notte.
La nebbia ha dissolto i cuori dei Sinti.
La terra si è dissolta col loro sangue.
Non ci sono più carrozzoni nella verde periferia,
né violini innamorati,
né fiori nei bruni capelli:
non ci sono più capelli bruni.
Oggi una carovana si è accampata
alla porta del paradiso.
Paula Schöpf
Non credere
Non credere
che sono cattivo,
in verità
ti do il mio cuore.
Gagi, dammi la mano,
vieni con me, non temere,
la mia porta è aperta.
Ed io penso di tutti bene.
Aiutiamoci l’un l’altro
Viviamo come fratelli in questo mondo.
Rasim Sejdic
Gagiò, tu sei mio fratello
Gagiò, tu sei mio fratello,
una madre ci ha partoriti,
un padre ci ha dato l’anima.
Per molti anni incontrandoci
ci siamo guardati fissi,
la tua mano non mi hai porto,
non mi hai chiesto dove io andassi,
se i miei figli avessero da mangiare,
dove io dormissi.
Accendo il fuoco davanti alla mia tenda,
copro i bimbi contro il freddo.
Piangendo dico alla mia vita:
“Dov’è mio fratello
che sieda con me presso il fuoco
e divida con me un pezzo di pane?”
Risponde la vita:
“Il sole è tuo fratello, il vento tua sorella.
il fuoco il tuo Dio, la pioggia tuo padre,
la terra tua madre”.
Mi alzo, mi asciugo le lacrime,
spengo il fuoco, smonto la tenda,
prendo i figli tra le braccia
e busso alla porta del gagiò:
“Bianco gagiò, fratello mio,
anche se sono rom, di pelle scura,
sono tuo fratello,
la mia vita è dura, la tua migliore,
aprimi la porta,
stendimi la mano e dimmi
che sono tuo fratello!”:
Il mio fratello gagiò
non ha aperto la sua porta.
Marko Aladin Sejdic
La nostra lingua
Natarajah, il Signore della Danza,
ai nostri lontani padri,
dove nella valle scorre il fiume Indo,
diede il liuto, lo strumento caro agli Zingari.
Molte corde sono d’oro,
al di sopra l’altre sono argentee,
e tutte cantano così come nel sanscrito.
Ma si ode, come dentro nella canzone
vi ha qualche parola persiana od armena,
e le greche odo io là;
si ha altrove parole valacche,
ci sono le ungheresi, altrove le slave...
Ma tutte esse, straniere,
presto si fondono nella lingua dei bramani,
nella lingua ch’è la sola ricchezza
che noi abbiamo nella nostra vita.
Perciò serbatela, non dimenticatela,
per i nostri bambini conservatela!
Leksa Manus
Oggi anno festeggiamo il nuovo anno come l'arrivo di qualcosa di bello,
ricco di buone opportunità e che ci apre quindi alla speranza. Se
fossimo contenti solo per l'aver vissuto un altro anno, avremmo dovuto
festeggiare la fine del vecchio più che l'arrivo del nuovo. Possiamo
dire che il Capodanno è la festa degli ottimisti: se
pensassimo che il nuovo anno sarà uguale o peggio dei passati ci sarebbe
molto poco da festeggiare. Ci viene in mente il venditore
di almanacchi di Leopardi: il poeta considera
l'ottimista venditore come un illuso (e anche un po'
truffatore) e il pessimista passeggere come il saggio. Ma le
cose stanno realmente così? Abbiamo fatto bene o male a festeggiare il
nuovo anno?
Varie ricerche hanno studiato l'ottimismo (e il pessimismo) e i
suoi effetti.
In economia il pessimismo è quasi sempre nefasto e
spesso catastrofico, potendo una crisi anche in situazioni di robustezza
dei fondamentali economici. D'altra parte l'ottimismo (spesso creato ad
arte) può innescare una bolla economica che ad un certo punto esplode
determinando guai più o meno grandi.
In psicologia da tempo viene studiato l'ottimismo
irrealistico, cioè un atteggiamento di aspettativa di
risultati positivi e di fiducia che però non è fondato su fatti. Un
tale atteggiamento è foriero di guai. Per esempio, fumare uno
o due pacchetti di sigarette, andare in auto ad alta velocità, fare una
scalata quando non si ha l'adeguata preparazione o attrezzatura,
pensando “sì, è rischioso, ma mica deve succedere qualcosa di negativo
proprio a me”, è un “ottimismo irrealistico”. Anche giocare d'azzardo
nasce spesso da un ottimismo irrealistico, perché le
probabilità di perdere sono di gran lunga superiori a quelle di vincere.
Lo stesso si può dire per le persone che si affidano a guaritori o a
rimedi di nessuna efficacia per guarire da malattie o per chi spera che
i cambiamenti climatici, l'inquinamento dell'aria e dei mari si
risolvano da sole o non determinino la lunga sequenza di guai previsti
da un'enorme mole di studi scientifici e che si possa, quindi, continua
ad avere un modello di società e uno stile di vita ecoinsostenibile. L'ottimismo
irrealistico è indice di insipienza e non certo di
saggezza e nemmeno di coraggio.
Analogamente esiste un “pessimismo irrealistico”, che
non è per niente saggio e può essere foriero di guai. Pensare che non
vale la pena smettere di fumare, fare un'alimentazione corretta e un bel
po' di attività fisica perché tanto “un infarto o un tumore se deve
venire viene lo stesso”. Non prendendo aerei, treni, navi o auto guidate
in maniera rispettosa delle norme di sicurezza per la paura di un
incidente, oppure non uscire la sera e la notte o guardare con sospetto
e ansia ogni persona perché si pensa che altrimenti saremmo derubati o
aggrediti non è da saggi, perché le probabilità di tali eventi sono
molto scarse [1], mentre la probabilità che tali atteggiamenti
determinino problemi nella vita sociale è molto alta: infatti, avere
molte relazioni sociali e amicali è uno dei più importanti fattori di
benessere e felicità.
Negli ultimi anni sono state compiute varie ricerche di psicologia e di
medicina sull'ottimismo/pessimismo e sui loro effetti.
Innanzitutto, per capirci, si intende ottimismo (ottimismo
disposizionale) un atteggiamento di generica
aspettativa di risultati positivi verso la vita e di fiducia.
Tale atteggiamento viene rilevato con appositi test (il LOT – Life
Orientation Test e l'OPI Optimism Pessimism Instrument [2]. Questo
atteggiamento di vedere il bicchiere mezzo pieno invece che
mezzo vuoto (e che quindi è ben diverso dall'ottimismo
irrealistico) sembra determinare molti vantaggi. Chi
ha alti punteggi a questi test, rispetto a chi ha bassi punteggi, ha meno
probabilità di essere sovrappeso o obeso, di avere un infarto, un
ictus, di essere rioperato alle coronarie, di avere stenosi carotidee
e, se anziano, minore probabilità di morte nei 10 anni
successivi al test [3, 4].
Inoltre tendono più facilmente a riconoscere le risorse a
disposizione, ad essere perseveranti, a sopportare la fatica, a
raggiungere i loro obiettivi, ad avere buone relazioni di coppia,
amicali e sociali e ad avere una più amici, a impegnarsi in attività
di volontariato; di converso tendono a non “catastrofizzare”
e “ruminare” [3, 5, 6, 7]
L'impegnarsi in attività di volontariato sembra di per sé un
fattore salutogeno: i volontari più raramente
soffrono di depressione e hanno stili di vita migliori [8,
9]. Gli anziani che si impegnano in attività di volontariato più
raramente soffrono di depressione, decadimento cognitico, demenza e
hanno un maggiore benessere percepito [10]
Anche l'ISTAT conferma che chi si impegna in attività gratuite
a favore di altri o della comunità è più felice (il 48% dei
single si dichiara “molto soddisfatto” contro il 27% dei single non
impegnati e il 52% dei non single impegnati contro il 36% di quelli non
impegnati) ed è più ottimista (36% contro il 26%)
[11]. Inoltre ha più fiducia negli altri (35% contro
il 21%) e affermano che da quando hanno iniziato ad impegnarsi
per gli altri si sentono più soddisfatti (50%), hanno
allargato le loro relazioni sociali (42%), hanno cambiato il
modo di vedere le cose (28%), migliorato le loro capacità di
relazionarsi agli altri (22%) [12].
Quindi le ricerche scientifiche indicano che, tranne i casi di
ottimismo irrealistico, l'ottimista è più saggio del pessimista e chi
si dà da fare per gli altri lo è ancora di più.
Se poi molte persone si impegnano per aiutare chi è in
difficoltà, combattere le ingiustizie, l'inquinamento e la violenza il
mondo diventerà un posto migliore e tutti staremo meglio.
E allora di nuovo buon anno.
Note: 1) si veda il nostro messaggio 24 del novembre 2017 www.giardinodimarco.it/archivio.htm; 2) Scheier MF, Carver CS, Bridges MW: Distinguishing optimism from neuroticism (and trait anxiety, self-mastery, and self-esteem): A re-evaluation of the Life Orientation Test. Journal of Personality and Social Psychology, J Pers Soc Psychol, 1994; 3) Carver CS, Scheier MF, Segerstrom SC: Optimism. Clinical psychology review, 2010; 4) Labarthe DR, Kubzansky LD, Boehm JK, et al.: Positive cardiovascular health: a timely convergence. Journal of the American College of Cardiology, 2010; 5) Carver CS, Scheier MF: Dispositional optimism. Trends in cognitive sciences, 2014; 6) Carver CS, Kus LA, Scheier MF: Effects of good versus bad mood and optimistic versus pessimistic outlook on social acceptance versus rejection. Journal of Social and Clinical Psychology, 1994; 7) Helweg-Larsen M, Sadeghian P, Webb MS: The stigma of being pessimistically biased. Journal of Social and Clinical Psychology, 2002; 8) Hannah MC, Schreier MF et al: Effect of Volunteering on Risk Factors for Cardiovascular Disease in Adolescents”, JAMA Paediatrics 2013; 9) Jenkinson CE et al.: Is volunteering a public health intervention? A systematic review and meta-analysis of the health and survival of volunteers, BMC Public Health 2013; 10) Anderson ND et al: The benefits associated with volunteering among seniors: a critical review and recommendations for future research. Psychol Bull. 2014; 11) Istat: www.istat.it/storage/rapporto-annuale/2018/capitolo4.pdf; 12) Istat www.istat.it/it/files/2015/05/Rapporto-Annuale-2015.pdf.
Il nostro spettacolo per raccogliere fondi per l'Asilo di San Salvador
si terrà martedì 20 novembre. Musica e teatro con
bravissimi artisti per una serata piacevole e importante per i nostri
amici del Salvador. Si esibiranno:
- Crossover Ensemble a cura di Marco Sannini, con un
omaggio a Leonard Bernstein (non potranno ovviamente mancare alcuni
famosi pezzi di West Side Story);
- Alessandro Schiano Moriello,
giovane ma già affermato pianista (secondo classificato al Premio
Pianistico Internazionale Sigismund Thalberg), che eseguirà musiche di
Rossini;
- Antonella Ippolito che reciterà un monologo tratto
da Italo Calvino;
- Il coro di voci bianche “Le Voci del 48” con
Massimo Tomei (piano) diretti da Salvatore Murru, che presenteranno
pezzi molto vari (da JS Bach a una filastrocca);
- Alba Brundo, giovane arpista, si esibirà in alcuni
pezzi romantici e neoclassici.
Biglietto 15 euro acquistabile presso le botteghe del commercio
equo e solidale “E Pappeci” (Via Orsi 72 e Via Mezzocannone
103, Napoli) oppure dalle ore 18.30 del 20 novembre al Grenoble.
L'intero ricavato va all'Asilo Sector Primero di San Salvador. Per
entrare al Grenoble occorre un documento d'identità.
Altroconsumo a ottobre ha presentato una ricerca sull'auto
elettrica condotta da una società (Element Energy) per conto
della European Climate Foundation. La ricerca riguardava l' “analisi
dei costi totali” (acquisto, manutenzione, ecc.) di
auto elettriche, a benzina, diesel e ibride dopo 4, 5 e 7 anni di uso
[1]. I risultati sono che l'auto elettrica è la più
conveniente dal punto di vista dei costi totali. La notizia
è stata lanciata due volte dall'agenzia di stampa ADN Kronos e riportata
oltre che da Altroconsumo da giornali e siti (Libero, La Stampa, Wired,
Today, Vita, Forumelettrico ecc.), spesso con figure che illustravano
l'enorme convenienza dell'auto elettrica sulle altre [2].
Poiché un auto elettrica costa circa il doppio dell'omologo
modello a benzina (es. Smart for two euro 12.000-13.000,
Smart for two elettrica 23.000-24.000) e la batteria (quella
della Smart costa circa 11.000 euro) va cambiata dopo circa 4 anni,
ci è sembrato strano e abbiamo voluto approfondire. Abbiamo reperito lo
studio in questione (non è stato semplice) e ce lo siamo letti [3].
Su 35 pagine del rapporto la descrizione dei materiali e metodi con i
quali è stata condotta la ricerca è poco più di una pagina e dice ben
poco. In una nota a fondo pagina di questa sezione troviamo che nel
calcolo dei costi dall'auto elettrica sono stati tolti 6.000 euro,
perché è il bonus che attualmente la Francia dà a chi
acquista una tale tipo di auto. Due pagine dopo (non nel paragrafo sui
metodi usati) troviamo scritto che nel calcolare i costi
dell'auto elettrica “non è stato calcolato il costo del cambio della
batteria”.
Nella presentazione fatta da Altroconsumo e negli articoli di giornale
non si specificava che non si era considerato il costo del cambio della
batteria e si era calcolato un bonus (francese) che oggi c'è e domani
potrebbe non esserci. Certo se dai costi dell'auto elettrica si
sottraggono almeno 18.000 euro (6.000 euro di bonus acquisto e 11.000
della batteria) l'auto elettrica conviene, ma
se dall' “analisi dei costi totali” si leva il costo maggiore non
è più un' “analisi dei costi totali”. Insomma la notizia
della convenienza dell'auto elettrica è una bufala costruita ad
arte da Element Energy (che l'ha realizzata), sotto l'egida
di Altroconsumo (e dall'analoga associazione francese) e dell'European
Climate Foundation (che ha finanziato lo studio).
Se si fa una ricerca con Internet sull'effetto serra, sull'auto
elettrica, sull'incenerimento dei rifiuti ci si incappa sicuramente in
qualche sito pseudo-ecologista che tranquillizza sul
cambiamento climatico o che ascrive la maggiore responsabilità
all'agricoltura industriale (e non alla produzione di energia,
all'edilizia e ai trasporti), che dipinge l'auto elettrica come la
soluzione dell'inquinamento da veicoli e gli inceneritori come la
soluzione “ecologica” al problema rifiuti. Non è facile
riconoscere le fonti serie da quelle poco serie o in conflitto
d'interesse (nel caso dello studio sulla convenienza
dell'auto elettrica la Element Energy è in conflitto d'interesse, visto
che è un produttore di energia elettrica). Il consiglio è di diffidare
di chi prospetta soluzioni semplici, di chi vuol fare credere
che basta fare una cosa (una sola, tipo mettere inceneritori o usare le
auto elettriche) e il problema si risolve, di chi prospetta
solo soluzioni tecnologiche, di chi dipinge una
soluzione come “priva di effetti collaterali”. Le questioni
ambientali (come anche l'immigrazione, la delinquenza, il sottosviluppo
ecc.) sono questioni complesse, con una pluralità di fattori causali e
di effetti e devono essere affrontati tenendo conto di questa
complessità e con diversi approcci e interventi.
Per quanto riguarda l'auto elettrica si deve considerare che:
- le batterie vanno cambiate ogni 3-4 anni: se
tutte le auto fossero elettriche significa che ogni anno ci
sarebbero da smaltire 1.300.000 batterie vecchie (del peso solitamente
di oltre un centinaio di Kg), cioè oltre 130.000 tonnellate di
rifiuti speciali all'anno;
- bisognerebbe aumentare molto la produzione di energia
elettrica per far funzionare milioni di auto elettriche (in
Italia circolano attualmente 44 milioni tra auto e moto) e la
produzione di energia elettrica è, attualmente, la principale causa
dell'effetto serra.
Le aziende che costruiscono veicoli elettrici chiedono incentivi per far
decollare una tecnologia che affermano ecologica, ma che non è tale.
Considerando i 44 milioni di veicoli passeggeri circolanti, per
avere un minimo effetto sull’inquinamento dell’aria delle nostre città
bisognerebbe sostituire almeno il 20% dei mezzi a benzina/gasolio con
veicoli elettrici. Ciò significa dare incentivi per
8,8 milioni di veicoli. Il costo per lo Stato di una tale
operazione si aggirerebbe sui 50 miliardi di euro
(6.000 euro x 8,8 milioni di veicoli). Una cifra enorme che potrebbe
essere spesa per qualcosa di più utile. Con questa cifra si potrebbero
costruire 600 Km di metropolitana (45 linee 1 del metrò
napoletano), oppure 5000 Km di linee tranviarie in
corsia protetta, oppure comprare oltre 350.000 autobus,
tutti provvedimenti che farebbero migliorare in maniera
strabiliante il trasporto pubblico, potendo così limitare
l'uso del mezzo privato. In questa maniera si ridurrebbe non
solo l'inquinamento atmosferico ma anche il traffico.
Gli interventi più utili contro l’inquinamento atmosferico nei centri
urbani sono questi: spostare quote di passeggeri dal trasporto privato a
quello pubblico (cioè incentivare il trasporto pubblico e disincentivare
quello privato), promuovere pedonalità e ciclabilità, ridurre l'uso del
pellet, coibentare meglio gli edifici (per quanto riguarda Napoli anche
ridurre le emissioni delle navi ed elettrificare il porto).
Questi provvedimenti, per di più, favorirebbero soprattutto i
poveri, mentre l'auto elettrica, che è molto costosa, i ricchi.
Note: 1) https://www.altroconsumo.it/organizzazione/media-e-press/dossier-tecnici/2018/costi-possesso-automobile;
2) https://www.adnkronos.com/sostenibilita/world-in-progress/2018/09/28/ricerca-altroconsumo-auto-elettrica-conviene_yfGUe9oe7ERecNfd36HW7N.html;
3) https://www.quechoisir.org/action-ufc-que-choisir-cout-de-detention-des-vehicules-gare-aux-idees-recues-n59369/
Gli ultimi dati ISTAT ci dicono che anche nel 2017 le
disuguaglianze e la povertà sono andate aumentando nel nostro Paese.
I “poveri assoluti” (cioè coloro che hanno un reddito
che non permette di soddisfare le esigenze primarie) sono oltre 5
milioni (8,5 italiani su 100). La presenza di poveri è frequente
soprattutto tra i minori e i giovani (il 12%, cioè 1.208.000
minori, e il 10% delle famiglie con “capofamiglia” inferiore a 35 anni è
in povertà assoluta), tra gli operai (il 12% è in
povertà assoluta), tra le persone di bassa istruzione
(l'11% delle famiglie con “capofamiglia” con titolo di studio “licenza
elementare” è povero, contro il 4% di quelle con “capofamiglia”
diplomato), nel Meridione (l'11,4% dei meridionali è
povero), nelle famiglie miste o composte di soli stranieri
(16,4% e 29,2%).[1].
Eppure il 2017 è stato l'anno con il maggiore aumento della
ricchezza dell'ultimo decennio (+1,5%). Ma, come avviene
ormai da anni, e non solo in Italia, l'aumento della ricchezza va a
finire quasi tutto nelle mani dei ricchi e benestanti, per cui le
disuguaglianze aumentano sempre di più. I poveri diventano sempre più
poveri (tra il 2008 e il 2016 il 10% più povero degli italiani
ha visto il proprio reddito diminuire di oltre il 30%) [2].
Che fare per uscire da questa situazione ingiusta e pericolosa?
La povertà e le disuguaglianze hanno una pluralità di cause e quindi non
è possibile risolverle con un unico provvedimento. C'è bisogno di un
insieme di interventi, i principali sono questi [3]:
- Ridistribuire la ricchezza tramite il fisco. Su
questo ormai tutti gli economisti sono d'accordo. Si devono tassare
non solo i redditi ma anche i patrimoni e in maniera più progressiva
(chi guadagna o possiede di più deve essere tassato di più). Anche il
Fondo Monetario Internazionale e l'OCSE ora lo dicono, perché le
disuguaglianze sono un freno allo sviluppo e un fattore di instabilità
economica: chi ha molti soldi li gioca in attività finanziarie rischiose
e se i poveri sono troppi diminuisce la domanda di beni e servizi, che
determina crisi delle imprese e disoccupazione [4, 5]. Aumentando la
tassazione della ricchezza lo Stato può incassare di più e riuscire a
mettere in atto quei provvedimenti contro le disuguaglianze e la povertà
che hanno un costo.
- Combattere il lavoro nero. Lavoro nero significa
sfruttamento dei lavoratori (paghe basse, non rispetto delle norme di
sicurezza e dei diritti del lavoratore) ed evasione fiscale (il guadagno
dell'imprenditore in nero non risulta e quindi non paga tasse).
- Combattere l'evasione fiscale e i paradisi fiscali.
Si stima che l'evasione fiscale comporti 111 miliardi di minori
entrate per lo Stato ogni anno [6]. La maggioranza di questa
evasione è operata da ricchi e benestanti, che, per di più, spesso
trasferiscono i propri capitali illegalmente all'estero (si stima che
oltre 180 miliardi di euro non sono tassati perché depositati in
paradisi fiscali) [7].
- Investire in istruzione, salute e politiche sociali.
Le persone più povere sono anche le meno istruite; le persone meno
istruite e più povere sono anche quelle che si ammalano di più e che più
facilmente diventano disabili; le persone ammalate e disabili più
facilmente diventano povere. Non si possono combattere la povertà e le
disuguaglianze senza rompere questo tragico circolo vizioso. Secondo il
premio Nobel per l'Economia Amartya Sen investire in istruzione e salute
è tra gli interventi più importanti per combattere povertà e
disuguaglianze. E bisogna iniziare il prima possibile, fin dai primi
mesi di vita (promozione dell'allattamento al seno e di una sana
alimentazione, lettura ad alta voce dal 1 anno di vita, ecc.).
- Sostegno al reddito. Quando una persona non ha un
reddito sufficiente per soddisfare i bisogni primari (mangiare,
vestirsi, avere una casa ecc.) è un dovere della società assisterlo. Ma
è anche un investimento per prevenire i fenomeni dei senza tetto,
dell'accattonaggio, della microdelinquenza, delle lotte tra i poveri,
del sorgere ed estendersi di atteggiamenti e ideologie fasciste,
naziste, razziste. Il sostegno al reddito è anche un intervento per
aumentare la domanda di beni e servizi e quindi per rilanciare
l'occupazione.
- Aumentare la forza dei lavoratori. Negli ultimi
decenni i lavoratori hanno visto diminuire i loro salari e i loro
diritti, mentre i datori di lavoro hanno aumentato i loro guadagni. Per
contrastare tutto ciò bisogna ridare forza ai sindacati, rivedere le
norme sul lavoro, dare maggior peso ai contratti nazionali e introdurre
un salario minimo.
- Investire in attività che creino utilità e ricchezza.
Ogni anno l'inquinamento, il dissesto idrogeologico, il traffico
automobilistico, l'incuria del patrimonio ambientale, storico e
artistico determina un danno stimabile nell'ordine di varie decine di
miliardi di euro e ogni anno, per cercare di rimediare a questi danni,
si spendono vari miliardi di euro (spesso per mettere “toppe” costose e
di effimera utilità). E' necessario allora che lo Stato investa di più
nella tutela dell'ambiente e del proprio patrimonio culturale. In questa
maniera lo si valorizza anche e si aumenta il turismo.
Bisogna anche investire in infrastrutture che siano sicuramente
produttive (purtroppo l'Italia è piena di strade, aeroporti, impianti
sportivi ecc. che sono costate un banco di soldi, che non hanno prodotto
nessuno sviluppo e, in vari casi, hanno causato anche gravi problemi
ambientali). Sicuramente bisogna potenziare il trasporto su ferro che è
tra quelli meno inquinanti e l'interconnessione nave-ferro: è assurdo
che in Italia solo il 13% delle merci viaggi su treno (in Germania è il
24% e il 13% viaggia su fiume, in Austria il 42%) e che alcuni porti (p.
esempio quello di Napoli) non hanno una connessione diretta con la
ferrovia [8].
- Velocizzare la giustizia civile. Un processo civile
in Italia dura in media quasi il doppio di quello degli altri Paesi [9].
Si stima che tale lentezza costi circa 40 miliardi all'anno e sia uno
dei fattori che frena gli investimenti stranieri nel nostro Paese.
Purtroppo negli ultimi decenni i governi hanno fatto quasi sempre, chi
più chi meno, il contrario di quanto prima elencato.
Nel 2001 è stata abolita la tassa di successione (poi ripristinata da
Prodi in forma molto tenue).
Nel 2003 ai ricchi e benestanti è stata ridotta l'IRPEF dal 45% al 43% e
a chi possiede un reddito annuo lordo inferiore a 15.000 euro è stata
aumentata dal 18,5% al 23%.
Nel 2011è stata varata una “flat-tax” per i proprietari di case che
affittano (“cedolare secca”). Nel 2014 è stata confermata con aliquota
al 10%.
Nel 2008 è stata abolita la tassa sulla prima casa (in realtà anche
sulla seconda, perché basta che un familiare si faccia la residenza
presso la seconda casa e tutto è a posto). La tassa è stata poi
ripristinata nel 2011 e di nuovo abolita nel 2015.
Si sono fatte leggi sul lavoro volute dagli imprenditori e fortemente
contrastate dai sindacati. Si sono tagliati i fondi alla sanità (nel
2013 sono stati spesi circa 117,5 miliardi di euro, nel
2016 110 miliardi [9]) e all'istruzione (nel 2008 l'Italia
spendeva il 4,8% del PIL, nel 2012 e nel 2014 si è raggiunto il minimo
storico 3,6% del PIL per poi risalire al 4,1% nel 2016) [10]. Si sono
spesi soldi in opere inutili.
L'attuale governo Lega-5Stelle sembra non avere il
quadro della complessità delle cause delle disuguaglianze. In progetto
vi sono due provvedimenti di segno opposto (sostegno al reddito
e flat tax), tra i primi provvedimenti varati un condono
agli evasori (che, a detta del Governo, porterà nelle casse
dello Stato solo 180 milioni [11]), il decreto sicurezza che, come
abbiamo visto nel nostro ultimo messaggio, fa aumentare lavoro
nero ed evasione fiscale, una riforma delle pensioni
che sottrae 10 miliardi alle casse dello Stato per elargirli a chi non
se la passa tanto male e nel 30% dei casi se la passa meglio
della media dei pensionati [12].
Chi si batte per la giustizia deve far sentire la sua voce
contro provvedimenti che vanno contro i poveri e aumentano le
disuguaglianze; deve impegnarsi in un'opera di informazione,
perché a molte persone sfuggono l'acuirsi delle disuguaglianze e gli
“effetti secondari” di promesse elettorali e di provvedimenti
demagogici; deve anche informare su quali sono gli interventi che
andrebbero presi per migliorare la situazione.
Noi della Marco Mascagna cerchiamo di svolgere questo compito e di dare
un sostegno qui ed ora a chi sta in difficoltà. Lo facciamo col microcredito
per gli abitanti del Rione Sanità, con il fondo che ogni anno
diamo all'Asilo Sector Primero e con la nuova attività
che abbiamo intrapreso (“Leggo per te”). “Leggere”
libri a bambini di 1-3 anni, figli di genitori di bassa istruzione e
basso reddito, è, infatti, un importante intervento per impedire che i
figli dei poveri abbiano già segnato il loro destino di povertà. Se vuoi
saperne di più leggi l'avviso che diamo nel seguito di questo messaggio.
Note: 1) https://www.istat.it/it/files//2018/06/La-povert%C3%A0-in-Italia-2017.pdf;
2) www.cattaneo.org/2018/10/25/nuova-sinistra-e-vecchie-disuguaglianze-2;
3) Si vedano Franzini M, Pianta M: Disuguaglianze. Quante
sono, come combatterle, Laterza 2016 e Franzini M, Granaglia
E, Paladini R, Pezzoli A, Raitano M, Visco V: Contro la
disuguaglianza: come e perché, Eticaeconomia 2017; 4) IMF: Fiscal
Monitor: Capitalizing on Good Times, April 2018; 5) OECD: The role
and Design of net wealth taxes in the OECD, 2018; 6) http://www.mef.gov.it/inevidenza/documenti/Rapporto_evasione_2017.pdf;
7) http://www.wallstreetitalia.com/paradisi-fiscali-pil-super-ricchi-evasori-italia;
8) Eurostat 2016; 9) UE https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/justice_scoreboard_2018_en.pdf;
9) Riportiamo i dati del finanziamento effettivamente erogato e non di
quello messo nel bilancio di previsione che spesso è maggiore, la
fonte è Corte dei Conti Rapporto 2016 www.corteconti.it/export/sites/portalecdc/_documenti/controllo/sezioni_riunite/sezioni_riunite_in_sede_di_controllo/2016/rapporto_coordinamento_finanza_pubblica_2016.pdf;
10) ISTAT; 11) https://valori.it/condono-beffa-il-governo-lega-m5s-ammette-fruttera-solo-180-milioni/
guadagnare; 12) https://quifinanza.it/lavoro/pensioni-altola-di-boeri-alla-riforma-della-legge-fornero/230612
I cittadini dovrebbero giudicare i governi e i partiti politici
sulla base di quello che fanno. Se non si andasse più dietro
a battute, slogan, cinguettii ma si esaminassero leggi e proposte di
legge, si darebbe un duro colpo alla demagogia e si comprenderebbe anche
quale è la strategia politica che si sta seguendo, potendo dare un
giudizio basato sui fatti.
La Marco Mascagna ha sempre cercato di fare questo esaminando e
giudicando atti quali il decreto Sblocca-Italia [1], la decisione del
Comune di costruire un impianto di compostaggio a Scampia [2], i
provvedimenti fiscali del Governo Renzi [3], i provvedimenti di sostegno
al reddito dei vari Governi [4], il decreto sulla sicurezza e il decoro
urbano [5], la legge sul caporalato [6], i provvedimenti Minniti contro
l’immigrazione [7] la proposta di flat tax [8].
Con questa nota esaminiamo i provvedimenti “antiimmigrazione”
del “decreto sicurezza” voluto dalla Lega e approvato dal
Governo Conte.
Il decreto, secondo la nostra Costituzione, è un provvedimento
eccezionale, con il quale l’esecutivo (il Governo) esercita
anche la funzione legislativa (che spetta al Parlamento). Proprio perché
contrasta con la divisione dei poteri, che è il presupposto dei regimi
democratici, la Costituzione afferma che il decreto legge può essere
varato solo “in casi straordinari di necessità e di urgenza”
e la Corte Costituzionale ha precisato che il contenuto
deve essere "specifico, omogeneo e corrispondente al titolo".
Il titolo del decreto sicurezza è il seguente “Disposizioni urgenti in
materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica,
nonché misure per la funzionalità del Ministero dell'Interno e
l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per
l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati
alla criminalità organizzata” e già appare chiaro che il
contenuto non è omogeneo. Infatti la protezione
internazionale, cioè l’obbligo che abbiamo di accogliere e
proteggere chi fugge da guerre e da situazioni dove non è garantito
“l’effettivo esercizio delle libertà democratiche” (art. 10 della
Costituzione) è una cosa, l’immigrazione un’altra, la sicurezza
è altro ancora (i dati smentiscono la bufala che gli immigrati
delinquono di più [9]) e l’utilizzazione dei beni sequestrati
alla mafia centra come il cavolo a merenda.
Non solo, tutti questi argomenti non rivestono nessun carattere
di “necessità e urgenza” da configurare un “caso straordinario”.
Infatti, richiedenti asilo e immigrati sono in numeri risibili
per una popolazione di 60 milioni di abitanti in netto calo
demografico (circa 200.000 italiani in meno ogni anno):
nel 2017 sono arrivati solo 110.000 stranieri (richiedenti asilo e
immigrati), nei primi 9 mesi del 2018 solo 21.000 stranieri
[10]. Anche i reati sono in netto calo [11] e quindi
non c’è nessuna “necessità e urgenza”. Quindi è lo stesso
Ministero degli Interni che con i suoi dati smentisce il Ministro
degli Interni che dichiara la “necessità e urgenza” di un
provvedimento su questi argomenti.
Va detto che, purtroppo, negli ultimi 20 anni quasi tutti i governi
hanno emesso decreti non omogenei (si pensi alle 296 pagine e alle
decine di argomenti diversi dello Sblocca-Italia, che la Corte
Costituzionale ha, in parte, dichiarato illegittimo) o che non
rispondevano ai requisiti di necessità e urgenza (il caso più eclatante
è il decreto Monti che abrogava le Province, cassato dalla Corte
Costituzionale per tali motivi).
Il decreto abroga la “protezione umanitaria”
sostituendola col “permesso di soggiorno per motivi speciali”, ne
riduce drasticamente le possibilità di rinnovo, diminuisce la durata
del permesso (da 2 a 1 anno per le vittime di sfruttamento
lavorativo e violenza domestica e per chi soffre di “condizioni di
salute di eccezionale gravità”) e non contempla più la
protezione per i minori, per le persone rese vulnerabili da un vissuto
particolarmente violento (persone torturate o che hanno visto
morire loro cari in mare ecc.) e per chi dimostra di essersi
profondamente integrato in Italia. Attualmente circa l’80%
delle protezioni umanitarie concesse riguardano questi casi ora abrogati
[12].
Abrogare, ridurne la durata e non permetterne il rinnovo della
protezione umanitaria per l'80% delle persone che attualmente la
ottengono non è solo una cattiveria contro soggetti
particolarmente fragili o in grave difficoltà, ma significa
creare decine di migliaia di stranieri irregolari. Tutti
coloro ai quali è stata un tempo riconosciuta non potranno rinnovarla né
ovviamente potranno essere rimpatriati, visto che la procedura prevede
l'esistenza di accordi con gli stati di origine, accordi che nella
maggioranza dei casi non esistono. Quindi un tale provvedimento non
diminuisce gli stranieri sul nostro territorio: fa solo aumentare gli
irregolari. Se si considera che la legge vieta di affittare
case e dare lavoro agli irregolari è facile dedurre che la
conseguenza di un tale provvedimento sarà un aumento del lavoro
nero e dei fitti a nero (cioè dell'evasione fiscale) e un aumento
di persone che dormono per strada, chiedono l'elemosina (se
la paga oraria a nero è di 2 euro l'ora, lo faremmo anche noi) e
che possono essere tentati a delinquere per sbarcare il
lunario e per vendicarsi di come l'Italia li tratta. Il decreto
Salvini quindi favorisce quelle situazioni che creano nella gente
l'avversione verso gli stranieri (“dormono per strada, non
lavorano, chiedono l'elemosina, delinquono, sono arroganti ecc.”) e
la richiesta di politiche dure contro queste persone,
cavalcate proprio da Salvini e dalla Lega.
Lo stesso meccanismo si crea con un'altra norma del decreto,
quella che ridimensiona fortemente lo SPRAR, cioè il Sistema
di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati. Tale sistema è
realizzato con fondi statali dagli enti locali e dall'ANCI, che possono
coinvolgere associazioni, cooperative e altri enti. Attualmente sono
interessati 1200 comuni e 35.881 stranieri, con una
media di 30 stranieri per comune [12]). Nei progetti SPRAR i rifugiati o
richiedenti asilo sono avviati in un processo di autonomia, tramite
percorsi di integrazione, scuola di lingua, tirocini, lavori
socialmente utili, lavori veri e propri. I progetti SPRAR
sono obbligatoriamente personalizzati, coinvolgenti pochi stranieri, che
risiederanno in appartamenti presi in affitto dai comuni o tramite
l’accoglienza in famiglia; il comune controlla l’utilizzo dei fondi
tramite un revisore dei conti apposito; il
personale deve avere titoli professionali adeguati
all’incarico, con curricula e qualifiche richieste dal Manuale SRAR; un
tutor dell’ANCI segue il buon andamento del progetto e almeno
due volte all'anno vi è un'ispezione; le spese
indirette per la gestione non possono superare il 10%. Tutte
queste condizioni hanno reso lo SPRAR trasparente, pulito (nessun
illecito è mai stato accertato), efficace ed efficiente (è
studiato e preso ad esempio da vari Paesi europei).
Il decreto sicurezza stabilisce che i richiedenti asilo,
che si stima rappresentino circa la metà dei beneficiari dei progetti
SPRAR, non possono usufruire dello SPRAR ma devono essere
assistiti dai Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS). I
CAS sono grandi centri con centinaia di stranieri (nel
70% dei casi tra 80 e 300 persone, ma talvolta più di 500 persone [13]),
affidate dalle Prefetture quasi sempre a privati (imprese o
cooperative), che lo fanno solo per soldi e non certo per
ragioni etiche. I criteri di gestione dei CAS e i controlli
sono molto meno stringenti di quelli dello SPRAR (un'indagine
ha rilevato nel 60% dei casi gravi carenze nei servizi alla persona, e
nell'insegnamento dell'italiano nel 68% dei casi; nel 2017 solo
il 40% ha avuto un'ispezione [13]). Praticamente gli
stranieri sono “parcheggiati” nei CAS senza fare niente, bighellonando
per gran parte del tempo nelle strade vicine. Tutti gli scandali sulla
gestione degli stranieri hanno riguardato questi centri (Roma capitale,
CAS di Mineo ecc.).
Anche in questo caso, quindi, il decreto incrementa le
situazioni che determinano insofferenza verso gli stranieri
(grande concentrazione di stranieri su un piccolo territorio, “Sono
tutto il giorno a bighellonare e a fare caciara a spese nostre”;
scandali sulla gestione degli stranieri ecc.) e la percezione
di insicurezza dei cittadini, perché è su tali percezioni (e
non sui dati di fatto) che gran parte degli elettori opera le proprie
scelte politiche.
Insomma un circolo vizioso nel quale gli elettori di questo
partito sono danneggiati e turlupinati. Cosa che purtroppo
succede spesso a quegli elettori che, invece di vasarsi sui dati di
fatto, si basano sulle parole, sugli slogan, sulle battute,
sull'antipatia e simpatia.
Ciò rende necessaria una grande opera d'informazione,
di lotta alle bufale, di demistificazione, di svelamento dei raggiri
operati da tanti politici nei confronti dei cittadini.
Per fortuna ci sono varie organizzazioni che svolgono un
puntuale lavoro d'informazione su questi temi [14] e che
operano concretamente per migliorare la condizione degli stranieri e, in
questo modo, eliminare quelle condizioni che portano all'insofferenza
verso queste persone. Visitare i loro siti e leggere i loro
rapporti è utile per avere un quadro reale della situazione
ed elementi per svolgere una propria opera d'informazione e
demistificazione.
Note: 1) messaggio dell'8/11/14; 2) messaggio 7/2/15;
3) messaggi 3 e 23 ottobre 2015; 4) messaggio 24/1/17; 5) messaggio
25/3/17; 6) messaggio 26/10/16; 7) messaggio 7/9/17; 8) messaggio
17/1/18; 9) si veda il messaggio del 27/10/2017; 10) http://www.interno.gov.it/sites/default/files/cruscotto_statistico_giornaliero_17-10-2018.pdf;
11) si vedano i Rapporti Criminalità del Ministero degli Interni; 12)
ANCI, Caritas, Migrantes: Rapporto sulla protezione internazionale in
Italia 2017; 13) In Migrazione: Straordinaria accoglienza, dossier https://www.inmigrazione.it/it/dossier/straordinaria-accoglienza;
14) Lunaria www.lunaria.org;
VITA vita.it; Associazione Studi Giuridici sull'Immigrazione www.asgi.it;
Società Italiana di Medicina delle Migrazioni https://www.simmweb.it;
Fondazione Migrantes www.migrantesonline.it;
Stranieri in Italia www.stranieriinitalia.it.
La Costituzione italiana non solo vieta
qualsiasi discriminazione in base a lingua, “razza”, religione
(art.3), ma prescrive che le minoranze linguistiche devono
essere tutelate (art.6). La dichiarazione dei Diritti
dell'Uomo e quella sulla Diversità Culturale affermano che “i
diritti culturali sono parte integrante dei diritti dell'uomo”
e che “la difesa della diversità culturale è un imperativo
etico, inscindibile dal rispetto della dignità della persona umana”. Per
questo varie norme statali indicano che nelle scuole devono essere
studiati e valorizzati i dialetti e la cultura del luogo; per questo è
stata varata una legge che riconosce e tutela 12 minoranze linguistiche
“storiche”; per questo Regioni, Province e Comuni varano provvedimenti e
iniziative per salvaguardare la cultura locale.
Comuni che hanno un solo abitante di lingua occitana sono riconosciuti
dallo Stato “Comuni occitani”, con tutto il corredo di obblighi e
diritti che ne discende. Addirittura vi sono comuni in cui i pochi
occitani presenti non sanno più capire e parlare questa lingua e lo
Stato li riconosce “Comuni occitani” [1].
In Italia tutte le minoranze linguistiche storiche sono tutelate
tranne una: quella romanì. Comunità romanes sono sicuramente
presenti in Italia dai primi anni del 1400, arrivate
dai Balcani, per fuggire ai turchi (come gli albanesi ancora presenti in
Calabria). La lingua romanì è simile al sanscrito (il
popolo romanì è originario dell'India, probabilmente appartenente alla
casta militare, costretta a lasciare il Paese per le invasioni arabe). Questa
lingua è parlata, in vari “dialetti”, da tutti i popoli romanì (in
Europa rom, sinti, kalè, manouches, romanichals, romanisael,
nominati dai non romanì in vari modi: zingari, gitani, gipsy, bohemiens,
nomadi). Esistono canzoni, poesie, romanzi, racconti, scritti
in questa lingua e vi sono stati e vi sono romanì
famosi: Antonio Solaro (autore del più importante ciclo di
affreschi di Napoli), August Krogh (Nobel per la
medicina), Charlie Chaplin, Yul Brynner (che è stato
anche presidente dell'International Romanì Union), Michael
Caine, Rita Hayworth, Bob Hoskins, gli Orfei, Antonio
Cansino, Joaquin Cortès, Django Reinhardt, Elvis Presley,
Ronnie Wood, i Gipsy King, George Cziffra, Mateo Maximoff,
Menyhert Lakatos, Bajram Haliti, Santino Spinelli. La musica di questo
popolo ha influenzato grandi musicisti (Liszt, Brahms, Ravel, Bartòk, De
Falla, Stravinskij ecc.), nonché la musica popolare di altri popoli
(napoletana, ungherese, spagnola ecc.) e il jazz (il jazz manouche è un
particolare stile di questa musica). Il popolo romanì ha feste,
tradizioni, costumi propri (come i ladini, i napoletani
ecc.). Dopo sardi, friulani e germanici sono la minoranza più
numerosa: i rom e sinti “storici” (cioè presenti da circa 6
secoli in Italia) sono circa 50.000, considerando
quelli che parlano romanes. Molti rom e sinti,
infatti, hanno rinunciato alla loro lingua e cultura per
sfuggire alle persecuzioni e alla discriminazione. In Italia ci sono
molti più discendenti di “zingari” di quanto si crede, soprattutto in
Abruzzo e Campania. Studi su questa popolazione e sui cognomi hanno
infatti scoperto che i cognomi Zingarelli, Zingaretti,
Gizzi, Romano, Morelli, Moretti, Bevilacqua,
Spinelli, Berlingeri, Spada, del Duca, De Rosa, Leonetti,
Guarnieri erano propri o frequentemente dei rom
(Spinelli e Berlingeri perché nel napoletano questi nobili protessero i
rom, che quindi si denominavano e venivano chiamati “degli Spinelli”,
“di Spinelli”, “Spinelli”) [2].
A questi 50.000 rom e sinti italiani si sono aggiunti altri
50.000-80.000 rom stranieri, provenienti dalla Romania e
Bulgaria (soprattutto dopo la caduta del comunismo) e dall'ex Yugoslavia
(in seguito alla guerra civile), venuti qui per sfuggire alle
discriminazioni e persecuzioni, fino a episodi di uccisioni
in massa (un vero genocidio in Kosovo).
Quasi tutti questi rom (come la gran parte dei 50.000 rom e sinti
italiani) non sono nomadi da molto tempo (mantengono
forme di nomadismo quasi solo giostrai, circensi e chi svolge lavori
stagionali), ma si continua a considerarli “nomadi”. In particolare l'Italia
spesso ha considerato i rom poveri che sono fuggiti dai Balcani dei
“nomadi stranieri” invece che rifugiati, non dando loro
l'assistenza dovuta a chi fugge da guerre e persecuzioni, per
cui queste persone si sono accampate dove potevano, venendo
scacciati dopo settimane, mesi e in qualche caso anni. Altre
volte sono stati rinchiusi in “campi nomadi”, anche essi
provvisori per le proteste degli abitanti e i conseguenti sgomberi. Tra
il 2003 e il 2007 nella sola Milano vi sono stati 350 sgomberi
di “campi rom”. A ogni sgombero la perdita di gran
parte delle proprie cose, il cercare un nuovo posto in cui
stare, sapendo che sarà per poco.
Rendendo “nomade” chi non lo era più e relegandolo in
“campi” provvisori nel mezzo del nulla, si rende difficile
anche l'istruzione scolastica dei bambini e si leva ogni
speranza e prospettiva di miglioramento e di integrazione. Di fatto i
rom dei campi (26.000 persone, di cui circa 10.000 bambini di 0-12
anni [1]) possono vivere solo rovistando i rifiuti, chiedendo
l'elemosina o rubando, perché ogni altra strada è stata resa
estremamente difficile se non impossibile dalla politica nei
loro confronti. Infatti, molti comuni impediscono l'iscrizione
di rom e sinti nella propria anagrafe, altri li
escludono dalle liste per le case popolari, per tutte queste
persone è difficilissimo trovare un lavoro a causa dei
pregiudizi nei loro confronti.
Il paradosso è che chi ha creato questo problema tuona contro i
rom e prospetta “soluzioni finali” (“scacciamoli tutti”)
impraticabili e di nessuna utilità (se sono cacciati da un Comune
andranno in quello vicino e se questo li caccia andranno in un altro o
torneranno nel primo).
Malgrado le chiarissime indicazioni della nostra Costituzione
sull'uguaglianza dei cittadini, sulla tutela delle minoranze e dei
profughi, malgrado l'Italia abbia firmato la Dichiarazione dei Diritti
dell'Uomo, quella sulla Diversità Culturale e le Convenzioni sulla
tutela dei profughi, esiste un “razzismo istituzionale”, e
questo alimenta il razzismo delle persone, creando un circolo vizioso
crudele e pericoloso. Il “razzismo istituzionale”, infatti,
assicura i presupposti oggettivi per sentimenti di ripulsa, fastidio,
odio nei confronti di una categoria di persone. “Non sono razzista ma i
rom non li sopporto perché rubano, rovistano nei rifiuti, chiedono
l’elemosina, non portano i bambini a scuola”. Ma è la politica
attuata nei loro confronti e nei confronti dei profughi di
questa etnia che fa tutto per emarginarli, per rendere
difficile il diritto alla casa, al lavoro, all’istruzione, che li
incattivisce e porta una minoranza di loro a tali
comportamenti.
A questo va aggiunto che la stampa scrive di rom e sinti solo
per episodi delittuosi: “Rom ruba” (anche se sarebbe più
pregnante scrivere “Un povero ruba”, “Un emarginato incattivito ruba”),
alimentando lo stereotipo del rom ladro e i pregiudizi nei
loro confronti. Mai che giornali e televisioni parlino degli
scrittori, dei musicisti, degli artisti romanì. Perché ogni
volta che si nomina il grande Chaplin o qualcuno dei personaggi più
amati tra quelli citati, non si dice “Il rom ...”? Perché sono
così poche le poesie e i romanzi romanì tradotti in italiano?
Perché non si organizzano rassegne, festival, eventi sulla
questa cultura? Perché non si parla delle persecuzioni di cui
sono stati e sono vittime? Perché i 500.000 uccisi nei campi di
concentramento nazisti sono così poco commemorati? Perché non
si parla dei campi di concentramento fascisti per “zingari”? Perché
si tace del contributo dato alla resistenza da rom e sinti?
E' il “razzismo istituzionale” che crea sentimenti di
antipatia, fastidio, odio e comportamenti
discriminatori, razzisti e violenti da parte di sempre più persone.
Sentimenti che i politici fomentano e cavalcano promettendo e attuando
una politica ancora più discriminatoria e razzista contro i rom.
Bisogna rompere il circolo vizioso “politica
razzista”-“razzismo dei cittadini”. Lo devono fare sopratutto i
cittadini che hanno ancora sentimenti di umanità e giustizia,
combattendo i pregiudizi, avvicinandosi a questo popolo, conoscendo
e facendo conoscere la loro cultura, chiedendo una
diversa politica nei loro confronti: smetterla con la
discriminazione e favorire l'integrazione e lo scambio culturale. Un
primo atto dovrebbe essere che lo Stato li riconosca come
minoranza linguisitica al pari dei ladini, occitani,
albanesi, sardi, friulani ecc. Lo chiedono da tempo le
organizzazioni rom e sinti italiane. E' un'ingiustizia e un'idiozia
non farlo.
Note: 1) https://it.wikipedia.org/wiki/Valli_occitane; 2) www.21luglio.org/21luglio/wp-content/uploads/2018/04/Rapporto_Annuale-2017_web.pdf.
Spinelli S: Rom questi sconosciuti, Edizioni Mimesis 2016; Piasere L:
Scenari dell'antiziganismo, SEID, 2012.
Nel mondo vi sono 196 stati
(compresi Vaticano e Palestina). Noi siamo portati a pensarli come a
entità basate su confini precisi, sulla sovranità entro questi confini e
su valori, cultura e lingua comuni (in Italia gli italiani, in Francia i
francesi e così via). Ogni stato col suo bel colore distinto dagli altri
come nelle carte geografiche delle scuole elementari e medie.
La realtà è più complessa: è come il camice di un pittore dove un colore
sfuma in un altro, si sovrappone, si frammischia.
La sovranità di uno Stato è limitata dai trattati e accordi
internazionali (e spesso anche dai rapporti di forza), i confini non
sono come ce li immaginiamo (chi di noi si immagina che il confine più
lungo dello stato francese e quello col Brasile? I confini tra
alcuni stati sono più flebili di quelli tra altri stati e
spesso i territori di confine hanno un'autonomia che regioni “centrali”
non hanno). Soprattutto in questi 196 stati sono presenti ben
5.000 etnie, ognuna con la propria lingua e cultura.
In Italia, per esempio, vi sono minoranze
recenti (quelle dovute alle migrazioni degli ultimi decenni:
rumeni, albanesi, marocchini, cinesi, ucraini, filippini, indiani,
moldavi, egiziani, pakistani, srilankesi, nigeriani, senegalesi, ecc.) e
altre presenti da secoli: popoli romanes (rom e sinti),
albanesi, catalani, croati, francesi, francoprovenzali, friulani,
germanici, greci, ladini, occitani, sardi, sloveni. Le
minoranze storiche (tranne rom e sinti) sono riconosciute, tutelate e
valorizzate dalla nostra legislazione, le altre no. Ognuna di
queste etnie ha una propria lingua (in realtà molti linguisti
considerano il sardo e il friulano un dialetto o una lingua italoromanza
come il napoletano, il piemontese, il lombardo, il veneto ecc.), dei
propri usi e costumi, una propria cultura che è importante preservare e
far conoscere, perché, come afferma la Dichiarazione Universale
sulla Diversità Culturale, “la diversità culturale è, per il
genere umano, necessaria quanto la biodiversità per
qualsiasi forma di vita; essa costituisce il patrimonio comune
dell'Umanità e deve essere riconosciuta e affermata a beneficio delle
generazioni presenti e future” [1].
Noi napoletani non siamo un'etnia diversa dagli italiani, né una
minoranza linguistica (il napoletano viene considerato dalla maggioranza
dei linguisti un dialetto o una lingua italoromanza), ma sarebbe una
vera sciagura se questo dialetto scomparisse, se nessuno più sapesse
parlare e comprendere il napoletano, se le nostre tradizioni e la nostra
cultura si perdessero. La Dichiarazione sulla Diversità Culturale
afferma infatti che “la difesa della diversità
culturale è un imperativo etico, inscindibile dal rispetto della
dignità della persona umana. Essa implica l'impegno a
rispettare i diritti dell'uomo e le libertà fondamentali, in particolare
i diritti delle minoranze e dei popoli autoctoni”, ricorda che “i
diritti culturali sono parte integrante dei diritti dell'uomo”
e che “bisogna vigilare affinché tutte le culture possano esprimersi e
farsi conoscere”. Una dichiarazione importante e, per di più,
sottoscritta da tutti i 196 stati del mondo.
Tutti i Paesi sono multietnici e multiculturali, chi
più, chi meno, e tutti lo sono da tempo.
Molti desidererebbero uno stato monoidentitario (una
sola etnia, una sola lingua, una sola cultura e una sola religione),
ritenendo che ciò sia meglio. Ma un tale stato può essere
realizzato solo facendo violenza alle minoranze. Il concepire
e cercare di realizzare lo stato come monoidentitario, basato
sull'antico “cuius regio eius religio”, è stato causa di tragiche e
spietate guerre fratricide e di “pulizie” etniche e religiose. Sono
gli stati monoidentitari quelli problematici, perché non basati sulla
realtà dei fatti. Studi geografici e storici hanno
evidenziato che il multiculturalismo non è di per sé causa di
conflitti e sembra invece essere un fattore di sviluppo sociale ed
economico (vedi USA, Gran Bretagna, Malaysia). In realtà sono
le disuguaglianze economiche, politiche e sociali che sono fortemente
correlate con i conflitti. Spesso, quando vi sono queste disuguaglianze,
si utilizza la diversità etnica e culturale per mobilitare un gruppo
(oppresso o oppressore) contro l'altro [2]. Il
multiculturalismo favorisce la libertà culturale, la possibilità di
scegliere costumi, comportamenti, credenze: favorisce cioè il
progresso umano. E noi italiani, che siamo il frutto di molteplici
incroci tra oschi, etruschi, latini, greci, popolazioni germaniche,
arabi, spagnoli, francesi dovremmo saperlo bene. Ciò che frena
il progresso umano sono i pregiudizi, che incasellano
automaticamente le persone in una categoria o gruppo attribuendo loro,
individualmente, le caratteristiche preconfezionate, solitamente
negative, ritenute tipiche di quella categoria o gruppo (“Tutti sanno
che i napoletani …”, “I rom sono tutti…”, ecc.).
Un'altra cosa importante è rendersi conto che ogni popolo pensa
che la propria cultura sia la migliore. I tedeschi si sentono
migliori di tutti gli altri, e perfino eminenti filosofi alemanni hanno
dichiarato tale superiorità e la necessità che gli altri popoli si
facessero guidare da questo popolo. I francesi pensano lo stesso e così
gli inglesi, gli italiani, gli statunitensi, i cinesi, gli arabi ecc.
ecc. Ogni popolo enfatizza i suoi aspetti positivi e glissa o
minimizza quelli negativi. I tedeschi e gli italiani, per
esempio, hanno molti pregi e hanno dato molto all'umanità, ma spesso
dimenticano che hanno dato anche il fascismo e il nazismo, le leggi
razziali, la seconda guerra mondiale e lo sterminio di 6 milioni di
ebrei e di oltre mezzo milione di zingari.
E' necessario allora prendere coscienza che ogni popolo, anche quello
che reputiamo meno “civile” ed “evoluto” si ritiene il più “civile” ed
evoluto”; che la nostra visione della realtà non è scevra di
pregiudizi (tutt'altro) e che è necessario
invece un rispetto e riconoscimento culturale reciproco.
Come ha detto un filosofo studioso dei rapporti tra diversi “A meno che
non si abbiano seri motivi per desiderare che i rapporti tra individui
di diversi gruppi funzionino male, è bene escludere il più possibile
dalla conversazione anche interiore il sapere generale sui gruppi umani”
[3]. Se è bene escludere “il sapere generale sui gruppi” (cioè potremmo
dire i pregiudizi che hanno un fondamento nella realtà), a maggior
ragione è necessario allontanare i pregiudizi che non hanno fondamento
nella realtà ma solo sul sentito dire e sui luoghi comuni.
A tal proposito è interessante e divertente questa riflessione di un
giovane rom raccolta dal più importante studioso italiano del popolo
romanès: “Vivete solo di pregiudizi. Per voi noi si nasce col violino in
mano e con due sole strade percorribili: il furto o il violino. Non si
scappa da lì: o suoni o rubi. Il fatto che ci possano essere rom onesti
e rom stonati a voi non passa nemmeno per l'anticamera del cervello. Dio
ha dato ad ognuno la propria croce: a noi ha dato quella di sopportarvi”
[4].
Note: 1) www.unesco.org/new/fileadmin/MULTIMEDIA/HQ/CLT/diversity/pdf/declaration_cultural_diversity_it.pdf:
2) Fukuda Parr: Lo sviluppo umano: 4° rapporto. La diversità
culturale in un mondo di diversità. Rosenberg e Tellier; 3) Baroncelli
F: Il razzismo è una gaffe, Donzelli 1996; 4) Piasere L: Scenari
dell'antiziganismo, SEID, 2012.
E' possibile dare un giudizio su qualcosa che non si conosce?
Tutte le persone intelligenti risponderanno: “No”. Eppure tutti
praticano questa assurdità. E' un modo di funzionare della nostra mente,
che cerca di risparmiare la fatica di reperire, esaminare ed elaborare
dati, preferendo farsi guidare dal pregiudizio, cioè da un giudizio
previo, su qualcosa che non si conosce ancora, un giudizio sulla base
del sentito dire o di superficiali impressioni.
Per secoli si è stati convinti che le donne non fossero adatte
alla matematica e alle scienze. E non lo pensavano solo
persone rozze e poco acculturate. Ne erano convinti filosofi e
scienziati e le donne stesse. Al massimo si poteva riconoscere loro
qualche altro pregio (Darwin scrive: «Le donne, anche se superiori agli
uomini per qualità morali, intellettualmente sono inferiori»). In realtà
la ricerca scientifica ha dimostrato che non esistono differenze
tra maschi e femmine nel ragionamento astratto. Una revisione
degli studi su matematica e genere (che ha preso in esame 500.000
soggetti) ha concluso che “Gli stereotipi sull’inferiorità
femminile in matematica sono in aperto contrasto con i dati
scientifici reali” e che differenze tra maschi e femmine si
sono trovate solo in Paesi dove il pregiudizio su matematica e donne è
forte e dove gli studi scientifici sono loro preclusi [1].
Infatti i pregiudizi possono “autorealizzarsi” e così
rafforzare il pregiudizio medesimo: si ha il pregiudizio che
una donna non abbia attitudine per la scienza e quindi non le si fanno
studiare materie scientifiche, le si proibisce l'iscrizione a licei e
università (fino a 150 anni fa in Italia e in molti Paesi occidentali),
non si assegnano cattedre e se fa una scoperta scientifica
fondamentale il Nobel viene assegnato al suo professore o a un suo
collega. E' successo a Nettie Maria Stevens (ruolo dei
cromosomi nell'ereditarietà), a Rosalind Franklin (scopritrice della
struttura del DNA e RNA), a Jocelyn Bell-Burnell (scopritrice delle
pulsar), a Lise Meitner (ha spiegato la fissione nucleare), Chien-Shiung
Wu (studiosa delle forze deboli). Il risultato di tutte queste azioni,
frutto del pregiudizio sull'incapacità delle donne di fare scienza, è
che solo poche donne hanno avuto il Nobel o insegnano in cattedre
prestigiose o dirigono progetti di ricerca.
Anche noi napoletani siamo vittime di pregiudizi: i napoletani
sono scansafatiche, ladri, furbi, incivili, sporchi: spesso
ne sono convinti gli stessi napoletani, però ognuno pensa di essere
l'eccezione. Lo stesso vale anche per le donne: una ricerca
ha evidenziato che la maggioranza delle donne condivide i pregiudizi
sulle donne, ma quasi tutte ritengono di essere l'eccezione a questa
regola, dimostrando così che il pregiudizio che hanno è falso (se
la stragrande maggioranza fa eccezione, non può dirsi “eccezione” ma
“condizione più diffusa”).
“Al Sud la maggioranza non usa il casco, io sono un'eccezione”.
I dati ci dicono che il 93,2% dei guidatori di moto e
ciclomotori lo indossa [2].
Una delle frasi più idiote che il pensiero umano ha formulato è
“L'eccezione conferma la regola”. Secondo logica invece
“L'eccezione conferma che la regola è sbagliata”. In realtà “l'eccezione
conferma la regola” è solo una strategia stupida per non
accettare i dati della realtà che cozzano con il nostro pregiudizio.
Se riteniamo che i napoletani sono scansafatiche, ladri, furbi,
incivili, sporchi, di fronte a un napoletano che non ha queste
caratteristiche o ne ha di opposte - e che quindi mette in crisi il
nostro pregiudizio - ce ne usciamo con “non sembra un napoletano”, “è
l'eccezione che conferma la regola”, e così possiamo rimanere col nostro
pregiudizio.
Ancora oggi è estremamente diffuso il pregiudizio che “gli
zingari” rapiscono i bambini (nei primi secoli della nostra
era lo si diceva dei cristiani e fino a pochi decenni fa degli ebrei).
Ricercatori dell'Università di Padova hanno voluto verificare quante
condanne per rapimento di bambini sono state pronunciate nei confronti
di rom e sinti. Il risultato è zero. Le denunce sono numerose,
le condanne per tentato rapimento molte meno, ma di
rapimenti accertati neanche l'ombra [3]. Allora è
necessario domandarsi se non sia la paura delle mamme italiane che la
zingara rapisca il bambino la causa di tante denunce di
tentato rapimento e se non sia lo stereotipo della zingara
rapitrice di bambini che la fa condannare per tentato rapimento
(le condanne per tentato rapimento, a differenza di quelle per
rapimento che devono basarsi su dati oggettivi, spesso hanno
come unico elemento probante la parola di “non zingari” contro quella
degli “zingari”).
Spesso gli stereotipi e i pregiudizi sono rinfocolati da chi ne
può trarre vantaggio. Per molti anni amministratori campani,
uomini politici e gruppi industriali del Nord (Impregilo) hanno
sostenuto che “i campani sono antropologicamente refrattari
alla raccolta differenziata”. Una buona scusa per non
organizzarla e per lucrare sui rifiuti (ecoballe, trasporti ecc.).
Oggi la raccolta differenziata in Campania è al 52%,
superiore a quella del Lazio (42%), della Liguria (44%), della Toscana
(51%), a dimostrazione che campani e abitanti del Nord e del Centro non
sono poi così diversi [4].
Un altro esempio sono i sinistri automobilistici. La provincia
di Napoli è solo al 26° posto per percentuale di sinistri
automobilistici (in testa vi sono Genova, Firenze, Milano,
Livorno, Modena, Padova) [5]. Eppure la maggioranza degli italiani e dei
napoletani pensa che Napoli sia ai primi posti e di questo approfittano
le compagnie di Assicurazione per tenere alti i premi.
In questi anni in Italia, e non solo in Italia, si sono
costruite carriere politiche e raccolti consensi elettorali sulla
paura dello straniero, dell'extracomunitario, dello zingaro,
rinfocolando pregiudizi con dati falsi (il numero di
stupri e altri reati commessi da stranieri) ed enfatizzando i
comportamenti incivili o delittuosi commessi da questi soggetti (“extracomunitario
uccide …, rapina, ruba ecc.” titolano i giornali, ma mai “italiano
uccide, rapina, ruba ecc.” e in tal caso la notizia non ha lo stesso
rilievo).
Le ricerche, i dati e le leggi della statistica ci dicono che i
nostri pregiudizi quasi sempre non hanno alcun fondamento e,
se lo hanno, non ci sono utili per prevedere le caratteristiche di un
soggetto appartenente a un determinato gruppo. Eppure,
malgrado ciò, gli stereotipi sono duri a morire, perché
sono rassicuranti: ci piace pensare che il
mondo sia prevedibile, semplice e schematico.
Fin da piccoli siamo stati abituati a pensare la diversità tra gli
uomini come una diversità di colori (“razziali”: bianchi, negri, gialli,
pellerossa ecc.; statali: italiani, francesi, tedeschi, inglesi, arabi,
ecc.; regionali: Lombardi, Toscani, Campani, Siculi ecc). La
realtà è molto più complessa: non è come le carte geografiche
appese nelle aule scolastiche con ogni nazione e regione con il suo bel
colore. Piuttosto è come il camice di un pittore dove un colore
sfuma in un altro, si sovrappone, si frammischia a un altro.
E i colori non sono determinati geneticamente e nemmeno dal territorio
in cui si nasce o si vive, ma da una pluralità di fattori e sono frutto
anche di scelte volontarie. Insomma è una realtà molto complessa e le
semplificazioni creano solo problemi.
Noi siamo napoletani, ma non abbiamo niente in comune con
camorristi, ladri, sfaticati, incivili (napoletani e non).
Siamo più vicini agli stranieri che non a quegli italiani che vorrebbero
che questi poveri cristi stessero nel loro Paese o in Libia a fare la
fame, a marcire in un campo di detenzione o a subire guerre o dittature.
Sentiamo straniero chi pensa solo a se stesso e alla
sua famiglia, chi dice “prima noi del Nord” o “prima gli
italiani”, chi crede che quel che conta sono i soldi o il potere, chi
disprezza chi è povero, chi calpesta gli altri o tace di
fronte alla discriminazione e all'ingiustizia. Più che napoletani,
italiani, europei, occidentali ci sentiamo parte della grande
famiglia umana, vicini soprattutto ai fratelli che sono poveri,
emarginati, in difficoltà e sul fronte opposto da chi vuole
che tali rimangano. Come diceva Don Milani “Io non ho Patria e
reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un
lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia
Patria, gli altri i miei stranieri”. Una frase che
piaceva molto a Marco Mascagna. E non poteva essere
diversamente per una persona concretamente dalla parte degli ultimi,
ecumenica nell'indole, che andava al di là delle appartenenze
(collaborava con tre associazioni ambientaliste, era cattolico ma
critico con molte posizioni della gerarchia, di sinistra ma capace di
dialogare con chi era di destra).
L'8 settembre sono 27 anni che Marco ci ha lasciato, ma è come
se stesse ancora con noi.
Note: 1) http://www.apa.org/pubs/journals/releases/bul-136-1-103.pdf;
2) ISS: Progetto Ulisse, 2016; 3) Tosi Cambini S: La zingara rapitrice,
CISU 2008; 4) ISPRA: Rapporto Rifiuti Urbano 2017; 5) ISTAT 2016.
Bianco o nero. Per alcuni la realtà non ha le mille
gradazioni del grigio e nemmeno le infinite sfumature dell’intera gamma
dei colori. 40 anni di “dibattiti televisivi” organizzati come
un combattimento tra galli con le opposte tifoserie hanno prodotto
questo effetto. C’è solo il Bene (che coincide con il mio
“partito”) e il Male (gli “altri”), le cui posizioni sono estremizzate,
deformate, caricaturizzate. Non è necessario ascoltare le tesi
dell’altro (o degli altri) per confutarle con dati e argomentazioni o
per accettarle se veritiere e convincenti; non è necessario approfondire
la questione, studiare, cercare falsificazioni e verifiche. O
sei dei nostri o sei “con quelli là” e tra le due parti può esserci
solo lo scontro o l’insulto mai il dialogo rispettoso e l’argomentare.
Noi della Marco Mascagna abbiamo sempre rifiutato di essere una
tifoseria e abbiamo sempre cercato di approfondire le questioni con
“metodo scientifico”. Sulla “Terra dei fuochi” siamo stati insultati
(“servi degli inquinatori”) e accusati di essere negazionisti, solo
perché ponevamo all’attenzione fatti quali l’aumento dell’aspettativa di
vita (e non la sua riduzione come si sarebbe dovuto verificare se
veramente eravamo tutti “intossicati”), la riduzione dei tassi di
incidenza standardizzati dei tumori (e non il loro aumento, come si
sosteneva), l’incapacità delle piante evolute (i nostri ortaggi) di
assorbire tossici presenti nel terreno, il mancato riscontro di
contaminanti nella stragrande maggioranza dei terreni e in tutti gli
ortaggi esaminati. E siamo stati accusati di essere “i soliti
ambientalisti isterici” solo perché ricordavamo che la gestione dei
rifiuti speciali è pessima, che il fumo dei roghi aggrava il già grave
inquinamento atmosferico dovuto al trasporto su gomma, che è meglio
riciclare che incenerire.
Ora è in corso un altro combattimento di galli, questa
volta sulle vaccinazioni. O si è a favore della legge Lorenzin
sull’obbligo vaccinale o si è no-vax.
Noi non siamo né con gli uni né con gli altri, e
crediamo che sia utile anche in questo caso porre all’attenzione alcuni
fatti.
Le vaccinazioni sono una scoperta cruciale nella storia
della medicina e hanno salvato la vita a milioni di persone
[1]; non è vero che causano l’autismo [2, 3, 4, 5], i
loro effetti collaterali sono rari e quelli gravi rarissimi
[3, 4]; i vaccini polivalenti oggi in uso contengono molto meno antigeni
di un vaccino monovalente di 50 o 40 anni fa e non
sovraccaricano per niente il sistema immunitario di un bambino
[6]. Chi dice il contrario non è bene informato.
Ma lo stesso si deve dire per tutti quelli (e sono tanti, soprattutto
politici e giornalisti) che dicono "In tutti i Paesi europei le
vaccinazioni sono obbligatorie". Ciò non è vero. La realtà è questa: in
19 Paesi europei non è obbligatoria nessuna vaccinazione e
solo l’Italia e la Lettonia primeggiano nelle vaccinazioni
obbligatorie [7].
Fino al decreto Lorenzin l’Italia aveva 4 vaccinazioni
obbligatorie (antipolio, antidifterica, antitetanica ed
antiepatite B) e l’obbligatorietà era più nominale che
sostanziale perché, con la legge di depenalizzazione 689/81,
l'omessa vaccinazione da reato è diventata un illecito amministrativo;
col decreto legge 273/1994 viene abolita la possibilità di segnalare al
Tribunale dei Minori i genitori inadempienti; con DPR n° 355/1999 è
stato soppresso il divieto di frequenza scolastica per i non vaccinati,
divieto che la Corte Costituzionale ha dichiarato in contrasto con il
principio dell’istruzione obbligatoria per tutti i minori.
Ma c'è di più, il Piano Nazionale per le Vaccinazioni
1997-2000 ha prospettato l’opportunità di un superamento dell'obbligo
vaccinale e il Piano Nazionale Vaccini 2005-2007 ha permesso la
sospensione dell’obbligo vaccinale per le Regioni che volevano
sperimentarla. Sulla base di tali indicazioni la Regione Veneto
ha approvato una legge regionale (LR 7/2007) che sospende
l'obbligo vaccinale e le regioni Piemonte e
Lombardia hanno sospeso le sanzioni amministrative nei
casi di rifiuto delle vaccinazioni [8] Quindi dal 1997 al 2016
i vari Ministri della Salute hanno visto di buon occhio la non
obbligatorietà dei vaccini e hanno lavorato per realizzarla,
poi nel 2017 un improvviso cambio di direzione.
Le coperture vaccinali sono state a livelli soddisfacenti fino
al 2013 per i vaccini obbligatori (antipolio, antidifterica,
antitetanica e anti epatite B), e anche per la pertosse e per
l'Hemofilo, ma non per il morbillo, la parotite, la rosolia e
la varicella (9). Dal 2013 si assiste ad un lieve calo delle
coperture delle vaccinazioni obbligatorie, dell’antipertosse e
dell’anti-emofilo mentre le coperture delle altre
vaccinazioni continuano lentamente ad aumentare, ma meno di quanto
programmato [9]. Se si esamina la situazione nelle varie
regioni e province autonome italiane appare una situazione molto
diversificata, con la Provincia di Bolzano, la Val d'Aosta, il
Friuli-Venezia Giulia con le coperture più basse (67% per
Bolzano contro una media nazionale dell'87%) e con una variabilità tra
un anno e l’altro [9]. Tutto ciò rende poco credibile che il
calo delle vaccinazioni dipenda dal venire meno dell’obbligo in alcune
regioni o dall’azione degli antivaccinisti. E' molto
probabile, invece, che abbiano un ruolo rilevante altri fattori, che
rendono meno facile per i genitori praticare la vaccinazione ai loro
figli in quel determinato contesto o periodo temporale [10]. Negli
ultimi anni il personale delle ASL si è ridotto sempre più e molti
centri vaccinali sono stati chiusi o hanno funzionato part-time,
rendendo più difficile ai genitori far praticare le vaccinazioni
ai loro figli, soprattutto in zone montane come quelle di
Bolzano, Val d’Aosta e Friuli. Che ci siano difficoltà a
vaccinare più che contrarietà ai vaccini è dimostrato anche dal fatto
che molti vaccinano con ritardo. Per esempio, sono ben il 5%
dei nati nel 1994 che esegue la vaccinazione antimorbillosa con un
ritardo di massimo un anno (87,3% a 24 mesi, 92,4% a 36 mesi). Quindi
ascrivere, come fanno alcuni “vaccinisti”, tutti quelli che non
praticano le vaccinazioni entro i termini previsti al partito dei no-vax
è sbagliato
Gli antivaccinisti in Italia sono solo lo 0,7% dei genitori
[11] eppure, “i galli pro Lorenzin” ascrivono a questo gruppo chiunque
sollevi anche un piccolo dubbio su una qualsiasi vaccinazione o sulla
necessità dell’obbligatorietà di 10 vaccinazioni. Va detto che gli
antivaccinisti sono sì un’esigua minoranza ma molto convinta e
attiva, soprattutto su Internet, e dicono molte
sciocchezze, fanno spesso “ragionamenti illogici” e tendono
a far leva sull’emotività e a spaventare le persone. Tutte
cose riprovevoli. Ma anche i “vaccinisti” non sono esenti da
tali difetti.
Per esempio il dott. Burioni in un’intervista afferma “Il mercurio è
stato eliminato dai vaccini” [12]. In realtà il mercurio è ancora
presente in alcuni vaccini per adulti. Il prof. Galassi, docente di
storia della medicina, ha affermato “Il rifiuto dei vaccini è il più
grande rischio per la specie umana: peggio della bomba atomica” [13]. O,
ancora, si fa credere che l' "effetto gregge" esista per tutte
le vaccinazioni (per antitetanica e antidifterica non esiste)
o che sia sempre al 95% di copertura, cose non vere.
Il dibattito sui vaccini ha purtroppo smesso di essere una discussione
scientifica (su quali vaccini puntare, se cercare di eradicare la
malattia o no, quale livello di copertura è necessario per realizzare
l’effetto gregge ecc.) per diventare uno scontro politico,
un combattimento di galli che purtroppo piace tanto a una parte dei
cittadini. Un dibattito che, come abbiamo visto, non tiene
conto della realtà. E non ne tiene conto anche perché varie
ricerche hanno evidenziato che le posizioni sui vaccini dei
genitori sono molto diversificate: ad un estremo vi
sono gli antivaccinisti, contrari alle vaccinazioni tout
court, all’altro estremo coloro che non vivono la vaccinazione
come un problema, anzi, come un’efficace difesa. Tra
questi due estremi vi è una pluralità di posizioni,
caratterizzate da questi dilemmi: “Per il bene di mio figlio è meglio
fare o non fare questa particolare vaccinazione? Meglio farla ora o più
tardi? Meglio insieme ad altre o no? Di chi mi posso fidare per avere
lumi in proposito?” [10]. E questi genitori non sono per nulla
“antiscientifici” e dogmatici, anzi danno un gran valore
alla conoscenza scientifica [14] e non sono per niente contrari alle
vaccinazioni, infatti nella stragrande maggioranza alla fine
decidono di vaccinare i figli e se solo ci fosse il sospetto
di un inizio di epidemia si precipiterebbero ai centri vaccinali. Questa
ampia e plurale fetta di genitori teme solo che il rapporto
benefici/rischi oggi sia basso, oggi che queste malattie sono così
rare (“Perché rischiare gli effetti collaterali della
vaccinazione se la probabilità di contrarre la malattie contro cui è
diretta oggi è remota? Perché rischiare un effetto collaterale al
proprio figlio per salvaguardare qualche bambino che non neppure si
conosce?”) [10]. Questi genitori pongono problemi reali, vivono dilemmi
etici e non è giusto (e nemmeno utile per aumentare le coperture
vaccinali) colpevolizzarli, disprezzarli o prenderli in giro.
In ultimo non possiamo non dire che oggi i nostri principali
problemi sanitari non sono le malattie infettive (come si è
dimostrato anche con la pandemia A/H1N1 del 2009, che ha causato
centinaia di morti e non decine di milioni come la pandemia di Spagnola
del 1918, pur avendo coperture molto basse, in Italia del 19%), ma
le malattie cronico-degenerative (dovute all'invecchiamento
della popolazione, all’alimentazione eccessiva ed errata, alla diffusa
sedentarietà, a livelli di inquinamento intollerabili, ad abitudini
voluttuarie come il fumo e l’alcol) e le disuguaglianze di
salute (i poveri e le persone di bassa istruzione si ammalano
di più, diventano disabili e muoiono molto prima di ricchi e
benestanti). Non possiamo non ricordare che gli interventi di
prevenzione oggi ritenuti più utili ed efficaci sono la promozione
della lettura ad altra voce ai bambini tra 1 e 3 anni [15,
16] e la lotta al tabagismo (tramite le metodologie del
“consiglio breve” e del “counselling breve” da parte dei sanitari e
interventi scolastici) [17], interventi sconosciuti ai nostri politici e
quasi del tutto trascurati dal nostro SSN.
Insomma i combattimenti dei galli sono primitivi, incivili,
vergognosi, essere parte di una delle tifoserie non è una
bella cosa, farsi prendere dall’emotività e dalla passione del
combattimento offusca la mente. L’ascolto, il dialogo
rispettoso, il confronto con i dati di realtà, la ricerca di
possibili falsificazioni delle proprie tesi sono invece indice
di civiltà, di amore per la verità, di maturità e di saggezza.
Note: 1) Bedford H, Elliman H: Concerns about
immunisation, BMJ. 2000 Jan 22; 2) Gerber JS, Offitt PA: Vaccines and
autism: a tale of shifting hypoteses, Clin Infect Dis, 2010; 3)
Institute of Medicine: Adverse Effects of Vaccines: Evidence and
Causality, 2011; 4) American Academy of Paediatrics: Vaccine Safety:
Examine the evidence, 2013; 5) Taylor LE et al: Vaccines are not
associated with autism: an evidence-based meta-analysis of case-control
and cohort studies, Vaccine, 2014; 6) Glanz JM et al: Association
Between Estimated Cumulative Vaccine Antigen Exposure Through the First
23 Months of Life and Non-Vaccine-Targeted Infections From 24 Through 47
Months of Age, JAMA 2018; 7) European Center for Desease Prevention and
Control: http://vaccine-schedule.ecdc.europa.eu/Pages/Scheduler.aspx;
8) Ministero della Salute: www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_1721_allegato.pdf;
9) www.salute.gov.it/portale/documentazione/p6_2_8_3_1.jsp?lingua=italiano&id=20;
10) https://prevenzione.aulss9.veneto.it/docs/RicercheScelteVaccinali/Indagine-Determinanti-Scelta-Vaccinale-Report.pdf;
11) Giambi et al: Parental vaccine hesitancy in Italy, results from a
national survey, Vaccine, 2018; 12) https://www.blogmamma.it/mercurio-e-vaccini-intervista-al-dr-burioni-video;
13) http://espresso.repubblica.it/attualita/2017/11/30/news/altro-che-bomba-atomica-e-il-rifiuto-dei-vaccini-il-piu-grande-rischio-1.315260;
14) Gullion JS et al: Deciding to opt out of childhood vaccination
mandates, Public Health Nurs. 2008; 15) Duursma E et al: Reading aloud
to children: the evidence. Arch Dis Child 2008; 16) American Academy of
Pediatrics 2008 http://www.brightfutures.aap.org/3rd_Edition_Guidelines_and_Pocket_Guide.html;
17) Faggiano F et al.: Prevenzione primaria del fumo di
tabacco.Linee-Guida. SNLG, 2013.
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Il Corriere della Sera ha pubblicato un video che documenta le torture
a cui vengono sottoposti i migranti in Libia (https://www.corriere.it/video-articoli/2018/01/24/inferno-libia-oggi-vi-ammazziamo-tutti-migranti-torturati-video-chiedere-riscatto/2a2dce8c-0144-11e8-b515-cd75c32c6722.shtml)
Su Internet ve ne sono decine e tutte da fonti
autorevoli (ONU, Medici Senza Frontiere, Televisione Danese, RAI ecc.).
Qui di seguito ve ne segnaliamo alcuni:
https://www.youtube.com/watch?v=VeTsLhyXFig
https://www.youtube.com/watch?v=vlLdIDDccy4
https://www.youtube.com/watch?v=YuTTFhP4H-k
https://www.youtube.com/watch?v=xf47SxvdapQ
https://www.youtube.com/watch?v=RedUCC5ncIk
https://www.youtube.com/watch?v=X-TUjL3NWg8
https://www.youtube.com/watch?v=3sxhwEDKWSE
ONU, Amnesty International, Medici Senza Frontiere, Human Right
Watch hanno pubblicato rapporti che denunciano le situazione disumane
nelle quali sono tenuti i migranti in mano ai
trafficanti e nei campi di concentramento gestiti dalle “autorità
pubbliche” (le virgolette sono d'obbligo considerando la situazione di
semianarchia presente nel Paese e la commistione tra autorità pubbliche
e trafficanti).
Ma tutte queste denunce non sono servite a fermare la politica
di bloccare i migranti in Libia perseguita prima dal Ministro
Minniti del Governo Gentiloni e ora dal Ministro Salvini del Governo
Conte.
La cosa più grave è che tale politica è vista con favore dalla
maggioranza degli italiani: l'anno scorso il 63% era d'accordo
con Minniti [1], ora il 59% è d'accordo con Salvini
(tra cui il 29% degli elettori del PD) [2].
Ciò che emerge da tutti i sondaggi è la percezione totalmente
distorta che la stragrande maggioranza degli italiani ha del fenomeno
migratorio: si sovrastima enormemente il numero di migranti
che giunge nel nostro Paese, di stranieri presenti in Italia, di reati
che commettono, si è convinti che siamo il Paese che più accoglie
stranieri, che ha più richieste di asilo (siamo al 16° posto in Europa),
si ignora che ogni anno circa 100.000 italiani emigrano all'estero per
avere un lavoro e uno stipendio migliore, che l' “immigrazione
clandestina” esiste perché dal 2012 l'Italia ha ridotto quasi a zero i
permessi di ingresso per lavoro (facendo un gran regalo ai trafficanti,
a chi gestisce i centri di detenzione e a chi sfrutta il lavoro nero),
che l'arrivo di lavoratori stranieri ha un effetto positivo per la
nostra economia e che secondo ISTAT, ONU e INPS ne dovrebbero arrivare
molti di più.
Tutte cose che noi della Marco Mascagna diciamo da anni. Ma tutto ciò
non basta. Bisogna dialogare con chi non la pensa come noi
e riuscire a destrutturare questa percezione distorta della realtà; bisogna
controbbattere alle menzogne e ai luoghi comuni falsi
presenti su blog, siti, giornali, pagine facebook e liste Whatsapp; bisogna
far percepire il migrante non come un alieno che vuole invaderci ma
come un uomo come noi, con i nostri stessi sentimenti,
speranze, bisogni, è necessario indurre le persone a mettersi nei panni
di questi nostri fratelli, perché al loro posto avremmo potuto esserci
noi.
Sulla nostra pagina facebook e sul nostro sito trovi i messaggi
che abbiamo scritto su questo tema e che pensiamo possano
essere di aiuto in questo impegno etico e politico che dobbiamo
perseguire con costanza, tenacia e determinazione, secondo i principi
della nonviolenza. Te ne ricordiamo i principali:
Alcune cose che pochi sanno sugli immigrati (messaggio
14 del 2 luglio 2018)
Luoghi comuni (falsi) sugli immigrati (messaggio 13 del
19 giugno)
Perché, chi l'ha determinato e a chi serve il “problema
immigrati” (messaggio 12 del 6 giugno 2018)
Meglio che muoiano? (messaggio 8 del 28 marzo)
La criminalità diminuisce sempre di più ma gli italiani pensano
il contrario. Come mai? (messaggio 23 del 26
ottobre)
La Marco Mascagna alla marcia contro razzismo e
intolleranza, per la giustizia e l’uguaglianza
(messaggio 22 del 16 ottobre 2017)
Il dovere di restare umani e di dire “Non in mio nome”
(messaggio 19 del 4 settembre 2018)
La demografia smaschera la demagogia (messaggio
8 del 9 marzo 2017)
Svegliamoci e prendiamo posizione (messaggio 5
dell'8 febbraio 2017)
Disumani (messaggio 25 del 16 novembre 2016)
Varie indagini dimostrano che gran parte degli italiani hanno
convinzioni sull'immigrazione che non corrispondono alla realtà. Ciò è
stato determinato soprattutto da alcuni organi di informazione e alcune
forze politiche che hanno diffuso per anni notizie false
sull'immigrazione. Come diceva Oscar Wilde “Nulla è più efficace di un
luogo comune”. E sui migranti (e purtroppo non solo su loro) circolano
molti luoghi comuni che, proprio per essere tali, sono ritenuti certi
dalla maggioranza delle persone. Esaminiamone alcuni:
“E' un'invasione”, “Un'enorme massa di persone preme
alle nostre porte”, “Un esodo biblico”. Queste sono frasi sulla bocca di
quasi tutti e di tutti i giornali più venduti. I dati ci dicono che:
- negli ultimi 10 anni circa 700.000 persone sono sbarcate in Italia
(con un picco di 181.000 nel 2016), cioè 70.000 all'anno, pari a 1
immigrato all'anno ogni 864 italiani. Solo un folle o un imbroglione può
dire che 864 persone sono invase da una persona [1, 2];
- fino al 2015 la maggioranza di queste persone (secondo stime anche il
90%) lasciava l'Italia per recarsi in altri Paesi europei, poi, con
l'accordo sugli hotspot e il III regolamento di Dublino firmato
dall'Italia, la situazione si è invertita, e ora si stima che il 90%
rimanga in Italia. Anche se tutti rimanessero in Italia e l'Italia
accogliesse 200.000 persone all'anno, si tratterebbe di 1 persona ogni
300 italiani all'anno. Non è un'invasione, è la quota ottimale secondo
ISTAT, INPS e ONU per affrontare il grave problema dell'invecchiamento
della popolazione [3, 4, 5];
- attualmente, dopo oltre 25 anni di immigrazione, ci sono in Italia 5
milioni di stranieri regolari e 491.000 irregolari. Per un Paese di 60
milioni di abitanti, non è molto [6, 7].
“Non possiamo accoglierli tutti noi”, “L'Europa
ci ha lasciato soli”.
L'Italia non è il Paese con più stranieri. La Germania ha 8,7 milioni di
stranieri, il Regno Unito 5,6 milioni, l'Italia 5,0 milioni, la Spagna e
la Francia 4,4 milioni. Va considerato che l'Italia dà la cittadinanza
con molta più difficoltà di altri Paesi (in particolare della Francia,
dove vige lo ius soli), per cui in Italia sono contati come stranieri
anche figli di stranieri, nati in Italia e vissuti qui per 18 anni.
L'Italia è all'11 posto in Europa per numero di rifugiati ogni 100
abitanti. Veniamo dopo Svezia (2,3%), Malta (1,8%), Norvegia (1,1),
Austria (1,1), Cipro (1,0), Svizzera (1,0), Germania (0,8), Olanda
(0,6), Danimarca (0,6), Francia (0,5): in Italia sono lo 0,2%
Non siamo al 1° posto nemmeno per richieste di asilo. Nel 2016 la
Germania ha avuto 750.000 richieste, l'Italia 122.000. La Grecia (10,7
milioni di abitanti) 51.000. Se si considerano le richieste di asilo tra
il 2010 e il 2016 siamo sempre dopo la Germania e poco al di sopra della
Francia.
Se si considerano le richieste d'asilo per 100 abitanti siamo al 16°
posto, al primo posto va la Svezia (4%), la tanto vituperata Malta ci
supera di molto: 2,7 richieste di asilo ogni 100 abitanti contro le 0,8
richieste dell'Italia [8, 9].
“Diamo 35 euro al giorno agli stranieri e niente agli italiani”
I 35 euro per immigrato sono dati agli italiani che gestiscono i centri
di accoglienza. Di questi soldi 2,5 euro sono dati all'immigrato per le
sue esigenze personali (contatti con i familiari ecc.), il resto serve
all'organizzazione per spese di alloggio, vitto, pulizia, stipendi ecc.
Qualche organizzazione, per guadagnarci al massimo, tiene gli immigrati
in condizioni disumane, altre si prodigano perché spinti da passione
etica.
“Ci rubano il lavoro”, “Gli stranieri sono un peso per l'Italia”
I dati Istat mostrano come i lavoratori immigrati tendono a fare lavori
che gli italiani rifiutano esercitare: collaboratori domestici, badanti,
venditori ambulanti, pastori, braccianti, facchini. Se non ci fosse chi
fa questi lavori l'economia avrebbe ripercussioni negative e si
perderebbero molti posti nei lavori collegati (p. es. se non ci fossero
i pastori si perderebbero posti nelle industrie casearie e nel
commercio) [10];
Tra imposte e contributi previdenziali i cittadini stranieri versano
16,5 miliardi di euro all’anno. Mettendo a confronto queste entrate con
tutte le uscite rivolte agli immigrati (anche per non farli venire e
tenerli chiusi nei centri) il saldo è in attivo per lo stato italiano di
ben 3,9 miliardi di euro [10].
“Continuando ad accoglier i migranti diventeremo un paese
islamico e le donne dovranno girare col velo”
La maggioranza degli immigrati è cristiana, i mussulmani sono il 32%. La
percentuale di persone di religione islamica in Italia è stazionaria
[11].
“Le ONG favoriscono l'immigrazione clandestina”, “Se non ci
fossero le navi delle ONG non partirebbero”, Le navi delle ONG sono
taxi del mare”.
L'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale ha effettuato una
ricerca per vedere se i flussi di migranti hanno una relazione con la
presenza delle navi delle ONG. La conclusione è la seguente: “I dati
mostrano che tra il 2015 (anno nel quale iniziano ad operare le ONG) e
oggi le attività delle ong non hanno fatto da pull factor
(cioè non sono un fattore di attrazione) e non sono correlate con
l’aumento dei flussi. Che le ong operassero in mare o meno i flussi non
ne erano influenzati. Non c’è una correlazione neanche minima tra le due
cose” [12]. Quindi le navi delle ONG non favoriscono le partenze,
cercano di impedire che le persone muoiano in mare. Ma sembra che alcuni
politici e cittadini italiani questo desiderano: che muoiano in mare o
nei lager libici, purché non arrivino in Italia.
Dall'inizio dell'anno al 22 maggio 2018 10.659 migranti sono giunti in
Italia e 384 sono morti in mare nell'area controllata dall'Italia,
l'anno scorso i migranti giunti in Italia nello stesso periodo sono
stati 60.000: probabilmente 50.000 sono stati fermati nei lager libici,
con grande gioia di Minniti e di tanti italiani [13]. Ma Salvini non può
essere da meno e sta facendo di tutto per dimostrarlo. In questa gara a
chi è più duro (cioè più cinico) chi ci rimette sono i poveri migranti:
dal 2015 al 2017 la probabilità di morire in mare per arrivare in Italia
è triplicata [14]
Note: 1) ISMU http://www.ismu.org/2017/02/online-dati-sui-richiedenti-asilo-anni-2010-2016/;
2 Ministero degli Interni; 3) ONU Department of Economic and Social
Affairs Population Division,Word Population Ageing 1950-2050,www.un.org; 4)
ISTAT, Il futuro demografico del Paese: www.istat.it/it/archivio/48875; 5) INPS
Centro Studi e Ricerche 2017; 6) ISTAT; 7) ISMU: XXIII rapporto
sulle migrazioni www.ismu.org/wp-content/uploads/2017/12/Comunicato-23esimo-rapporto-ISMU.pdf;
8) Eurostat 2018; 9) UNHCR 2018; 10) https://www.mulino.it/isbn/9788815273048;
11) CESNUR Centro Studi Nuove Religioni; 12) https://www.ispionline.it;
13) IOM 2018 http://www.italy.iom.int/it/arrivi-mare-e-migranti-dispersi;
14) www.amnesty.it/morti-nel-mediterraneo-le-complicita-dei-governi-europei/
Per capire la “questione immigrati”, perché è diventata un problema e
se gli interventi attuati hanno migliorato o peggiorato la situazione, è
molto utile ripercorrere la storia degli interventi governativi degli
ultimi 20 anni su questo tema, anche per dare un giudizio sull'operato
delle forze politiche.
Nel 1998 viene varata la legge
Turco-Napolitano che prevede quote annuali di ingresso per
cittadini stranieri chiamati a lavorare da datori di lavoro (cioè uno
straniero può venire in Italia solo se dimostra che un datore di lavoro
lo vuole assumere). Ogni anno il Governo stabilisce con un
“decreto flussi” la quota di stranieri che possono entrare in Italia
per lavoro: a questi viene rilasciato un permesso, per cui
diventano immigrati “regolari”.
L'impianto della legge Turco-Napolitano viene mantenuto dalla legge
Bossi-Fini del 2002 con alcune modifiche di cui due
particolarmente importanti:
1) sono concessi con grande difficoltà
permessi a stranieri che provengono da Paesi che non contrastano
l'emigrazione e/o che non accolgono gli espulsi dall'Italia e
il diniego del permesso non deve essere più motivato (e, di conseguenza,
non è più appellabile);
2) è abolita la possibilità che uno straniero regolare possa
ospitare per un anno un connazionale (garantendogli alloggio,
vitto e assistenza sanitaria) per consentirgli di iscriversi alle liste
di collocamento per cercare un lavoro.
La prima norma ha determinato l'impossibilità per persone di
Paesi con forte emigrazione o con relazioni non buone con
l'Italia di entrare legalmente nel nostro Paese. Di
conseguenza sono state rifiutate dall'Italia persone particolarmente
bisognose di emigrare (per povertà o per fuggire da regimi poco
democratici).
La seconda norma lasciava in piedi solo la possibilità
di entrare per chiamata diretta del datore di lavoro di uno straniero
ancora non presente in Italia. Poiché i datori di lavoro molto
difficilmente assumono qualcuno che non hanno neanche visto, ciò ha
determinato la necessità di entrare in maniera irregolare in Italia
per cercare un lavoro (e spesso svolgerlo per un certo
periodo di tempo), ritornando poi nel proprio Paese per poter essere
chiamati dal datore di lavoro. Una procedura costosa, farragginosa e
ipocrita.
L'effetto di questi due provvedimenti è stato un aumento degli
immigrati irregolari e la necessità di procedere a sanatorie
per venire incontro ai datori di lavoro (in particolare alle famiglie
che avevano in casa un/una badante o un/una colf a cui si erano
affezionati).
Nel 2009 (Ministro degli Interni Maroni) viene varato il Pacchetto
Sicurezza (legge 94/99) che prevede norme per rendere più
facili le espulsioni e per contrastare gli irregolari (pene per
chi affitta agli irregolari, reato di ingresso e
soggiorno illegale, aggravante della “clandestinità” ecc.).
Queste norme non hanno incrementato granché le espulsioni (ma le hanno
rese più arbitrarie) e non hanno ridotto il numero degli
irregolari. Hanno invece peggiorato la loro
situazione (fitti più alti per avere un alloggio;
impossibilità di denunciare reati, vessazioni o sfruttamento di cui si è
vittime, per non finire sotto processo o espulsi; ecc.).
Il Pacchetto Sicurezza ha anche aumentato il numero degli
irregolari grazie all'introduzione dell'obbligo di
dimostrare la disponibilità di un alloggio conforme a determinati
requisiti (verificati da ASL e Comune). Se prima una coppia
di coniugi o alcuni connazionali abitavano in uno stesso appartamento ed
erano tutti regolari ora quell'appartamento diventa idoneo per una sola
persona e gli altri diventano così irregolari, non avendo la possibilità
economica di prenderne uno adeguato.
Il Pacchetto Sicurezza, inoltre, ha allungato la permanenza
degli stranieri nei CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione) a 6
mesi. Successivamente la legge 129/2011 (Governo
Berlusconi) ha ulteriormente prolungato la
permanenza nei CIE fino a 18 mesi.
L'accordo UE sugli hotspot, siglato nel 2015 dal Governo
Renzi, dispone che in questi centri si proceda a un sommario
interrogatorio del migrante per smistarlo a un centro di
prima accoglienza (se si ritiene che abbia diritto all' “asilo”) o a un
CIE (per identificarlo ed espellerlo).
La legge Minniti (46/2017, Governo Gentiloni) ha
cambiato composizione e procedure per l'accertamento del “diritto
d'asilo” (un solo grado di giudizio, esame solo sulla
documentazione scritta senza contraddittorio e senza bisogno
di convocare il richiedente ecc.).
Tutte queste ultime leggi hanno portato a un enorme aumento dei
costi e del personale addetto a gestire gli stranieri (per la
gran parte cooperative e società) e a una drastica riduzione
delle ammissioni all' “asilo” (e quindi a un aumento
degli irregolari). Nel 2012 solo il 22% delle
domande di “asilo” veniva respinto, nel 2013 e nel 2014 il
39%, nel 2015 il 59%, nel 2016 il 56%, nel 2017 il 53%
[1].
E' particolarmente istruttivo anche analizzare i decreti flussi
(cioè il numero di stranieri che ogni anno possono venire in
Italia per lavoro avendo il relativo permesso) e le sanatorie degli
stranieri irregolari.
Dal 1998 a oggi il numero di permessi stabiliti per anno:
1998: 58.000
1999: 278.000 (58.000 permessi più 214.000 irregolari
sanati)
2000: 63.000
2001: 89.400 (di cui 39.400 stagionali)
2002: 773.500 (79.000 permessi e 694.000 sanati)
2003: 79.500 (di cui 68.500 stagionali)
2004: 115.500 (di cui 50.000 stagionali)
2005: 180.000 (di cui 45.000 stagionali)
2006: 580.000 (di cui 80.000 stagionali)
2007: 47.100
2008: 150.000
2009: 375.000 (80.000 stagionali e 295.000 sanati)
2010: 80.000 stagionali
2011: 160.000 (di cui 60.000 stagionali)
2012: 52.850 (di cui 39.000 stagionali)
2013: 47.850 (di cui 30.000 stagionali)
2014: 10.000 stagionali
2015: 13.000 stagionali
2016: 30.850 (di cui 13.000 stagionali)
2017: 30.850 (di cui 13.850 stagionali)
Da questi dati emerge in maniera evidente:
1) il ridursi negli ultimi anni dei permessi concessi:
nel periodo 1998-2009 la media dei permessi rilasciati
è di 232.000 all'anno; dal 2010 in poi di
53.000. Il Governo Renzi è quello che supera tutti per
esiguità dei permessi rilasciati (17.950 all'anno di cui il 56% per
stagionali), i governi di destra quelli che hanno rilasciato più
permessi;
2) il prevalere dal 2009 in poi dei permessi per lavoro
stagionale (massimo 6 mesi).
Quello che i dati non dicono è che gran parte dei permessi rilasciati
(soprattutto negli ultimi 6 anni) sono serviti a regolarizzare
persone che già erano regolari e che sono diventate
irregolari grazie alle norme introdotte. In alcuni anni solo il
10% della quota (pari a 1000-3000 persone) è servita
a far entrare nuove persone o a regolarizzare persone da sempre
irregolari [2].
L'aumento degli sbarchi dal 2011 in poi dipende in parte dalle
guerre in Medio Oriente e in Africa e dall'avanzata
dei fondamentalisti islamici, che fa fuggire chi può, ma
dipende anche dall'impossibilità di entrare nel nostro Paese
attraverso percorsi legali, come avveniva prima.
La popolazione italiana negli ultimi 20 anni è diminuita di 1,5 milioni
di abitanti, attualmente ogni anno c'è un saldo negativo di
circa 150.000 abitanti e nei prossimi 12 anni è
prevista una diminuzione di circa 3 milioni di abitanti, con
4 milioni di vecchi in più [3]. Abbiamo quindi un estremo
bisogno di immigrati giovani per badare ai nostri vecchi, per svolgere
lavori che gli italiani non vogliono svolgere (badante, pastore,
bracciante, colf, operaio non qualificato, inserviente ecc.), per avere
una massa di adulti che paghi i contributi per garantire le nostre
pensioni. Secondo l'ISTAT abbiamo bisogno di almeno 200.000
immigrati all'anno [4], eppure negli ultimi anni
abbiamo permesso solo a 3.000-5.000 persone di arrivare in Italia
per lavoro e abbiamo dato asilo o protezione a circa 34.000
persone all'anno.
Invece di “mandare via i 600.000 irregolari presenti nel nostro Paese”
(come dice Salvini falsando i dati, perché sono 491.000 [4]) li
dovremmo regolarizzare tutti. In questa maniera i 137.000
migranti chiusi nei CIE (Centri di Identificazione ed
Espulsione) potrebbero riacquistare la libertà e guadagnarsi da
vivere senza gravare sulle casse dello Stato, mentre gli
altri 354.000 che ora lavorano a nero potrebbero far
valere i loro diritti di lavoratori e finire di essere sfruttati.
In questa maniera, inoltre, i loro datori di lavoro verserebbero
tasse e contributi con enormi vantaggi per le casse dello Stato e
dell'INPS.
Accogliere chi è in difficoltà non è solo un dovere etico, è per
noi anche una manna dal cielo per risolvere i nostri
problemi. I Governi che si sono succeduti in Italia
hanno varato provvedimenti che, invece di facilitare l'ingresso legale e
controllato dei migranti - indispensabili al nostro Paese - hanno
creato una massa di 491.000 irregolari che, proprio per
essere irregolari, lavorano a nero, hanno salari da fame, spesso
preferiscono chiedere l'elemosina invece di lavorare (se la paga oraria
è di 2 euro l'ora, lo faremmo anche noi) o, in pochi casi, delinquere.
Tale situazione peggiora anche la condizione degli italiani poveri, che
vedono in questi disperati dei concorrenti (“ci tolgono il lavoro”, “lo
rendono con meno garanzie”).
Gli immigrati ci servono, sono indispensabili. Averli
irregolari può essere utile solo a datori di lavoro senza scrupoli
(per poterli sfruttare senza che possano ribellarsi e per utilizzarli
come si usavano i crumiri nell'800) e ai politici che, invece
di affrontare i problemi del Paese (la povertà, le enormi
disuguaglianze, la finanziarizzazione dell'economia, i gravi problemi
ambientali, l'enorme debito pubblico, l'aumento delle persone non
autosufficienti ecc.), li usano come capro espiatorio per il
malcontento diffuso al fine di guadagnare facili consensi.
Note: 1) dati del Ministero degli Interni; 2) www.rivistapaginauno.it/la_schizofrenia_dell%27accoglienza.php; 3) ISTAT: Il futuro demografico del Paese: www.istat.it/it/archivio/48875 anche l'ONU e l'INPS stimano un fabbisogno simile: ONU Department of Economic and Social Affairs Population Division,Word Population Ageing 1950-2050, INPS Centro Studi e Ricerche 2017; 4) ISMU: XXIII rapporto sulle migrazioni www.ismu.org/wp-content/uploads/2017/12/Comunicato-23esimo-rapporto-ISMU.pdf;
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L'OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) e
il FMI (Fondo Monetario Internazionale) per molti anni hanno predicato
la necessità di riforme strutturali tese a ridurre le tasse, diminuire
la spesa pubblica, liberalizzare i mercati anche tramite la
privatizzazione di beni pubblici. Oggi entrambi hanno cambiato idea.
Il FMI, analizzando la situazione italiana, afferma che
per ridurre il debito e mettere a posto i conti pubblici è necessario
ridurre il carico fiscale sui lavoratori e aumentare quello su
“ricchezze, immobili e consumi”, cioè introdurre una
“patrimoniale soggettiva” (che tassi cioè il patrimonio complessivo
della persona), reintrodurre la tassa sulla prima casa abolita dal
Governo Renzi, e aumentare l'IVA sui beni non di prima necessità
(ridotta dal Governo Berlusconi). Altri provvedimenti necessari per il
FMI sono il sostegno alle fasce più deboli, il taglio
della spesa primaria corrente e l'aumento degli investimenti [1].
L'OCSE, nell'ultimo rapporto [2], ammette che le
ricette indicate in questi anni non hanno portato ai risultati
sperati, ma ad una stagnazione economica e all'aumento delle
disuguaglianze. In particolare il rapporto sottolinea che le
disuguaglianze economiche risultano dannose per la crescita di lungo
periodo e che le politiche strutturali non servono se non sono
accompagnate da misure che distribuiscano in modo più equo la ricchezza
prodotta.
Da tempo la maggioranza degli economisti ha richiamato l'attenzione sul
ruolo delle disuguaglianze economiche e dell'aumento dei poveri
come freno allo sviluppo economico: più poveri ci sono e più
i consumi, e quindi le vendite, calano; più i disoccupati e i precari
aumentano e più i salari diminuiscono e, quindi, aumentano i poveri; più
i salari diminuiscono e più le imprese riescono a fare buoni utili anche
vendendo meno e sono meno interessati all’innovazione; più il sistema
produttivo è stagnante e meno è conveniente investire in esso, mentre
diventa più conveniente dirottare i capitali in attività finanziarie;
più aumenta la finanziarizzazione e più l’economia è instabile e a
rischio di crisi.
L'ultimo rapporto dell'OCSE fa sua questa analisi e punta il dito
soprattutto sul fatto che l'aumento di ricchezza da parte dei
più ricchi non si traduce né in aumento dei consumi, né degli
investimenti produttivi ma solo in un aumento delle
attività finanziarie speculative e, più soldi si hanno più
cresce la propensione a investire in attività finanziarie ad alto
rischio.
Secondo l'OCSE se non si contrasta questa situazione le disuguaglianze
andranno sempre più ad aumentare e l'economia sarà sempre più debole e
instabile. Già ora nei 18 paesi OCSE il 40% più svantaggiato
detiene solo il 3% della ricchezza. Il 10% più
ricco/benestante possiede il 50% e l’1% più ricco ne detiene il
20%. Bisogna quindi levare soldi ai ricchi e darli ai poveri.
Il rapporto punta l'attenzione sulle politiche fiscali attuate
in questi ultimi decenni, che hanno ridotto la
progressività della tassazione (la fiscalità è progressiva
se all'aumentare della ricchezza aumenta la percentuale del reddito o
della ricchezza patrimoniale che va versata allo Stato: cioè chi più ha
percentualmente deve pagare di più). In questi ultimi decenni vari Paesi
hanno abrogato o ridotto le imposte patrimoniali e quelle di successione
e hanno diminuito le aliquote per i redditi più alti e per i redditi da
capitale e da impresa. Per esempio il valore medio
dell’aliquota dell’imposta sul reddito delle società è diminuita dal
47% al 24% tra il 1981 e il 2017, quello dell’aliquota
applicata ai dividendi dal 75 al 42%, le aliquote
medie IRPEF dei soggetti ad alto reddito: dal 65,7% nell’81 si sono
ridotte al 41,4% nel 2008. Cioè si è dato tanto ai
ricchi levandolo ai poveri (tramite tagli alla spesa sociale,
aumento delle tariffe e blocco dei salari).
L'Italia tra i vari Paesi OCSE è tra quelli che più si è data da
fare in questa assurda politica a favore di ricchi e benestanti e
contro i poveri e le persone di basso reddito. Infatti:
- ha ridotto moltissimo la progressività fiscale. Nel
1974 vi erano 32 diversi scaglioni di reddito, l'ultimo quello sopra i
500 milioni (corrispondente a circa 2 milioni e 850 mila euro) pagava
l'82% di quanto guadagnava. Oggi ci sono solo 5 scaglioni e l'ultimo
paga solo il 43%. In questi anni e come se si fossero quasi dimezzate le
tasse ai ricchi e raddoppiate le tasse alle persone di basso reddito;
- ha abolito la tassa sulla prima casa (anche se di lusso) e, in
realtà, anche sulla seconda casa, perché lo Stato, in barba all'obbligo
di coabitazione per i coniugi, permette che un coniuge abbia la
residenza in un comune e l'altro lo abbia dove ha la seconda casa;
- ha ridotto le imposte di successione per i grandi patrimoni;
- ha diminuito le tasse per chi affitta case e palazzi;
- ha abolita l'IVA sui beni di lusso.
Per ridurre le disuguaglianze e favorire lo sviluppo economico
bisognerebbe fare il contrario di quello che si è fatto in questi ultimi
decenni. Ma, secondo l'OCSE, anche questo non è
sufficiente ed è necessario che si introduca una “patrimoniale
soggettiva”, cioè una tassa sulla ricchezza che tassi non
solo alcuni possessi (le case, i terreni, ecc.), ma l’intero patrimonio
di un soggetto (compresi titoli finanziari, imbarcazioni, auto, opere
d'arte ecc.), in maniera progressiva (niente tassa patrimoniale per chi
ha un patrimonio misero e tassa via via maggiore al crescere del
patrimonio).
FMI e OCSE oggi dicono quello che gli economisti di sinistra
stanno dicendo da molti anni (si vedano le proposte del
gruppo Sbilanciamoci) [3].
Purtroppo il programma di governo di Lega e 5Stelle va in
tutt'altra direzione da quella indicata dagli economisti di
sinistra e, ora, anche dall'OCSE e dal FMI e continua
(peggiorandola) l'assurda politica fiscale seguita dai governi di
Destra e di Centrosinistra.
Il Fatto Quotidiano, che certo non è ostile ai 5Stelle-Lega, ha
calcolato l'effetto che le due sole aliquote (comprese le deduzioni e il
cumulo tra coniugi previste dall'accordo Lega-5Stelle) avrebbero sulle
varie classi di reddito. Dividendo la popolazione italiana in 10 classi
sulla base del reddito, l'effetto è il seguente: il 10% più povero in
media pagherebbe solo lo 0,4% di tasse in meno, il 10% più ricco il
51,8% in meno [4].
In termini assoluti significa che chi guadagna meno di 8.174 euro
all'anno non avrà nessun vantaggio, chi guadagna fino a 15.000 euro
risparmierà al massimo 500 euro di tasse e chi guadagna sopra gli 80.000
euro avrà un vantaggio tra i 21.000 e vari milioni di euro di risparmio
(quest'ultimo per i supericchi alla Berlusconi).
Insomma si continua nella politica fiscale a favore ricchi e benestanti
e non dei poveri e delle persone di basso reddito.
Questo regalo a ricchi e benestanti costerà circa 50 miliardi di
euro all'anno. Lega e 5Stelle dicono che la maggiore
disponibilità di spesa da parte delle persone (ricche o benestanti) farà
aumentare i consumi e quindi dovrebbe migliorare l'economia e le
entrate. Credono cioè nella vecchia ricetta del FMI e OCSE ora criticata
da questi stessi organismi. Il Corriere della Sera ci crede ancora e ha
calcolato che se si verifica l'effetto positivo previsto potrebbero
entrare circa 24 miliardi di nuove entrate [5]. Ma, anche così, una tale
riforma costerebbe 26 miliardi di euro. Se si vogliono spendere
26 miliardi (o più realisticamente 50 miliardi), invece di fare un
regalo ai ricchi non è meglio utilizzarli per
contrastare le disuguaglianze, tutelare l'ambiente,
ridurre i tempi di attesa per le prestazioni sanitarie, potenziare i
trasporti pubblici, l'istruzione, la ricerca scientifica e
la tutela del patrimonio artistico e culturale?
1) IMF: Fiscal Monitor: Capitalizing on Good Times, April 2018; 2) OECD:
The role and Design of net wealth taxes in the OECD, 2018; 3) www.sbilanciamoci.org/controfinanziaria;
4) www.ilfattoquotidiano.it/2018/05/15/flat-tax-m5s-lega-alla-classe-media-non-serve-la-meta-dei-risparmi-va-ai-ricchi/4356881;
5) www.ilpost.it/2018/05/18/costo-programma-lega-movimento-5-stelle.
Il 16 maggio alle 7 di mattina un gruppo di ambientalisti (tra cui noi
della Marco Mascagna) e di mercatali ha inscenato un sit-in per impedire
che prendessero il via i carotaggi per la costruzione del megaparcheggio
di Piazza degli Artitsi-Via Camaino-De Bustis. I carotaggi sono
irregolari perché non c'è il parere della Sopraintendenza che è
obbligatorio per una zona di interesse archeologico (la zona
è quella del borghetto posto sul valico della Via Antiniana per Colles
di epoca romana). Ma la Polizia non ha voluto sentire ragioni. Ci siamo
allora seduti per terra stretti l'uno all'altro per impedire la
recinzione dell'area di lavoro e l'avanzare della scavatrice. La Polizia
è intervenuta sgombrando a forza la piazza. Purtroppo non eravamo molti
e la Polizia ha avuto facile gioco. Poi, non sappiamo chi, ha bloccato
varie strade del Vomero con cassonetti, creando il caos e bruciando
anche un cassonetto che abbiamo spento noi “NO BOX”.
Questo parcheggio serve solo a far guadagnare l'impresa che ha
presentato il progetto. Sembra che, ad oggi, abbiano già
incassato un paio di milioni di euro da sprovveduti cittadini,
che non avranno indietro un euro, viste le clausole previste e la
polizza contratta con la Argo Group, con sede nella Bermuda e base
operativa a Malta per le sue attività europee, che hanno il marchio
della neo costituita Argo Global Societas Europeas (SE) che ha un Capitale
Sociale interamente versato di soli 112.000 euro.
Noi continueremo la nostra lotta contro questa speculazione che ha anche
un iter molto “sospetto” (da noi dettagliatamente denunciato con un
esposto alla Magistratura). Se saremo in tanti a far sentire il
nostro NO, a partecipare alla manifestazioni e prossimi sit-in
possiamo vincere.
La spesa militare italiana e mondiale continua a crescere. Nel 2017 la
spesa militare mondiale è stata pari a 1.739 miliardi di dollari (oltre
il 2,3% del Pil, cioè circa 230 dollari per ogni abitante del nostro
pianeta, bambini e anziani compresi). La spesa, in realtà, è maggiore,
perché non sono contate le spese militari di alcuni Paesi in guerra
(Yemen, Siria, Quatar, Emirati Arabi ecc.) [1].
Gli 11 Paesi che hanno speso di più nel 2017 sono: Stati Uniti, Cina,
Russia, Arabia Saudita, India, Francia, Regno Unito, Giappone, Germania,
Corea del Sud, Italia [1].
L'Italia ha speso circa 29 miliardi di dollari nel 2017, con un
incremento del 2% rispetto al 2016. Negli ultimi 5 anni la spesa
militare italiana è aumentata di circa il 10%, e purtroppo continuerà ad
aumentare, perché i Governi che si sono succeduti in questi anni hanno
preso impegni per l'acquisto di nuove armi [1].
Per esempio, malgrado le promesse di Renzi (“Non capisco perché buttare
via così una dozzina di miliardi per gli F35”) [2] e le mozioni
parlamentari che chiedevano un dimezzamento del numero di
cacciabombardieri F35, il Governo Renzi ha confermato l'acquisto di 90
F35, per un costo di circa 14 miliardi di euro (circa 150 milioni di
euro ad aereo).
Si è preferito invece tagliare i finanziamenti alla Sanità (nel 2013
erano 117,5 miliardi, nel 2014 115,5 nel 2015 111 e nel 2016 110
miliardi) [3[. Eppure già nel 2013 eravamo tra i Paesi che spendono di
meno per la Sanità e di più per la Difesa.
Per l'istruzione e per la cultura siamo il Paese che spende di meno in
Europa (7,9% del PIL per l'istruzione, contro una media UE-28 del 10,2%,
e 1,4% del PIL, contro una media UE del 2,1%). Anche per povertà,
diritto all'abitazione e lotta all'esclusione sociale siamo tra quelli
che spendono di meno: in euro/abitante spendiamo meno di Grecia,
Portogallo, Irlanda, Spagna, Francia, Germania, Regno Unito, Olanda,
Danimarca, Svezia [4].
Insomma si taglia la spesa per la salute, si lesinano soldi
all'istruzione e alla cultura, non si finanzia la costruzione di case
popolari, si stanziano fondi del tutto insufficienti per interventi a
favore di chi ha un reddito mensile sotto i 500 euro o è senza-tetto, ma
si spendono fior di miliardi per Difesa e armamenti. Armamenti che,
spesso (come per gli F35), a detta di esperti in cose militari,
sarebbero anche “molto costosi e con funzionalità limitate” e
determinanti una “sudditanza tecnico-operativa” nei confronti degli USA
[5].
L'acquisto di armi da parte degli Stati è il settore dove più regna la
corruzione: il commercio di armi rappresenta circa il 2% di quello
mondiale totale, ma è responsabile del 45% della corruzione [6].
Corruzione significa acquisto di armi non necessarie, non idonee o non ottimali per il ruolo che il Paese svolge, dal costo spropositato. Come ha detto un ex Segretario alla Difesa spagnolo: "Non avremmo dovuto comprare sistemi che non useremo, per situazioni di conflitto che non esistono e, quel che è peggio, comprati con fondi che non avevamo allora e che non abbiamo adesso". [7]
Gli esosi impegni per l'acquisto di armi sono infatti anche tra le cause dell'ingente debito di molti Paesi. La Grecia, per esempio, per vari decenni è stato il Paese europeo che più spendeva per la Difesa (il doppio della media UE), comprando armi sopratutto dalla Germania, dalla Francia e dall'Olanda. Eppure quando la Grecia è andata in crisi i Paesi UE (in primis la Germania.
In ultimo, spesso si fa credere che acquisto di armamenti è un modo per
sostenere l'industria nazionale e creare posti di lavoro. In realtà vari
studi evidenziano che l'industria bellica è quella che produce meno
occupazione per finanziamenti ricevuti. A parità di investimento
costruire linee ferroviarie e metropolitane crea il 50% dei posti di
lavoro in più che non costruire sistemi d'arma, investire in istruzione
crea il doppio dei posti di lavoro [8].
Una buona rete di trasporti, un buon sistema d'istruzione sono elementi
indispensabili per lo sviluppo economico di un Paese. Sono anche due
elementi che migliorano la qualità della vita e favoriscono la felicità
dei cittadini. Le armi tutt'altro.
Note: 1) www.sipri.org si veda www.vita.it/it/article/2018/05/02/spese-militari-mondiali-oltre-i-1700-mld-di-dollari/146698; 2) #anchebasta 08:55 - 6 lug 2012; 3) Riportiamo i dati del finanziamento effettivamente erogato e non di quello messo nel bilancio di previsione che spesso è maggiore, la fonte è Corte dei Conti Rapporto 2016 www.corteconti.it/export/sites/portalecdc/_documenti/controllo/sezioni_riunite/sezioni_riunite_in_sede_di_controllo/2016/rapporto_coordinamento_finanza_pubblica_2016.pdf; 4) 1) Eurostat 2015; 5) www.analisidifesa.it/2016/03/i-dubbi-di-israele-sullf-35; 6) https://altreconomia.it/al-mercato-delle-armi; 7) https://www.peacelink.it/sociale/a/38286.html; 8) https://www.peri.umass.edu/fileadmin/pdf/published_study/PERI_military_spending_2011.pdf.
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In fin dei conti se fossimo felici tutto il resto avrebbe meno
importanza. E se tutti fossero felici, cosa potremmo desiderare di più?
La felicità dovrebbe quindi essere il principale criterio per
giudicare le scelte da farsi. Se una scelta non produce o
favorisce la felicità dovrebbe essere scartata per un'altra che si è
sperimentato la favorisca. Il saggio si comporta così. Anche lo Stato
dovrebbe comportarsi ugualmente. Il problema è come “misurare” la
felicità dei cittadini e come scoprire quali fattori la fanno aumentare
o diminuire.
Negli ultimi decenni c'è stato un fiorire di studi psicologici,
sociologici ed economici su questi temi. In alcune nazioni vi sono
periodiche indagini sulla “felicità dichiarata” (chiedendo a un campione
di persone se sono felici o no oppure se, nell'ultimo mese o anno, sono
stati molto, abbastanza, poco felici, piuttosto o molto infelici).
Negli USA dal 1946 indagini del genere sono riproposte
periodicamente. Sappiamo così che la felicità media è andata
sempre più aumentando fino alla metà degli anni '60, da allora è in
calo. Le persone che dichiarano di essere molto felici sono
andate aumentando fino alla metà degli anni '50 per poi diminuire sempre
più.
Dagli anni '70 in poi sono aumentate le persone depresse e i
suicidi di adulti e adolescenti ed è diminuita la loro età
media.
Il reddito medio degli statunitensi è andato sempre aumentando
(tranne alla metà degli anni '70 e con la crisi del 2008), in maniera
lieve tra il 1946 e il 1960 e più accentuata nei decenni successivi. Le
disuguaglianze di reddito sono andate diminuendo fino ai
primi anni '50, poi sono rimaste stazionarie e dalla fine degli
anni '60 sono aumentate sempre più (il livello attuale è
superiore a quello di fine '800).
L'aumento della felicità media dal 1946 alla metà degli anni '60 può
essere spiegato con la curva di Easterlin: all'aumentare
del reddito aumenta la felicità, con alti rendimenti quando si è
poveri e con rendimenti via via decrescenti fino ad arrivare
a una soglia oltre la quale la felicità non aumenta più o
diminuisce. Dal 1946 agli anni '60 il reddito delle
classi basse è andato aumentando e un'ampia fascia di popolazione è
uscita dalla povertà. Quindi c'era da aspettarsi un forte
incremento della felicità. Ma la curva di Easterlin non spiega
il diminuire della felicità dagli anni '70, perché la gran
maggioranza degli statunitensi è ben sotto la soglia oltre la quale
l'aumento di reddito fa diminuire la felicità.
Secondo gli studiosi non c'è una sola spiegazione ma un insieme
di fattori e non c'è accordo su quali di questi incida di
più. Li possiamo così riassumere:
1) negli ultimi decenni i ricchi e una quota di benestanti sono
diventati ancora più ricchi peggiorando il loro livello di felicità;
una quota di benestanti è diventata un poco più ricca non cambiando il
livello di felicità; una parte dei benestanti, del ceto medio e
dei ceti bassi ha peggiorato la propria situazione diventando così
meno felice;
2) dalla metà degli anni 60 è sempre più diminuito il quadro di
certezze valoriali e di senso. Ricerche hanno evidenziato che
avere una fede religiosa, che offre senso all'esistente e al proprio
operare, è un importate fattore di felicità, come anche condividere e
percepire saldi i valori e i costumi del contesto in cui si vive. Nella
metà degli anni '60 il numero dei credenti è diminuito e gran parte dei
valori e dei costumi tramandati per secoli sono entrati in crisi o sono
stati contestati, senza che si sia ricomposto successivamente un nuovo
quadro condiviso e saldo;
3) l'attuale modello economico rende difficile il realizzarsi
dei fattori che determinano o favoriscono la felicità. Gli
studi di psicologia hanno evidenziato che la felicità dipende
soprattutto dall'autostima-accettazione di sé stessi, dalla
qualità/quantità delle relazioni (familiari, amicali, di
lavoro, di vicinato, sociali), dall'impegnarsi per gli altri
(amare qualcuno, prendersi cura di persone bisognose, svolgere attività
sociali, cercare di “cambiare il mondo” ecc.), dal senso di
sicurezza (certezza del futuro, criminalità percepita,
minacce alla salute ecc.), dal tempo impiegato in attività
ricreative (giocare, fare attività fisica, ballare, ascoltare
musica, leggere, vedere un film, passeggiare, coltivare un hobby ecc.).
Negli USA dagli anni '70 e ancor più dal 1980 il modello
economico è stato basato sulla precarietà,
su una sfibrante competitività (quello che si fa non è
mai abbastanza e bisogna fare più del collega, del vicino, del
concorrente), sul controllo del lavoratore, sull'aumento
delle ore di lavoro straordinarie, sui turni festivi
e notturni. Tutte queste cose non favoriscono certo
l'autostima, la qualità/quantità delle relazioni umane, il senso di
sicurezza e riducono il tempo per impegnarsi per gli altri e per le
attività ludico-ricreative. Inoltre gli organi di informazione
continuamente parlano di minacce incombenti: criminalità
(anche se in diminuzione), minacce alla salute vere (p. es.
inquinamento) e false (vaccini, alimenti quali il latte e i suoi
derivati, ecc.), minacce ambientali (p. es cambiamenti climatici).
Secondo alcuni economisti siamo entrati in una nuova fase del
capitalismo (fase di “crescita endogena negativa”), nella
quale la crescita è garantita dall'infelicità che viene prodotta dalla
crescita stessa. L’uomo contemporaneo, infatti, ha la possibilità
di sostituire i beni gratuiti con consumi costosi. Se per
esempio il mare vicino casa diventa inquinato, posso andare in una
piscina a pagamento o prendere un aereo per qualche paradiso tropicale o
costruirmi una piscina nel mio giardino. Se sono insoddisfatto di me o
della realtà posso affogare la mia insoddisfazione nell'alcol, nel cibo
o nella cocaina. Se non ho una famiglia o non l'ho felice posso comprare
i biscotti Pincopallo la cui pubblicità non mostra le caratteristiche
del prodotto ma fa vedere una felice famigliola che si gode in pace e
amore la prima colazione o posso vedermi, tra una pubblicità e un'altra,
la telenovela di una famiglia più o meno infelice della mia.
Quindi l'infelicità può essere un forte motore per la crescita
economica, la quale produce un ulteriore deterioramento di quei beni
non acquistabili (l'amore, l'amicizia, l'autostima, il senso
esistenziale ecc.) che sono all'origine della felicità.
L'attuale economia si basa su un “processo di sostituzione” fondato
sulla distruzione di beni gratuiti che determina infelicità e
insoddisfazione che gli esseri umani colmano con un consumo di beni di
mercato ancora più dissennato.
Alcune ricerche hanno confermato che più la cultura del consumo è
radicata e meno l’uomo ha relazioni autentiche e più cercherà di
rimediare alla sua solitudine con un maggiore consumo, secondo uno
squallido circolo vizioso.
E' grottesco che si continui a definire “progresso economico”
una tale tragica china e che giornali, televisioni, opinion
leader ed economisti cerchino di convincerci che si tratti
effettivamente di progresso, che così deve essere per il nostro
bene e che non può essere altrimenti. Tutto ciò non è sano, somiglia
troppo a una grave nevrosi: si scivola in una situazione che
produce infelicità, ma invece di mettere in atto azioni per uscirne si
continuano a perpetuare le medesime strategie e ci si convince che siano
le migliori e le sole possibili.
Levare ai ricchi per dare ai poveri significa operare per la
felicità di entrambi e di tutti. Avere meno soldi per
l'ultimo ritrovato, il capo di vestiario firmato, la nuova moto o la
nuova auto, il locale o la vacanza alla moda ecc. in cambio di più tempo
libero, di un ambiente più salubre e piacevole, di servizi sanitari e
sociali migliori, di più istruzione e cultura è da saggi.
Poiché l'impegnarsi per gli altri favorisce l'essere felici,
lottare per un mondo migliore in cui sia più facile per tutti essere
felici è una strategia che dovremmo sicuramente praticare.
Per approfondire: 1) Guzzi G: Gli squilibri dello
sviluppo economico: disuguaglianze e infelicità dal secondo dopoguerra a
oggi http://tesi.eprints.luiss.it/15486/1/176011.pdf;
Bruni L: Economia e Felicità, http://www.treccani.it/enciclopedia/economia-e-felicita_%28XXI_Secolo%29
Il 18 marzo a Monginevro (1900 metri di altezza) un uomo, una
donna all'8° mese di gravidanza e due bambini (due e quattro
anni), stremati camminano nella neve per cercare di
attraversare il confine. Una guida alpina francese li vede, li
soccorre e li porta all’ospedale.
La guida ha obbedito ad un imperativo morale antico come l'uomo
“Aiutare chi è in pericolo”, basato sulla semplice
considerazione che tutti possiamo trovarci in pericolo. Nelle
legislazioni questo principio di fraternità e di buon senso si è
concretizzato in un reato, l'omissione di soccorso,
che in Italia è punito con un massimo di 3 anni di carcere e in Francia
di 5. Se la guida alpina non avesse soccorso quelle persone poteva
rischiare 5 anni di carcere.
Ma così era fino a qualche anno fa. Oggi la priorità non è
obbedire alla legge morale, non è salvare un bambino che sta per
nascere e la donna che sta per partorirlo, non è aiutare un
bambino di 4 anni che da ore cammina nella neve e nemmeno il suo
fratellino di 2 anni e il padre che, mentre cammina nella neve, tiene in
braccio da ore. La priorità oggi è tenere lontano i migranti,
cioè quei poveri e disperati che fuggono da guerre, da regimi crudeli,
da terroristi o dalla povertà.
La guida alpina francese è stata condotta in gendarmeria e
rischia 5 anni di carcere per aver violato le leggi
sull’immigrazione. Il messaggio è chiaro: meglio che muoiano
che arrivino da noi.
In Italia un episodio simile.
Il 15 marzo l'ONG ProActiva Open Arms su richiesta della Marina
Italiana interviene per salvare un'imbarcazione alla deriva con oltre
200 migranti, alcuni sono in evidente stato di denutrizione e
disidratazione, un neonato è in gravissime condizioni. L'imbarcazione si
trova a 73 miglia dalle coste libiche, in acque internazionali sotto la
responsabilità dell'Italia per eventuali soccorsi in mare, cioè è una
zona SAR (Ricerca e Soccorso) italiana secondo l'IMO (International
Maritime Organization). Sopraggiunge una motovedetta libica che
ingiunge di trasferire le persone salvate sulla loro nave (richiesta
totalmente illegittima) [1]. L'ONG rifiuta e i suoi operatori
sono minacciati di morte dai libici (“Dateci i
migranti che avete recuperato, altrimenti spariamo”) [2].
Momenti drammatici, il comandante della nave parla col Comando
italiano che comunica che il coordinamento delle operazioni è stato
affidato alla Libia, cosa contraria al diritto internazionale
marittimo perché la Libia non ha alcun riconoscimento in tal senso
dall'IMO e non è un “luogo sicuro” per quelle persone. I
Libici, vista la fermezza dell'OpenArms desistono. L'ONG
chiede all'Italia di comunicare il “luogo sicuro più vicino” in cui
trasferire le 216 persone soccorse (157 uomini, 31 donne e 28 bambini).
Il Comando italiano, malgrado le Convenzioni firmate dicano che “il
Governo responsabile per la regione SAR in cui sono stati recuperati
i sopravvissuti è responsabile di fornire un luogo sicuro”,
non risponde. L'ONG avverte che il neonato è in gravissime condizioni e
l'Italia dice di contattare Malta, cosa che l'ONG fa. Un'imbarcazione
maltese preleva il bimbo e la madre. La nave continua a chiedere di
avere indicazioni sul “luogo sicuro” dove sbarcare le persone soccorse.
Arriva allora questa comunicazione “Potete sbarcare in un porto
italiano solo quando verrà chiesta l’autorizzazione dal Governo
spagnolo, dato che battete bandiera spagnola”. La richiesta è del
tutto nuova per l'ONG spagnola che negli ultimi 3 anni ha tratto in
salvo 27.000 persone e che solo 4 giorni prima ha portato al porto di
Pozzallo 92 migranti, tra cui molti denutriti (uno di loro, un eritreo
di 22 anni che fuggiva dalla crudele dittatura di
Aferwerki e da un campo di concentramento libico, morirà di fame poche
ore dopo lo sbarco). L'ONG comunica il gravissimo
stato di alcuni migranti e l'urgenza che siano ricoverati in ospedale.
Le autorità italiane aspetteranno oltre 24 ore per dare
l'autorizzazione: il porto di Pozzallo.
La nave arriva di sera, ma non viene data l'autorizzazione
all'attracco, che avverrà solo il mattino dopo. 6
persone sono ricoverate d'urgenza, il comandante e il responsabile
della missione sono fermati e interrogati per 6 ore, tutto il
personale della nave è in stato di fermo giudiziario, la nave
sequestrata [3].
Anche qui il messaggio è chiaro: purché non arrivino in Italia
meglio che muoiano, in mare (sembra che l'intervento della
motovedetta libica abbia reso impossibile il salvataggio di alcuni
naufraghi), nei lager libici, di fame.
Giustamente il presidente dell'OpenArms ha dichiarato “La
solidarietà è diventata un crimine”. Un crimine che l'Italia,
con questo episodio, vuole combattere anche non rispettando trattati e
convenzioni che ha sottoscritto.
Nel corso di questi ultimi anni e mesi abbiamo assistito all'abbandono
dell'operazione Mare Nostrum che ha decuplicato il rischio di
morte in mare di chi fugge da guerre, dittature e dalla fame;
agli accordi con Sarraj e con i trafficanti libici affinché non facciano
partire gli esuli, i profughi e i migranti economici, trattenendoli in campi
di concentramento; alle calunnie contro le ONG “taxi
del mare”; al decreto Minniti contro i senzatetto e
gli extracomunitari; a imposizioni senza senso (ad esempio
l'obbligo di personale armato) contro le ong che collaborano per il
soccorso in mare (imposizioni che hanno ridotto ad un terzo le
navi impegnate); ad una continua propaganda d'odio
verso gli stranieri accusati di essere criminali, di essere
causa della crisi economica, di islamizzare l'Italia, di portare
malattie (anche se i dati dimostrano che sono tutte notizie false); al risorgere
del razzismo e alla nascita di partiti xenofobi. Ora
si vuole criminalizzare chi ancora ha sentimenti di pietà e di
fraternità, chi pensa che la solidarietà e la giustizia siano
valori da cui scaturiscono scelte e azioni concrete.
Molte persone, attraverso slogan come “prima gli italiani”, “prima i
francesi” o “prima i veneti” sono stati convinti che la causa dei loro
problemi e del loro disagio sono chi sta peggio di loro. Non
sono gli “stranieri” la causa dei nostri problemi, della
povertà, della disoccupazione, della precarietà e del degrado. Lo
sono persone e gruppi di potere dello stesso nostro continente,
nazione, regione. Lo è il 10% più ricco che detiene
il 54,7% della ricchezza [3], lo sono quei politici
che hanno diminuito le tasse ai ricchi e tolto servizi e diritti ai
cittadini, aumentando le disuguaglianze (nel 2010 il 10% più
ricco possedeva solo il 45% della ricchezza oggi il 54,7%, negli ultimi
3 anni i poveri assoluti sono aumentati di 700.000 unità) [4]. Lo
è chi specula in borsa facendo andare in fumo posti di lavoro e
risparmi arricchendosi senza produrre niente.
“Prima io, poi gli altri” è il principio della barbarie, lo
slogan “Muoiano i deboli” è quello fatto proprio dal nazismo.
La civiltà è nata quando l'uomo ha riconosciuto nell'altro uomo un
proprio simile, un proprio fratello e ha fatto propri imperativi morali
“Aiuterai chi è in difficoltà, darai da mangiare a chi ha fame e a bere
a chi ha sete, vestirai chi è senza vestiti e accoglierai lo straniero,
perché anche tu potrai trovarti in difficoltà, avere fame, sete, essere
ignudo e perché anche tu potrai essere straniero”.
Note: 1) Per un'illustrazione delle normative sul
soccorso in mare si vedano www.unhcr.it/wp-content/uploads/2015/12/Soccorso_in_Mare.pdf
e www.mediterraneocronaca.it/2018/02/02/nuova-operazione-di-frontex-themis;
2) si veda il video www.youtube.com/watch?v=G4JQuWEipK0;
sul caso si vedano gli articoli pubblicati su Vita www.vita.it.
Nell'ultimo messaggio abbiamo visto come, insieme alla Polonia, l'Italia
è il Paese europeo con l'aria più inquinata [1]. Tale
situazione determina oltre 40.000 morti ogni anno ed è causata
soprattutto da scelte politiche che hanno portato a un eccessivo numero
di veicoli (610 auto ogni 100 abitanti, mentre la Germania ne ha 550, la
Francia 483, la Spagna 471, l'UK 452, il Portogallo 451) e a un enorme
uso del pellet per riscaldare case solitamente male coibentate [2, 3,
4].
Come è possibile difendere la propria salute da questo
inquinamento? Uscendo il meno possibile da casa? Tenendo ben
chiusi i finestrini della propria auto e gli infissi del proprio
appartamento?
In realtà questi accorgimenti non ci proteggono dall'aria inquinata,
anzi, peggiorano la situazione.
L'aria presente in casa o in auto viene dall'esterno e, quindi, ha la
stessa concentrazione d'inquinanti. Si potrebbe credere che, abitando a
un piano alto di un palazzo, l'aria sia meno pericolosa, ma in realtà la
riduzione del rischio è quasi nulla, perché gli inquinanti più
pericolosi (PM2,5, composti organici volatili, ossidi di azoto, ozono)
sono leggeri e si diffondono velocemente, raggiungendo anche
i terrazzi degli alti palazzi. Gli inquinanti che si concentrano a
qualche metro dal suolo sono le polveri grossolane (quelle visibili a
occhio nudo), che non sono pericolose perché, se inspirate, non arrivano
neanche in gola, arrestandosi nei primi centimetri della cavità nasale,
dalla quale saranno espulse con una soffiata di naso o uno sternuto.
Le ricerche ci dicono che l'aria presente in casa o
nell'abitacolo dell'auto è solitamente più inquinata di quella esterna
[5]. In casa possono esserci infatti altre fonti
d'inquinamento: il fumo di tabacco, i fumi e gli odori
prodotti dalla cottura degli alimenti, le sostanze rilasciate da
vernici, colle e preparati ignifughi presenti su arredi e pareti e da
elettrodomestici (stampanti, lavastoviglie, ecc.), stufe a gas, a
cherosene o elettriche (in stanze con una di queste stufe la
concentrazione di ossidi di azoto e da 2 a 4 volte superiore a quella
dell'aria esterna) [5].
Spesso, per rendere la casa più pulita, la si rende più inquinata: deodoranti,
detergenti spray, lucidanti, igienizzanti, antiparassitari e
battericidi danno un contributo non irrilevante all'inquinamento
dell'aria di case, uffici e veicoli (il cosiddetto
inquinamento indoor). Anche gli animali domestici
contribuiscono a questo inquinamento con peli, forfora, parassiti e
“schifezze” portate dall'esterno.
Le ricerche hanno evidenziato che il locale più inquinato è la
cucina e che in casa la concentrazione di composti organici
volatili (benzene, idrocarburi policiclici aromatici, aldeidi, acetone
ecc.), NOx, PM2,5, ftalati è più alta rispetto a quella presente
all'esterno. Nell'abitacolo dell'auto la concentrazione dei
composti organici volatili è risultata mediamente tripla rispetto a
quella dell'aria esterna [5].
Per ridurre l'inquinamento indoor gli accorgimenti più efficaci
sono: non fumare e non far fumare a casa e in
auto; aprire spesso finestrini, finestre e balconi; tenere
la cappa in funzione quando si cucina (se non è in funzione
l'NO2 aumenta di circa il 70%) e cambiare spesso il filtro; eliminare
moquette, peluche, tappeti; usare il meno possibile
detersivi, igienizzanti, antiparassitari, deodoranti (l'acqua,
nella maggior parte dei casi, è più che sufficiente per pulire la casa);
non tenere il calorifero troppo alto (il caldo, soprattutto quello
umido, favorisce il proliferare di muffe, batteri e parassiti) e gli
elettrodomestici per molto tempo accesi.
Areando spesso la casa si riduce moltissimo (fin quasi a zero)
anche l'inquinamento da radon, un gas radioattivo emesso dal
suolo e dalle pareti delle costruzioni, che si stima determini ogni anno
3.000 morti in Italia.
La maniera più efficace per ridurre l'inquinamento indoor è
ridurre l'inquinamento outdoor.
Se vogliamo respirare aria pulita dentro e fuori dalle nostre case
dobbiamo chiedere a chi ci governa e amministra di non dare più
sussidi (16,1 miliardi ogni anno) ad attività
inquinanti e al trasporto su gomma ma a tram,
autobus, metropolitane, biciclette; di non costruire più
superstrade, autostrade, raccordi, tangenziali, ma linee
ferrate, piste ciclabili, percorsi pedonali; di limitare la
circolazione dei veicoli diesel, di scoraggiare l'uso di auto e
moto, di istituire ztl, aree e percorsi
pedonali, piste ciclabili, servizi di bike-sharing;
di approvare una legge contro il consumo di suolo.
Ovviamente dobbiamo anche utilizzare il meno possibile auto e
moto per spostarci. In questo modo non solo inquineremo meno
l'aria ma, facendo più attività fisica, avremo meno probabilità di avere
un tumore, un infarto, un ictus, di ammalarci di diabete tipo 2 o di
osteoporosi. Infatti, numerose ricerche hanno dimostrato che se ogni
giorno si cammina a passo svelto per 60 minuti (anche
frazionati in 3-4 episodi) la probabilità di avere un cancro al seno
si riduce del 30%, quella di avere un tumore dell'intestino del 40% e
quella di avere un infarto o un ictus o di soffrire di diabete tipo 2
o di osteoporosi del 50% [6, 7].
Insomma essere attivi (sia come cittadini che come persone) ci
fa stare meglio e allunga la vita (non solo a noi ma anche agli
altri).
Note: 1) EEA 2016; Ministero Ambiente: Rapporto ISPRA
Emissioni e Qualità dell'Aria, edizioni 2017, 2015, 2013; 2) ESCAPE,
Lancet 2013; 3) Eurostat 2014; 4) ISPRA 2011; 5) http://www.airc.it/prevenzione-tumore/per-tutti/attivita-fisica
6) WHO: Global health risks: mortality and burden of disease
attributable to selected major risks, 2009.
La notizia è arrivata poco prima che entrasse in vigore la legge sulla
mobilità ciclistica, che finanzia con circa 80 milioni l'anno per 6 anni
interventi a favore dell'uso della bicicletta: la UE ha aperto una nuova
procedura d'infrazione contro l'Italia perché il livello
d'inquinanti nell'aria è troppo alto, notevolmente sopra i
limiti stabiliti dalle norme comunitarie. Se le cose non dovessero
cambiare rischiamo di dovere pagare una salatissima multa alla UE.
Un'analoga procedura d'infrazione era stata aperta circa dieci anni fa e
poi archiviata nel 2013, perché il Governo aveva convinto la Commissione
Europea che da quell'anno sarebbe stata varata una strategia globale a
livello nazionale, regionale e comunale, così da rientrare nel giro di
un paio di anni nei limiti UE (non oltre 35 giorni all'anno con livelli
eccessivi di PM10).
Nel 2013 le città capoluogo che avevano superato il limite erano
state 47, nel 2014 33, l'anno seguente 48, nel 2016 33 e l'anno
scorso 39 città hanno sforato i limiti [1, 2].
Secondo gli studiosi le differenze tra un anno e un altro dipendono
unicamente dalle condizioni meteorologiche: se piove più spesso
l'inquinamento scende, se è più frequente la “cappa di calore”
(tecnicamente “inversione termica”) aumenta l'inquinamento.
Nel 2017 5 città (Torino, Cremona, Alessandria,
Padova e Pavia) hanno avuto il triste primato di
avere per oltre 100 giorni livelli d'inquinamento oltre i limiti
consentiti (spesso con livelli superiori al doppio della soglia
massima). Una situazione intollerabile non solo dal punto di vista
giuridico, ma soprattutto per la salute dei cittadini.
L'inquinamento atmosferico è tra le principali cause di malattia
e morte, determina ogni anno oltre
40.000 decessi in Italia [3]. Questa tragedia lascia
indifferenti i nostri governanti e, purtroppo, anche tantissimi
cittadini. La si considera una fatalità, qualcosa da accettare con
rassegnazione o cancellare dalla nostra mente, perché niente si può
fare. Cosa che non è per niente vera. L'inquinamento
atmosferico dipende da precise scelte che si compiono
al livello europeo, nazionale, regionale, comunale e di singoli
cittadini.
La UE. E' la Commissione europea che stabilisce
i limiti massimi di emissioni che auto, moto e
camion possono emettere, come devono essere eseguiti i
test di verifica dell'emissioni e quali sanzioni
vanno comminate. Ora, invece di
varare dei limiti rigorosi che non mettano a grave rischio la salute,
ogni 2-3 anni la UE riduce i limiti di un pochino(i
famosi euro 3, euro 4, euro 5, euro 6), avvantaggiando così le case
automobilistiche, perché ogni x anni bisogna comprare un nuovo modello
per poter circolare in città. Inoltre i test stabiliti dalla UE
sono inaffidabili: una ricerca ha evidenziato che nessuna
auto euro 6, anche nuova di zecca, rispetta i limiti di legge e che 7
auto su 10 emettono il triplo degli ossidi di azoto stabiliti [4]. L'Italia
nella UE è tra i Paesi che più ha difeso questa sconcertante
situazione. Infatti si è battuta perché alle industrie
automobilistiche fosse concesso un “fattore di conformità 3”, cioè che
queste non possono essere sanzionate se il livello di ossidi di azoto
emesso dalle auto (nuove di zecca) su strada è il triplo di quanto
stabilito dalle norme e testato in laboratorio.
Il Governo italiano ogni anno elargisce 16
miliardi di euro ad attività inquinanti (autotrasporto merci,
motori diesel, impianti a gasolio e carbone, inceneritori, industrie
inquinanti, stufe a pellet ecc.), finanzia profumatamente
autostrade e superstrade, ha ridotto i finanziamenti al
trasporto pubblico locale, non contrasta il consumo di suolo
con la conseguente crescita di case, capannoni, strade, centri
commerciali e scomparsa di aree verdi.
Per fare un solo esempio il Governo ha dato alla Lombardia
4 milioni di euro per combattere l'inquinamento atmosferico e
250 milioni per costruire la Malpensa-Vigevano, che farà
aumentare l'inquinamento. Per di più ha vincolato i 4 milioni elargiti a
interventi su impianti zootecnici e a “sostituzione dei veicoli
inquinanti con altri di minore impatto” (non sia mai che la Regione li
impieghi per creare ztl, piste ciclabili, servizi di bike-sharing ecc.)
[2].
Le Regioni spesso non sono attente a contrastare il consumo di
suolo, il trasporto su gomma, le attività inquinanti e a favorire il
trasporto pubblico. Le aziende di trasporto regionali (ad es.
quella che gestisce la Circumvesuviana, Cumana e Circumflegrea) sono
spesso gestite in maniera clientelare e inefficiente.
I Comuni hanno paura a emanare provvedimenti
che contrastino l'uso di auto, moto e camion (tramite ticket
per circolare, ztl, riduzione degli spazi di sosta nelle aree congeste
ecc.) e spesso non si impegnano a favorire la pedonalità e
ciclabilità. Inoltre le aziende di trasporto pubblico sono
frequentemente mal gestite.
I cittadini usano l'auto anche per piccoli
spostamenti (il 30% degli spostamenti in auto serve per
raggiungere mete distanti tra i 700m e i 3 Km) [5] e protestano
ad ogni provvedimento comunale che cerca di contrastare l'uso di auto,
moto e camion.
Grazie a questa politica l'Italia ha il record di 610 auto ogni
100 abitanti, mentre la Germania ne ha 550, la Francia 483,
la Spagna 471, l'UK 452, il Portogallo 451. Per di più il 42% delle auto
è diesel (siamo il Paese UE nel quale si vendono più auto a gasolio)
[6].
Grazie a questa politica si è avuto un boom di caldaie e stufe
a pellet che, a parità di calore, emettono 250 volte più
polveri fini di una a metano. Siamo al primo posto nel mondo
per consumo di pellet (per il 90% di origine straniera) e
il riscaldamento domestico è diventato la principale fonte di polveri
fini in gran parte dell'Italia (passando dal 32% al 60% del
contributo a livello nazionale e facendo aumentare le concentrazioni di
polveri nell'aria) [7].
L'anomalia italiana è lampante guardando l'immagine allegata:
il maggiore inquinamento da polveri fini è in Italia e Polonia. Eppure
l'Italia, grazie al suo clima mite, ha meno necessità di riscaldare case
e uffici.
Un intervento falsamente a favore della
qualità dell'aria e della salute dei cittadini sono i finanziamenti
per l'acquisto di auto e autobus elettrici: un ulteriore regalo
pubblico all'industria automobilistica. UE, Governo e Regioni
sempre più frequentemente danno ai Comuni finanziamenti per l'acquisto
di veicoli elettrici e talvolta gli stessi Comuni fanno questa scelta. Un
veicolo elettrico costa circa il doppio di un veicolo a combustibile,
perché le batterie sono molto care. La loro durata è relativamente breve
(3-5 anni), cioè dopo 3-5 anni bisogna cambiare la batteria
spendendo una banca di soldi.
Due esempi recenti a confronto illustrano l'assurdità di tale scelta.
Il Comune di Bergamo ha acquistato 12 autobus
elettrici da 70 posti (più un sistema di ricarica rapido) per
un costo di 6,5 milioni di euro (540.000 euro a
veicolo da 70 posti).
Il Comune di Bologna ha acquistato 20 autobus
a metano da 100 posti per un costo di 4,3 milioni (215.000
euro a veicolo da 100 posti).
Tra 3-5 anni il Comune di Bergamo, se vuole fare ancora girare gli
autobus dovrà sborsare 3 milioni di euro per acquistare le nuove
batterie e dopo altri 3-5 anni altri 3 milioni. Se Bergamo
avesse fatto la stessa scelta di Bologna con 6,5 milioni avrebbe
acquistato non 12 ma 30 autobus da 100 posti, dopo
3-5 anni altri 15 autobus e dopo altri 3-5 anni di nuovo 15 autobus.
Che a Bergamo, città con circa 65.000 auto, ci siano 12 autobus
elettrici invece che a metano, non cambia di una virgola il totale delle
emissioni inquinanti; che Bergamo aumenti la sua offerta di trasporto
pubblico di 30 autobus da 100 posti e di ulteriori 15 autobus ogni 3-5
anni invece darebbe un significativo contributo al
miglioramento del trasporto pubblico, tale da potere permettere
incisivi interventi di contrasto all'uso di auto e moto. Ma
quello che le aziende automobilistiche non vogliono è proprio una
riduzione dell'uso dell'auto: meglio allora dire che la soluzione è
l'auto elettrica così si continueranno a vendere auto sia a motore che
elettriche guadagnare ancora di più. Che poi gli italiani
continuano a morire per l'inquinamento dell'aria, per loro (e per chi
li appoggia), è un piccolo spiacevole effetto negativo, di cui i
cittadini se ne dovrebbero fare una ragione.
Note: 1) Ministero Ambiente: Rapporto ISPRA Emissioni e
Qualità dell'Aria, edizioni 2017, 2015, 2013; 2) Legambiente: Mal'aria
2018; 3) ESCAPE, Lancet 2013; 4) Trasport and enviroment: Dieselgate:
Who? What? How? September 2016 www.transportenvironment.org/sites/te/files/2016_09_Dieselgate_report_who_what_how_FINAL_0.pdf
5) ISFORT 2012; 6) Eurostat 2014; 7) ISPRA 2011
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Rancorosi, incattiviti, sfiduciati: così l'ultimo rapporto del CENSIS
sulla situazione sociale dipinge gli italiani. Ovviamente non tutti gli
italiani sono così, ma una gran parte sì.
Quello che particolarmente preoccupa è che gli italiani
rancorosi, incattiviti e sfiduciati sono aumentati in maniera
vertiginosa in questi ultimi anni.
Tale dato è tre volte preoccupante:
1) perché è indice di qualcosa che non funziona nella nostra
società;
2) perché la convivenza e la qualità della vita peggiorano
quando una gran parte di cittadini ha tali sentimenti;
3) perché da tale situazione nascono l'intolleranza, la
violenza, il razzismo, il venir meno del patto
sociale, il fascismo, come la psicologia sociale, la
sociologia e la storia ci insegnano.
Cosa non funziona nella nostra società e causa tale sentimenti?
Le cause individuate sono queste: l'impoverimento di
larghe fasce della popolazione, il timore d'impoverirsi
(o in genere di peggiorare la propria condizione economica), la
difficoltà/impossibilità di potere fare progetti per il futuro
a causa di un reddito scarso o precario, l'acuirsi delle
disuguaglianze (con i ricchi e benestanti che hanno sempre di
più, e gli altri sempre di meno); la diffusione di notizie
(spesso false) e di narrazioni che suscitano o rinfocano rancore,
cattiveria, sfiducia.
Si comprende come la politica e l'informazione giocano un ruolo
decisivo nel favorire tale pericolosa situazione o, al
contrario, nello spegnerla. Se aumentano la povertà, le disuguaglianze,
la precarietà la situazione non può non peggiorare. Se si sollecita
l'intolleranza e il rancore è difficile che la situazione possa
migliorare.
Se si leggono i dati sulla situazione italiana non
si può non dare un giudizio negativo sulla politica e
sull'informazione.
Le famiglie in povertà assoluta (cioè che non hanno
mezzi sufficienti per soddisfare i loro bisogni essenziali) erano
il 5,7% nel 2014 e sono stati il 6,3% nel 2016
Cioè negli ultimi 3 anni si è passati da 4.102.000 persone povere a
4.742.000: 700.000 poveri assoluti in più.
Le famiglie in povertà relativa erano il 9,7% nel 2014,
sono il 10,6% nel 2016. Cioè negli ultimi 3 anni si è
passati da 7.815.000 persone a 8.465.000: 650.000 poveri
“relativi” in più.
Gli operai sono la categoria che più si è impoverita:
nel 2014 il 9,7% di essi si trovava in povertà assoluta, nel 2016 il
12,6%. Quelli in povertà relativa sono passati dal 15,5% del 2014 al
18,7% del 2016.
Si potrebbe pensare che è colpa della crisi economica (e così molti
politici e opinion leader hanno affermato), ma non è vero: dal
2014 la ricchezza dell'Italia è in aumento. Nel 2014 il PIL è
cresciuto dello 0,1%, nel 2015 dello 0,7% nel 2016 dello 0,9% e anche la
spesa media delle famiglie è cresciuta: +0,4% nel 2014, + 1,7% nel 2015
e +1,5% nel 2016. Se la ricchezza aumenta ma aumentano anche i poveri
significa che i soldi sono finiti nella tasca di ricchi e
benestanti. Il 10% più ricco infatti in questi anni
è passato dal detenere il 45% della ricchezza (anno 2010) al
54,7% (anno 2016). Sono cioè aumentate le disuguaglianze
economiche, come anche il calcolo dell'indice di Gini conferma: nel 2013
era 0,296 nel 2016 ha toccato la cifra record di 0,331 (uno dei maggiori
incrementi nei Paesi OCSE).
L'aumento della povertà e delle disuguaglianze è dipeso da 3
ordini di fattori:
1) da rapporti sempre più sbilanciati tra padroni e lavoratori:
questi ultimi hanno visto ridursi le loro tutele e i loro salari (nel
migliore dei casi come potere d'acquisto);
2) dal peggioramento degli interventi di redistribuzione della
ricchezza (tassazione, sussidi e pensioni), che ha
danneggiato soprattutto i più poveri tra i poveri. Per esempio con
l'abolizione della tassa sulla prima casa (che costa ogni anno 4
miliardi di euro allo Stato) chi ne ha una di proprietà risparmia un po’
di soldi (anche un bel po’ se è grande e di lusso), ma chi non ha una
casa di proprietà non ha alcun vantaggio. E' come se il Governo avesse
preso 4 miliardi di euro e li avesse dati in
maniera direttamente proporzionale alla ricchezza posseduta dai
cittadini: di più a chi ha di più, un
pochino a chi ha pochino e niente a chi non ha niente
(tra il 20% più povero il 66% non ha casa di proprietà e tra il 5% più
povero nessuno). Anche con altri provvedimenti (p. es. detrazioni per la
sanità integrativa, le agevolazioni per le crociere, viaggi in aereo,
taxi e auto diesel che abbiamo visto nel messaggio n. 4) si sono dati
soldi a ricchi e benestanti e niente ai poveri;
3) dal peggioramento dei servizi pubblici (sanità,
politiche sociali, trasporti pubblici, scuola ecc.). Per esempio il
Governo ha ridotto i finanziamenti al Sistema Sanitario Nazionale (nel
2013 si sono spesi circa 117,5 miliardi di euro, nel 2016 110 miliardi)
e ciò ha determinato una maggiore spesa per la salute da parte
del singolo cittadino (in media 85 euro in più nel 2016
rispetto al 2015).
Mentre il Governo regala 16,1 miliardi ogni anno a chi inquina
l'ambiente, le risorse destinate alla povertà, all'esclusione
sociale e al diritto all'abitazione sono scarse: l'Italia
nella UE è tra quelli che spende meno (in euro/abitante
spendiamo meno di Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna, Francia,
Germania, Regno Unito, Olanda, Danimarca, Svezia). E le scarse
risorse non vanno ai più poveri. Per esempio il
bonus di 80 euro del Governo Renzi, che costa allo Stato 9
miliardi di euro all'anno, va ai lavoratori e alle persone in cassa
integrazione che guadagnano tra gli 8.174 euro e i 26.600 euro all'anno.
Chi guadagna meno di 8.174 euro all'anno non ne ha diritto.
Per quanto riguarda l'informazione si è
instaurato il seguente circolo vizioso: fasce di popolazione
di fronte a nuovi fenomeni si preoccupano; ? politici, giornalisti e
blogger (spesso ignoranti, talvolta privi di scrupoli) per avere
consenso cavalcano queste paure, diffondendole e proponendo soluzioni
semplici e accattivanti (ancorché disumane); ? fasce sempre più
consistenti di popolazione sono spaventate e si affidano a queste
soluzioni semplicistiche; ? la maggioranza dei politici e sempre più
giornalisti hanno timore a esprimere posizioni diverse per non perdere
consensi e decidono di cavalcare anche loro queste paure; ? l'allarme
sociale e la richiesta di interventi semplicistici si allarga sempre più
nella popolazione.
Di fronte a questa situazione non si può stare con le mani in
mano. Bisogna darsi da fare, parlare, denunciare, informare.
Avere a cuore i poveri e soprattutto i più poveri tra i poveri.
Questi sono trascurati da tutti perché la maggioranza di loro non vota e
non partecipa alla vita politica. Dobbiamo allora stare dalla
loro parte e fare nostri i loro bisogni. In questa maniera faremo
anche i nostri interessi, perché in una società meno
rancorosa, cattiva, sfiduciata si vive meglio, perché se tutti hanno
quel che serve per vivere diminuisce la delinquenza e il degrado, perché
le disuguaglianze sono un freno allo sviluppo.
Note: i dati sono tutti di fonte ISTAT tranne quelli sulla sanità che sono tratti dal Rapporto della Corte dei Conti 2016
“Se ci fossero più soldi si potrebbero fare tante cose, ma non ce ne
sono”.
Questa frase l'abbiamo sentita tante volte. Mancano risorse per assumere
infermieri, dietisti, ostetriche, medici nelle ASL e negli ospedali.
Mancano risorse per dare un aiuto e un futuro ai senzatetto e alle
persone in povertà assoluta (4.742.000) [1]. Mancano risorse per varare
un piano per rendere le costruzioni antisismiche, per acquistare
autobus, treni, metropolitane, per migliorare la nostra rete
ferroviaria, per finanziare la ricerca scientifica, la scuola,
l'università, il restauro dei centri storici, la tutela del patrimonio
artistico e culturale.
Ovviamente mancano risorse anche per tutelare l'ambiente e ridurre
l'inquinamento, però, in compenso, lo Stato investe notevoli risorse per
distruggere l'ambiente e inquinarlo. Sì, proprio così. Ogni
anno il Governo impegna ben 16,1 miliardi per agevolare produzioni,
attività, pratiche di sicuro impatto negativo sull'ambiente.
Non è l'accusa delle associazioni ambientaliste o di qualche partito
d'opposizione. Lo afferma un documento ufficiale del Ministero
dell'Ambiente [2].
Ecco i principali finanziamenti di sicuro impatto negativo
sull'ambiente elargiti dal Governo nel 2016:
Molte di queste prebende sono in atto da oltre 20 anni (agevolazioni
per il gasolio, per armatori e compagnie aeree), altre sono state
introdotte negli anni 2000 (gli interventi a favore di TIR, camion e
pullman), ma, quel che è certo è che tutti i Governi degli
ultimi 25 anni hanno confermato questi enormi finanziamenti a imprese
a forte impatto negativo sull'ambiente.
Per esempio, il miliardo di euro al trasporto merci su gomma è
stato introdotto dal Governo Berlusconi nel 2001, ma confermato
dal Governo Prodi nel 2007 e da quello Monti
nel 2012, con specifiche leggi.
Il Governo Renzi ha fatto di peggio.
Nel 2014 il Parlamento ha approvato una legge delega, che per la
prima volta ha dato mandato e potere al Governo di rivedere tutti
questi finanziamenti ambientalmente negativi. Ebbene
il Governo ha fatto scadere i termini senza attuare alcunché.
Il Parlamento nel 2015 ha ridato tali poteri al
Governo, che nuovamente ha fatto scadere i termini senza
varare alcun decreto legislativo in proposito [3].
Se in Italia l'83% del trasporto merci (sopra i 50 Km) avviene
in TIR, il principale motivo è che le aziende di
autotrasporto ricevono attraverso varie modalità circa 2
miliardi di euro di finanziamento all'anno.
Se l'Italia ha 16 milioni di auto a gasolio (il 42%
del parco autovetture) è perché il Governo agevola con circa 4
miliardi di euro all'anno questa tecnologia di trasporto, che
è la più inquinante in assoluto (più della benzina e molto più del
metano) [4].
Perché regalare quasi 8 miliardi a modalità di trasporto molto
inquinanti e non impiegare questi soldi per comprare autobus,
metropolitane, treni, bici per bike-sharing, per costruire piste
ciclabili e ammodernare le linee su ferro?
Perché il Governo regala 880 milioni alle multinazionali delle
acque minerali? Eppure è lo stesso Ministero dell'Ambiente
che segnala che la sola produzione delle bottiglie di plastica per
l'acqua minerale produce ogni anno 1.300.000 tonnellate di CO2
ed è facile immaginare l'inquinamento atmosferico provocato dai camion
che trasportano da una parte all'altra dell'Italia ogni anno circa 13
milioni di tonnellate di acqua.
Perché regalare 654 milioni ogni anno a proprietari di
industrie che emettono gas serra?
L'inquinamento atmosferico causa ogni anno oltre 40.000 morti in
Italia [5]; i gas serra alterano il clima aumentando i
periodi di siccità, le bombe d'acqua e le alluvioni,
con danni alle persone e all'economia ingentissimi (145 morti e 40.000
persone evacuate per alluvioni tra il 2010 e il 2016; 7,7
miliardi di danni tra il 2013 e il 2016 [6]); i costi esterni
del trasporto su gomma (inquinamento e incidenti) ammontano ad alcune
decine di miliardi di euro all'anno [7], eppure i vari Governi che si
sono succeduti negli ultimi 25 anni, invece di affrontare come si deve
questi problemi, hanno investito ogni anno circa 16 miliardi di
euro per foraggiare chi è il principale responsabile di questa
situazione (multinazionali del petrolio, dell'auto, dei
fertilizzanti e pesticidi, delle acque minerali, compagnie aeree e
navali, proprietari di industrie inquinanti).
Questo fiume di soldi non solo danneggia l'ambiente, ma
determina anche un effetto economico regressivo: avvantaggia
chi ha dimenticandosi dei poveri. E ciò non solo perché
questi finanziamenti, andando soprattutto ad aziende
multinazionali e nazionali, finiscono in gran parte nelle tasche di
chi ne ha la proprietà, ma anche perché riducono il
costo di alcuni beni che non sono appannaggio di tutti e che
i poveri non possono permettersi: i viaggi in aereo,
le crociere, le auto diesel più potenti
e che più consumano, i condizionatori d'aria, asciugapanni
elettrici, cantinette frigo e altri elettrodomestici ad alto
consumo di energia, le vacanze sulla neve, l'uso del taxi
per spostarsi.
Un'altra dimostrazione che i nostri Governi hanno più a cuore
ricchi e benestanti che poveri e non abbienti.
1) ISTAT: La povertà in Italia www.istat.it/it/archivio/202338;
2) Ministero dell'Ambiente: Catalogo dei sussidi ambientali www.minambiente.it/sites/default/files/archivio/allegati/sviluppo_sostenibile/catalogo_sussidi_ambientali.pdf;
le leggi deleghe sono la n. 23 dell'11/3/2014 (si veda in particolare
l'articolo 15), e successiva proroga del 27/6/2015; 4) Ministero dei
Trasporti: Conto Nazionale Trasporti 2015-2016; 5) Lo studio VIIAS del
Ministero della Salute ha calcolato 34.500 morti all’anno per il solo
PM2,5. Altri studi internazionali (ESCAPE 2013 ed EEA: Air Quality in
Europe 2015) danno stime sensibilmente maggiori; 6) www.legambiente.it/sites/default/files/images/rapporto_cittaclima_2017.pdf;
7) L'ultimo studio commissionato dal Ministero dei Trasporti purtroppo è
del 2005 e dava una stima di 38 miliardi di euro.
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Dal 2005 al 2016 la spesa sanitaria privata è aumentata da 25
miliardi a 35,5 miliardi [1]. In media nel 2016 ogni italiano
(neonati e centenari compresi) ha speso di tasca propria 590
euro per curarsi invece dei 430 euro che spendeva nel 2005: 160
euro in più.
Circa un 20-25% di tale cifra è servita per comprare “prodotti” che il
SSN non ha mai passato (presidi omeopatici, farmaci di classe C o di
autocura ecc.) e una quota difficilmente stimabile è servita per fare
analisi o terapie non necessarie, che il SSN difficilmente avrebbe
erogato. Considerando anche tali quote, si può stimare che ogni
italiano nel 2016 ha speso circa 300 euro di tasca propria per avere
“prodotti” che sarebbero dovute essere forniti dal
sistema sanitario nazionale (prestazioni diagnostiche,
curative, riabilitative o preventive). E' come se ogni italiano avesse
pagato una tassa di 300 euro ed è come se questa tassa dal 2005
al 2016 fosse aumentata di circa 85 euro a persona (per una famiglia
di 4 persone sono 320 euro di tassa in più, per lo Stato un “guadagno”
di oltre 5 miliardi, quindi poco più di quello che lo Stato
non incassa più con l'abolizione dell'ICI sulla prima casa).
Ma le medie, come sempre, deformano la realtà. Infatti la tassa
è stata pagata da chi ha problemi di salute e quindi soprattutto dalle
persone di classe medio-bassa e bassa. Infatti, mentre tra
gli adulti laureati solo il 12% è in cattivo stato di salute, tra quelli
con licenza media inferiore è il 46% e tra quelli che non l'hanno
conseguita è il 62% [2]. Molti hanno deciso di non pagare questa tassa e
hanno rinunciato a curarsi: tra il 2013 e il 2016 sono stati 1,2 milioni
di persone in più.
Perché aumenta la spesa dei cittadini per la salute? I
motivi principali sono due:
1) le lunghe attese per avere una prestazione. Per una
visita cardiologica l'attesa media è di 67 giorni, per una oculistica 87
giorni, per una ortopedica 66 giorni, per fare una colonscopia 93
giorni, per una risonanza magnetica 80 giorni. Ma anche queste sono
medie che nascondono la realtà: i tempi di attesa sono molto più lunghi
al Sud che al Nord e, quindi, sono soprattutto i cittadini del Sud
Italia che ricorrono alla sanità privata o che rinunciano a curarsi;
2) il ticket: se per avere una prestazione sanitaria
dal SSN devo spendere quanto spendo per andare da un privato, scelgo
quest'ultimo (tra l'altro disponibile anche tutti i pomeriggi).
La principale causa delle lunghe attese e dei ticket sono i
tagli al fondo sanitario nazionale: nel 2013
si sono spesi circa 117,5 miliardi di euro, nel 2014
115,5 miliardi, nel 2015 111 miliardi, nel 2016 110 miliardi (il
6,7% del PIL) [3].
Il Governo per i prossimi anni ha previsto ulteriori tagli:
nel 2018 il 6,5% del PIL e nel 2019 il 6,4% del PIL. E ciò anche se
l'Organizzazione Mondiale della Sanità invita gli Stati a non scendere
mai sotto il 6,5% del PIL perché ciò determina un peggioramento delle
condizioni di salute della popolazione.
Questi continui tagli alla Sanità hanno portato ad avere 3 posti letto
ogni mille abitanti (la media OCSE è 4 e la Germania ne ha 8), 5,4
infermieri ogni mille abitanti (la media OCSE è 9 e la
Germania ne ha 10,2), un numero di dietisti, assistenti sanitari,
ostetriche ridicolo (intorno a 1 ogni 100.000 abitanti), una carenza di
medici in quasi tutte le specialità. Eravamo al 1° posto nella
classifica degli Stati che tutelano la salute, poi siamo scesi al 2°
posto e dal 2016 siamo al 3° posto. Ma lo siamo soprattutto perché pochi
Paesi sviluppati spendono così poco per la Sanità (nella UE
siamo al 19° posto per spesa sanitaria pubblica pro capite) e
questo dato ci fa guadagnare vari posti.
Gli economisti ci dicono che la presenza/assenza di disuguaglianze
economiche dipende da tre ordini di fattori [4]:
1) i rapporti tra capitale e lavoro da cui consegue il
numero di disoccupati e occupati, di lavoratori stabili e precari nonché
il livello dei salari;
2) le politiche di redistribuzione della ricchezza (tassazione,
sussidi e pensioni);
3) i servizi pubblici fuori mercato (sanità, scuola, politiche
sociali, trasporti pubblici ecc.).
Nell'ultimo messaggio abbiamo visto come lo slogan “meno tasse”
si sia concretizzato in meno tasse per i ricchi e benestanti (riduzione
delle aliquote dei redditi alti, abolizione della tassa sulla casa
indipendentemente dall'essere una casa modesta o sfarzosa, riduzione
dell'IVA sui prodotti di lusso e aumento per quelli non di lusso,
riduzione delle tasse sul reddito delle imprese, riduzione delle tasse
di successione soprattutto per le cospicue eredità). Un
ulteriore aiuto ai benestanti sono gli sgravi fiscali per la sanità
integrativa (nel 2016 ammontanti a 800 milioni di euro di
minori entrate per lo Stato) e, per tutti tranne i poveri e i ceti
bassi, le detrazioni per le spese mediche. Tutto ciò porta ovviamente a
meno entrate per lo Stato che sono compensate da tagli ai
servizi pubblici fuori mercato (quello che è successo per la
Sanità è accaduto anche per la Scuola, l'Università, le Politiche
sociali, i Trasporti pubblici ecc.).
Insomma le disuguaglianze sono aumentate perché si è fatta una
politica che le ha enormemente favorite: si è dato
ai ricchi e benestanti togliendo ai poveri e ai ceti bassi. E
anche alle persone appartenenti al ceto medio: si sono
trovati qualche centinaio di euro in più grazie all'abolizione
del'ICI o delle tasse di successione (i poveri non hanno casa
di proprietà e non hanno molto da ereditare dai propri genitori) ma
hanno dovuto sborsare varie centinaia, talvolta migliaia, di euro per
accertamenti, terapie mediche e chirurgiche o per permettere
un'istruzione qualificata ai loro figli.
Note.
1) I dati citati sono di varie fonti istituzionali e sono riportati nel
“Secondo Rapporto GIMBE sulla sostenibilità del SSN. 2017” www.rapportogimbe.it/2_Rapporto_GIMBE_Sostenibilita_SSN.pdf;
2) Ist. Sup. di Sanità: Studio PASSI 2011 Campania; 3) Riportiamo i dati
del finanziamento effettivamente erogato e non di quello messo nel
bilancio di previsione che spesso è maggiore, la fonte è Corte dei Conti
Rapporto 2016 www.corteconti.it/export/sites/portalecdc/_documenti/controllo/sezioni_riunite/sezioni_riunite_in_sede_di_controllo/2016/rapporto_coordinamento_finanza_pubblica_2016.pdf;
4) si veda Pianta M.: Diseguaglianze: le ragioni del loro aumento, le
politiche che mancano, in Costituzionalismo.it 3/2017 www.costituzionalismo.it;
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L'esistenza dei truffatori è permessa da due “difetti”
dell'uomo: il desiderio di avere un
consistente vantaggio rispetto a un “costo” basso (di realizzare
“un affare”) e il poco spirito critico (la creduloneria, il fidarsi
delle apparenze, senza esaminare razionalmente e con dati di
fatto la questione).
A molti farebbe piacere avere qualche migliaia di euro in tasca solo
tracciando un segno su un foglio, ma, se qualcuno ci promette questo,
dovremmo insospettirci e cercare di capire se sotto non ci sia una
truffa.
Da alcuni giorni è iniziata la campagna elettorale per le elezioni del
prossimo marzo e fioccano le promesse: “Taglieremo le tasse, via la
tassa su questo, daremo x euro a tutti i ...”.
Per esempio, la coalizione di destra (Lega Nord, Forza Italia e Fratelli
d'Italia), promette meno tasse e, per dare peso a questa promessa, ha
messo nero su bianco nel suo programma di Governo la flat-tax.
Cos'è? E' l'abolizione delle varie aliquote di tassazione del
reddito delle persone fisiche, sostituendole con un'unica aliquota
uguale per tutti (il programma non specifica quale sarà, ma
la Lega promette il 15% e Forza Italia il 23%).
Oggi, a seconda se si guadagna di più o di meno, si pagano in
proporzione più o meno tasse. Con la flat-tax esisterebbe un'aliquota
unica indipendentemente dal reddito. Se fosse attuata i
cittadini avrebbero un “regalo” (perché pagherebbero meno tasse) che
dipende dal loro reddito. Nella tabella seguente è riportato
il prospetto di questi “regali” (non sono calcolate deduzioni e
detrazioni):
Fascia di reddito in euro |
Aliquota attuale |
“Regalo” minimo e massimo in euro con flat-tax al 15% |
“Regalo” minimo e massimo in euro con flat-tax al 23% |
0 - 8.174 |
0% |
Nessun regalo |
Nessun regalo |
8.174 - 15.000 |
23% |
0 - 546 |
Nessun regalo |
15.001 - 28.000 |
27% |
546 - 3.130 |
0 - 2.090 |
28.001 - 55.000 |
38% |
3.130 - 11.290 |
4.132 - 9.130 |
55.001 - 75.000 |
41% |
11.290 - 20.540 |
9.130 - 18.940 |
>75.000 |
43% |
20.540 - vari milioni |
18.940 - vari milioni |
Quindi ai poveri nessun regalo, ai superricchi vari milioni di
regalo.
Una tale riforma farebbe entrare ogni anno 30-40 miliardi di
euro in meno nelle casse dello Stato (30 miliardi secondo
Berlusconi con flat-tax al 23%, 40 miliardi secondo la Lega con flat-tax
al 15%, ma vari economisti dicono che queste stime andrebbero aumentate
almeno del 20%). Quindi, o si dovrebbe tagliare la spesa pubblica per
Sanità, Scuola, Politiche sociali, Ambiente, Trasporti, Ricerca, Beni
culturali (visto che la Destra ha promesso niente tagli alla Difesa e
alla Previdenza) o si dovrebbero trovare nuove entrate per 30-50
miliardi di euro ogni anno (con nuove tasse) o un mix di entrambe le
cose. E' facile capire che la riduzione delle tasse a ricchi e
benestanti verrebbe pagata soprattutto dai ceti di reddito basso e
medio (quelli che non possono permettersi la sanità privata,
che usano i trasporti pubblici, che usufrusicono di servizi sociali, che
non mandano i figli in scuole private ecc.).
Bisogna ricordarsi che con le tasse lo Stato non solo
si approvvigiona delle risorse necessarie per svolgere i suoi compiti,
ma, grazie alla progressività delle aliquote, fa sì che le
disuguaglianze economiche non siano troppo accentuate, perché
ciò causa conflitti sociali e delinquenza, frena lo sviluppo economico e
crea situazioni indegne di un Paese civile (per esempio che 55.000
persone non abbiano un tetto o che 1.400.000 persone rinuncia
a curarsi perché non ha i soldi). [1]
Negli ultimi 40 anni, con lo slogan meno tasse, si sono fatti
cospicui “regali” ai ricchi pagati dai ceti medi e bassi, e
così sono aumentate la povertà, le disuguaglianze e il rancore sociale.
[2,3]
Nel 1974 vi erano 32 diversi scaglioni di
reddito: il primo comprendeva i redditi da 0 a 2 milioni di
lire (corrispondenti a circa a 11,400 euro di oggi, considerando il
potere di acquisto), l'ultimo quello sopra i 500 milioni (corrispondente
a circa 2 milioni e 850 mila euro). La prima aliquota era del
10%, l'ultima del 82% (sì, l'82% del
reddito sopra i 500 milioni se lo intascava lo Stato).
Nel 1983 gli scaglioni sono stati ridotti a 9. Il
primo comprende i redditi fino a 11 milioni di lire (16.800 euro),
l'ultimo quello sopra i 500 milioni (763.000 euro). Il primo scaglione
viene alzato al 18% (quindi i poveri e le persone di basso
reddito iniziano a pagare quasi il doppio di quanto pagavano 10 anni
prima), l'ultimo viene ridotto al 65%
(inizia un regalo annuale di diversi milioni a ciascun super ricco).
Nel 1986 il primo scaglione è ridotto a 6 milioni
(6.600 euro di oggi), tassato con l'aliquota del 12%. Un regalo
ai più poveri, ma un aggravio per chi guadagna da 6 a 11 milioni (13.000
euro di oggi) che viene tassato del 22% e a chi
guadagna tra le attuali 13.000 e 16.800 euro che si trova a versare non
più il 18% ma il 27% del proprio reddito allo Stato. Per i ricchi e
benestanti invece un nuovo regalo: l'aliquota scende al 62% per
i redditi sopra i 600 milioni (660.000 euro di oggi).
Nel 1989 nuovo grande regalo ai ricchi:
l'aliquota scende al 50% sopra i 300 milioni (546.000 euro).
Nel 1998 gli scaglioni si riducono a 5, il primo (fino
a 15 milioni, 9.700 euro di oggi) viene tassato con il 18,5%. Se ai
poveri si chiede il 6% in più, ai ricchi viene fatto un altro regalo
riducendo l'aliquota dell'ultimo scaglione (sopra i 135
milioni, 87.000 euro) al 45,5% (cioè pagheranno il 4% in meno).
Nel 2003 il primo scaglione è fino a
15.000 euro e l'aliquota è innalzata al 23% (una
vera stangata sui poveri da parte del Governo Berlusconi).
Nel 2005 gli scaglioni si riducono a 4. Il primo è
fino a 26.000 euro (aliquota 23%). Viene fatto ancora un regalo
ai ricchi riducendo l'ultima aliquota (43%), per i redditi
sopra i 100.000 euro
Nel 2007 si ritorna ai 5 scaglioni, decidendo
di far pagare di più chi guadagna tra i 15.000 e 26.000 euro.
Infatti il primo scaglione (con aliquota 23%) è fino a 15000 euro, il
secondo (da 15000 a 28000 euro) è tassato col 27%.
I dati prima riportati illustrano chiaramente che dal 1974 a
oggi le tasse per i ricchi sono diminuite sempre di più, mentre si
sono presi sempre più soldi ai ceti bassi e medi (soprattutto
ai mediobassi). Ciò è ancora più evidente se si considerano anche le
deduzioni fiscali e le detrazioni (calcolando cioè l'aliquota
effettiva). Per esempio, che nel 2005 l'aliquota
effettiva del secondo scaglione è maggiore di quella del terzo, cioè pagava
più tasse chi guadagnava di meno.
Va poi considerato che negli ultimi anni si sono ridotte le
imposte di successione per i grandi patrimoni, si sono ridotte
le tasse per chi affitta case e palazzi, è stata abolita
l'IVA sui beni di lusso, (per cui si paga la medesima IVA
per una pelliccia di ermellino, una fuoriserie, un quaderno o una
matita) si è abolita la tassa sulla prima casa, anche se di
lusso e di centinaia di metri quadri (in realtà la tassa è
abolita anche sulle seconde case, perché basta che il coniuge o un
figlio porti la residenza dove si ha la seconda casa e non si paga
niente).
Insomma, bisogna stare attenti ai truffatori, avere
spirito critico (esaminare razionalmente, sulla base di dati
certi, i pro e i contro delle proposte) e avere a
cuore innanzitutto i bisogni di chi è povero, di chi fa
fatica ad arrivare alla fine del mese. Fare i loro interessi
significa anche costruire una società più giusta, più equa, meno
pacifica, più sicura, più bella.
Fonti: 1) Ufficio parlamentare di bilancio: Rapporto 2016; 2) Libro
bianco sulla tassazione in Italia www.ssef.it/sites/ssef/files/Documenti/Rivista%20Tributi/Supplemento%201-%20Libro%20Bianco/Capitoli%201%20-%20I.pdf;
2) ISTAT indici di conversione dei valori monetari storici.
Il 2017 si è concluso ed inizia un nuovo anno. Vogliamo fare un
bilancio di quello trascorso per capire come essere più incisivi nel
2018.
Ci siamo impegnati:
- per i poveri, gli emarginati e i perseguitati:
- per la salvaguardia dell'ambiene e della salute
- per dare informazioni veritiere, combattere pregiudizi e
opinioni non suffragate dai fatti
lo abbiamo fatto soprattutto con le nostre “Notizie
dell'Associazione Marco Mascagna”, il messaggio di posta
elettronica che ormai arriva ad oltre 3000 persone, molte delle quali lo
diffondono a loro volta ai loro contatti.
Nel 2017 ci siamo interessati della strombazzata ma inesistente epidemia
di meningite (“Ma sono malati in testa?), dell'esiguità del fondo di
sostegno al reddito dei poveri rispetto ai fondi dati a ricchi e
benestanti (“Sostegno al reddito: di chi?”), della disumana e stupida
politica contro gli immigrati (“Svegliamoci e prendiamo posizione”, “La
demografia smaschera la demagogia”, “Restiamo umani”, “Disumani”),
dell'inquinamento da pellet (Cos'è ecologico, cos'è ecosostenibile”), di
come i dati smentiscono il luogo comune che la pubblica amministrazione
ha troppi dipendenti e costa troppo (“E' vero che in Italia la spesa
pubblica è altissima?”), di poveri e senza tetto (“Cos'è decoroso, cos'è
urgente e necessario”), del commercio delle armi (“Fare affari sulle
tragedie”), di come la speculazione finanziaria fa aumentare ogni anno
di più il debito dell'Italia e di altri Paesi (“Fare sacrifici per
arricchire i ricchi?”), del consumo di suolo, delle proposte degli
economisti critici per uno sviluppo economico equo e ecosostenibile, di
come non è assolutamente vero che la criminalità aumenta e gli immigrati
delinquano più degli italiani, di come mass-media e gruppi di potere
sollecitano paure immotivate, della situazione dei rifiuti. Abbiamo
anche ricordato Don Milani con un'antologia di sue frasi.
Abbiamo inoltre fatto piacevoli escursioni in
bellissimi posti della Campania, del Lazio e dell'Abruzzo. Camminare non
solo per raggiungere una meta, vedere dei bei posti, fare moto, ma anche
per stare insieme, per scambiare idee, per conoscersi meglio per
praticare la convivialità.
Non è poco quello che abbiamo fatto (molto spesso in
collaborazione con altre associazioni e gruppi, perché l'unione fa la
forza), ma possiamo fare di più.
Non siamo pochi e se ognuno dà un suo piccolo contributo
possiamo essere molto più incisivi. Quindi, nel nuovo anno, diffondiamo
i messaggi della Marco Mascagna, partecipiamo alle attività
dell'associazione e coinvolgiamo anche altre persone, diamoci da
fare per raccogliere fondi per l'Asilo Sector Primero, firmiamo gli
appelli di Amnesty International e delle altre organizzazioni
che vi segnaliamo.
Auguriamo a tutti un buon 2018 e, se ognuno dà il suo piccolo contributo
di impegno, il 2018 potrà essere un buon anno anche per tante altre
persone.
Da oltre 25 anni la Marco Mascagna finanzia l’Asilo Sector Primero di
San Salvador promosso da un domenicano nostro amico che si è trasferito
lì per aiutare le persone che abitano nel Sector Primero, la baraccopoli
sorta sull’ex discarica dei rifiuti (per avere un’idea della situazione
guarda il video www.youtube.com/watch?v=g2ju1E6FD74)
Varie persone dell’associazione hanno trascorso periodi di tempo lì e
abbiamo un fitto scambio di mail con Gerard e le maestre.
L’asilo si regge sul nostro finanziamento (almeno 10.000 euro all’anno),
e, oltre all’istruzione e al levare dalla strada questi bimbi,
garantisce colazione, pranzo e merenda.
Puoi aiutare l’asilo in vari modi:
1) comunicare ai tuoi familiari e amici che il regalo che più
desideri per Natale è una donazione pro-Asilo;
2) regalare uno dei CD dell'Associazione (Una musica
per … con musiche di Pio e Umberto Russo Krauss, eseguite da Daniela del
Monaco e Paolo Rescigno; Laudate e Requiem di Pio Russo Krauss). Un
“assaggio” di queste musiche lo trovi sul sito dell’Associazione (http://www.giardinodimarco.it/sud.h...)
e su Youtube (www.youtube.com/watch?v=3QOuS-lN-ro,
https://youtu.be/AIIFsbvpYUM
e www.youtube.com/watch?v=KkU0afysWoU).
I cd puoi comprarli presso le botteghe del commercio equo e solidale E
Pappeci (Via Orsi 72 e Via Mezzocannone 103);
3) regalare una donazione: a chi regala una donazione
inviamo la cartolina regalo che spiega questo “dono
solidale”(vedi immagine allegata, l’originale è ad alta definizione);
4) regalare una bottiglia di un eccelente liquore fatto in casa:
limoncello, mirto, 4 agrumi, sui 40° di alcol oppure vino nociato (sui
25°) o una confezione di squisiti roccocò casalinghi;
I versamenti possono essere fatti su ccp. 36982627
oppure sul ccb Banca Fideuram iban IT21G0329601601000064226269,
intestando a Associazione Marco Mascagna, Via Ribera 1 80128 Napoli, e
specificando nella causale “donazione pro asilo”.
Le donazioni sono detraibili dall’imponibile.
In Italia circa 51.000 persone non hanno casa e vivono per
strada [1] . Nel solo 2016 sono stati eseguiti 35.000
sfratti [2]. Gli appartamenti sfitti sono 7 milioni (di cui
4,3 milioni sono case di vacanza e 2,7 milioni appartamenti
privi di uso) [3].
Il Governo, invece di garantire un tetto a chi dorme per strada, ha
varato la legge su “decoro e sicurezza urbana”, che prevede sanzioni per
chi si sdraia nelle stazioni, sui marciapiedi, sulle panchine dei centri
storici e situate vicino ai monumenti. Aumentano gli episodi di
intolleranza e di violenza verso questi poveri e
il favore verso i provvedimenti contro di loro.
Dal 2013 al 15 giugno 2017 sono annegati nel Mediterraneo 15.000
persone che fuggivano da guerre, da dittature, dall'ISIS, da
persecuzioni oppure dalla fame, dalla mancanza di qualsiasi possibilità
di lavoro [4]. La UE e l'Italia invece di accogliere questi disperati e
di creare canali di ingresso sicuri e legali (come i trattati
internazionali prescrivono) spendono milioni di euro per cercare di
bloccarli in Libia, Turchia, Sudan, Eritrea, Niger, finanziando così
dittatori e perfino trafficanti e gettando i migranti nelle mani di
persone senza scrupoli [5, 6]. Come ha detto il Commissario ONU per i
Diritti Umani "La politica dell'Unione Europea di assistere la guardia
costiera libica nell'intercettare e respingere i migranti nel
Mediterraneo è disumana. La sofferenza dei migranti
detenuti in Libia è un oltraggio alla coscienza dell'umanità.
La comunità internazionale non può continuare a chiudere gli
occhi sugli orrori inimmaginabili sopportati dai migranti in
Libia” [7]. Un'altra agenzia ONU (l'OIM) ha scritto: “I
trafficanti di ieri sono le forze anti-trafficanti di oggi”
[6].
Gli stranieri presenti nel nostro territorio sono accusati di essere
ladri, stupratori e rapinatori anche se i dati dicono che delinquono
meno degli italiani [8]. Così acquistano maggiore potere i partiti e i
gruppi razzisti, xenofobi o che promettono di “ripulire la città di
zingari, senzatetto, accattoni”.
I cittadini italiani in povertà assoluta sono 4.750.000, di
questi 1.290.000 sono bambini e ragazzi. Negli ultimi anni in
Italia la povertà è aumentata, ed è aumentata anche la ricchezza di
ricchi e benestanti, per cui il divario tra il 20% degli
italiani più ricchi e il 20% degli italiani più poveri è aumentato del
9% [9].
I poveri si vergognano della loro situazione, la
vivono come una colpa e una parte della popolazione li
disprezza, prova sentimenti di repulsione e di antipatia. Come
se l'essere povero fosse una scelta e non una condizione disgraziata
da cui oggi è difficilissimo uscire (chi assumerebbe un
senzatetto?).
La spesa militare mondiale nel 2013 è stata di 1.435 miliardi di
euro (quasi 4 miliardi di euro al giorno), con un aumento in
termini reali dello 0,5% rispetto all'anno precedente e di circa il
40% in più di quella degli anni '90. L'Italia è
all'11° posto, superando Paesi come Brasile, Israele,
Australia, Spagna [10]. Nella finanziaria 2018 è prevista una spesa di
25 miliardi: il 5% in più rispetto al 2017, che già
aveva visto un aumento del 10% sul 2016 [11]. Mentre la spesa
militare aumenta ogni anno quella per la sanità diminuisce, in media
dello 0,1% all'anno dal 2010 al 2016 [12].
Tra qualche giorno si festeggerà la nascita di Gesù. E
lo faranno in tanti, quasi tutti. E ciò stride con la situazione
illustrata dai dati prima citati, perché Gesù fu un povero, un
senzatetto (“Il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”
Lc. 9,58); uno straniero (figlio di Galilei -
popolazione disprezzata dai Giudei - nato in Giudea); una persona che ha
sempre manifestato una scelta preferenziale per i poveri,
gli emarginati, gli esclusi; uno che ha gridato “Guai
ai ricchi” (Lc 5,24), che ha affermato che il criterio per giudicare la
bontà e la realizzazione di una persona è il suo comportamento verso chi
è nel bisogno (“Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete
e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto,
nudo e mi avete vestito” Mt. 25,35); un nonviolento, un
predicatore di pace e di fratellanza universale (“Amatevi
gli uni gli altri” Gv. 13,34, “Amate i vostri nemici, fate del bene a
chi vi vuol male” Lc 6,27).
Come è possibile che si possa festeggiare la nascita di un
simile personaggio e poi fare il contrario di quello che lui ha detto
e fatto? Come è possibile che la fratellanza, valore non solo
cristiano ma anche laico (fraternité, egalité, liberté), possa essere
così negata nel nostro mondo?
Per fortuna ci sono persone che si battono contro l’ingiustizia
e la violenza, che praticano concretamente la
fratellanza, l’uguaglianza e la libertà e che non
stanno zitti di fronte a chi semina l'odio, che si mettono dalla parte
dell'immigrato, del senza-tetto, del povero e dell'emarginato.
Sono pochi? Forse sono molto più di quanto pensiamo.
Quanti sono a conoscenza dei molti gruppi di volontari che si danno da
fare per i senza dimora, come la fondazione Leone, il Centro Buglione,
La Tenda, Il Centro Astalli, la Ronda del Cuore ecc.? A Napoli tra
associazioni, enti ecclesiali, cooperative e fondazioni sono circa
70 i gruppi che prestano assistenza a queste persone.
Quanti sanno delle persone che col consenso dei Ministeri dell'Estero e
degli Interni, ma senza un euro di contributo statale organizzano l'ingresso
legale di persone in fuga da guerre e dittature e il loro soggiorno
presso famiglie. In un solo anno il progetto Corridoi
Umanitari della Comunità di S. Egidio, Chiese Evangeliche e Tavola
Valdese ha salvato circa 1.000 persone.
E come non ricordare l'encomiabile lavoro delle ong operanti in
mare che nel solo 2016 hanno salvato 46.796 migranti. O le
decine di migliaia di persone che a ridosso di ferragosto hanno firmato
l'appello a favore delle ONG e contro la politica antiimmigrazione del
Governo?
Quanti conoscono i gruppi di musulmani che si battono contro i
fondamentalisti e per la pace? Quanti hanno saputo del
convegno tenutosi a Torino dal titolo “Islam contro islamismo”, nel
quale gli islamici si sono interrogati su perché una parte di musulmani
assume posizioni violente e intolleranti e su quali sono le radici della
violenza nella loro religione? Un esempio che dovrebbe seguire chiunque
si riconosce in una religione o in una qualsiasi corrente di pensiero
(fosse anche quella di “non averne alcuna”).
Insomma, malgrado le molte ingiustizie e problemi del nostro mondo e
malgrado i giornali e le televisioni enfatizzano il peggio dell'uomo,
favorendo la diffidenza, la paura, l'egoismo e l'assenza di speranza,
la realtà è molto più variegata e composita, vi è
tanto che non va ma anche molto bene, e la situazione può evolvere in
peggio ma anche molto in meglio.
Soprattutto vi sono innumerevoli persone oneste, miti, che
praticano i valori della fratellanza, dell'uguaglianza, della libertà,
che lottano per la giustizia e per la pace.
Non sono la maggioranza? E' vero, non lo sono. Ma la Storia ci insegna
che sono sempre state le minoranze che hanno reso il mondo
migliore. E’ grazie a minoranze, ma coerenti e determinate,
che la schiavitù non è più ammessa, che la democrazia si è affermata,
che le donne hanno compiuto passi enormi di emancipazione, che sono
state varate norme per tutelare i lavoratori, per dare assistenza ai
malati, per aiutare chi è in difficoltà, per combattere l’inquinamento,
per mettere un freno alla violenza e alla sopraffazione.
Noi ci sentiamo parte di queste minoranze. Crediamo che le nostre
piccole azioni e il nostro piccolo impegno non è sterile
proprio perché sono state sempre le minoranze attive a innescare e
realizzare processi di cambiamento.
Festeggeremo con piacere e con coerenza la nascita di quel
nazareno povero e mite, nato in terra straniera, che ci ha
lasciato un messaggio ancora oggi attualissimo e rivoluzionario. Con
questo spirito auguriamo a tutti un buon
Natale.
1) www.istat.it/it/archivio/175984;
2) http://ucs.interno.gov.it/FILES/allegatinews/1263/Pubblicazione_sfratti_2016.pdf;
3) Istat: XV censimento generale della popolazione e delle abitazioni;
4) UNHCR 2017; 5) www.africa-express.info/2017/03/01/accordo-sui-migranti-con-il-sudan-europa-e-italia-complici-delle-violazioni-dei-diritti-umani;
6) OIM https://reliefweb.int/sites/reliefweb.int/files/resources/N1711623.pdf;
7) UHNCR 15/11/17; 8) Ministero della Giustizia 2017 www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_14.wp
si veda il nostro messaggio n.23 del 25/10/17; 9) Istat 2017; 10) SIPRI
2017; 11) http://milex.org/2017/11/17/italia-cresce-la-spesa-pubblica-in-armamenti;
12) https://www.ambrosetti.eu/ricerche-e-presentazioni/rapporto-meridiano-sanita-2017/
E' uscito il nuovo Rapporto Rifiuti Urbani del Ministero dell'Ambiente
ed è l'occasione per fare il punto sulla situazione in Italia e nella
nostra Regione.
La produzione di rifiuti, in calo dal 2006, aumenta di poco
nel 2016 (+0,8% rispetto al 2015 [* alcuni giornali hanno detto +2%, ma
1,2% riguarda rifiuti che prima non venivano considerati, e, quindi, non
è corretto contarli]). Analogo aumento si verifica in Campania,
che è però al quintultimo posto nella produzione di rifiuti
con quasi 50Kg/ab/anno sotto la media nazionale (le Regioni che più
producono rifiuti sono Emilia, Toscana, Valle d'Aosta, Liguria). Tra le
grandi città Napoli è sotto la media nazionale, producendo molto meno
rifiuti per abitante di Catania, Venezia, Firenze, ma più di Trieste,
Messina, Torino, Milano.
I rifiuti raccolti in maniera differenziata aumentano, ma
lentamente e sono notevolmente sotto l'obbligo di legge
(65%): In Italia il 51% dei rifiuti è raccolto in
maniera differenziata (52,5% includendo anche materiali che prima non
venivano conteggiati) con un aumento del 3% sull'anno 2015 e di quasi il
25% rispetto al 2012. Notevoli sono le variazioni regionali e
provinciali: 73% il Veneto, 15% la Sicilia, con la Campania al
52% che guida le Regioni del Sud e Centro. Solo 4 Regioni
hanno rispettato la legge raccogliendo almeno il 65% dei rifiuti in
maniera differenziata (Veneto, Trentino-Alto Adige, Friuli-VG e
Lombardia). L'aumento della raccolta differenziata è dovuto soprattutto
all'umido (che è la frazione più abbondante dei rifiuti). In Campania la
provincia più virtuosa è quella di Benevento (71% di
RD), la meno virtuosa quella di Napoli (47%). La
capoclasse è la Provincia di Treviso (88% di RD). La
raccolta differenziata a Napoli città è al 31%,
superata da tutte le grandi città del Nord e del Centro, ma meglio di
tutte le altre grandi città del Sud (eccetto Bari).
In Italia il 46% dei rifiuti viene riciclato (il 20%
come compost e biogas), il 25% va in discarica e il 20% viene bruciato,
l'1% va all'estero e l'8% ad altri trattamenti.
La Campania ha una gravissima carenza di impianti di
compostaggio: solo 4 impianti, che nel 2016 hanno trattato
26.000 tonnellate. Solo Valle d'Aosta, Molise e Liguria hanno compostato
meno rifiuti di noi. L'Abruzzo, che ha un quinto degli abitanti
della Campania, ha compostato 8 volte più rifiuti della Campania.
La Lombardia ha compostato 940.000 tonnellate di rifiuto, 38 volte più
della Campania.
Non siamo messi meglio con gli impianti di
biodigestione-compostaggio (quelli che producono biogas e
compost e che, secondo le ricerche sono quelli più rispettosi
dell'ambiente). In Campania vi sono solo 2 impianti, che hanno trattato
46.000 tonnellate di rifiuti. Il Friuli, che ha un quinto degli
abitanti della Campania, tratta in tali impianti 7 volte di più di noi.
La raccolta differenziata dell'umido in Campania ammonta a 708.000
tonnellate e di queste solo 72.000 sono trattati in Campania, perché non
abbiamo sufficienti impianti di biodigestione-compostaggio e
compostaggio. Quindi oltre 600.000 tonnellate di rifiuti organici, per
essere trattati, vanno in altre Regioni (soprattutto in Veneto), con
costi economici (circa 150 milioni all'anno) e ambientali notevoli.
Però siamo la terza regione per quantità di rifiuti inceneriti.
L'inceneritore di Acerra (il più grande inceneritore italiano) brucia
726.000 tonnellate all'anno, pari al 28% di tutti i rifiuti prodotti e
produce 200.000 tonnellate di ceneri che vengono smaltite a Brescia con
un impatto ambientale consistente.
La Campania ogni anno paga una multa di 48 milioni alla UE per non avere
rispettato le direttive comunitarie (a dire il vero, la maggioranza
delle regioni non le rispettano e c'è chi è peggio di noi, ma noi siamo
stati multati e altri no).
Nel 2012, il Piano Regionale Rifiuti prevedeva che nel 2015 si dovevano
bruciare 1,5 milioni di tonnellate di rifiuti (il 60% dei rifiuti
prodotti) e compostare solo 100.000 rifiuti. Previsioni e obiettivi del
tutto sballati, come la Marco Mascagna denunciò pubblicamente. Se
avessero fatto come noi dicevamo (per esempio compostare 800.000
tonnellate l'anno per il 2015) oggi non dovremmo spendere un mare di
soldi per portare i rifiuti in altre regioni, non pagheremmo
la TARSU più alta d'Italia, la raccolta differenziata sarebbe ben
maggiore, non pagheremmo più la multa EU e si poteva chiudere una linea
di incenerimento dell'inceneritore di Acerra.
Da questi dati, infatti, emerge che il principale problema
della Campania è l'estrema carenza di impianti di
biodigestione-compostaggio e di compostaggio che fa andare in
perdita tutti i Comuni che fanno la raccolta differenziata dell'umido.
Quasi tutte le regioni (Campania compresa) hanno una raccolta
differenziata insufficiente (rispetto agli obblighi di legge
65% e agli obiettivi UE 75%). Il fatto che la Provincia di Treviso è
ormai al 90% è segno che tale obiettivo è del tutto realistico.
Perché il 90% di raccolta differenziata non è raggiunto in tutta
Italia? I motivi sono vari, tra cui:
- per organizzare una buon sistema di raccolta differenziata occorrono
soldi e se non ci sono impianti di compostaggio e
biodigestione-compostaggio o se i cittadini non differenziano
scrupolosamente (i riciclatori pagano in proporzione della
purezza del rifiuto) il servizio diventa subito in perdita;
- se la raccolta differenziata aumenta troppo non ci sono più
rifiuti per inceneritori e discariche e questo va contro gli interessi
di vari soggetti
- una parte della popolazione è pigra e incivile e, se
può, non fa la raccolta differenziata o la fa male, rendendo il sistema
economicamente poco redditizio;
- alcune amministrazioni preferiscono accondiscendere a quella
parte della popolazione pigra e incivile non organizzando un
serio sistema di raccolta differenziata.
Pensiamo che si possa affermare che mentre fino a qualche anno fa erano
soprattutto aziende, criminalità, amministratori a impedire una corretta
gestione dei rifiuti, oggi, probabilmente, è una parte dei cittadini
(quelli che non fanno la raccolta differenziata o che la fanno male, che
protestato se si vuole fare un impianto di compostaggio o di
biodigestione-compostaggio, che non pagano la TARSU ecc.) il principale
ostacolo ad una corretta gestione dei rifiuti.
"La politica dell'Unione Europea di assistere la guardia costiera
libica nell'intercettare e respingere i migranti nel Mediterraneo è
disumana. La sofferenza dei migranti detenuti in Libia è un
oltraggio alla coscienza dell'umanità. La comunità
internazionale non può continuare a chiudere gli occhi sugli
orrori inimmaginabili sopportati dai migranti in Libia”.
Questo il duro comunicato dell'ONU sulla strategia adottata dal nostro
Governo con l'avvallo e il finanziamento della UE per bloccare chi fugge
da guerre, regimi dispotici e fondamentalisti islamici (Iran, Eritrea,
Etiopia, Somalia, Sud Sudan, Sudan, Nigeria, Niger, Ciad, Ghana, Gambia
ecc.) o semplicemente dalla fame e dalla povertà.
La CNN ha poi documentato (anche con un video) la vendita
all'asta di migranti in Libia [1].
Sea Watch, una ong tedesca, e la Marina Militare Italiana hanno filmato
come la Guardia Costiera libica “salva i migranti”
(picchiandoli, partendo a tutta velocità mentre i migranti sono appesi
alle corde, lanciando patate ai volontari che si prodigano
per salvare chi sta annegando) [2, 3].
I fatti accaduti in questi giorni stanno aprendo gli occhi a tanti che
avevano creduto alle rassicurazioni del ministro Minniti che i
salvataggi in mare sarebbero stati effettuati dalla Guardia costiera
libica, che i migranti nei “CIE libici” sarebbero stati trattati come in
Italia, rimpatriando i non aventi diritto e accogliendo gli altri. Una
favola raccontata come se fosse realtà, a cui molti hanno voluto
credere. Ora si moltiplicano i “Non sapevamo”, “Non immaginavamo”,
“Episodi da condannare” ecc. Lacrime di coccodrillo e
dichiarazioni ipocrite. In realtà sapevano e sanno benissimo qual è la
situazione in Libia. Bastava leggere i rapporti di Amnesty,
di Human Right Watch, dell'ONU, degli istituti di studi geopolitici.
Oppure sentire le innumerevoli testimonianze dei migranti che sono
giunti in Italia o leggere le inchieste del New York Times, del
Washington Post, del Guardian, dell'Indipendent, dell'agenzia Reuters
(inchieste spesso documentate con foto e video) [4, 5, 6, 7, 8].
Amnesty: “Rifugiati e migranti sono vittime di
gravi abusi da parte di gruppi armati, contrabbandieri e
trafficanti di esseri umani, oltre che delle guardie dei centri di
detenzione amministrati dalle autorità governative”; “I Centri di
detenzione sono spesso gestiti dai gruppi armati che operavano al di
fuori dell’effettivo controllo del Governo. In queste strutture sono
tenuti in condizioni squallide e sottoposti a tortura e altri
maltrattamenti da parte delle guardie, compresi pestaggi, sparatorie,
sfruttamento e violenza sessuale”; “In alcune occasioni, la
guardia costiera si è resa responsabile di abusi, anche aprendo il
fuoco contro le imbarcazioni o abbandonandole in mare aperto e
picchiando i migranti e i rifugiati, a bordo delle loro
motovedette e all’arrivo sulla costa” [9].
Human Right Watch: “La Guardia costiera libica
usa metodi violenti nel trattare i
migranti”, “E' collusa con i trafficanti di esseri umani”;
“Vengono ricondotti in Libia dove li attende un trattamento disumano
fatto di torture e stupri fino ad essere ricattati e venduti
come schiavi sessuali o per lavori abbrutenti”; "Gli
osservatori sono rimasti sconvolti da ciò che hanno visto: migliaia di
uomini, donne e bambini emaciati e traumatizzati, ammassati l'uno
sull'altro, bloccati in capannoni” [10].
ONU (OIM): “La situazione in Libia è terribile.
Le notizie di 'mercati degli schiavi' si uniscono alla
lunga lista di orrori" (dichiarazione dell'aprile 2017); “Il
capo della Guardia costiera di Zawiyah è
contemporaneamente a capo di una milizia in combutta con i trafficanti”;
“I trafficanti di ieri sono le forze anti-trafficanti di oggi” [11].
Potremmo continuare a lungo. La realtà è questa: l'Italia ha fatto
accordi con un Governo non unanimamente riconosciuto, con “sindaci”,
capimilizie e trafficanti (spesso queste tre figure coincidono), dando
loro ingenti somme (decine di milioni di euro) purché fermino i migranti
che vogliono venire in Italia, facendo finta di non sapere che in
Libia vige l'anarchia (230 milizie che controllano
altrettanti parti del territorio) [9]. Che questo avrebbe comportato
altri morti, torture, schiavismo, stupri lo sapevano benissimo. Il
giorno in cui il Governo italiano esultava per l'accordo raggiunto
Amnesty dichiarava: “Oggi le autorità italiane hanno dimostrato
che considerano più importante tenere migranti e rifugiati alla larga
dalle loro coste piuttosto che proteggere le loro vite e la
loro incolumità”.
Più volte abbiamo richiamato l'attenzione sulla tragedia di chi subisce
la guerra, la dittatura, la persecuzione o la povertà e decide di
lasciare il suo Paese per cercare condizioni di vita “umane” in un Paese
straniero, come hanno fatto in passato tanti italiani e come un
domani potremmo fare noi o i nostri figli [12].
Accogliere chi è in pericolo è un dovere morale al quale siamo
obbligati anche dalla nostra Costituzione: “Lo straniero al
quale sia impedito nel suo Paese l'effettivo esercizio delle libertà
democratiche garantite dalla Costituzione italiana ha diritto d'asilo
nel territorio della Repubblica”. Il numero di persone che
chiede di entrare in Italia non è ingente (negli ultimi anni
è stato tra i 17.000 e i 170.000 all'anno) per un Paese di 60 milioni di
abitanti che ogni anno ne perde 130.000 (saldo morti-nati), con sempre
meno giovani e sempre più vecchi, dove nessuno più vuole fare
determinati lavori (il pecoraio, il badante ecc.). Che i
migranti fanno aumentare la criminalità, portano malattie e ci
islamizeranno sono bufale che cozzano con i dati della
realtà.
Dobbiamo chiederci chi e perché ci racconta queste bufale?
Chi e perché agita le nostre paure? Chi e perché vuole che perdiamo la
nostra umanità e adottiamo come massima di vita “Me ne frego”? Chi e
perché vuole che perdiamo i valori di fraternità, uguaglianza, libertà
così faticosamente affermati?
Note:
1) http://edition.cnn.com/2017/11/14/africa/libya-migrant-auctions/index.html;
3) https://sea-watch.org/en/update-evidence-for-reckless-behavior-of-libyan-coast-guards;
4) https://www.nytimes.com/2017/09/25/opinion/migrants-italy-europe.html?mcubz=1;
6) www.theguardian.com/world/2017/may/22/libyan-government-shut-inhumane-refugee-detention-centres-un;
9) www.amnesty.it/rapporti-annuali/rapporto-annuale-2016-2017/medio-oriente-africa-del-nord/libia;
10) www.hrw.org/world-report/2017/country-chapters/libya;
11) https://reliefweb.int/sites/reliefweb.int/files/resources/N1711623.pdf;
12) vedi i messaggi del 7/9/17, 9/3/17 e 10/2/17 www.giardinodimarco.it/archivio.htm e vedi i video www.youtube.com/watch?v=pOZvhzfhFfE e www.youtube.com/watch?v=dochQxEMRZA&t=611s
Le nostre convinzioni, i nostri comportamenti e le nostre scelte
dipendono in gran parte dalla percezione della realtà
che abbiamo e dalla risonanza emotiva che tale percezione
determina. Per esempio, se camminiamo di sera per una zona
della città poco conosciuta la percepiamo come pericolosa e ciò
determina timore e ci fa essere guardinghi e sospettosi. La percezione
di pericolosità discende dalle esperienze negative e pericolose (vissute
quando eravamo bambini, viste in film, lette sui giornali ecc.)
suscitate dalla visione di strade buie e solitarie.
Della maggioranza dei fatti del nostro mondo non abbiamo una
percezione diretta ma solo quella trasmessa dai mezzi di
informazione (televisioni, radio, stampa, internet) e dal passaparola.
Inoltre la nostra mente si attiva di più per i fatti nuovi, le notizie
allarmistiche e che possono riguardare la nostra persona, i problemi la
cui soluzione sembra facile e “indolore” (per noi), più per le immagini
e le storie che per i dati statistici.
La ricerca scientifica ha evidenziato che molto spesso non c'è
corrispondenza tra le nostre paure/preoccupazioni e l'effettivo
rischio, cioè che abbiamo una percezione dei rischi poco o
niente corrispondente ai fatti.
Per esempio molti hanno paura di volare ma non di andare in auto o in
moto, eppure il rischio di morire (calcolato come
probabilità su 1 miliardo di passeggeri per ogni 100 Km percorsi) è inferiore
a 1 per l'aereo, 300 per l'auto e 530 per la moto [1]. Se si
calcola il rischio come numero di morti sulla popolazione, il rischio di
morire in un incidente d'auto è di 1 su 40.000, mentre con la moto di 1
su 10.000 [2].
Molti hanno paura di un attentato terroristico eppure la
probabilità di morire in un attentato terroristico per i
cittadini europei è di 1 su 8 milioni [3]. La
probabilità di morire per una malattia causata dall'inquinamento
atmosferico è superiore a 1 su 1.500 [4].
Come abbiamo visto nel precedente messaggio le persone sono
molto preoccupate per la criminalità anche se i dati ci dicono che la
criminalità è diminuita molto. Tanti sono preoccupati per
l'arrivo di persone da altri Paesi, anche se i dati ci dicono che i
nuovi arrivati sono meno delle persone che l'Italia perde (come saldo
tra nascite e morti), che essi delinquono meno degli italiani e che
svolgono in maggioranza lavori che gli italiani non vogliono fare (ad
esempio quello di badante o di pecoraio).
Temiamo di essere derubati e non pensiamo che negli ultimi 10
anni ogni italiano è stato derubato di 18.500 euro (una
famiglia di 4 persone di 74.000 euro) e che molto probabilmente
altrettanto avverrà nel futuro. L'evasione fiscale, infatti, ammonta a
111 miliardi l'anno [5], cioè gli evasori tolgono a ciascun
italiano 1.850 euro ogni anno. Eppure questo gravissimo
problema non è molto sentito dagli italiani. Se si riuscisse a
portare l'evasione fiscale a livello della Francia, dell'Olanda o
della Gran Bretagna (dove l'evasione è circa la metà di
quella dell'Italia) si recupererebbero ogni anno 55 miliardi.
Con 55 miliardi in più ogni anno si potrebbero garantire mezzi di
trasporto pubblici puntuali, frequenti e comodi, si potrebbe varare un
piano di opere utili (risparmio energetico, riduzione del rischio
sismico, riqualificazione delle periferie, restauro dei centri storici e
dei monumenti, disinquinamento e tutela delle risorse ambientali ecc.),
si potrebbero assumere più medici e paramedici riducendo le liste di
attesa e migliorando le prestazioni, e per fare tutto ciò si creerebbero
milioni di posti di lavoro favorendo lo sviluppo economico.
Televisioni e giornali dedicano un enorme spazio alla cronaca nera, al
terrorismo, all'immigrazione, a disastri aerei e pochissimo spazio
all'evasione fiscale, all'inquinamento atmosferico, ai morti sul lavoro
(oltre mille ogni anno), alla povertà, alle disuguaglianze economiche. Studio
Aperto ha dedicato il 92% di tutti i suoi servizi alla criminalità
comune (omicidi, rapine, furti, violenze) e neanche
uno all'evasione fiscale. Il TG5 ha dedicato il 67%
dei servizi alla criminalità comune [6]. Le parole che sono
comparse con più frequenza sui quotidiani italiani nel 2015 sono
nell'ordine: migranti, terrorismo, guerra (in
maggioranza associata alle parole religione e Islam) [7]. Perché
questi organi di informazione trattano tanto di questi temi e poco o
niente dell'evasione fiscale, dell'inquinamento, dei morti sul lavoro,
delle disuguaglianze economiche?
Note: 1) StBA Ente federale di statistica, 2010; 2)
ISTAT 2016; 3) www.internazionale.it/opinione/gwynne-dyer/2017/08/23/paura-vittoria-terrorismo;
4) elaborazione su dati dello studio ESCAPE (Belen et al: ESCAPE, The
Lancet 2014); 5) Ministero delle Finanze (www.mef.gov.it/inevidenza/documenti/Relazione_evasione_fiscale_e_contributiva.pdf)
altri enti (Confindustria, Eurispes ecc.) danno stime maggiori fino a
270 miliardi l'anno; 6) Unipolis www.fondazioneunipolis.org;
7) http://sspina.blogspot.it/2016/01/le-parole-piu-usate-dai-giornali-nel.html;
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Il 78% degli Italiani pensa che la criminalità sia cresciuta
rispetto a cinque anni fa; 5 anni fa l’85% degli italiani riteneva che
la criminalità in Italia era cresciuta rispetto a cinque anni prima e 10
anni fa l'87% la riteneva nettamente aumentata rispetto a 5 anni prima e
12 anni fa l'80% la riteneva in aumento [1].
Quindi per gli italiani da 20 anni la criminalità è in continua e spesso
netta ascesa.
Negli anni è aumentata anche la percentuale di italiani che teme
di essere vittima di un reato (rapina, scippo, furto d'auto,
furto in casa, violenza sessuale) [1].
Queste percezioni corrispondono alla realtà o sono fantasmi senza
fondamento? Cosa ci dicono i dati?
Va innanzitutto detto che la criminalità si compone di vari
reati e che il numero di questi può essere stimato
sulla base delle denunce, delle condanne o di indagini campionarie
nelle quali si pongono alla popolazione domande tipo “Nell'ultimo anno
ha subito un furto (una rapina, una truffa ecc.)?”. Ovviamente alcuni
dati sono molto attendibili e altri poco o niente. Per esempio il
dato sul numero di omicidi è molto attendibile, perché è
difficile che un omicidio non venga registrato (per ogni persona che
muore la causa della morte deve essere certificata dal medico curante e
dal medico legale dell'ASL, che in caso anche di semplice sospetto di
morte violenta possono richiedere ulteriore parere medico-legale con
eventuale autopsia). Il numero delle denunce di violenza sessuale non
corrisponde per niente invece al numero dei reati, perché solo
una minoranza di donne denuncia lo stupro subito (l'8%) [2].
Anche scippi, furti e borseggi non sempre sono denunciati (spesso non
c'è' denuncia se non vengono rubati i documenti, se il valore rubato non
è alto, se non si vuole perdere tempo ecc.).
Dall'insieme dei dati disponibili si può dire che la
criminalità in Italia negli ultimi 20 anni è diminuita sempre di più
[3]:
- il tasso di omicidi medio tra il 1990 e il 1995 era
2,3 omicidi ogni 100.000 abitanti, negli
ultimi 5 anni il tasso medio è 0,8;
- i tentati omicidi, che erano il 3,7
ogni 100.000 abitanti, sono scesi a 1,8;
- sono diminuite anche le donne che dichiarano di avere subito
stupri/tentati stupri (nel 2007 erano il 9%, ora
sono il 6%) [4] e i sequestri di persona (4,7 ogni 100.000
persone, 30 volte meno che in Gran Bretagna);
- i furti d'auto diminuiscono sempre di più (nel 2004 erano
480 ogni 100.000 abitanti, oggi sono 380);
- le rapine in banca diminuiscono: da 5 ogni 100.000
abitanti del 2004 a 2;
- le rapine per strada negli ultimi 15 anni hanno avuto
un andamento altalenante, ma negli ultimi 3 anni sono
diminuite; anche gli scippi sembrano diminuire, pur
se di poco, negli ultimi 15 anni; globalmente sono
diminuite le denunce (rispetto a 10 anni fa 250.000 denunce in meno).
Forse sono aumentati i furti in appartamento (erano 280
denunce ogni 100.000 abitanti nel 2007 ora sono 290
denunce).
Insomma la criminalità è in diminuzione e oggi siamo più sicuri che
negli anni '90 e 2000. Perché allora ci sentiamo meno sicuri,
temiamo sempre più di essere vittime di furti e violenze e siamo
convinti che la criminalità è in continua ascesa?
Uno dei motivi è l'attenzione che i media, in particolare i programmi
televisivi, dedicano a questo argomento. Vari studi hanno evidenziato
che dal 1995 in poi è andata sempre più aumentando l'attenzione
dei media per gli episodi di criminalità, con picchi nel
2007, nel 2012 e negli ultimi due anni [5, 6, 1]. Nei TG
nazionali fra le prime 3 notizie ce n'è quasi sempre una di cronaca
nera, molto spesso la seconda [1]. Nel calderone
delle notizie “ansiogene” (economiche, ambientali,
criminalità, guerre, terrorismo, corruzione, sfiducia nella politica,
incidenti, peggioramento delle condizioni di vita, salute) quelle
relative alla criminalità sono attualmente il 45% del totale
(negli ultimi 10 anni sono state tra il 30 e il 60% del totale). Alcuni
telegiornali parlano quasi solo di criminalità: il 92% di tutti
i servizi (ansiogeni e non ansiogeni) di Studio Aperto ha come tema la
criminalità (in particolare omicidi, rapine, furti,
violenze), segue il TG5 con il 67% [1]. Gli studi di
sociologia e psicologia sociale hanno dimostrato che la nostra
rappresentazione della realtà è molto influenzata dagli organi di
informazione (specie da quelli televisivi, perché le immagini si
imprimono più facilmente nella mente e sollecitano di più la nostra
affettività) [6]. Ma c'è di più: sia nel 2007 che oggi il tema
della criminalità è spesso associato a quello degli stranieri
e specularmente il tema dell'immigrazione è spesso associato a
criminalità e terrorismo [1, 6]. Le parole che sono comparse
con più frequenza sui quotidiani italiani nel 2015 sono nell'ordine:
migranti, terrorismo, guerra (in maggioranza associata alle parole
religione e Islam) [7].
Se un immigrato compie un reato, la maggioranza dei giornali titola
“Immigrato (nigeriano, arabo, pakistano) aggredisce (stupra ecc.)”, se
lo stesso reato lo compie un italiano il titolo sarà “un uomo (un
giovane, un quarantaduenne ecc.) aggredisce ...”. Cosi' la
nostra mente associa a “straniero” e “immigrato” “terrorismo” e
“delinquenza” e se vediamo uno straniero per strada
il nostro cervello ci dice di stare in guardia, perché
potrebbe essere un possibile delinquente o terrorista. E poiché ormai
ogni giorno per strada, in metropolitana, sugli autobus, nelle stazioni,
nei parchi ci imbattiamo in persone straniere, ci sentiamo meno
sicuri.
Inoltre alcuni organi di informazione sparano alcuni dati male
interpretandoli (ad arte o per ignoranza).
Per esempio i dati sugli stupri. Dire che il 42% degli
stupri e dei tentati stupri è commesso da uno straniero, come hanno
fatto quasi tutti i giornali cartacei e online (compresi Repubblica e
Corriere), è un falso. Che il 42% delle denunce siano contro stanieri
non significa che il 42% degli stupri è commesso da uno straniero,
perché solo il 10% degli stupri/tentati stupri è denunciato e quindi
potrebbe essere che solo il 4% è commesso dagli stranieri (cioè il 42%
dell'10%) e il 96% da italiani. Poiché gli stupri che più frequentemente
non vengono denunciati sono quelli commessi da familiari (il 66% degli
stupri è commesso da un familiare), amici (il 10% degli stupri), datori
di lavoro, colleghi, amici dei genitori è ovvio che tra il 90% non
denunciato ci sia un'enorme prevalenza di italiani [4].
Un altro esempio sono i dati sulla popolazione carceraria.
E' mistificante dire che il 34% dei carcerati è straniero senza dire che
il 48% è in attesa di giudizio (per gli italiani è il 33%), che l'88%
dei carcerati stranieri sono irregolari, persone quindi a cui non si
possono applicare le misure alternative alla detenzione come avviene per
gli italiani e che spesso sono in carcere proprio perché sono
“irregolari” (per l'espulso che rimane in Italia o rientra è prevista la
detenzione da 1 a 4 anni). Se si considerano esclusivamente gli
stranieri regolari essi costituiscono solo il 4% dei carcerati mentre
in Italia sono il 9% della popolazione [8]
In conclusione gli organi di informazione danno un enorme risalto alla
criminalità, associando questo tema a quello degli immigrati e degli
stranieri e fornendo dati in maniera mistificante e scorretta: di
conseguenza la nostra mente è portata ad associare a “straniero”
“probabile delinquente” e, quindi, data la frequente presenza di
stranieri, ad una sensazione di rischio, di minaccia e di insicurezza,
per cui siamo convinti che la criminalità aumenta sempre più anche se
invece diminuisce sempre più.
Ma se i dati ci dicono che la criminalità è andata sempre più
diminuendo, mentre gli stranieri sono andati sempre più aumentando
(di circa 1 milione e mezzo negli ultimi 10 anni), non è proprio questa
la prova che gli immigrati non hanno a che vedere con la
criminalità e che nella stragrande maggioranza sono persone
perbene e oneste, che non rapinano, scippano, violentano, uccidono?
Note: 1) i dati sono tratti da i vari rapporti sulla sicurezza e
insicurezza sociale della Fondazione Unipolis www.fondazioneunipolis.org;
2) ISTAT 2017 www.istat.it/it/archivio/203838;
3) I dati sono tratti dai Rapporti sulla Criminalità del Ministero degli
Interni; 4) ISTAT https://www.istat.it/it/archivio/161716;
5) Maneri M: Il panico morale come dispositivo di trasformazione
dell’insicurezza, Rassegna Italiana di Sociologia, 1/2001; 6) Coluccia
A, Ferretti F, Lorenzi L, Buracch T: Media e percezione della sicurezza:
analisi e riflessioni, Criminologia 2/2008; 7) http://sspina.blogspot.it/2016/01/le-parole-piu-usate-dai-giornali-nel.html;
8) Ministero della Giustizia 2017 www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_14.wp
Sabato 21 ottobre si terrà a Roma la manifestazione
nazionale contro il razzismo e l'intolleranza, per la giustizia e
l’uguaglianza. La manifestazione è stata indetta da un cartello di
associazioni le più varie (ARCI, Associazione per la Pace,
Cittadinanzattiva, Amnesty International Italia, Libera, Gruppo Abele,
Legambiente, Greenpeace, Movimento Nonviolento, Medici senza Frontiere,
Antigone, Action Aid, Giuristi Democratici, FIOM, Cobas, Emergency,
Lunaria, Noi Siamo Chiesa, SOS Razzismo, Libertà e Giustizia, Rete della
Conoscenza, Rete degli Studenti Medi, Rete degli Operatori Sociali e
molte altre, tra cui la Marco Mascagna) unite dalla
volontà di fermare l’ondata di intolleranza e razzismo
che sta dilagando nel nostro Paese, testimoniare che c’è una
gran parte degli italiani che è per la fratellanza, la solidarietà,
la libertà, il rispetto delle minoranze, il dialogo e l’inclusione, chiedere
politiche che combattono le disuguaglianze, la povertà e
l'emarginazione e che favoriscano l'accoglienza e l'integrazione.
Sta avvenendo qualcosa di grave e di estremamente
pericoloso, sta avvenendo in maniera strisciante senza che molti se ne
rendano conto. Si moltiplicano ogni giorno di più su
giornali, televisioni, siti internet, social-network discorsi
francamente o, più spesso, subdolamente razzisti e intolleranti,
che spesso incitano alla discriminazione e perfino alla violenza. Si
enfatizzano alcune notizie e si passano sotto silenzio altre, creando
una percezione distorta della realtà. Si inventano dati, si
fabbricano bufale per spaventare le persone e
focalizzare le loro paure, i loro disagio, la loro disperazione verso
gli stranieri, i diversi, i più poveri. Si moltiplicano gli
atti di violenza e di discriminazione, atti che i mass media
“documentano” e che vari siti e social-network rilanciano plaudendo,
favorendo così le condizioni per altri atti di violenza e di
intolleranza. Si emanano provvedimenti discriminatori, crudeli,
che contraddicono i valori di fraternità, uguaglianza, libertà, che non
rispettano la Costituzione e le Carte e i Trattati che l’Italia ha
sottoscritto (la Carta dei Diritti dell’Uomo, dei Diritti dei Bambini,
il Trattato di Ginevra ecc.).
Si è creato così un pericoloso circolo vizioso tra
umori e opinioni di una gran parte dei cittadini, l’informazione e le
narrazioni dei mass media (stampa, televisioni, internet, social), la
propaganda di partiti e movimenti, i provvedimenti del Governo e degli
Enti Locali. Un circolo vizioso che alimenta l'intolleranza e la
discriminazione e che ci allontana sempre più dai valori che a
parole professiamo e dai principi della nostra Costituzione e
che può aprire scenari tragici e inquietanti.
Tale situazione è documentata da rapporti e studi di autorevoli
sociologi [1].
Alcuni esempi:
- le due donne rom chiuse nella gabbia dei rifiuti di
un supermercato e riprese dai loro aguzzini che ridono mentre
le poverette gridano disperate;
- il tunisino che il 10 maggio 2016 vicino Parma viene
insultato e poi pestato e seviziato a morte da sei uomini
(nei primi 5 mesi del 2017 sono state uccise 5 persone per “razzismo”);
- il venditore ambulante africano derubato da alcuni giovani
leccesi che lo picchiano selvaggiamente e tentano di affogarlo
senza che nessuno dei numerosi bagnanti interviene in suo aiuto (nei
primi 5 mesi del 2017 si registrano 10 episodi di violenza grave);
- il continuo accostamento tra immigrazione e terrorismo
anche se tutti gli studi e i rapporti negano questo nesso e anche se una
notevole parte degli stranieri che chiedono di essere accolti fuggono
dall'ISIS e da Boko-Haram;
- testate come Libero e Il Giornale, trasmissioni
come Dalla vostra parte e Quinta colonna, che ogni
giorno alimentano l'odio e l'intolleranza e spesso incitano anche alla
violenza (per es. “Reagire con violenza: se non lo fermiamo, l'Islam ci
sterminerà”, Libero 9/4/17);
- slogan come “Padroni a casa nostra”, anni fa usati
contro i meridionali e ora contro chiunque (anche italiano) è di altra
etnia o religione;
- bufale quali: “Uccide una persona e gli danno le
attenuanti perché rom” (in realtà le attenuanti sono
state date perché minorenne); “Al 60% delle bambine magrebine di seconda
e terza generazione viene negata la possibilità dalle proprie famiglie
di frequentare la scuola dell’obbligo” (i dati stimano un'evasione nella
fascia d'età 5-19 anni del 6% per le femmine e del 5,5% per i maschi,
non dissimile da quella degli italiani); “Quasi 2 milioni di clandestini
pronti a riversarsi sulle nostre coste” (in realtà nell'anno in cui è
stata lanciata questa bufala sono stati 40.000);
- l'invito di Libero a sospendere i salvataggi per persuadere i
migranti a non partire;
- l'ordinanza del sindaco di Ventimiglia (PD)
che vieta la distribuzione di cibo ai profughi che
attendevano di varcare il confine con la Francia e quella del
Sindaco di Pisa (PD) che chiude alcune fontanine
“perché ci andavano a prendere l’acqua gli zingari”;
- le delibere di vari comuni (solitamente di destra o
della Lega) che discriminano Rom (anche italiani) e stranieri
nell'assegnazione delle case popolari o di altri servizi
(delibere poi annullate perché illegittime);
- la legge della Lombardia contro la costruzione di luoghi di
culto non cristiani e quella veneta che dà priorità
nell’accesso agli asili nido comunali ai bambini figli di genitori che
vivono o lavorano in Veneto da almeno 15 anni (leggi poi annullate
perché anticostituzionali);
- il decreto legge del Governo che vieta di sdraiarsi su
marciapiedi, strade, stazioni ferroviarie e perfino sulle panchine
dei centri storici (una norma contro i senza fissa dimora);
- i finanziamenti per gli aiuti allo sviluppo utilizzati per
pattugliare i confini e impedire la fuga o l'ingresso di migranti
e, per di più, dati a regimi dittatoriali (es. Eritrea) o a Paesi dove
non si rispettano i diritti umani (es. Niger, Libia);
- i finanziamenti dati alla Libia (e probabilmente
anche ad organizzazioni di trafficanti) perché blocchino
profughi e migranti in quel Paese;
- le nuove norme sulle ong che prestano soccorso in mare e che
hanno portato al dimezzamento del numero di navi che svolgono questo
compito.
Negli ultimi 3 anni e mezzo 14.000 persone sono morte nel
Mediterraneo per cercare di raggiungere l'Europa; non
sappiamo quante sono morte nell'attraversare il Sahara o nei lager
della Libia o uccise dalle polizie dei vari Paesi,
dai trafficanti o da criminali.
Di fronte a questa situazione non possiamo stare in silenzio,
dobbiamo prendere posizione e dire no al razzismo e
all'intolleranza, alle disuguaglianze e alla povertà, dobbiamo
restare umani e prendere le parti del debole, del
perseguitato, del discriminato. Oggi lo possiamo fare senza rischiare
alcunché, domani potrebbe diventare rischioso come lo è stato nella
Germania di Hitler, nella Russia di Stalin o nell'Italia fascista.
Partecipiamo alla manifestazione di Roma del 21 ottobre.
La marcia inizierà alle 14.30 a Piazza della Repubblica e
terminerà a Piazza Vittorio.
Chi vuole marciare con la Marco Mascagna ci invii una mail entro
giovedì 19 ottobre.
Note: 1) si vedano “Lunaria: Rapporto sul razzismo in
Italia (www.lunaria.org/wp-content/uploads/2017/10/quarto_libro_bianco_razzismo_web.pdf)
oppure la relazione della Commissione parlamentare su fenomeni di odio,
intolleranza, xenofobia e razzismo (www.camera.it/leg17/1313)
o. “Faloppa F, Razzisti a parole, Laterza, 2011.
I dati citati con le rispettive fonti sono riportati nel Quarto Libro
Bianco sul Razzismo in Italia (www.lunaria.org/wp-content/uploads/2017/10/quarto_libro_bianco_razzismo_web.pdf).
I dati ci dicono che in Italia la povertà è andata aumentando negli
ultimi anni: sono aumentate le persone che non hanno un tetto
(si stima siano circa 60.000) [1], i poveri
(4.742.000) [2] e le persone a rischio di povertà
(circa 12 milioni)[3]. I ricchi sono diventati ancora più
ricchi e i benestanti hanno mantenuto i loro redditi: il 20%
più ricco ha un reddito 5,8 volte superiore a quello del 20% più
povero, il valore più alto dei dieci anni precedenti[3]; tra
il 1990 e il 2013 i salari del 35% più povero dei lavoratori
dipendenti hanno perso un terzo del loro valore, mentre
quelli del 10% meglio pagato sono rimasti pressoché stazionari [4].
L'indice di Gini relativo al reddito (l'indicatore che misura le
disuguaglianze di reddito) nel 1990 era 2,9, nel 2016 3,2 [2].
Le persone in cerca di lavoro sono 3 milioni e altri 2 milioni,
pur desiderando lavorare, hanno smesso di cercare un'occupazione
[2, 5].
Questa situazione viene accolta con rassegnazione, come
fosse un Fato a cui è impossibile sottrarsi. Per molti l'essere
disoccupati, poveri è una colpa: “non hanno voglia di lavorare”, “non si
industriano”, “sono schizzinosi”. Per altri “E' tutta colpa dei migranti
che rubano il lavoro a noi italiani”. Da qui ricette di nessuna
efficacia, ma facili e demagogiche: “meno assistenzialismo”,
“più competitività”, “formazione all'imprenditorialità”, “alternanza
scuola-lavoro” oppure “basta immigrati”, “rimandiamoli
a casa loro”, “prima gli italiani”. In realtà la povertà non è una
fatalità, né una colpa dei poveri o dei migranti.
Un libro pubblicato da poco – “Indicativo futuro: le cose da fare” -
raccoglie le proposte di vari economisti, che
partono da questi punti saldi: in Italia (ma non solo da noi)
l’ingiustizia fiscale, nonché l'evasione e l'elusione fiscale
sono evidenti, come lo sono gli sprechi e
le scelte sbagliate nella spesa pubblica. Inoltre è assolutamente
necessario che il processo economico avvenga rispettando i
limiti di compatibilità ecologica e avendo come obiettivo la piena
occupazione.
Ecco alcune delle proposte:
- aumentare le tasse sulle rendite finanziarie
(escludendo i titoli di Stato) portandole dall'odierno 20% al 23%,
allineandoci così alla media della UE;
- reintrodurre la tassazione della prima casa (ce lo
chiede anche la UE), con l’esenzione per valori catastali modesti e con
aliquote progressive; rendere maggiormente progressiva la tassazione
delle seconde e terze case. In tale maniera entrerebbero ogni anno circa
6 miliardi di euro;
- rivedere i provvedimenti sulle imposte di successione (varati
da Prodi e Berlusconi), prevedendo un’imposta a partire da eredità
superiori ai 200 mila euro, con aliquote progressive;
- reintrodurre la “carbon tax” (cancellata da
Berlusconi e prevista da vai trattati firmati dall'Italia);
- aumentare l'IVA su prodotti di lusso e ad alto
impatto ambientale;
- rendere più pesante la pressione fiscale sul gioco d’azzardo,
sul porto d’armi, sulla pubblicità;
- introdurre un'addizionale sui capitali esportati illegalmente
che negli anni scorsi sono rientrati in Italia grazie allo ‘scudo
fiscale’ concesso dal Governo Berlusconi;
- stabilire un accordo con la Svizzera che preveda un
risarcimento per l'imposizione fiscale mancata sui capitali
esportati clandestinamente (come già hanno fatto alcuni Paesi). Si stima
che in Svizzera sono depositati 150 miliardi di euro esportati
illegalmente da italiani;
Con tali manovre, quasi tutte di tipo strutturale, si avrebbero a
disposizione almeno 20 miliardi di euro.
Altre risorse possono essere reperite:
- con una seria lotta all'evasione e all'elusione,
basata su: estendere l'obbligo di pagare in modo tracciabile cioè
con assegno, carta da credito o bancomat (obbligo ridotto dal Governo
Renzi); provvedimenti che favoriscano l’emersione delle attività
“sommerse”; controlli incrociati tra dichiarazioni dei redditi e consumi
opulenti; reintrodurre il reato di falso in bilancio e
l’elenco clienti-fornitori (abrogati da Berlusconi);
- cancellando l'acquisto dei caccia F35 e riducendo la
spesa per la Difesa.
In questa maniera si avrebbero in tutto circa 30 miliardi,
di cui la gran parte non una tantum, con i quali si può:
- varare un programma di “piccole opere” e investimenti pubblici
(difesa dell'ambiente e del paesaggio, ricerca,
istruzione, sanità, servizi sociali, mobilità sostenibile, risparmio
energetico ed energie rinnovabili), per creare occupazione ma
anche benessere e sicurezza;
- estendere il reddito di inclusione a tutte le persone in
condizioni di povertà;
- ridurre le tasse sui redditi da lavoro dipendente (attraverso
maggiori detrazioni) per chi guadagna meno di 29 mila euro l’anno. I
16,8 milioni di contribuenti in questa categoria potrebbero ottenere un
aumento del reddito disponibile di circa 600 euro l’anno per
contribuente;
- ridurre le imposte sul lavoro;
- rendere la tassazione del reddito maggiormente progressiva.
Le aliquote potrebbero salire al 50% per i redditi sopra i 70 mila euro,
al 60% per quelli sopra i 150 mila euro e, come in Francia, al 75% oltre
il milione di euro. Contemporaneamente dovrebbe essere ridotta di due
punti percentuali l’imposizione fiscale sui redditi inferiori ai 23 mila
euro e andrebbe dimezzata la tassazione delle pensioni inferiori al
trattamento lordo di 1000 euro mensili.
Tali provvedimenti favorirebbero una ripresa economica
non effimera, aumenterebbero l'occupazione, ridurrebbero fortemente le
disuguaglianze (che sono un freno allo sviluppo economico) e darebbero
un significativo contributo a ridurre il debito pubblico.
Salvaguarderebbero inoltre l'ambiente e migliorerebbero la qualità della
vita.
Perché non si parla, discute, scrive di questo? Sarebbe
anche un modo concreto per contrastare i gruppi e i partiti di estrema
destra, xenofobi, razzisti e fascisti, che crescono soprattutto tra le
fasce più povere della popolazione additando il nemico nell'immigrato,
nel senza tetto, nella sinistra, nei ceti intellettuali.
Note: Caritas; 2) Istat 2017; 3) Istat 2016; 4) Raitano
M. L’andamento della diseguaglianza salariale in Italia, 2016; 5)
Fondazione Di Vittorio: La disoccupazione dopo la grande crisi, 2017.
In Italia ogni anno circa 12.000 ettari di suolo sono
“consumati” (cioè “asfaltati” o “cementificati”), un
estensione pari a 17.000 campi di calcio, di poco superiore
all'estensione dell'intera città di Napoli. Negli anni 2000 la
situazione era anche peggiore in termini assoluti (24.000 ettari
all'anno), ma non in termini relativi agli abitanti: il consumo
di suolo per abitante è passato da 339 mq/ab nel
2006 a 343 nel 2010 a 380 nel 2016.
Infatti, malgrado la popolazione italiana è in diminuzione, il
consumo di suolo aumenta. Lombardia, Veneto, Campania ed
Emilia sono ai primi posti.
Il consumo di suolo, più diffuso nelle pianure e nelle aree costiere,
non risparmia colline e montagne e nemmeno le aree protette o vicino ai
fiumi (in Liguria il 24% dei suoli situati a non più di 150
metri dai fiumi è cementificata, in
Campania l'11%). Il 12% del consumo di suolo avvenuto nel 2016
ha riguardato aree segnalate a rischio di frana.
La costruzione di strade, capannoni, case unifamiliari, centri
commerciali sono le principali cause del consumo di suolo negli ultimi
anni. Se si guarda l'Italia dall'alto si vede che gran parte del nostro
territorio è disseminato da una miriade di costruzioni piccole
e grandi e da una fittissima rete di strade che connette
queste costruzioni. Ormai non c'è più una separazione tra città e
campagna, la città infiltra la campagna circostante e le innumerevoli
costruzioni e strade frantumano la campagna in tanti piccoli
appezzamenti. Questa situazione ha pesantissime ricadute
ambientali, sociali ed economiche.
Ambientali
Questa enorme impermeabilizzazione del suolo fa si che l'acqua
non viene più moderata e trattenuta e subito gonfia i canali, i fiumi
e le fogne. Basta una pioggia un poco più abbondante che
l'intero territorio va in tilt: allagamenti, esondazioni,
scoppio di fogne e di corsi d'acqua interrati, alluvioni. In
collina e in montagna il consumo di suolo anche in zone a rischio
determina frane, smottamenti, fiumi di fango. La
presenza dispersa di una miriade di case fa esplodere il pendolarismo
automobilistico, mentre centri commerciali, grandi negozi,
megacinema e luoghi del divertimento fuori città determina grandi flussi
veicolari in determinati giorni e orari, con conseguente aumento traffico,
emissioni inquinanti, rumore. La commistione di campagna,
residenze, strade e piccole attività industriali mette in pericolo
l'integrità chimica dei suoli agricoli e delle falde. L'avere
spezzettato le aree verdi in una miriade di microaree separate da strade
e costruzioni rende difficile se non impossibile la vita a
molte specie selvatiche.
Distruggendo il verde si riduce la captazione di CO2, di polveri
fine e di ozono e diminuiscono gli insetti utili
all'agricoltura (impollinatori ecc.). Ma oltre a tutto ciò è il
paesaggio italiano che viene sfregiato e, in molti
casi distrutto. Un bene, questo, molto difficilmente
riproducibile e ripristinabile, perché venutosi a creare nell'arco dei
secoli come frutto dell'interazione tra la natura e l'uomo.
Sociali
La dispersione delle abitazioni sul territorio rende difficile
l'offerta e la fruizione dei servizi d'istruzione, cultura, assistenza
sanitaria e sociale.
Aumenta in maniera vertiginosa il tempo occupato per gli
spostamenti.
Ovviamente tali problemi si moltiplicano enormemente per i disabili, gli
anziani, i bambini, i soggetti di basso reddito.
Economici
E' stato calcolato che gli effetti del consumo di suolo su ridotta
captazione di CO2, polveri e ozono, riduzione della produzione agricola
e forestale, protezione dall'erosione e infiltrazione dell'acqua
determina un costo di circa 800 milioni all'anno. Se
si considerano anche gli altri danni ambientali e sociali, il danno al
paesaggio e al turismo, i morti i feriti e gli sfollati si può stimare
un danno economico di diversi miliardi all'anno (purtroppo
nessun ente ha cercato di stimare il danno globale del consumo di
suolo). Periodicamente assistiamo ad alluvioni e frane e continuamente
respiriamo aria inquinata (anche se cittadini e giornali si ricordano di
questo problema solo quando gli alti livelli di inquinamento costringono
a vietare l'uso di auto e moto). Ogni anno in Italia 40.000
persone muoiono per malattie causate dall'inquinamento atmosferico.
Fra il 2009 e il 2013 per frane e inondazioni sono morti in Italia 169
morti, 331 feriti e oltre 45.000 persone evacuate e senza tetto.
Il consumo di suolo è tra le principali cause di queste vittime.
Eppure di tutto ciò si parla pochissimo. Si parla tantissimo e ci si
preoccupa del pericolo terrorismo (che a tutt'oggi non ha causato
nemmeno un morto o un ferito in Italia), dell'inesistente invasione di
immigrati (il numero di immigrati regolari e irregolari riesce a stento
a compensare il calo demografico italiano), di una presunta epidemia di
meningite (smentita dai dati epidemiologici e dall'OMS) e di altri
problemi fasulli o di minimo impatto, ma non si parla e non ci
si preoccupa di questo enorme e grave problema e di altri gravi
problemi che attanagliano l'Italia e l'Europa (per esempio il
crescere delle disuguaglianze, la finanziarizzazione dell'economia, la
lotta ai cambiamenti climatici, la necessità di rendere il sistema dei
trasporti sostenibile ed efficiente, la ripresa della corsa agli
armamenti).
Nel 2011 un cartello di associazioni aveva lanciato una grande
campagna per una rapida approvazione di una legge contro il consumo di
suolo. Dopo le elezioni del 2013 sia il Movimento 5stelle che
Bersani avevano posto questo tema tra gli obiettivi prioritari di un
proprio Governo. I Governi incarica tra il 2013 e oggi (Letta, Renzi,
Gentiloni) non hanno certamente messo lo stop al consumo di suolo tra le
priorità. E infatti a tutt'oggi nessuna legge in proposito è
stata approvata. Sono stati, invece, approvati (è spesso per
decreto e con voto di fiducia) leggi che andavano in tutt'altra
direzione (ad esempio lo Sblocca Italia). Purtroppo gran parte
della popolazione si preoccupa moltissimo di cose poco o
nulla preoccupanti e non riesce a vedere il nesso tra le leggi
fatte (es. Sblocca Italia) e non fatte (es. legge contro il consumo di
suolo) e i reali problemi che vive (il traffico,
l'inquinamento, gli allagamenti, le frane). Colpa di politici,
giornalisti e opinion leader di bassissima qualità, ma anche della
pigrizia e dell'ignavia di tanti cittadini, che non si informano su
fonti serie, non approfondiscono la conoscenza dei problemi della nostra
società e non partecipano alla cosa pubblica.
Fonte: Ministero dell'Ambiente-ISPRA 2017
I provvedimenti del Governo per arrestare gli sbarchi dei migranti sono
risultati molto efficaci: nell’agosto2016 vi sono stati circa 21.000
sbarchi, nell’agosto 2017 3.000 [1]. Il ministro Minniti ha rivendicato
con orgoglio questo successo (“Gli sbarchi si sono ridotti dell’80%”).
Sarebbe veramente un grande successo se 18.000 persone non fossero state
più costrette a lasciare il loro Paese, i loro familiari e gli amici per
intraprendere un viaggio pericoloso, lungo, difficile, spesso mortale
(nel solo 2016 sono morti in mare 5.022 migranti [1]) verso Paesi che
hanno cultura e tradizioni diverse dalla loro, dove generalmente non
sono ben visti e spesso nemmeno ben trattati, dove la loro lingua non è
conosciuta da nessuno. I provvedimenti del Governo – essenzialmente la
stretta sulle ong che effettuano i salvataggi in mare e gli aiuti alla
Libia perché intercetti questi sventurati e li chiuda in “campi”, dove,
secondo l’agenzia ONU sui rifugiati, “le condizioni di vita sono
terrificanti” - hanno solo impedito ai migranti di raggiungere le nostre
coste. E’ come se si dimezzasse il numero delle ambulanze e si impedisse
alle auto di arrivare al pronto soccorso e poi orgogliosi e felici si
affermasse: “Abbiamo ridotto dell’80% i ricoveri in ospedale”.
Qualcuno potrebbe dire “Ma perché l’Italia deve essere il loro
ospedale?”. Perché?
Perché sarebbe disumano non soccorrere chi è in pericolo, chiede aiuto,
ha bisogno di noi (per avere un’idea delle condizioni dei migranti vedi
il video “Un pugno al cuore” www.youtube.com/watch?v=pOZvhzfhFfE).
Perché anche noi italiani ci siamo trovati nelle medesime loro
situazioni e siamo emigrati per ragioni economiche o politiche (24
milioni di italiani tra il 1876 e il 1976), anche noi domani potremmo
trovarci nella loro situazione e anche oggi migliaia di italiani
emigrano in altri Paesi per ragioni economiche (83.000 persone nel 2013)
(su quando anche noi eravamo migranti vedi il video “Anche noi”, www.youtube.com/watch?v=dochQxEMRZA&t=5s).
Perché ci obbliga la nostra Costituzione(art. 2 “La Repubblica
riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo e richiede
l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica
e sociale”; art. 10 “Lo straniero al quale sia impedito nel suo Paese
l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla
Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della
Repubblica”).
Perché ci siamo impegnati a farlo firmando il Trattato di Ginevra (vedi
art 33).
Perché la popolazione italiana ogni anno si riduce di circa 130.000
persone e invecchia sempre di più e quindi abbiamo estremo e urgente
bisogno di immigrati (vedi gli studi dell’ONU, dell’ISTAT, dell’INPS
tutti concordi in proposito [2]).
Perché vi sono lavori come assistere anziani e malati, pascolare pecore,
raccogliere pomodori e zucchini, che gli italiani non vogliono fare e
che gli immigrati sono disponibili a fare e lo fanno anche bene.
Perché accogliere oggi rifugiati e richiedenti asilo ci potrà essere
molto utile domani quando queste persone ritorneranno nei loro Paesi e
rimarranno legami di amicizia e di riconoscenza.
Purtroppo sugli immigrati e sui rifugiati si raccontano un mare di
fandonie e di calunnie e si nascondono i dati per inquadrare realmente e
razionalmente la questione, si cerca di impaurire la gente (terrorizzare
le persone è il modo più facile con cui i demagoghi di turno riescono a
guadagnare consensi e deleghe in bianco) e di suscitare il peggio che
alberga nell’animo umano (il razzismo, l’intolleranza, la
prevaricazione, la violenza).
Per fortuna ci sono tanti che non si fanno abbindolare, che continuano a
ragionare e a “restare umani”.
“Il dovere di restare umani” è appunto il titolo di un bell’articolo di
Enzo Bianchi pubblicato su Repubblica e riportato in questo messaggio.
Sarebbe sicuramente piaciuto molto a Marco Mascagna, che come Enzo
Bianchi era un cristiano autentico, una persona animata da una forte
eticità, uno abituato ad argomentare su dati di fatto e con ragionamenti
stringenti.
La Marco Mascagna, insieme ad altre associazioni italiane, ha promosso
un appello per salvaguardare le vite e i diritti dei migranti(“Io
preferirei di no” www.progressi.org/iopreferireidino),
perché crediamo che è un dovere etico e politico prendere posizione
pubblica e dire “Non in mio nome”. Ti invitiamo a firmarlo, a
diffonderlo e a condividerlo sulla pagina facebook e attraverso i
contatti email.
L’8 settembre sono 26 anni che Marco non è più con noi, ma nelle parole
di Enzo Bianchi ci sembra di risentire la sua voce e siamo sicuri che
promuovendo questo appello abbiamo fatto quello che lui avrebbe fatto se
fosse ancora tra noi.
1) Ministero degli Interni; 2) ONU Department of Economic and Social Affairs Population Division,Word Population Ageing 1950-2050,www.un.org; ISTAT, Il futuro demografico del Paese: www.istat.it/it/archivio/48875; INPS Centro Studi e Ricerche 2017
L’invito del presidente della CEI, cardinal Bassetti, ad affrontare il
fenomeno dei migranti “nel rispetto della legge” e senza fornire
pretesti agli scafisti è un richiamo all’assunzione di responsabilità
etica ad ampio raggio nella temperie che Italia e Europa stanno
attraversando. Un richiamo quanto mai opportuno perché ormai si sta
profilando una “emergenza umanitaria” che non è data dalle migrazioni in
quanto tali, bensì dalle modalità culturali ed etiche, prima ancora che
operative con cui le si affrontano. Non è infatti “emergenza” il
fenomeno dei migranti – richiedenti asilo o economici – che in questa
forma risale ormai alla fine del secolo scorso e i cui numeri sia
assoluti che percentuali sarebbero agevolmente gestibili da politiche
degne di questo nome. E l’aggettivo “umanitario” non riguarda solo le
condizioni subumane in cui vivono milioni di persone nei campi profughi
del Medioriente o nei paesi stremati da conflitti foraggiati dai
mercanti d’armi o da carestie ricorrenti, naturali o indotte.
L’emergenza riguarda la nostra umanità: è il nostro restare umani che è
in emergenza di fronte all’imbarbarimento dei costumi, dei discorsi, dei
pensieri, delle azioni che sviliscono e sbeffeggiano quelli che un tempo
erano considerati i valori e i principi della casa comune europea e
della “millenaria civiltà cristiana”, così connaturale al nostro paese.
È un impoverimento del nostro essere umani che si è via via accentuato
da quando ci si è preoccupati più del controllo e della difesa delle
frontiere esterne dell’Europa che non dei sentimenti che battono nel
cuore del nostro continente e dei principi che ne determinano leggi e
comportamenti. È un imbarbarimento che si è aggravato quando abbiamo
siglato un accordo per delegare il lavoro sporco di fermare e respingere
migliaia di profughi dal Medioriente a un paese che manifestamente vìola
fondamenti etici, giuridici e culturali imprescindibili per la nostra
“casa comune”.
Ora noi, già “popolo di … navigatori e trasmigratori”, ci stiamo
rapidamente adeguando a un pensiero unico che confligge persino con la
millenaria legge del mare iscritta nella coscienza umana, e arriva a
configurare una sorta di “reato umanitario” o “di altruismo” in base al
quale diviene naturale minare sistematicamente e indistintamente la
credibilità delle ONG e perseguirne l’operato, affidare a un’inesistente
autorità statale libica la gestione di ipotetici centri di raccolta dei
migranti che tutti gli organismi umanitari internazionali definiscono
luoghi di torture, vessazioni, violenze e abusi di ogni tipo,
riconsegnare a una delle guardie costiere libiche quelle persone che
erano state imbarcate da trafficanti di esseri umani con la sospetta
connivenza di chi ora li riporta alla casella-prigione di partenza.
Ora questa criticità emergenziale di un’umanità mortificata ha come
effetto disastroso il rendere ancor più ardua la gestione del fenomeno
migratorio attraverso i parametri dell’accoglienza, dell’integrazione e
della solidarietà che dovrebbero costituire lo zoccolo duro della
civiltà europea e che non sono certo di facile attuazione. Come,
infatti, in questo clima di caccia al “buonista” pianificare politiche
che consentano non solo la gestione degli arrivi delle persone in fuga
dalla guerra o dalla fame, ma soprattutto la trasformazione strutturale
di questa congiuntura in opportunità di crescita e di miglioramento
delle condizioni di vita per l’intero sistema paese, a cominciare dalle
fasce di popolazione residente più povere? E, di conseguenza, come
evitare invece che i migranti abbandonati “senza regolare permesso”
alimentino il mercato del lavoro nero, degli abusi sui minori e della
prostituzione?
L’esperienza di tante realtà che conosco e della mia stessa comunità,
che da due anni dà accoglienza ad alcuni richiedenti asilo, mostra
quanto sia difficile oggi, superata la fase di prima accoglienza e di
apprendimento della lingua e dei diritti e doveri che ci accomunano,
progettare e realizzare una feconda e sostenibile convivenza civile, un
proficuo scambio delle risorse umane, morali e culturali di cui ogni
essere umano è portatore. Non può bastare, infatti, il già
difficilissimo inserimento dei immigrati accolti nel mondo del lavoro e
una loro dignitosa sistemazione abitativa: occorrerebbe ripensare
organicamente il tessuto sociale di città e campagne, la
rivitalizzazione di aree depresse del nostro paese, la protezione
dell’ambiente e del territorio, la salvaguardia dei diritti di
cittadinanza. Questo potrebbe far sì che l’accoglienza sia realizzata
non solo con generosità ma anche con intelligenza e l’integrazione
avvenire senza generare squilibri.
Sragionare per slogan, fomentare anziché capire e governare le paure
delle componenti più deboli ed esposte della società, criminalizzare
indistintamente tutti gli operatori umanitari, ergere a nemico ogni
straniero o chiunque pensi diversamente non è difesa dei valori della
nostra civiltà, al contrario è la via più sicura per piombare nel
baratro della barbarie, per infliggere alla nostra umanità danni
irreversibili, per condannare il nostro paese e l’Europa a un collasso
etico dal quale sarà assai difficile risollevarsi.
Anche in certi spazi cristiani, la paura dominante assottiglia le voci –
tra le quali continua a spiccare per vigore quella di papa Francesco –
che affrontano a viso aperto il forte vento contrario, contrastano la
“dimensione del disumano che è entrata nel nostro orizzonte” e si levano
a difesa dell’umanità. Purtroppo, stando “in mezzo alla gente”,
ascoltandola e vedendo come si comporta, viene da dire che stiamo
diventando più cattivi e la stessa politica, che dovrebbe innanzitutto
far crescere una “società buona”, non solo è latitante ma sembra tentata
da percorsi che assecondano la barbarie. Eppure è in gioco non solo la
sopravvivenza e la dignità di milioni di persone, ma anche il bene più
prezioso che ciascuno di noi e la nostra convivenza possiede: l’essere
responsabili e perciò custodi del proprio fratello, della propria
sorella in umanità.
E’ possibile combattere la miseria senza combattere i meccanismi che
la producono? La risposta non può che essere no. Eppure così avviene se
non si affronta il debito pubblico.
Va detto che il debito pubblico non sempre è una scelta negativa. Nei
momenti di sottoccupazione il debito può essere un'ottima scelta se è
finalizzato alla piena occupazione e se la moneta è gestita direttamente
ed esclusivamente dallo Stato. In tale contesto la spesa in deficit crea
ricchezza, perché stimola l’economia con effetti positivi su produzione,
occupazione, consumi e risparmi e l’ammanco è finanziato con moneta
stampata che entra nel circuito economico sostenendo tali effetti.
Il debito è cattivo non solo quando serve per
spese improduttive e che non creano occupazione, ma
soprattutto quando lo Stato non ha totale sovranità monetaria.
In tal caso, ogni volta che decide di spendere più di quanto incassa,
deve chiedere un prestito al sistema finanziario privato. Che lo darà
solo in cambio di un tasso di interesse. Così il popolo si impoverisce a
vantaggio dei soggetti della finanziaria che di mestiere prestano e, da
molti decenni, creano denaro [1].
Purtroppo da una trentina di anni lo Stato italiano si è ridotto al pari
di una qualsiasi famiglia che dipende dalle banche per qualsiasi spesa
supplementare. Il suo debito nei confronti dei privati oggi ha
raggiunto 2.270 miliardi di euro [2]. Nel 2016 la
spesa per interessi sul debito è stata di 68 miliardi di
euro, nel 2012 addirittura 87 miliardi per un semplice capriccio della
speculazione. Soldi di tutti, che invece di andare a finanziare scuole,
trasporti pubblici, sanità, ricerca, tutela dell'ambiente vanno ad
ingrassare gli azionisti delle grandi strutture finanziarie. In effetti
solo il 5,4% del debito pubblico italiano è detenuto dalle
famiglie. Tutto il resto è nelle mani di banche,
assicurazioni, fondi d’investimento. Più precisamente le
strutture finanziarie italiane detengono il 63,1% del debito pubblico
italiano, quelle estere il 31,5%. [3]
Si può senz’altro affermare che il debito cattivo è
un meccanismo di redistribuzione alla rovescia: prende a tutti
per dare ai più ricchi. E i risultati si vedono: l’Italia è
sempre più disuguale.
Da un punto di vista patrimoniale, ossia della ricchezza posseduta sotto
forma di case, terreni, auto, titoli ecc., le famiglie italiane possono
essere divise in tre fasce. Quelle di cima, pari al 10%,
detengono il 46% dell’intera ricchezza privata. Quelle di
mezzo, equivalenti al 40% che controllano il 44% della ricchezza. Quelle
di fondo, che pur rappresentando il 50% delle famiglie, si
aggiudicano appena il 9,4% della ricchezza privata. [4]
I 10 individui più ricchi d'Italia dispongono
di un patrimonio di circa 75 miliardi di euro, pari a quello di quasi
500.000 famiglie operaie messe insieme. Poco meno di 2.000
italiani dispongono di un patrimonio complessivo superiore a 169
miliardi di euro e non è conteggiato il valore degli immobili. In altre
parole lo 0,003% degli italiani possiede una ricchezza pari a quella
detenuta dal 4,5%. [5]
Il sottoprodotto dell’ingiustizia è la miseria, che il debito
aggrava tramite l’austerità, scelta classica di uno Stato
asservito alla finanza: per pagare gli interessi si cerca di
raggranellare il dovuto aumentando le entrate e riducendo le spese. Ma
se lo Stato aumenta le entrate prelevando soldi da poveri e
ceto medio, invece che da ricchi e benestanti e riduce
le spese tagliando i servizi o rendendoli a pagamento invece
di eliminare sprechi e privilegi, le conseguenze per molte
famiglie sono drammatiche. E i dati, infatti, ci dicono che i poveri e
la povertà sono aumentati. Le persone in grave stato di
deprivazione sono 7 milioni, 11,6% della popolazione; quelle
a rischio povertà sono 17 milioni e mezzo, il 28,7% della
popolazione italiana, il 3% in più del 2004. [6]
Il rischio è che il sistema possa impoverirsi a tal
punto da entrare in una spirale di crisi che
trascina tutti verso il fondo. Se aumentano i poveri e le
persone a rischio di povertà la domanda di merci e servizi si contrae,
le imprese vanno in crisi e licenziano in una spirale sempre più ampia.
In questa situazione i ricchi non sono così stupidi da avviare nuove
attività produttive quando non ci sono prospettive di vendita. L’unica
strada che imboccano è quella della finanza, che si espande
sempre più.
Negli ultimi 10 anni in Italia la domanda complessiva si è ridotta ai
minimi storici facendo salire la disoccupazione alle stelle. Nel
2016 i disoccupati erano 3 milioni pari all’11,7% della forza
lavoro. Ma il dato si riferisce solo a chi cerca attivamente lavoro. Se
si includesse nel conteggio anche quelli che un lavoro salariato lo
vorrebbero, ma non lo cercano perché scoraggiati, il numero dei
disoccupati salirebbe a 5,5 milioni, il 21,6% della forza lavoro.[7]
Purtroppo anche la pubblica amministrazione contribuisce al problema:
fra il 2013 e il 2016 ha perso 84mila unità.[8]
Da oltre trent’anni, ogni governo dichiara di porsi come priorità
l’abbattimento del debito, ma se ne va lasciando un debito ancora più
alto. E non perché viviamo al di sopra delle nostre possibilità, come
qualcuno vorrebbe farci credere, ma perché non ce la facciamo a tenere
la corsa con gli interessi. L’esame dei bilanci pubblici dimostra che siamo
dei risparmiatori, non degli scialacquatori. Ad esempio nel
2016 abbiamo risparmiato 25 miliardi di euro (a tanto ammonta
la differenza fra ciò che abbiamo versato allo Stato e ciò che abbiamo
ricevuto indietro sotto forma di servizi, investimenti, previdenza
sociale ecc.). Ciò nonostante nel 2016 il debito pubblico è
cresciuto di altri 40 miliardi perché il risparmio accumulato
non è stato sufficiente a coprire tutta la spesa per interessi. Questa
storia si ripete dal 1992 e ciò spiega perché da allora il
nostro debito è passato da 850 a 2.270 miliardi di euro, nonostante
768 miliardi di risparmi.[9]
Il debito che si autoalimenta
attraverso gli interessi è una delle forme più odiose di sottomissione e
strangolamento di un popolo: è usura. Ma ora è
arrivato il tempo di alzarci in piedi e rivendicare il diritto
di sottrarci a questo meccanismo perverso. Gli strumenti per
farlo ci sono: vanno dal congelamento del pagamento degli interessi al
ripudio del debito illegittimo; dall’imposizione di un prestito forzoso
a carico dei cittadini più ricchi ad una tassazione progressiva di
reddito e patrimonio; dall’introduzione di una moneta complementare
nazionale alla riforma della Banca Centrale Europea, dal controllo della
fuga di capitali alla regolamentazione della speculazione sui titoli del
debito pubblico ecc. Il problema non sono gli strumenti, ma la
volontà di contrastare i poteri forti.
L’unica forza che può essere messa sull'altro piatto della
bilancia e indurre al cambiamento è la pressione popolare. Ma
i cittadini si attivano se si rendono conto dei danni provocati dal
debito. Di qui il ruolo cruciale dell’informazione. Dovremmo organizzare
una grande campagna di informazione finalizzata a tre obiettivi: creare
consapevolezza nei cittadini sui nessi esistenti fra debito pubblico e
disagio sociale; obbligare i media ad accendere i riflettori sulle
conseguenze sociali del debito, suscitare un grande dibattito pubblico
sulle soluzioni alternative al solo pagare.
La storia ci insegna che i cambiamenti sono possibili, ma solo se si
infervorano gli animi. E gli animi si infervorano se scatta
l’indignazione che deriva dalla consapevolezza: l'informazione
è la principale arma dei nostri giorni.
Note: 1) L. Gallino: Il denaro, il debito e la doppia crisi, Einaudi, 2015; 2) Banca d’Italia, Finanza pubblica: fabbisogno e debito, 14 aprile 2017; 3) Banca d’Italia, Finanza pubblica: fabbisogno e debito, 14 aprile 2017; 4) Banca d’Italia, La ricchezza delle famiglie italiane, Bollettino n.65 del 13 dicembre 2012; 5) Censis, Crescono le diseguaglianze sociali: il vero male che corrode l'Italia, 3 maggio 2014; 6) Istat, Condizioni di vita e reddito, 6 dicembre 2016; 7 Istat, Rapporto annuale 2017; 8) Marco Rogari, Nel 2017 «effetto spending» da 30 miliard, Il sole 24 ore, 20 giugno 2017; 9 Elaborazione dati Centro Nuovo Modello di Sviluppo su serie storiche Istat e Corte dei Conti
Tra qualche giorno saranno 50 anni che don Lorenzo Milani è morto. Per
Marco e per noi della Marco Mascagna è stato un maestro e lo vogliamo
ricordare riportando alcune sue frasi.
Segnaliamo anche che il prossimo numero de “Il Tetto” (www.edizioniesi.it/iltetto)
sarà tutto dedicato al priore di Barbiana con articoli
di Serena Marini, Fabrizio Valletti, Francesca Avitabile, Annamaria
Palmieri, Giacomo Losito, Eddi Stifano, Ugomaria Olivieri, Eraldo
Affinati, Ugo Leone, Mario Rovinello, Giuseppe Avallone, Pio Russo
Krauss.
Per chi vuole leggere o approfondire la sua conoscenza del pensiero e
della vita di don Milani consigliamo i seguenti testi di
don Milani: L'obedienza non è più una virtù, Esperienze pastorali,
Lettera ad una professoressa, Lettere di don Lorenzo Milani priore di
Barbiana, Tutte le opere. E i seguenti libri su don Milani: N. Fallaci:
Dalla parte dell'ultimo; A Corradi: Non so se don Lorenzo; M Lancisi: Il
segreto di don Milani.
Io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in
diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro.
Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri. E se voi avete il
diritto di insegnare che italiani e stranieri possono lecitamente, anzi
eroicamente, squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto di dire
che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi. E almeno nella
scelta dei mezzi sono migliore di voi: le armi che voi approvate sono
orribili macchine per uccidere, mutilare, distruggere, far orfani e
vedove. Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruenti: lo
sciopero e il voto.
La leva ufficiale per cambiare le leggi è il voto. La Costituzione gli
affianca anche lo sciopero. Ma la leva di queste due leve del
potere è influire con la parola e con l’esempio sugli altri votanti e
scioperanti. E quando è l’ora non c’è scuola più grande che
pagare di persona un’obiezione di coscienza. Cioè violare la legge di
cui si ha coscienza che è cattiva e accettare la pena che essa prevede.
Su una parete della nostra scuola c’è scritto grande “I care”. E’ il
motto intraducibile dei giovani americani migliori. “Me ne
importa, mi sta a cuore”. E’ il contrario del motto fascista
“Me ne frego.
Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani,
per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle
tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli
uomini né davanti a Dio; che bisogna che si sentano ognuno l’unico
responsabile di tutto.
Se la vita è un dono di Dio non va buttata via, e
buttarla via è peccato. Se un’azione è inutile, è un buttar via un bel
dono di Dio. E’ un peccato gravissimo, io lo chiamo bestemmia del tempo.
E mi pare un cosa orribile perché il tempo è poco, quando è passato non
torna.
Chi non sa amare il povero nei suoi errori non lo ama.
Voler bene al povero, proporsi di metterlo al posto che
gli spetta, significa non solo crescergli i salari, ma
soprattutto crescergli il senso della propria superiorità,
mettergli in cuore l’orrore di tutto ciò che è borghese, fargli capire
che soltanto facendo tutto al contrario dei borghesi potrà passar loro
innanzi e eliminarli dalla scena politica e sociale.
La saggezza umana di rimandare la giustizia a più tardi colla scusa che
oggi è imprudenza, è ben più profondamente atea che lo sbuzzar preti e
profanar chiese.
Il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme
è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia.
Conoscere i ragazzi dei poveri e amare la politica è tutt’uno. Non si può amare creature segnate da leggi ingiuste e non volere leggi migliori.
Non c’è nulla che sia ingiusto quanto far parti uguali fra
disuguali.
Se si perde loro (gli ultimi) la scuola non è più scuola.
E’ un ospedale che cura i sani e respinge i malati.
Voi sostenete che Dio fa nascere i cretini e gli svogliati nelle case
dei poveri, ma Dio non fa questi dispetti ai poveri, è più facile che i
dispettosi siate voi.
Ogni parola che non impari oggi è un calcio nel culo domani.
A Firenze il giornale indipenente è La Nazione. E' stato comprato recentemente dagli Zuccheri. Ora non è da credersi che gli Zuccheri (che lesianno l'aumento di una lira agli operai o la riduzione di una lira ai consumatori con la scusa che non ci rientrano) vogliomo poi spendere 4 miliardi per comprare una testata di un giornale (passivo) senza un preciso scopo. Questo scopo è la lotta di classe. (…) La gran maggioranza dei parroci che han poderi sono iscritti alla Confederazione Generale dell'Agricoltura. Eppure è un'associazione di parte, anzi di classe, anzi positivamente intesa per la lotta di classe. Come si spiega che a un sacerdote sia mancato quel minimo di sensibilità morale e sociale che occorre per tenersi non dico in guerra con la Confida, ma almeno in una posizione di equidistanza o di rigetto di ogni guerra di classe, di destra o di sinistra che sia? E' semplice: ha letto la Nazione. Son passati gli anni e s'è trovato così, per mitridatizzazione, senza mai averlo positivamente voluto, sulla sponda opposta da quella del povero.
La guerra, il terrorismo, i regimi autoritari, l'esodo di migliaia e
migliaia di persone non per tutti sono tragedie. Per l'industria bellica
sono una vera fortuna, delle galline dalle uova d'oro. Lo dimostrano i
dati.
Negli ultimi anni il mondo si è fatto più bellicoso: in
Siria, Yemen, Libia, Somalia, Sudan, Sud Sudan c'è la guerra. In
Mozambico, Mali, Nigeria, Repubblica Centrafricana, Repubblica
Democratica del Congo, Egitto, Striscia di Gaza, Iraq, Afghanistan,
Birmania-Myanmar, Filippine, Pakistan, Cecenia, Ucraina,
Nagorno-Karabakh, Colombia, Messico, ci sono situazioni di conflitto
armato in atto o silenti [1]. Queste guerre e questi conflitti oltre a morti
e distruzioni determinano flussi di profughi e
richiedenti asilo verso Paesi sicuri. Un'immane
tragedia. Ma per l'industria bellica no.
Ecco i dati dell'esportazioni di armi italiane (in
euro/anno), secondo l'ultima relazione al Parlamento (aprile 2017)[2]:
anni 2000: 2 miliardi (media/annua)
2013: 2,5 miliardi
2015: 7,8 miliardi
2016: 14,6 miliardi.
Tra il 2013 e il 2014 Finmeccanica è stata al 9°
posto nella classifica mondiale delle aziende fornitrici di materiali
bellico (le prime 7 aziende sono USA, l'ottava è di un
consorzio tra vari Paesi europei),
Tra i Paesi a cui abbiamo venduto più armi
c’è, oltre Regno Unito, Francia, Germania, troviamo
Kuwait, Arabia Saudita, Qatar, Turchia.
Il caso più grave è sicuramente quello dell’Arabia Saudita:
un Paese che, oltre a non rispettare i diritti umani, sta conducendo una
guerra con lo Yemen da circa due anni, che ha già
causato oltre 10 mila morti e 40 mila feriti, e, per
la quale, è stata a più riprese condannata dalle Nazioni Unite. Kuwait,
Quatar e Turchia sono Paesi che se ne infischiano
dei diritti umani. Il Quatar è anche coinvolto nel conflitto
in Yemen.
Eppure la UE ha varato una risoluzione che prevede il
divieto di vendere armi ai Paesi coinvolti nel conflitto nello
Yemen. In questo caso l'imperativo “Ce lo chiede l'Europa”
non è valido. E nemmeno la legge 185/1990, che vieta
l’esportazione e il transito dei materiali d’armamento verso Paesi in
stato di conflitto armato, responsabili di violazioni accertate dei
diritti umani. Alcuni dei Paesi a cui vendiamo armi sono
nella lista dei finanziatori dell'ISIS e di altri gruppi del terrore.
Perfino l'esodo di profughi e richiedenti asilo diventa
occasione per fare affari. Gli accordi stipulati con alcuni
Paesi perché arrestino questi disperati impedendo che vengano da noi,
prevedono la fornitura di “equipaggiamenti, strumenti
tecnici, programmi di formazione per le forze di sicurezza”.
Pagati con i fondi per “l'aiuto allo sviluppo” dei
Paesi poveri. Nel 2017 per questa strana forma di
aiuto allo sviluppo il Governo ha stanziato 200 milioni di
euro (rientranti nel fondo “Aiuti allo sviluppo”) [3]. In
realtà tale azione non aiuta per niente le popolazioni povere di
questi Paesi né favorisce lo sviluppo. In realtà è un
sostegno economico perché facciano loro il lavoro sporco per
toglierci profughi e richiedenti asilo dai piedi, fuori
dallo sguardo dei media e dei cittadini italiani. Quando
sentite dire “Aiutiamoli a casa loro”, sappiate che molti a questo
pensano.
1) www.guerrenelmondo.it; 2) www.senato.it/static/bgt/listadocumenti/17/1/1495/0/index.html?static=true; 3) http://sbilanciamoci.info/la-logica-italiana-europea-dellesternalizzazione; http://sbilanciamoci.info/litalia-mano-armata/
Le vaccinazioni sono un importantissimo strumento di
prevenzione. Grazie ad esse malattie gravissime come
poliomielite, difterite, tetano sono quasi scomparse dai paesi ricchi, e
altri vaccini possono conseguire importantissimi risultati di sanità
pubblica. Non è assolutamente vero che le vaccinazioni sono tra
le cause dell’autismo o delle allergie. E le paure che le
persone hanno a vaccinare i figli o se stessi sono prive di fondamenti
razionali. Questo per dire che non siamo per niente contrari ai vaccini,
anzi (d’altra parte Marco Mascagna era un pediatra che vaccinava e
cercava di convincere i genitori a vaccinare i figli). Ma il
decreto legge sull’obbligatorietà di 12 vaccini non ci piace
e siamo sicuri che non sarebbe per niente piaciuto nemmeno a Marco. Per
queste ragioni:
1) Obbligare qualcuno a fare qualcosa che ritiene pericoloso o
contrario ai suoi principi non è una bella cosa. E ciò anche
se la sensazione di pericolo non è fondata razionalmente o se non
condividiamo i suoi principi.
2) Poiché le vaccinazioni sono utili, non dovrebbe essere
difficile convincere il 95% delle persone a farle. Non
dovrebbe essere difficile se il SSN dedicasse un poco più di
risorse del quasi niente che dedica all’educazione sanitaria,
se ci fosse un poco più di personale parasanitario (assistenti
sanitari, ostetriche, infermieri), se questo personale e i pediatri
fossero stati formati sulla comunicazione col paziente,
se in ogni ASL ci fosse un programma per la presa in carico
delle “famiglie a rischio” (famiglie di basso reddito,
monoparentali, con soggetti con precedenti penali ecc.). Tutto ciò non
solo favorirebbe fortemente la pratica delle vaccinazioni, ma anche
l'adozione di uno stile di vita salutare e una più attenta adesione alle
terapie prescritte.
3) Sicuramente ha nociuto alle coperture vaccinali la chiusura
di tanti uffici vaccinali e consultori familiari: per molte
persone fare la vaccinazione o parlare dei propri dubbi significa
spostarsi di molti chilometri o attendere in fila che venga il proprio
turno o incontrare un sanitario, che oberato da troppi impegni, ha poco
tempo da dedicargli.
4) L'obbligo è del tutto infondato per alcune vaccinazioni.
In alcuni casi può essere pure consentito costringere qualcuno a fare
qualcosa che reputa pericoloso per la salute sua o di suo figlio, ma
deve esserci un motivo grave. Forse può essere ammesso per alcune
vaccinazioni (p. es. poliomielite, difterite, morbillo) quando le
coperture vaccinali non sono ottimali (malgrado il lavoro di ascolto e
convincimento dei “recalcitranti”) e, quindi, si determina il rischio
che una persona che non ha potuto vaccinarsi possa contrarre la malattia
incontrando per caso uno che non ha voluto vaccinarsi. Ma tale ipotesi
non esiste per il vaccino contro il papillomavirus,
che si trasmette solo con rapporti sessuali e nemmeno per quello antiepatite
B, malattia che si trasmette solo con i rapporti sessuali o
da sangue a sangue.
5) Prima di mettere in atto un intervento di sanità pubblica
bisogna porsi alcune domande: migliora la salute della popolazione?
Può dare effetti collaterali? Quanto costa? Queste domande
servono a “pesare” l’intervento (cioè a mettere sulla bilancia da una
parte i costi e gli effetti collaterali negativi e dall’altro i
vantaggi). Si è stimato quanto costa rendere obbligatorie le
vaccinazioni? Quante ore di lavoro di presidi, medici, magistrati,
personale amministrativo di ASL, scuole, tribunali, saranno dedicate a
segnalare gli inadempienti, inviare avvisi, verificare se dopo il tempo
concesso si è provveduto o meno all’obbligo, ecc.? Si è considerato
quale atteggiamento nei confronti della sanità pubblica e dello Stato
svilupperanno le persone che sono state costrette a fare qualcosa che
reputano pericoloso o contrario ai propri principi? Si è considerato
cosa si scatenerà nell'opinione pubblica alla prima reazione avversa
grave in un soggetto che è stato costretto a vaccinarsi? Si è calcolato
quanto costano alla collettività queste 12 vaccinazioni obbligatorie?
Per tutte le 12 vaccinazioni il rapporto utilità/costi è stato stimato?
Se non si è data una risposta a queste domande (e nutriamo molti
dubbi in proposito) la scelta è stata avventata.
6) L'Italia è l'unico Paese europeo che ha scelto di rendere
obbligatorie 12 vaccinazioni obbligatorie. In quasi tutti i
Paesi europei non c’è alcun obbligo di vaccinarsi e in alcuni l'obbligo
riguarda solo poche vaccinazioni.
7) La scelta italiana di rendere obbligatoria la vaccinazione
per la meningite è particolarmente discutibile se si
considera che i tassi di meningite in Italia sono più bassi di
quelli di altri Paesi (dove non c'è alcun obbligo) e a
livelli per i quali l’OMS non consiglia di procedere alla vaccinazione
di massa.
8) Le pene previste sono più pesanti rispetto ad altri
comportamenti più pericolosi. Se si punisce con 7.500
euro chi non vaccina il figlio come mai si punisce con la
multa da 250 a 1000 euro il tabaccaio che vende sigarette ad un
minore (il doppio se recidivo)? Eppure i rischi del fumo sono
molto maggiori del rischio di non vaccinarsi. Se si leva la
patria potestà a chi non fa vaccinare i figli la si dovrebbe levare
anche a chi li fa bere alcolici (è dimostrato che tale
comportamento è un fattore di rischio per l'alcolismo e l'uso
problematico di alcolici) o li fa viaggiare senza dispositivi
di sicurezza o fuma in loro presenza o li rimpinza di merendine e
bibite dolci o non gli fa fare un'adeguata attività
fisica. Tutti comportamenti più rischiosi per la salute che
non vaccinarsi. Dovrebbe essere levata anche a chi li cura con
l'omeopatia o altre medicine che non hanno alcuna evidenza di efficacia.
9) Se la salute dei cittadini sta così a cuore ai nostri
governanti perché non si riducono i limiti di emissione consentiti per
auto moto e camion visto che ciò provoca ogni anno
40.000 morti in Italia? Perché non si mette una tassa sulle
bevande dolci e sul “cibo spazzatura”, tra le principali cause
dell'obesità infantile? Perché non si formano tutti i medici di base sul
consiglio breve contro il fumo (uno degli interventi di sanità pubblica
col più alto rapporto benefici/costi)? Perché non si è varato da tempo
un piano nazionale per la promozione della lettura fin dalla più tenera
età (intervento dai molti e consistenti vantaggi, privo di effetti
collaterali e, anche, piuttosto economico).
Insomma ci sembra che la scelta di rendere obbligatori 12 vaccinazioni
sia molto discutibile, indice di una cultura che non ama il
dialogo, il confronto, il rispetto delle minoranze, che ama invece
l'imposizione, la forza, il mostrare i muscoli. Una cultura
che dovrebbe essere estranea ad un Paese democratico. Ci viene
anche il sospetto che la decisione sia stata presa per motivi altri da
quelli della tutela della salute. E sono proprio questi
sospetti che fanno si che le persone non si fidano delle “autorità” (il
Governo, il Parlamento, l'Istituto Superiore di Sanità, gli “esperti di
regime” ecc.) e finiscono per crede a ciarlatani e truffatori o ai
consigli sanitari del parroco o della amica/o del cuore, anche se non
hanno nessuna competenza in materia.
Il mondo cambia in fretta. Quello che poteva essere opportuno o utile
10 anni fa sempre più spesso oggi non lo è più. Se poi le scelte di 10
anni fa erano già indietro di 50 anni, attuarle ora è pura follia.
Eppure questo sta per accadere al Vomero. Un parcheggio pensato oltre 10
anni fa, nato già vecchio di 50 anni, approvato dalla
sola Iervolino qualche minuto prima che decadesse da sindaco e
commissario straordinario ai parcheggi, bocciato dall'Amministrazione De
Magistris sta per essere costruito solo perché “Quello che è
deciso è deciso” (queste in sintesi le motivazioni della
sentenza del Consiglio di stato favorevole all'impresa). Un parcheggio
da circa 1000 posti sotto tutta piazza degli Artisti,
Via Tino di Camaino e l'area mercatale di Via De Bustis. Il
mercatino (170 stand) spostato per minimo 2 anni nel Parco Mascagna.
Un parcheggio per “residenti”, ma che non è rivolto solo a chi abita in
quelle vie ma a chiunque risiede in un raggio di 2 Km da piazza
degli Artisti e che, per di più, può anche subaffittarlo.
Una così vasta area pubblica concessa gratuitamente, col solo impegno da
parte della ditta di ricostruire il mercatino coperto più bello e un
poco più ampio. Insomma un'opera da un devastante impatto
ambientale, sociale ed economico, per far entrare al
Vomero, uno dei quartieri con l’aria più inquinata, ancora più auto e
moto. Un parcheggio che va contro tutti gli abitanti del
Vomero-Arenella e a favore solo dei costruttori.
Mentre l'urbanistica da molti decenni insegna che i
parcheggi di destinazione aumentano il traffico e, quindi,
non vanno costruiti in zone congestionate e che quelli per
residenti devono essere accompagnati da una
corrispondente eliminazione dei posti auto in superficie, si
propone di costruire nel cuore del Vomero un parcheggio che contraddice
tali principi.
Il Vomero oggi è servito da 3 funicolari e da 4 stazioni della
metropolitana, che sono a loro volta collegate con linee ferrate (la
Cumana, la Circumflegrea, la linea 2 del metrò, la
linea-Piscinola-Aversa) e con parcheggi di interscambio (Piscinola.
Frullone e Colli Aminei, che è direttamente collegato alla tangenziale).
Tra 2-3 anni si apriranno le nuove stazioni del metrò e saranno
in funzione 12 nuovi treni sulla linea 2, permettendo una frequenza
ogni 5 minuti.
Napoli ha molte più auto per abitanti delle altre città europee
(Napoli 58 auto ogni 100 abitanti, Barcellona 38,
Monaco 35, Londra 31, Berlino 29), un uso incongruo dell'auto
(il 30% degli spostamenti in auto copre distanze tra 700 m e 3
Km, percorribili a piedi in 10-30 minuti), mentre
l'inquinamento atmosferico determina ogni anno 1500 morti.
E auto e moto ne sono la principale causa.
Noi non vogliamo essere più schiavi dell'auto (e di chi ci lucra
sopra), non possiamo più tollerare di sacrificare 1500 vite
ogni anno a questo dio, vogliamo spostarci comodamente,
puntualmente, velocemente tramite mezzi pubblici funzionanti
a tutte le ore del giorno, vogliamo poter camminare (o
pedalare) in sicurezza e tranquillità, vogliamo aree verdi (e
per aree verdi non intendiamo lande desolate come quelle del Centro
direzionale, ma giardini, boschetti, alberi, cespugli rigogliosi), non
vogliamo più frane e voragini quasi ad ogni pioggia un poco più
abbondante. Non vogliamo un sogno. Vogliamo quello che ci
spetta, che sta scritto in tanti documenti, piani, leggi
europee, nazionali, comunali (nel Piano della mobilità, che è norma
vigente, sta scritto che si privilegia la pedonalità e la ciclabilità,
poi il trasporto pubblico e poi quello privato).
25 anni fa i cittadini del Vomero-Arenella riuscirono a bloccare
la costruzione del parcheggio da 1000 posti auto sotto i giardinetti
di Via Ruoppolo, salvaguardando ed estendendo quest'area
verde diventata Paco Mascagna. Oggi dobbiamo fare lo stesso.
Ti chiediamo di esporre ad a una finestra di casa tua il
lenzuolo che puoi ritirare al punto informazione NO BOX del mercatino
di via De Bustis e, se vuoi impegnarti con noi a inviarci una mail
indicando nome cognome e professione.
I reati non sono tutti del medesimo grado: l’omicidio è più grave di un
disastro ambientale, che lo è più di una rapina, che lo è più di una
truffa, che è più grave della diffamazione.
Se si proponesse che finché tutti gli assassini non sono stati puniti
non ci si impegna a punire chi commette disastri ambientali e finché
tutti i responsabili di questi reati non stanno in galera non si procede
contro i truffatori e così via, che pensereste? Sarebbe una vera follia?
Sarebbe un modo per favorire truffatori, ladri e diffamatori?
Infatti, se si mettesse in atto una tale proposta, sarebbe una pacchia
per truffatori, rapinatori, ladri, diffamatori: essi potrebbero
delinquere indisturbati e sereni, sapendo che non rischiano niente,
perché è lunga la lista di quelli da perseguire prima che arrivi il loro
turno. Infatti, per la maggioranza delle persone, anche solo la
possibilità di finire in galera è un deterrente a non commettere
reati.
Purtroppo qualcosa di molto simile a quanto prima descritto sta per
accadere in Italia. Infatti, aspetta solo l'approvazione del Senato una
proposta di legge che dispone che, nel combattere il reato di abusivismo
edilizio, si dovranno eseguire le demolizioni
tassativamente con questo ordine:
costruzioni di rilevante impatto (capannoni
industriali, case di ampie dimensioni ecc.) ancora in fase di
costruzione e che ricadono su aree demaniali o soggette
a vincolo ambientale, sismico, idrogeologico o
archeologico;
medesima tipologia ma costruite e non abitate;
medesima tipologia ma abitate;
manufatti non di rilevante impatto su aree demaniali o vincolate,
ancora in costruzione;
idem ma terminate e non abitate;
idem ma abitate;
costruzioni che sono un pericolo per la pubblica incolumità,
ancora non ultimate;
idem ma finite e non abitate;
idem ma abitate;
costruzioni di proprietà della criminalità organizzata
ancora non ultimate;
idem terminate ma non abitate;
idem ma abitate;
altre case abusive ancora in costruzione;
idem terminate ma non abitate;
idem abitate.
L’effetto di una tale legge è evidente: in Italia non verranno
mai più abbattute case abusive delle categorie non ricadenti tra le
prime (probabilmente dalla 5a in poi). La legge quindi è una
sanatoria di tutte le case abusive non ricadenti su aree vincolate. Questa
sanatoria, al contrario di quelle varate dai governi Craxi
(1985) e Berlusconi (1994 e 2003), vale non solo per le case già
costruite o in costruzione ma vale anche per quelle che da ora
in poi saranno costruite. E’ insomma un messaggio
chiarissimo: “Se volete farvi una casa abusiva non temete più che ve la
possano abbattere, perché questo può succedere solo se la fate di
rilevante impatto e su aree demaniali o vincolate. Una villetta in
un’area non vincolata non rischierà più di essere abbattuta”. Che sia
così lo si evince anche dall'entità del fondo per le
demolizioni previsto dalla legge: 10 milioni di euro all'anno.
Con una tale cifra si possono abbattere non più di 200 case
all'anno.
Il rischio di vedere demolita la propria casa, anche se remoto,
è tra i principali deterrenti a non costruire abusivamente:
dopo avere speso almeno un centinaio di migliaia di euro (spesso tutti i
propri risparmi) vederli andare in fumo e trovarsi con un cumulo di
macerie non è per niente piacevole.
Ogni volta che si è annunciato un condono l’abusivismo edilizio ha avuto
un’impennata (tra l’annuncio e il varo della legge Craxi-Nicolazzi
furono edificate 230.000 costruzioni abusive).
Questa legge, inoltre, è anche uno stop per
vari anni a qualsiasi demolizione. Infatti, finché non
verranno censite e suddivise nelle varie tipologie le 50.000 costruzioni
abusive da demolire, non si potranno eseguire abbattimenti.
Insomma un bel regalo alle imprese legate all’abusivismo edilizio (in
gran parte controllate dalla criminalità) e a chi non ha
rispetto della legge e del nostro territorio.
Come ulteriore beffa questo provvedimento viene presentato come una
legge contro l’abusivismo edilizio. Eppure in questi anni le
associazioni ambientaliste hanno presentato varie proposte per
combattere realmente l’abusivismo edilizio. Tra le norme
proposte ne citiamo alcune:
Ovviamente nulla di tutto questo c’è nel disegno di legge,
che è stato approvato a tempo di record in Commissione Giustizia e che,
visto l’amplissimo consenso delle forze politiche, rischia di
essere approvato in via definitiva in tempi brevi.
“Dobbiamo distinguere tra abusivismo di speculazione e quello di
necessità e venire incontro a chi ha commesso un abuso solo per
necessità” si è detto. Il presidente della Campania li ha chiamati
“poveri cristi”. Ma chi ha almeno 100.000 euro può essere
considerato “un povero cristo”? E' dove è la necessità di
costruirsi una casa quando l'Italia è piena di abitazioni che
si vendono e si fittano? Perché questi furbetti non fanno
come le persone oneste che così risolvono il problema dell'abitazione?
Quello che è veramente paradossale è che, mentre i nostri
parlamentari sono così partecipi della sorte di questi “poveri
cristi”, proprietari di una una casa abusiva, non hanno nessuna
pietà per chi non ha neanche uno stanzino dove abitare ed è
costretto a dormire per strada. Infatti, il medesimo giorno, il
Parlamento ha approvato a larga maggioranza (contrari Sinistra Italiana
e i fuoriusciti del PD, astensione dei 5stelle) una legge
contro chi dorme per strada (multa fino a 300 euro
per chi si sdraia su marciapiedi, scale, aiuole, nelle stazioni e sulle
panchine situate vicino a monumenti, musei, aree archeologiche e – su
delibera del Comune – dei centri storici e aree turistiche. Oltre alla
multa il soggetto non può frequentare per 48 ore il luogo dove è
stato trovato. Se il soggetto reitera il comportamento, il
questore può disporre “per un periodo non superiore a 6 mesi,
il divieto di accesso ad una o più” delle aree prima elencate.
Ci si accanisce contro i più poveri dei poveri, che dormendo per terra o
su una panchina non fanno male a nessuno, e si fa un regalo ai
proprietari di case abusive e a tutti quei soggetti legati all'abusivismo
edilizio, che sono tra le cause principali del consumo
di suolo, dell'imbruttimento del paesaggio, del rischio idrogeologico
e sismico, del fenomeno della “città spruzzata”, causa di
traffico, inquinamento e alti costi di gestione di servizi pubblici.
Per questo ti chiediamo di inviare ai Parlamentari una lettera
di protesta per queste due indecorose leggi
Il Governo ha emanato un decreto legge sulla “sicurezza
urbana”, che ha fatto molto discutere. Vogliamo illustrare e
commentare alcuni articoli che ci hanno lasciati esterrefatti (anche su
altri ci sarebbe da dire, ma lasciamo stare).
Art. 4: la “sicurezza urbana” è “il bene pubblico relativo alla
vivibilità e al decoro delle città”. Perché viene chiamata “sicurezza”
la vivibilità e il decoro? “Decoro” deriva da “decorus” che significa
“elegante, fine, bello, adorno” (da cui decorare = rendere bello ecc.)
[Treccani]. Che centra con la sicurezza? L'identificazione del
“decoro” con la “sicurezza” è del tutto pretestuosa e
strumentale: serve a giustificare l'emanazione di un decreto legge
(ammissibile solo nei “casi straordinari di necessità e urgenza” e,
certo, il “decoro” non può essere uno di questi casi) e i provvedimenti
limitativi della libertà previsti negli articoli 9 e 10.
Art. 9 e 10: viene comminata una multa da 100 a 300 euro a
chi bivacca (il decreto dice “limita la libera accessibilità”) in
qualsiasi “infrastruttura, fissa o mobile” “di trasporto pubblico” “e
delle relative pertinenze” e in altre aree individuate dal Comune
“interessate da consistenti flussi turistici” o “adibite a verde
pubblico”. In soldoni significa che viene multato chi sta
seduto o sdraiato su marciapiedi, scalinate, vie pedonali, stazioni,
vagoni abbandonati, aiuole e chi si sdraia sulle panchine dei centri
storici o situate vicino a musei e monumenti. Ne viene fuori
che ci si può sdraiare solo sulle panchine dei quartieri periferici.
Oltre alla multa il soggetto non può frequentare per 48 ore il
luogo dove è stato trovato. Se il soggetto reitera il comportamento,
il questore può disporre “per un periodo non superiore a 6 mesi,
il divieto di accesso ad una o più” delle aree prima elencate.
In Italia oltre 55.000 persone vivono in strada.
Tranne qualche stravagante o novello San Francesco che l'ha deciso come
scelta di vita, tutti gli altri non l'hanno scelto e
darebbero chi sa che (ma purtroppo hanno poco o niente) per avere una
“casa” anche di pochi metri quadri. I dormitori
comunali (dove esistenti) hanno pochissimi posti letto.
Gli enti di solidarietà riescono a dare riparo solo ad una parte dei
senza casa. Il Governo cosa pretende da questi poveri cristi?
Che smettano di dormire? Che dormano passeggiando? Che si
accapiglino per le poche panchine dei quartieri periferici
(all'aperto!)? Che la facciano finita (beninteso in un quartiere
periferico, senza creare problemi alla viabilità e in modo decoroso ed
elegante)?
Se non è bello vedere persone che dormono per strada o nelle stazioni la
soluzione non è multare questi più poveri tra i poveri o
cacciarli nelle periferie, ma fare una politica di lotta alla
povertà e all'emarginazione (che è l'esatto contrario di una
politica contro i poveri e gli emarginati), come prescrive la
nostra Costituzione:
- “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”
(art. 2) e l'art. 25 dei Diritti dell'uomo recita “Ogni
individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a
garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con
particolare riguardo all'alimentazione, al vestiario, all'abitazione,
alle cure mediche e ai servizi sociali”;
- “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e
l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo
della persona umana” (art. 3);
- “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al
lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo
diritto” (art. 4).
Quindi chi infrange la legge è il Governo che non rispetta la
Costituzione e non i senza casa costretti a dormire per
strada.
Indecoroso non è chi è povero ma chi, avendo il
necessario e anche il superfluo, guarda con fastidio e
disprezzo chi non possiede niente.
Indecoroso è chi scrive, approva o si astiene su provvedimenti
contro i poveri per cercare di prendere qualche voto in più
alle prossime elezioni (il decreto ha avuto il voto favorevole della
maggioranza e della destra, l’astensione dei cinquestelle e il voto
contrario della sinistra). E per di più scrive e vota un decreto
chiaramente anticostituzionale. Infatti, già il Governo
Berlusconi aveva varato un decreto simile (decreto Maroni), abrogato
dalla Corte Costituzionale due anni dopo.
Infatti nella nostra Costituzione è scritto che “Tutti i cittadini hanno
pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione
… di condizioni personali e sociali”, che “la libertà personale è
inviolabile” e “non è ammessa … forma di restrizione della
libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria”,
che solo “in casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati
tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può
adottare provvedimenti provvisori” (art. 13), che “il domicilio è
inviolabile” (art. 14), che “ogni cittadino può circolare e
soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio
nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via
generale per motivi di sanità o di sicurezza” (art. 16).
Appunto, solo “per motivi di sanità e sicurezza”, non per motivi di
decoro.
Ciò che è “urgente e necessario” non è un vergognoso
decreto come quello del Governo Gentiloni, ma predisporre dormitori
pubblici, aiutare chi sta in grave difficoltà, creare
posti di lavoro (p. es. nella messa in sicurezza antisismica
delle case, nel risparmio energetico, nella mobilità sostenibile, nella
difesa del suolo, nella tutela dei beni culturali ecc.), redistribuire
la ricchezza (levare ai ricchi e benestanti per dare lavoro e
sicurezza a chi non l’ha), rendere effettivo il diritto alla
casa, contrastare lo sfruttamento dei lavoratori e
il lavoro nero.
In questi giorni sono stati pubblicati i nuovi dati sulla natalità in
Italia che confermano la riduzione delle nascite:
486.000 nel 2015, 464.000 nel 2016. Da molti anni le nascite sono in
calo in Italia e in quasi tutti i Paesi ricchi, e questo fatto allarma.
Si invocano perciò politiche di sostegno alla natalità e di
incentivazione della procreazione (ricordate la demenziale campagna
della ministra Lorenzin?).
La crescita della popolazione ha molti lati positivi ma, se va
avanti indefinitamente, ha effetti catastrofici: viviamo in
un mondo finito, con equilibri ecologici che, superati determinati
limiti, si alterano, creando problemi molto gravi e potendo determinare
alterazioni irreversibili. Questi limiti, in realtà, sono già stati
superati. Infatti, l’“impronta ecologica” media mondiale (l’indicatore
che misura il “peso” della popolazione mondiale sull’ecosistema Terra) è
di 2,7 ettari/ab, ma il nostro pianeta (levando i deserti, le aree
ricoperte da ghiacciai ecc.) ha solo 2 ettari/ab. Quindi abbiamo
già abbondantemente superato la capacità di carico dell’ecosistema
Terra (cioè inquiniamo e preleviamo risorse rinnovabili ad
una velocità superiore alla capacità di depurazione e di riproduzione
delle risorse) e, infatti, gli equilibri si stanno alterando sempre più
(aumento della temperatura, inquinamento dell’aria, dei mari, del
suolo).
Questi limiti sono stati superati soprattutto perché gli
abitanti dei Paesi ricchi hanno scialato alla grande,
disinteressandosi dei limiti posti dalla natura. Se l’impronta
ecologica media mondiale è 2,7, quella degli statunitensi è 12 e
quella degli italiani 5, mentre quella degli abitanti dell’Africa è di
1,1.
L’impronta ecologica globale dipende da 3 fattori: numero
degli abitanti, stile di vita (consumi/ab) e impatto
dei beni consumati (impatto ambientale dei diversi beni dalla
produzione allo smaltimento). Per ridurla quindi bisogna intervenire su
questi tre fattori e poiché circa 4 miliardi di persone
hanno una vita grama e quindi devono consumare di più,
altri 2 miliardi aspirano ad avere il nostro stile di vita
e quindi vogliono consumare di più e 1 miliardo di persone
(cioè noi) non vogliono cambiare il loro stile
di vita, arrestare la crescita della popolazione
diventa una scelta obbligata.
Quindi prima o poi la natalità deve essere ridotta e più tardi
ciò avviene più la riduzione dovrà essere drastica e più sarà gravida
di effetti negativi facili ad immaginarsi.
L’andamento della popolazione mondiale nel tempo è stato questo:
1400: 350-450 milioni di abitanti
1700: 750 milioni
1800: 1 miliardo
1900: 1.650 milioni
1950: 2,5 miliardi
2000: 6 miliardi
2010: 7 miliardi
2015: 8 miliardi (stima)
La crescita della popolazione è stata molto difforme nelle varie aree
geografiche: Europa e Asia sono cresciute molto negli ultimi
secoli, divenendo le regioni più densamente popolate del
mondo, e i loro abitanti si sono espansi in altre zone, con emigrazioni
(tra il 1870 e il 1914 sono emigrati in America 50 milioni di
Europei) guerre e colonizzazioni (nella sola Eritrea
sono emigrati oltre 80.000 italiani tra il 1900 e il
1940)[1]. Ora Europa, America del Nord, Giappone sono in decrescita, in
altri Paesi (es. Cina) la crescita si va attenuando sempre più e poi
invertirà di segno, in altri poco densamente popolati (es. Africa) la
popolazione è in forte crescita.
In questo quadro non ha senso che i Paesi ricchi cerchino di
incrementare la loro natalità (facendo aumentare ancor più la
popolazione mondiale e i problemi ambientali), anche perché,
considerando l'attuale numero di donne in età fertile, i
risultati sarebbero minimi e gli effetti positivi si avrebbero tra
20-30 anni. Meglio accogliere una quota di giovani
che permette di riequilibrare subito la composizione per età della
popolazione, risolvendo così i problemi che sorgono con la
denatalità. Su questo sono d’accordo tutti gli esperti. Quindi dovremmo
fare una politica di accoglienza dei migranti (ciò
favorirebbe anche lo sviluppo economico dell’Africa e del Centro
America, grazie alle rimesse degli emigrati e ai ritorni in patria). Insomma
accogliere i migranti non è solo un atto di fraternità, giustizia e
solidarietà, ma ci conviene e anche.
Se si hanno i dati della situazione e si ragiona lucidamente non si può
non arrivare a questa conclusione. Purtroppo molti giornali,
TV, siti internet e politici nascondono questi dati o ne fanno girare
altri inventati di sana pianta (p.es la falsa invasione di
islamici, vedi il messaggio 2 del 2017), cercano di spaventare
le persone per vendere di più, guadagnare consensi e voti.
Note: 1) Podestà G. L’emigrazione italiana in Africa
Orientale, www.ilcornodafrica.it/rds-01emigrazione.pdf;
Livi Bacci M: Il pianeta Stretto, il Mulino 2015
E' convinzione comune che in Italia la spesa pubblica è tra le più alte
d'Europa e che nella pubblica amministrazione c'è una pletora di
dipendenti. Siamo andati a vedere se questa convinzione è suffragata dai
fatti o no. In Italia la spesa pubblica è il 46,2% del PIL.
Non siamo i primi, perché ci precedono la Finlandia 56,5%, la Francia
55,0%, la Danimarca 54,1, la Grecia 51,8, il Belgio 50,9, la Svezia
49,8, l'Austria 49,2 e l'Ungheria 46,5. Quindi siamo al 9°
posto con una percentuale di poco superiore alla media UE
(45%). Tra i settori in cui spendiamo meno c'è l'istruzione
(7,9% del PIL, media UE 10,2) la cultura
(1,4%, media UE 2,1%) e la Sanità (6,8%, media UE
7,2%). Nell’istruzione e cultura siamo il Paese che spende di
meno nella UE [1].
La Pubblica Amministrazione nel corso degli anni ha
subito una notevole riduzione del numero di dipendenti:
dal 2007 al 2015 gli Enti Locali hanno perso 56.000 unità
(da 516.000 a 460.000), la Scuola 53.000 unità (da
1.138.000 a 1.085.000), i Ministeri 31.000 unità (da
184.000 a 153.000), quello della Sanità 29.000 unità
(da 682.000 a 653.000), l'Università 18.000 unità (da
117.000 a 99.000), la Polizia 11.000 persone (da
333.000 a 312.000) [2]. Tale notevole cura dimagrante è stata conseguita
bloccando le assunzioni, per cui l'età media dei dipendenti è
andata aumentando ogni anno di più e ora per i vari settori
si colloca tra i 50 e i 55 anni [2]. Poiché con l'età
la probabilità di avere acciacchi aumenta sempre più e questo processo è
molto più precoce per le persone di basso reddito, ne risulta che una
quota molto consistente di dipendenti pubblici dei livelli più bassi è
ormai disabile.
In alcuni settori, come la Sanità,
alla riduzione del personale e alle scarse risorse finanziarie si è
accompagnato un aumento di compiti e attività (dovuti
all'invecchiamento della popolazione, all'aumento del numero di poveri e
indigenti e, in alcuni campi, anche al progresso della medicina). Tutto
ciò ha messo in grave difficoltà il nostro sistema sanitario, a lungo
considerato tra i migliori del mondo, che ha perso posizioni (in
particolare per l'allungarsi delle liste di attesa) e che rischia di
perderne sempre di più, perché avrebbe bisogno di investimenti per
sostituire apparecchi vecchi, ristrutturare ospedali e presidi,
investire nella formazione e nell’aggiornamento. Soprattutto c’è
necessità di assumere il personale necessario per rispondere
adeguatamente ai bisogni di salute della popolazione. C’è bisogno cioè
di investire un poco di più nella Sanità e di programmare gli interventi
avendo come faro i bisogni di salute della popolazione. Governo e
Regione fanno questo? Non sembra proprio. Infatti il documento
di programmazione economica 2016 prevede per i
prossimi anni una riduzione della spesa per la Sanità: dal 6,8% del
PIL (anno 2015) deve diventare 6,7% nel 2016 e nel 2017, poi
6,6% nel 2018 e quindi 6,5% nel 2019.
Il decreto del Commissario alla Sanità della Regione Campania
sui fabbisogni di personale prevede una dotazione di ostetriche
di una per ogni distretto sanitario, 5,5 dietisti
ogni milione di abitanti e zero laureati in scienze motorie
(pur essendo la Regione con la più alta percentuale di persone
sedentarie e inattive). Quindi in media ogni ostetrica avrà una platea
di circa 10.000 donne a cui ogni anno effettuare il pap-test, 5.000
studenti di scuola superiore a cui fare educazione sessuale, 1.000 donne
da incontrare nei corsi pre-parto e in più dovrebbe dare anche una mano
al ginecologo nella sua attività (neanche Wonderwoman riuscirebbe
nell’impresa). Ogni dietista invece dovrebbe
farsi carico di intervenire su 100.000 persone in sovrappeso
e fare attività preventiva su una platea di 11.000 studenti
di scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di 1°.
Poiché le persone povere non possono ricorrere a ginecologi privati per
i pap-test, né a dietisti e dietologi se in sovrappeso, poiché le
malattie sessualmente trasmesse, le gravidanze indesiderate e precoci,
l’obesità il sovrappeso sono molto più frequenti nelle persone povere e
di bassa istruzione, chi sarà maggiormente danneggiato da
queste scelte sono sempre gli ultimi. Già oggi assistiamo a
due fenomeni agghiaccianti:
1) le persone di basso reddito rinunciano a curarsi
perché non hanno i soldi (1 milione e 400.000 persone,
il 15% dei poveri e dei quasi poveri ha rinunciato a curarsi per
questioni economiche) [3].
2) le persone diventano povere per le spese sanitarie sostenute
(l'1,2% delle famiglie italiane si sono impoverite per questo
motivo) [4]
Ci chiediamo: come mai di questo si parla così poco? Come mai è
così diffusa e radicata la convinzione che la spesa pubblica è
eccessiva anche se tale convinzione non ha alcun riscontro
nella realtà? Chi mette in giro queste bufale? Perché?
Note: 1) Eurostat 2015; 2) Ragioneria Generale dello Stato: Conto annuale periodo 2007-2015; 3) Ufficio parlamentare di bilancio: Rapporto 2016; 4) CREA: 12° rapporto, 2016.
Ecologico, sostenibile, naturale sono aggettivi estremamente
frequenti. Ogni giorno la pubblicità o articoli e servizi
giornalistici ci propongono “auto ecologiche”, “energie verdi”,
“alimenti naturali” e molti altri prodotti e servizi “verdi”. Ma quali
di questi sono realmente ecosostenibili e quali sono solo una
strategia di mercato?
Non è facile saperlo, perché la valutazione di impatto ambientale è per
sua natura complessa. Sicuramente è sbagliato farsi guidare da
criteri semplicistici quali “le cose naturali sono meglio di quelle
artificiali”, “meglio la tradizione che le novità” o, viceversa,
“meglio il nuovo”.
Sul criterio “naturale/artificiale” va innanzitutto detto che non
è facile stabilire cosa sia “naturale” e cosa “artificiale”.
Per esempio, il pane è naturale o artificiale? Prendere dei chicchi di
grano, macinarli fino a farli diventare una polvere, impastare questa
polvere con dell'acqua, un concentrato di microorganismi (il lievito) e
del cloruro di sodio (ricavato dall'acqua di mare o estratto dalle
profondità della Terra), tenere l'impasto ad una data temperatura per un
tot di tempo in modo che questi microrganismi si nutrano degli amidi
producendo anidride carbonica (il processo di lievitazione), bloccare
bruscamente questo processo infornando ad alta temperatura (con
conseguente morte dei microorganismi e denaturazione delle proteine) ha
ben poco di naturale e molto di artificiale. In realtà il pane è un
prodotto tecnologico, come i formaggi, i salumi, la pasticceria, gli
snack (merendine, patatine fritte ecc.) e quasi tutto quello che
mangiamo, indossiamo, utilizziamo. Poi bisogna sempre ricordarsi che la
cicuta, l'amanita falloide, il veleno della vipera sono naturali al
100%, ma estremamente tossici, che le aflatossine, tra i più
potenti cancerogeni, sono naturali al 100% (sono prodotte da
microrganismi).
Oggi vogliamo puntare l'attenzione sulla legna, un
prodotto naturale al 100%, che sta avendo un boom in questi ultimi anni.
Per riscaldare le case, fino a qualche decennio fa si usava soprattutto
il gasolio. Poi si è passati al metano e al
GPL, che hanno raggiunto il loro picco nel 2005 con
435mc/ab (per il solo riscaldamento domestico), scendendo
poi sempre più e arrivando a 390mc/ab nel 2012. Dalla metà
degli anni '90 è andato, invece, sempre più aumentando l'uso
della legna, soprattutto del pellet. Nel 2014 il 15%
delle case è riscaldato con legna, con un quadro molto
variegato: nei comuni montani il 40%, nel Nord-Est e nel Centro
Italia il 25%, nel Nord Ovest il 15%. In Italia vi sono 2,1
milioni di stufe, camini e caldaie a pellet, 8,6 milioni tra stufe,
camini, caldaie e cucine a legna. Siamo al 1° posto al mondo
per consumo di pellet, da soli consumiamo il 40% dell'intera
UE [1, 2]. Una bella soddisfazione per tutti i Governi che hanno cercato
di incentivare questa fonte energetica (detrazioni fiscali fino al 65%
per la sostituzione di un impianto a combustibili fossili con uno a
pellet, IVA più che dimezzata rispetto ad altri combustibili, ecc.). Una
fonte energetica rinnovabile, naturale, antica, verde, ecologica,
sostenibile. Tutto bene, dunque?
Solo ad una visione parziale e frettolosa. L'ecologia ci insegna che
bisogna sempre avere uno sguardo complessivo, esaminare tutti i fattori
e tutte le relazioni. Quindi il boom del legno per riscaldare
le case ha sicuramente dei lati positivi (è una fonte rinnovabile, il
bilancio della CO2 è in pareggio), ma ha anche lati negativi e altri
problematici. Vediamo quali:
- Le emissioni di polveri inalabili (PM10) e in particolare di
quelle fini (PM2,5), che sono le più pericolose per la salute.
Una caldaia a metano emette 0,2 g di PM10 per ogni
gigaJoule di calore prodotto. Una stufa a pellet di ultima
generazione 50g, una stufa a legna di ultima generazione
150g, una stufa tradizionale 500g un caminetto 700 g. Anche il gpl
emette meno PM2,5 del pellet (2g/megaJuole) e perfino il gasolio
(3,2g/megajuole) [3]. Nel 2000 il riscaldamento domestico
contribuiva per il 32% alle emissioni nazionali del PM10 e per il 31%
a quelle del PM2,5, nel 2014 contribuisce rispettivamente per il 57% e
il 60% [4].
- L’impatto del trasporto della legna. Solo il 10% del pellet è
di origine italiana, il restante è importato da Austria,
Germania, Croazia e Canada e, con l’aumentare della richiesta, iniziano
a comparire anche Paesi del Terzo Mondo [2]. Quindi, è vero che il
bilancio del carbonio della combustione della legna è pari a zero
(emette tanta CO2 quanta l’albero l’ha sottratta dall’atmosfera tramite
la fotosintesi), ma il rischio è che la domanda di legna sia maggiore
della produzione e che quindi si intacchi lo stock, distruggendo boschi
e foreste.
Questi dati, purtroppo veri, sono stati utilizzati da soggetti che hanno
interesse nel settore dei trasporti e da persone poco informate per
sostenere che se si vuole combattere l’inquinamento atmosferico non
bisogna puntare sui trasporti ma sul riscaldamento domestico. In realtà
altri dati smentiscono questa tesi.
Il trasporto su gomma è la principale fonte di emissione di
benzene (44% del totale, riscaldamento domestico meno
dell’1%) e di ossidi di azoto (49% del totale,
riscaldamento domestico 9%). Inoltre il riscaldamento domestico è la
principale fonte di emissione di PM10 e PM2,5 in
Italia, ma nelle grandi città e in gran parte di quelle medie
(tutte quelle del Sud Italia e gran parte di quelle del Nord-Ovest) la
principale fonte di polveri è il trasporto su gomma. Per
esempio a Napoli il 41% del PM2,5 origina dal trasporto su gomma e solo
il 4% dal riscaldamento domestico e ben il 78% del benzene “napoletano”
è emesso da auto e moto [4].
Anche sul trasporto su gomma, come sul pellet, l’Italia ha record del
tutto negativi: 62 auto ogni 100 abitanti (in Germania, Francia
e Inghilterra sono 50), una percentuale di spostamenti
superiori a 500m compiuti a piedi nei giorni feriali del 12% (Germania
22%, Francia 29%), una percentuale di analoghi spostamento attuati con
auto e moto del 75% (Germania 53%, Francia 58%) [5].
L’inquinamento atmosferico è tra le principali cause di
morte (determina ogni anno in Italia almeno 45.000 morti)
[6]e determina un danno economico ingentissimo (pari a circa il 10%
del PIL)[7]. Ci si aspetterebbe un impegno serio della UE,
del Governo (nonché delle Regioni e dei Comuni). Invece si fa a gara per
fare il contrario di quello che servirebbe o si adottano interventi
schizofrenici.
Bisognerebbe invece:
abolire i finanziamenti alle fonti fossili: 15
miliardi all’anno in Italia (2 per l’autotrasporto merci, il
modo più inquinante per trasportarle)[8]
rispettare il principio “chi inquina paga” introducendo tasse
ambientali, cioè accise sui prodotti e
servizi proporzionali all'impatto che questi hanno sulla salute e
sull'ambiente (la UE ci ha più volte richiamato per la nostra
inadempienza)
favorire con finanziamenti pubblici l'isolamento termico degli
edifici (gli edifici italiani disperdono 5 volte più calore
di quelli svedesi), il trasporto pubblico, la ciclabilità e
pedonalità, la trasformazione dei rifiuti in metano e compost.
In questa maniera si creerebbero anche centinaia di migliaia di
nuovi posti di lavoro.
Inoltre la UE dovrebbe smetterla di essere prona alle industrie
automobilistiche adottando come limiti massimi degli inquinanti quelli
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (oggi i limiti
consentiti dalla UE sono anche più del doppio) e non
permettendo più che i Km per litro di
carburante e le emissioni dichiarate dalle aziende
automobilistiche per i vari modelli di auto e moto non corrispondano
alla realtà, perché rilevate in situazioni del tutto
artificiali (attualmente il 66% delle auto euro 6 e l'82% di quelle euro
5 emettono il triplo degli ossidi di azoto previsti dalla normativa e
nessuna delle migliaia di auto esaminate su strada ha emissioni in
regola [9]
Ma tutto ciò può verificarsi solo se i cittadini faranno capire
ai partiti e ai politici che questo vogliono e che se non si prendono
tali provvedimenti il loro voto non lo avranno.
Si dà una mano all'ambiente e si tutela la salute molto più così
che non mangiando “alimenti naturali” o comprando prodotti “ecologici
e sostenibili”.
1) ISTAT Bilancio energetico nazionale 2014; 2) Associazione Italiana Energie agroforestali 2015; 3) ISPRA 2011 www.sinanet.isprambiente.it/it/sia-ispra/serie-storiche-emissioni/fattori-di-emissione-per-le-sorgenti-di-combustione-stazionarie-in-italia/view; 4) ISPRA 2015; 5) Eurostat e ISFORT 2012; 6) EEA 2016; 7) OMS: Documento 69 Assemblea Mondiale; 8) Legambiente: Stop sussidi alle fonti fossili 2016; 9) Transport and Environmentel 2016.
Il 27 gennaio si è celebrato il “Giorno della memoria”,
per "conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed
oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché
simili eventi non possano mai più accadere" (art. 2 legge
20/7/2000). Una ricorrenza sacrosanta.
I nazisti tramite leggi e altre norme e disposizioni, avevano
organizzato un sistema di discriminazione, separazione,
detenzione, violenza e sterminio per diversi gruppi di
popolazione ritenuti estranei e pericolosi (ebrei, zingari, omosessuali
ecc.). Le vittime e i testimoni di questa tragedia hanno con forza
puntato l’attenzione sulla “normalità” con la quale essa si
produceva e sull’indifferenza dei più (delle “persone per
bene”): “Sui vostri monumenti alla Shoah non scrivete violenza,
razzismo, dittatura e altre parole ovvie, scrivete 'indifferenza':
perché nei giorni in cui ci rastrellarono, più che la violenza delle SS
e dei loro aguzzini fascisti, furono le finestre socchiuse del
quartiere, i silenzi di chi avrebbe potuto gridare anziché origliare
dalle porte, a ucciderci prima del campo di sterminio” (L. Segre).
Ma alzare la voce allora poteva costare caro, anche la
vita, e questa può anche essere una scusante. Ma i tanti che
appoggiavano questi provvedimenti? E i tantissimi che li tolleravano
perché Hitler (o Mussolini) “sta facendo tante cose buone” o
“sempre meglio degli altri!”?
Per questo serve il “Giorno della memoria”, per comprendere come è
potuta succedere una simile tragedia e impedire che avvenga ancora.
Mentre si tenevano le migliaia celebrazioni di questa ricorrenza, il
nostro Governo definiva gli ultimi dettagli dell’accordo con il
leader libico Al Serraj per fare in modo che i migranti siano fermati
in Libia e gestiti dalle autorità libiche. Che significa
“gestiti dalle autorità libiche”? La Libia attualmente è un
“Paese che non esiste”[1], travagliato da una guerra civile, con due
governi, due parlamenti, un gran numero di gruppi politico-militari,
oltre un milione di persone che sono fuggite in Tunisia e circa mezzo
milione di profughi interni (libici che sono fuggiti in altre zone del
Paese).
Amnesty e ONU hanno più volte denunciato il mancato rispetto dei
diritti umani[2]. In particolare esistono numerosissime
testimonianze e prove delle molte violenze che subiscono i migranti
non libici che attraversano questo Paese per cerca di raggiungere
l’Italia. Riportiamo alcune testimonianze di violenze, pubblicate sul
rapporto di Amnesty, violenze perpetrate dalle “autorità
libiche”:
“I cristiani li odiano. Se scoprono una croce o un
tatuaggio religioso, ti picchiano ancora di più”.
“Mi hanno picchiato e preso i soldi. Prendono un cavo
elettrico e ti frustano”.
“Se dicevamo che avevamo fame, le guardie venivano a
picchiarci. Ci costringevano a stare a pancia in giù e ci picchiavano
coi tubi di gomma. Una volta hanno sparato a un detenuto del Ciad,
senza alcun motivo. Lo hanno portato in ospedale, poi di nuovo in
cella ed è morto”.
“Quando dicevo che avevo fame, si mettevano a urlare. Mi
hanno fatto bere acqua mescolata a petrolio o col sale dentro, solo
per punirmi”
“Gli ufficiali hanno picchiato a morte una donna incinta”.
La missione ONU in Libia (UNSMIL) ha
denunciato che i migranti sono sottoposti a torture, pestaggi e
costretti al lavoro forzato[3]. Famigerato è il campo di Al-Nasr del
Dipartimento per il Contrasto dell'Immigrazione Illegale (ente del
Governo con cui l’Italia ha stipulato l’accordo). Un tentativo di fuga,
ad aprile 2016, è stato represso sparando sugli immigrati e causando 4
morti e 20 feriti.
Le persone che sono detenute in questi campi non hanno commesso
alcun reato: sono solo persone che sono fuggite dal loro
Paese per cercare di giungere in Europa. Persone che hanno
fatto quello che ognuno di noi farebbe nella loro situazione.
La maggioranza dei migranti sbarcati in Sicilia sono della
Nigeria, un Paese dove le vittime di attentati e violenze politiche
sono state 10.933 nel solo 2015. Segue l’Eritrea,
tormentata da una dura dittatura, dove “Ufficiali governativi hanno
compiuto crimini contro l’umanità, all’interno di una
campagna di violazioni diffuse e sistematiche contro la popolazione
civile del paese”. Al terzo posto vi sono i migranti del Gambia,
Paese in cui la tortura è “prevalente e abituale” e
che prevede l’ergastolo per chi pratica l’omosessualità.
E ancora dal Senegal, nazione dove vige una “limitata libertà”,
“eccessivo uso della forza da parte della polizia”, e una “endemica
impunità per le violazioni dei diritti umani compiute dalle forze di
sicurezza”[4].
Insomma la gran parte delle persone che attraversano la Libia per
raggiungere l’Italia sono persone che fuggono da Paesi dove non
si rispettano i diritti umani. E noi, invece di
accoglierli come prescrive la convenzione di Ginevra
(mai firmata dalla Libia) e la nostra Costituzione
(“Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l'effettivo
esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione
italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica”), li
terremo chiusi in Libia, un enorme campo di concentramento dove
questi innocenti, verranno angariati, violentati, stuprati, uccisi.
Forse la nostra colpa è meno grave perché questo campo di concentramento
non è sul nostro territorio e il lavoro sporco lo fanno i libici? Perché
la maggioranza degli italiani non alza la voce contro questa vergogna,
contro il ripresentarsi di “un tragico ed oscuro periodo della storia
nel nostro Paese” e di eventi così simili a quelli di cui abbiamo fatto
memoria il 27 gennaio? Eppure oggi alzare la voce non comporta
alcun rischio. Forse condanniamo i lager nazisti ma siamo
favorevoli al lager libico (e a quello turco) perché ci illudiamo che
“risolva alla radice il problema degli immigrati”? O forse siamo anche
contrari, ma “che ci possiamo fare?” o “meglio questo Governo di un
altro” o “non abbiamo le risorse per accogliere dignitosamente queste
persone”?
Ha ragione Papa Francesco che, parlando ai rappresentanti dei movimenti
popolari, ha detto: “Chi vede gli occhi dei bambini che incontriamo nei
campi profughi è in grado di riconoscere immediatamente la ‘bancarotta
dell’umanità’! Cosa succede al mondo di oggi che, quando
avviene la bancarotta di una banca, immediatamente appaiono somme
scandalose per salvarle, ma quando avviene questa ‘bancarotta
dell’umanità’, non c’è quasi una millesima parte per salvare quei
fratelli che soffrono tanto! E così il Mediterraneo è
diventato un cimitero e non solo il Mediterraneo… molti cimiteri vicino
ai muri, muri macchiati di sangue innocente”.
Possibile che ad alzare la voce siano solo le Chiese, Sinistra e Libertà
(gli altri partiti presenti in Parlamento hanno applaudito o sono stati
in silenzio), qualche politico (Manconi, Bonino, Civati ...) e qualche
forza politica non presente in Parlamento, nonché le associazioni e gli
enti che si interessano di diritti umani.
Forse non basta il “Giorno della memoria”, c'è bisogno di
svegliarci, di guardare senza infingimenti la realtà, di tornare ad
essere umani, di alzare la voce, di prendere
posizione, di far capire che se fanno così per prendere qualche voto
in più sicuramente perderanno il nostro.
1) Caracciolo L: Libia, il patto con il paese che non esiste, Limes
6/2/17
2) www.amnesty.org/en/documents/mde19/1578/2015/en/,
www.amnesty.it/libia-migranti-e-rifugiati-in-fuga-da-violenza-sessuale-persecuzione-e-sfruttamento,
http://rapportoannuale.amnesty.it/sites/default/files/2016/Libia.pdf,
3) UNSMIL: rapporto 13/12/16
4) www.rapportoannuale.amnesty.it/sites/default/files/2016.pdf
La popolazione mondiale può essere divisa in base al reddito annuo in
quattro gruppi.
Nel primo vi sono le persone con un reddito superiore a 1 milione di
dollari (931.000 euro). Sono 33 milioni (lo 0,7% della
popolazione mondiale), con una ricchezza complessiva di
117.000 miliardi di dollari, pari al 45,6% del totale,
e un reddito medio annuo di 3.5 milioni di dollari (3
milioni e 358.000 euro). L’Italia è il 7° Paese al mondo per numero di
milionari (dopo USA, Giappone, GB, Francia, Germania, Cina).
La seconda classe ha reddito tra 100 mila e un milione di dollari. Si
tratta di 365 milioni di persone pari al 7,5% del
totale. Il loro reddito complessivo è di 103,9 migliaia di miliardi,
pari al 40,6% della ricchezza totale, e il reddito
medio 285.000 dollari.
Segue poi la terza classe che guadagna tra 10 mila e 100 mila
dollari. Comprende 897 milioni di persone che corrispondono
al 18,5% dell’insieme. La ricchezza complessiva è di
29,1 migliaia di miliardi, pari all’11,4%. Reddito medio 32.000
dollari
Infine ci sono i poveri, le persone che guadagnano
meno di 10 mila dollari l’anno. Si tratta di 3.546 milioni di persone
corrispondenti al 73,2%. Complessivamente hanno 6.1
migliaia di miliardi pari al 2,4% del totale, reddito
medio 1.720 dollari annui.
Questi dati sono riportati nel rapporto annuale del Credit
Suisse. Perché una delle più grandi banche del mondo produce
un documento del genere? Forse per denunciare le enormi disuguaglianze?
No. Il motivo è quello di puntare l’attenzione degli investitori
sul patrimonio delle due fasce più basse di reddito, perché “Il
loro patrimonio complessivo di 35.000 miliardi di dollari produce
anche notevoli opportunità economiche spesso trascurate”
dagli investitori (gli speculatori oggi sono chiamati così). Insomma
35.000 miliardi sono un bel gruzzolo, perché non metterci le
mani sopra? Come? Per esempio spingendo gli Stati a privatizzare
i servizi sociali (assicurazioni sulla disoccupazione, sulla
povertà, sulla salute ecc.) oppure creando prodotti finanziari
ad hoc per queste persone (come è stato fatto con i “mutui
casa” e i “prestiti studio” negli USA, tra le cause della crisi
economica del 2008 e dell’enorme trasferimento di ricchezza dalle fasce
medie e povere della popolazione a quelle ricche).
Sembra impossibile ma è proprio così: i ricchi non si
accontentano della loro ricchezza, ne vogliono sempre di più,
la vorrebbero tutta per loro. E’ una patologia. Una grave
patologia, morale e psichica, che impoverisce miliardi di
persone, aumenta i conflitti sociali, la delinquenza, la precarietà,
danneggia l’ambiente, scatena guerre e tensioni internazionali.
Di tutt’altro tenore è il rapporto Oxfam. Essi ci
ricordano anche che il 13% della popolazione mondiale (900
milioni di persone) è in povertà estrema (guadagna meno
di 690 dollari all’anno), che 795 milioni
di persone soffrono di “malnutrizione da carenza” (una volta si diceva “soffrono
la fame”), che 165 milioni di questi sono bambini e che nel
2015 i bambini sotto i 5 anni morti per grave malnutrizione sono stati
3,1 milioni.
Il motivo della pubblicazione di questo rapporto è invece richiamare
l’opinione pubblica e i governanti su questa situazione
intollerabile e su come si sia verificato “un progressivo
indebolimento dei processi democratici a opera dei ceti più abbienti,
che piegano la politica ai loro interessi a spese della
stragrande maggioranza”.
Le proposte? Eccole:
- una tassazione più progressiva, aumentando le
aliquote per chi guadagna di più (“dalla fine del 1970 la tassazione per
i più ricchi è diminuita in 29 paesi sui 30 per i quali erano
disponibili dati. I ricchi non solo guadagnano di più, ma pagano anche
meno tasse”) e con tasse patrimoniali;
- contrastare efficacemente l’evasione fiscale;
- regole più efficaci nel contrastare la corruzione e
l’utilizzazione “della ricchezza per ottenere favori politici
che minano la volontà democratica”;
- maggiore trasparenza nella finanza (ad es. “rendere
pubblici tutti gli investimenti nelle aziende e nei fondi”);
- no alla privatizzazione dei servizi sociali (“i
governi utilizzino le entrate fiscali per fornire assistenza sanitaria,
istruzione e previdenza sociale”);
- minimi salariali dignitosi e sostegno al reddito.
Quando si parla di povertà e di poveri molti pensano: “Che tragedia!
Poverini! Che si può fare!”. Ci si sente impotenti e si finisce, quindi,
per distogliere l'attenzione e pensare ad altro. La povertà è
ancora oggi dai più vista come una fatalità, una disgrazia
che capita ad alcuni e contro la quale poco si può fare, se non dare un
pasto caldo, delle coperte o degli abiti che non si usano più o qualche
spicciolo. Occorrerebbero più posti di lavoro, ma c'è la crisi economica
e l’economia non riparte, non resta quindi, come intervento pubblico,
che costruire qualche dormitorio in più, sostenere il volontariato che
si interessa di queste persone, dare qualche esenzione (ticket sanitari,
tasse) o qualche piccolo bonus. Le cose stanno veramente così?
Non ne siamo per niente convinti.
Come sempre è bene partire dai dati per capire innanzitutto quale è la
situazione e cosa si è fatto.
Si stima che i senza tetto in Italia siano circa 60.000, le
persone in stato di povertà assoluta1 sono 4.598.000,
quelle in povertà relativa2 8.307.000. Tali numeri sono in crescita da
prima della crisi economica. La povertà non colpisce solo i disoccupati
(un lavoratore su 10 è disoccupato) ma anche i lavoratori: gli
“imprenditori di sé stessi” (come si diceva qualche anno fa) e i
lavoratori dipendenti, tra questi soprattutto gli operai (il 12%
degli operai è in povertà assoluta).
Ormai moltissimi economisti sono convinti che una tale massa di
poveri e di persone che riescono a stento ad arrivare alla
fine del mese è una delle cause principali della crisi
economica. E' inutile, dicono, abbassare il costo del denaro
(la Banca d’Europa lo ha abbassato allo 0% - non è un errore, avete
letto bene 0%), dare e soldi e incentivi alle banche e alle imprese,
perché, se non ci sono sufficienti persone che comprano, la
produzione non può ripartire e questo fiume di soldi prende
la strada della finanza (si guadagna di più a giocare in borsa che a
produrre merci e servizi). Inoltre altri economisti ritengono che la
disoccupazione di massa è ormai un dato strutturale perché con le nuove
tecnologie si produce ricchezza con molto meno manodopera e questo
fenomeno si accentuerà sempre più.
E' soprattutto su queste basi, più che per motivi etici, che si discute
di “sostegno al reddito” e di “reddito di cittadinanza”, che sono cose
molto diverse.
Il “reddito di cittadinanza” è un reddito
minimo garantito a tutti i cittadini senza condizioni,
lavoratori e non lavoratori, poveri e ricchi (poi con la tassazione
progressiva, come è giusto, lo Stato riprenderà ai benestanti e ai
ricchi quanto versato e anche molto di più). Attualmente esiste solo in
Alaska e, sperimentalmente, in Finlandia. In Italia, malgrado i titoli
di giornali e proposte di legge, nessun partito propone una tale misura.
Il vantaggio del reddito di cittadinanza è che è di facile applicazione
(non richiede certificazioni, verifiche, controlli, burocrazia), fa sì
che le persone non siano più disposte a qualsiasi lavoro (anche mal
pagato o in nero) pur di campare e tendano ad aumentare la loro
formazione. Ovviamente costa (si stima 350 miliardi l'anno per
l'Italia).
Il “sostegno al reddito” è invece un reddito che viene
dato solo a chi è in determinate condizioni.
In Europa tutti i Paesi hanno un sostegno al reddito per i disoccupati.
L'Italia ha un sostegno (NASPI) pari al 75% della retribuzione
percepita prima della disoccupazione, per una durata
pari alla metà delle settimane lavorate negli ultimi 4 anni,
solo per i disoccupati involontari e solo per alcune categorie di
lavoratori (sono esclusi i dipendenti a tempo indeterminato della PA e
gli operai agricoli). Le persone che continuano ad essere
disoccupate dopo il periodo del NASPI, possono avere un assegno
per non più di 6 mesi, pari al 75% del NASPI,
se hanno un reddito familiare ISEE inferiore a 5000 euro, più di
55 anni o un minore a carico.
Da tempo molti Paesi europei hanno anche un sostegno economico
per chi è sotto una determinata soglia di reddito. L’Italia
non ha un tale strumento ma una pluralità di azioni da parte di Comuni,
Regioni e Stato.
Berlusconi nel 2008, per esempio, ha varato per
gli ultrasessantacinquenni con reddito ISEE inferiore a 6.000 euro
(ricordiamo che tutti gli ultrasessantacinquenni privi di pensione o
redditi hanno diritto all’assegno sociale di 448 euro mensili) e le
coppie con redditi sotto i 6000 euro e con figli sotto i 3 anni, una card
magnetica, ricaricata ogni mese con 40 euro, per comprare
prodotti alimentari in negozi convenzionati e pagare bollette alla
posta. Costo per lo Stato poco meno di 400 milioni di euro
(di cui 20 milioni per card, lettere, pubblicità).
Renzi nel 2014 ha istituito il “credito IRPEF”
di 80 euro mensili per i lavoratori dipendenti o “assimilati”
che guadagnano tra 8.000 e 26.000 euro (tra 24 e 26 euro la
somma si riduce fortemente). Se non si lavora non si ha diritto al bonus
e se a fine anno si scopre che si è guadagnato meno di 8.000 euro o più
di 26.000 si devono restituire le somme percepite.
Dal settembre 2016 è partito anche il SIA (sostegno di
inclusione attiva), 80 euro mensili per ogni membro
di famiglie con reddito ISEE inferiore a 3.000 euro e con minori o
handicappati. Nel 2017 per il SIA è previsto in bilancio 1
miliardo di euro (ma è prevista anche una “razionalizzazione”
di altre forme di sostegno alla povertà e, quindi, probabilmente parte
di questo miliardo sarà finanziato sempre da fondi per il contrasto alla
povertà). In realtà per portare tutti i 4.580.000 poveri
assoluti fuori da questa condizione (appena sopra il reddito
che separa questa condizione da quella dei poveri relativi) occorrerebbero
7 miliardi di euro3.
Sono troppi e non possiamo permettercelo?
Se si considera che ogni anno l’Italia dà 14,8 miliardi di euro
a imprese delle fonti fossili (centrali elettriche, società
petrolifere, autotrasportatori, ecc.), che grazie all’abolizione sulla
tassa sulla casa l’Italia ogni anno incassa circa 5 miliardi in meno (5
miliardi ai proprietari di casa, quando tra il 20% più
povero il 66% non abita in casa di proprietà e tra i poveri assoluti ben
pochi) e, grazie alla riduzione della tassa sulle società (IRES) ogni
anno si incassano 2,5 miliardi in meno (2,5
miliardi a ricchi e benestanti, in gran parte), che nel 2015
sono stati dati 3 miliardi di aiuti all’industria bellica per
innovazione e ricerca, che si spendono 13,5 miliardi
per i cacciabombardieri F35 e 5 miliardi per cercare
di salvare il Monte dei Paschi e difendere i depositari dei
conti, non si può concludere che l’Italia può permetterselo benissimo,
ma i Governi preferiscono dare soldi a ricchi, benestanti e ceto medio.
Quindi ogni anno si danno svariati miliardi a ricchi e
benestanti e non ai poveri, anche se ormai si sa che le
eccessive disuguaglianze di reddito sono un freno all’economia.
Se poi si pensa che in soli 3 anni la BCE, la banca europea, ha
dato 4.500 miliardi di euro a istituzioni finanziarie, si
resta basiti e indignati. Si è detto, come sempre, che tale enorme fiume
di denaro andava dato per salvare l’economia e quindi il benessere di
tutti, ma, come è scritto nel relativo rapporto della Commissione
Europea “ciò ha permesso di evitare il pesante fallimento del sistema
bancario e lo sconvolgimento dell’intera economia europea, deteriorando
però lo stato di salute delle finanze pubbliche (con grave danno dei
cittadini) senza al contempo riuscire ad affrontare il problema di come
trattare quei casi in cui grandi banche internazionali si trovano in una
situazione di pericolo”4.
Leggendo questo brano si comprende chiaramente che quando
sentiamo dire “economia europea”, “economia italiana”,
“ripresa dell’economia”, “miglioramento dell’economia”,
“crisi dell’economia” bisogna stare accorti, perché probabilmente si
sta intendendo la situazione economica degli investitori (banche,
società finanziarie, ricchi, speculatori ecc.) e non quella dei
Paesi e dei cittadini: per loro il “miglioramento” dell’economia
potrebbe essere un “grave danno”.
1) Si è in povertà assoluta quando non si ha un
reddito tale da garantire i bisogni essenziali. L’ISTAT stabilisce delle
soglie di reddito (che variano in base al territorio e al numero di
componenti del nucleo familiare) per calcolare la povertà assoluta. Per
un una famiglia di 2 persone sono 844 euro al mese, cioè 422 euro a
persona.
2) Sono in povertà relativa, tutti quei soggetti che
non sono in povertà assoluta e che hanno un reddito tale da avere
consumi al di sotto della media delle persone della zona geografica
nella quale si risiede.
3) Stima dell’Alleanza contro la Povertà www.redditoinclusione.it
4) Commissione Europea “New crisis management measures
to avoid future bank bail-outs” 6/6/12 http://europa.eu/rapid/press-release_IP-12-570_en.htm
Fonti:
ISTAT: La povertà in Italia (2016) http://www.istat.it/it/archivio/189188
ISTAT: Il sistema della protezione sociale, Rapporto annuale 2016
Legambiente: Stop sussidi alle fonti fossili 2016
Sbilanciamoci (www.sbilanciamoci.it)
Oggi vi proponiamo un quiz, un “gioco” da fare con un gruppo di amici o parenti (oppure anche da soli). Si tratta di rispondere alle seguenti domande e poi verificare chi si è avvicinato di più al dato reale, aprendo il file nella pagina. Il gioco si presta a varie considerazioni e, al termine delle risposte, ve ne proponiamo alcune e vi facciamo anche una proposta operativa.
Ecco le domande:
C’è in Italia un epidemia di meningite? A leggere i
giornali si dovrebbe rispondere si. Infatti quasi tutti i giornali
hanno scritto dell’epidemia di meningite in Toscana e varie testate
hanno esteso questa condizione all’intero territorio italiano. Vediamo
come stanno i fatti.
Per la malattia causata dal meningococco secondo la definizione
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ci devono essere più
di 100 casi ogni 100.000 abitanti in un anno per parlare di epidemia
[1]. Nel 2015 vi sono stati in Italia 174 casi di
meningite da meningococco su 60 milioni di Italiani, cioè 1
caso ogni 347.000 persone (uguale ad un’incidenza di 0,32
casi ogni 100.000 abitanti), nel 2016 (dato ancora non
definitivo) sembrano siano stati 175, cioè 1 caso ogni 343.000
abitanti (incidenza 0,29). In Italia, quindi, c’è un’incidenza 350
volte più piccola di quella che permette di parlare di epidemia. Forse
l'epidemia c’è in Toscana? Neanche, perché i casi di
meningite sono stati 31 nel 2015 e 28 (dato provvisorio) nel 2016 (su
una popolazione di 3.753.000 abitanti); cioè, nel 2015, 1 caso ogni
121.000 abitanti, con un'incidenza 0,83 casi ogni 100.000
abitanti [2]. L'incidenza della meningite in Toscana è più
bassa di quella presente in Lituania (1,8 su 100.000), Irlanda, Regno
Unito, Danimarca, Svezia, Francia, dove non c'è nessun panico tra i
cittadini e dove non si vaccinano in massa i cittadini.
Possiamo dire quindi che Repubblica, Corriere, Mattino, La
Nazione, La Stampa, Il Tirreno ecc. hanno dato una notizia falsa.
E’ l’hanno data spesso con toni drammatici, ansiogeni e in alcuni casi
apocalittici (“Sembra indistruttibile, un’onda che avanza,
travolge, si ritira ma senza mai smettere di rimanere in agguato: Il
nemico alle porte. E’ tornata ancora una volta a colpire con il suo
gorgo di spettri e paura la meningite” Il Tirreno 7/9/16).
C’è da chiedersi: perché spaventare così i cittadini? Perché
tanta attenzione e preoccupazione per una trentina di morti
all’anno e nessuna attenzione e preoccupazione per i 40.000 morti
dovuti all’inquinamento atmosferico, i 75.000 dovuti al fumo di
tabacco, gli oltre 3.500 dovuti agli incidenti domestici, i 3.400
da incidenti stradali, i 1.172 morti sul lavoro?
L’effetto di queste notizie false o gonfiate è stato
un’ondata di panico e la ricerca di un “rimedio”
che potesse allontanare questa minaccia incombente. E il rimedio si
è subito trovato (grazie anche ai giornali): la
vaccinazione contro la meningite. La Regione Toscana ha
invitato tutti a vaccinarsi offrendo il vaccino gratuitamente (cioè
a spese della collettività e vaccinando circa 1 milione di persone).
Il vaccino, in realtà, non è un “ombrello” sicuro contro la
meningite. Infatti vi sono diversi tipi di meningite (A, B, C, W, Y) e
3 vaccini, uno contro la meningite C, uno contro la meningite B e un
altro (non adatto ai bambini) per i ceppi A, C, W e Y. Fino al 2014 la
meningite B era la più frequente (intorno al 50% dei casi) dal 2015 è
andata aumentando la meningite C. Il vaccino C ha effetto solo dopo
10-15 giorni e la protezione che dà diminuisce col passare del tempo
(secondo gli studi dopo 4-6 anni sono ancora protetti solo il 10-25%
dei vaccinati) [3, 4].
Del vaccino B non si sa ancora quanta protezione dà e per quanto
tempo, ma nonostante ciò è stato inserito nel piano nazionale vaccini
e verrà consigliato e dato gratuitamente ai bambini.
Ogni persona vaccinata costa (tra costo del vaccino, tempo-lavoro del
personale dell'ASL ecc.): le stime vanno da alcune decine di euro a
oltre 100 euro. Tutto questo allarmismo e queste decisioni delle
Regioni e del Governo costeranno quindi un bel po' di soldi alla
collettività. Ne vale la pena. Crediamo di no. E non perché siamo
contrari ai vaccini (tutt'altro, sono un presidio importantissimo per
prevenire le malattie infettive e le notizie che circolano in internet
su autismo, alzheimer, tumori ecc. sono tutte bufale), ma perché l'OMS
suggerisce la vaccinazione di massa solo quando l'incidenza della
meningite è superiore a 10 casi su 100.000 [5]
Le scelte di sanità pubblica dovrebbero essere dettate dall'evidenza
scientifica, da valutazioni globali, da principi di equità, giustizia,
sostenibilità, efficacia ed efficienza, non da notizie false o
gonfiate della stampa, né dal panico ingiustificato dei cittadini. Se
si seguissero questi criteri le Regioni avrebbero varato piani di
formazione dei medici di base in modo da aumentare la competenza nel
dare consigli e da fare in modo che tutti i medici chiedano ai loro
assistiti se sono fumatori (solo il 40% dei medici di base lo fa [6])
e che tutti gli assistiti ricevano il consiglio di fare attività
fisica (solo il 31% lo riceve [6]), di non mangiare in quantità
eccessiva, di assumere 2-3 porzioni di verdure al giorno, di evitare
carni conservate ecc. Questo intervento di sicura efficacia,
pochissimo costoso, privo di “effetti collaterali” è stato attuato
solo da pochissime Regioni. Sicuramente sarebbe stato più saggio
investire fondi contro le disuguaglianze di salute, per assumere
dietisti e assistenti sanitari (estremamente carenti in tutte le ASL
italiane), per fare piste ciclabili (che avrebbero salvato almeno
parte dei 273 ciclisti investiti nel 2015, ridotto l'inquinamento
atmosferico e il numero di persone che fa poca attività fisica). Ma la
stampa su questo non martella mai, i cittadini non protestano per
esigere questi provvedimenti e i politici sono “poco attenti e
sensibili”. Sarà perché sui vaccini ci sono forti interessi economici
e nell'educazione sanitaria e nella promozione della salute no?
Note:
1) WHO: Meningococcal Vaccines: WHO position paper, November 2011.
2) Ist. Sup. Sanità: Dati di sorveglianza della malattia batteriche
invasive www.iss.it/binary/mabi/cont/Report_MBI_20161116_v11.pdf.
3) Borrow R et al. Antibody persistence and immunological memory at
age 4 years after meningococcal group C conjugate vaccination in
children in the United Kingdom. Journal of Infectious Diseases, 2002.
4) Perrett K P et al. Antibody persistence after serogroup C
meningococcal conjugate immunization of United Kingdom primary-school
children in 1999–2000 and responseto a booster: A phase 4 clinical
trial. Clinical and Vaccine Immunology, 2010.
5) www.epicentro.iss.it/problemi/meningiti/meningite.asp.
6) Ist. Sup Sanità: indagine PASSI 2013 www.epicentro.iss.it/passi/rapporto2013/R2013Indice.asp
Il 75% dei fondi statali per competitività e sviluppo delle
imprese va ad aziende del settore bellico (in primis
Finmeccanica, oggi divenuta Leonardo). Sono circa 3 miliardi all’anno.
Nella nuova finanziaria, anzi, è previsto un aumento di 300 milioni di
euro (quindi nel 2017 saranno 3.3 miliardi di euro).
Non crediamo che è nell’interesse degli italiani dare questo banco di
soldi alle industrie belliche. Se si devono dare finanziamenti per
favorire innovazione, sviluppo e competitività non sarebbe più utile
finanziare aziende green, biomediche, tessili, alimentari, di
componenti per l’edilizia ecc.?
Sempre nella nuova legge di bilancio sono previsti 19,8
miliardi per la Difesa (non sono stati inclusi le nuove
spese per l’ex Forestale, oggi, per scelta governativa, confluita nei
Carabinieri.
Negli ultimi 10 anni la spesa per la Difesa è aumentata
dell'11,2% a valori correnti (il valore corrente è la
valutazione di un bene tenendo conto della variazione dei prezzi).
Nei 19,8 miliardi vi sono anche le spese per le funzioni di polizia e
ordine pubblico dei Carabinieri, che non dovrebbero essere conteggiate
come “spesa militare” (l’operazione “strade sicure” però è finanziata
a parte con 120 milioni). Ma nei 19,8 miliardi non sono
contemplate altre spese belliche, come quella per
le missioni militari all'estero
(totalmente a carico del Ministero dell'Economia e delle Finanze), ammontanti
a 1 miliardo e 300 milioni.
Questi dati sono nel rapporto “Rapporto annuale di MIL€X-Osservatorio
sulle spese militari italiane”, che rileva: “Lo Stato si pone al
servizio dell’industria, prima assumendosi il rischio d’impresa
tramite il finanziamento di tutta la fase di progettazione, sviluppo e
realizzazione di prototipi pre-serie, poi garantendo tramite grosse
commesse il finanziamento della fase di industrializzazione e
produzione su vasta scala, infine agendo come procuratore di commesse
estere. Se la Difesa ordina alle aziende una quantità di mezzi e
sistemi d’arma che risponde a necessità industriali e commerciali
private, non a necessità politico strategiche pubbliche, il risultato
sono programmi di acquisizione sovradimensionati (e dai costi
molto elevati) non solo rispetto alle reali necessità di difesa
nazionale ma anche alle capacità economiche di gestione e
manutenzione di questi mezzi”.
Non si può non pensare ai famigerati 90 cacciabombardieri F35
(costo 13,5 miliardi). Il rapporto riporta un documento
riservato inviato al Parlamento nel 2014 da ex alti ufficiali
dell’Aeronautica ed ex dipendenti di Alenia (Finmeccanica), nel quale
si afferma che la flotta aerea da attacco italiana è
giudicata più che sufficiente rispetto alle esigenze operative e
strategiche del nostro Paese e il programma F-35 assolutamente
“sproporzionato”. Malgrado tale autorevole parere e
nonostante il Parlamento nel 2014 abbia votato una mozione di
maggioranza che impegnava formalmente il governo a “dimezzare” il
budget del programma F-35, nessun provvedimento è
stato preso se non quello di aumentare il budget da 13 a 13,5
miliardi per l’acquisto di tali aerei.
Tutto ciò serve a “garantire la pace”, come ogni
volta ci viene detto, o gli interessi economici di ristretti
gruppi di individui?
Un'iniziativa che a nostro avviso realmente è di promozione della
pace è quella del movimento “Donne per la Pace”, nato
in Israele nel 2014 da una trentina di donne e diventato adesso un
movimento con migliaia di attiviste e simpatizzanti, israeliane e
palestinesi, ebree, musulmane e cristiane. Nel 2015 hanno organizzato
una marcia a tappe per complessivi 200 Km a cui hanno partecipato
migliaia di donne. Ora hanno promosso un video su
una canzone - “Prayer of the Mothers” - composta ad hoc
dalla cantante israeliana Yael Deckelbaum. La canzone è cantata
da donne ebree, musulmane e cristiane e riporta filmati
della lunga marcia per la pace. Nel giro di pochi giorni solo su
Youtube ben 700.000 persone l’hanno visionato (www.youtube.com/watch?v=YyFM-pWdqrY).
Sono queste le iniziative che realmente disinnescano i processi
di intolleranza, violenza, guerra e che nutrono la speranza in un
mondo migliore. Il nostro mondo ne è pieno: basta pensare alle molte
organizzazioni e ai tanti volontari che si impegnano nell'accogliere i
migranti, nell'assistere in vario modo chi è in difficoltà (senza
guardare se è bianco o nero, a quale popolo appartiene e quale
religione professa), nel combattere i meccanismi che generano la
povertà e l'emarginazione, nel difendere i diritti dei lavoratori,
nella tutela dell'ambiente, nella promozione della nonviolenza e della
pace. Purtroppo gli organi di informazione e i mass media in
genere non prestano molta attenzione a questi costruttori di pace e
di un mondo migliore (tranne il Fatto e poche altre
testate, i giornali non hanno dedicato neanche un rigo alle iniziative
delle Donne per la Pace).
Anche 2000 anni fa nessuno si accorse della nascita di Gesù e,
quando attraversò la Palestina portando il suo messaggio di
fratellanza universale e d'amore anche per i nemici in pochi lo
seguirono. Eppure il suo messaggio non si è estinto ed è stato ed è
una potente forza di cambiamento e di promozione umana.
E' con questo spirito che noi della Marco Mascagna, credenti e non
credenti, ricorderemo la sua nascita. La nascita di un grande
messaggero e operatore di pace, giustizia, fraternità, del testimone
del Dio-Amore padre di tutti (da cui la fratellanza tra
tutti gli uomini), dell'annunciatore della buona novella che
ci fa vedere il futuro sotto un'altra luce e ci sprona ad
impegnarci.
E' con questo spirito che auguriamo a tutti buon Natale.
L'inquinamento atmosferico è il più importante problema ambientale
dell'Europa e dell'Italia. Le ricerche scientifiche sono tutte
concordi che esso è un importante fattore nella genesi di tumori,
malattie cardiache e respiratorie. Grazie a complesse indagini
epidemiologiche (studi longitudinali) oggi possiamo stimare anche
quanti morti ogni anno esso determina: per l'Italia sono
circa 40.000 morti ogni anno [1]. Ma prima di arrivare alla
morte ci sono le sofferenze, i ricoveri, le cure, gli interventi
chirurgici. Non prendere sul serio questo problema è indice di cinismo
o irresponsabilità.
La causa principale dell'inquinamento è il traffico su gomma
(auto, moto, camion). La UE ogni paio di anni o poco più emana una
direttiva con i limiti massimi di emissione ammessi per i veicoli (i
famosi euro 3, euro 4, euro 5, euro 6). Dalla fine del 2015 tutti i
nuovi veicoli devono rispettare i limiti euro 6. Se c'è una legge,
così dovrebbe avvenire e se qualcuno non la ottempera dovrebbe essere
severamente punito. In realtà tali limiti sono del tutto fittizi. Una
recente ricerca europea ha evidenziato che il 66% delle auto
euro 6 e l'82% di quelle euro 5 emettono il triplo degli ossidi di
azoto previsti dalla normativa. Nessuna delle
migliaia di auto esaminate aveva emissioni in regola. Le
auto euro 6 più inquinanti erano Fiat, Renault, Opel,
Hyundai, le euro 5 Renault, Land Rover, Hyundai, Opel [2].
Perché avviene questo? Per una serie di motivi:
1) la direttiva UE stabilisce test in “laboratorio” per
controllare i livelli di emissioni dei vari modelli di auto (test
varati negli anni 80) e non su strada e non definisce con
precisione le condizioni in cui deve essere effettuato il
test. Le case automobilistiche mettono in atto una serie di
trucchi per aumentare l'efficienza dell'auto e diminuire le
emissioni. Per esempio l'auto è guidata da un computer e
non da un uomo (così pesa meno), le ruote sono gonfiate a livelli
limite per ridurre al massimo l'attrito, l'alternatore è staccato
dalla batteria (cioè non si carica la batteria) ecc. In questa maniera
i consumi e le emissioni dell'auto hanno valori che sono impossibili
da avere in condizioni normali.
2) i test sono eseguiti spessissimo non in laboratori UE o
indipendenti, ma nei laboratori e con personale delle medesime
aziende automobilistiche e solo la presenza di un addetto
dell'ente certificatore
3) non esiste un ente certificatore europeo, ma tanti enti
quanti sono gli Stati UE e le aziende possono decidere loro
da quale di questi enti farsi certificare. Il rischio di corruzione e
di brogli è quindi molto alto.
4) una volta che il veicolo è omologato se lo stesso veicolo
su strada non rispetta i limiti l'azienda non rischia niente, perché
non esistono sanzioni.
Insomma le regole UE sono sfacciatamente dalla parte delle
case automobilistiche e non tengono in nessun conto i
cittadini.
Questa situazione va avanti da molti anni (la
direttiva con le norme di effettuazione dei test è del 1991,
modificata poi nel 1998). In realtà varare ogni 4-5 anni
nuovi limiti (come abbiamo detto in gran parte fittizi) è
soprattutto un espediente per far vendere più auto.
Infatti, le amministrazioni comunali, per cercare di contenere
l’inquinamento, vietano la circolazione alle vetture più vecchie, e le
persone sono così spinte a comprare un veicolo più recente, anche se
quello che avevano è ancora perfettamente funzionante.
Nel 2010, al termine della Conferenza su Salute e
Ambiente, i Governi dei Paesi della UE avevano firmato tutti un documento
nel quale si impegnavano a cambiare in tempi brevi la normativa
per rendere i test rigorosi e corrispondenti all'effettivo consumo ed
inquinamento emesso su strada. Tale impegno si è rilevato essere solo
una chiacchiera. Nel 2014 il Parlamento europeo ha approvato
una risoluzione che impegnava la Commissione a varare questa
direttiva. La Commissione aveva promesso di delegare i
controlli sulle emissioni al Joint Research Centre (JRC), un
ente della UE, e di modificare i parametri del test in laboratorio,
introducendo anche un test su strada. Ma le aziende automobilistiche
hanno fatto pressioni sui Governi e questi hanno chiesto che ciascun
Paese possa effettuare i test. Contemporaneamente è
iniziata la gara per rendere i test meno rigorosi. In
questa gara il Governo italiano ha battuto tutti. L’Italia ha
infatti propostoche il livello di NOx ammissibile
per i diesel fino al 2020 fosse triplicato (fattore di
Conformità 3). Questa la testuale proposta italiana: “per seguire
un approccio bilanciato che tiene in conto le esigenze ambientali e
di salute e salvaguarda i recenti investimenti Euro 6 sulla
calibrazione del software occorre adottare un fattore di conformità
non inferiore a 3 per il primo periodo. Con riferimento allo studio
del JRC, ciò significherebbe che il 60% dei test che oggi violano i
limiti emissivi NOx rientrerebbero nel nuovo limite” [3]. La
finalità è chiara: fare in modo che anche i modelli che emettono il
triplo del NOx ammesso (il 60% delle auto) siano “in regola”
e che quindi le case automobilistiche non abbiano alcun problema. La
proposta italiana supera perfino quelle delle aziende dell’auto che,
con più pudore, avevano chiesto un fattore di conformità 1,5 (cioè la
metà di quello proposto dall’Italia) [4].
In ultimo sono arrivati i dati dei controlli che i diversi Paesi
dovevano effettuare per verificare (tramite test su strada) gli
effettivi livelli di emissione dei veicoli in circolazione (euro 5 e
euro 6). L’Italia si è distinta per avere effettuato i test
solo su auto euro 5 [5]. Perché non sono stati controllati gli euro
6? Forse proprio perché tra le euro 6 le auto più inquinanti sono
della FIAT?
Si dice “bisogna contemperare la tutela della salute e dell'ambiente
con le ragioni dell'economia”. Ma qui non si tratta di “contemperare”
perché la tutela della salute soccombe e la priorità è
l'economia. Ma, in realtà, dire “economia” è una
mistificazione. Non è l'economia che viene danneggiata ma i
profitti delle aziende automobilistiche. L'inquinamento
atmosferico, infatti, ha anche un pesante costo economico: 89
miliardi di euro all'anno per l'Italia, 693 miliardi per la UE [6].
Sono il costo delle cure, delle morti, delle giornate di lavoro perse
per la quota di malattie respiratorie dovute all'inquinamento. Ma
questi costi li paghiamo noi non le case automobilistiche e per questo
al nostro Governo non interessano.
Note:
1) stime basate su OMS “Health effects of transport related air
pollution, 2005 e “ESCAPE project”, Lancet, 2014.
2) Trasport and enviroment: Dieselgate: Who? What? How? September 2016
www.transportenvironment.org/sites/te/files/2016_09_Dieselgate_report_who_what_how_FINAL_0.pdf
3) www.cittadiniperlaria.org/sites/default/files/20160126115542947.pdf
4) ACEA - European Automobile Manufacturers Association https://circabc.europa.eu/webdav/CircaBC/GROW/wltp/Library/meetings/151001%20-%20RDE-LDV_Uncertainty_evaluation%20%28audio_web%29/2015-10-
5) Il Sole 24 Ore 24/9/16 http://mobile.ilsole24ore.com/solemobile/main/art/notizie/2016-09-14/i-diesel-euro5-passano-solo--test-ue-231717.shtml?uuid=ADivCIKB
6) WHO-OECD: Economic cost of the health impact of air pollution in
Europe, 2016
La salute sta a cuore a tutti. Non avere malattie o disturbi, vivere
a lungo, in forma e in perfetta salute è un desiderio di tutti. Da
vario tempo, per realizzare questo desiderio, l'attenzione è
polarizzata sull'alimentazione. Su internet pullulano le informazioni
e i consigli su “la dieta anticancro”, “I 10 alimenti della salute”,
“Gli alimenti che ci proteggono dal cancro” ecc. E, quasi sempre,
questi consigli sono avvalorati dal parere di un medico o di un
nutrizionista o da qualche “ricerca scientifica”.
Le informazioni e i consigli che oggi più frequentemente circolano in
rete (ma anche in TV, giornali, libri) sono questi:
a) alimenti che fanno male: olio di palma, alimenti di origine
animale, latte e derivati, zucchero, alimenti “industriali”, pane
bianco
b) alimenti che fanno bene: curcuma, mirtillo, zenzero, alimenti
biologici, soia e derivati, alimenti integrali, zucchero di canna,
cioccolato fondente.
Quanto c'è di vero in tutto questo?
Innanzitutto per affermare che qualcosa fa bene o fa male non
basta dimostrare che contiene una sostanza che fa bene o fa male.
Ogni alimento è formato da moltissime sostanze (anche migliaia),
quindi, come diceva Totò, è la somma che fa il totale, nel senso che
una singola sostanza positiva o negativa può essere neutralizzata o
compensata da altre sostanze negative o positive.
Le ricerche epidemiologiche non sono tutte uguali.
Alcune (gli studi trasversali) possono solo far sospettare che un
fattore possa essere in causa nella genesi o nel contrasto ad una
malattia, altre (gli studi di coorte) possono invece evidenziare i
nessi tra un fattore (ad esempio un alimento o una sostanza) e una
patologia (vedi il nostro scritto “ABC per orientarsi nei dati
epidemiologici”).
Le ricerche sull'alimentazione sono molto complesse e
insidiose perché ogni alimento è composto da tante
sostanze, perché ognuno mangia molti alimenti, perché è difficile
sapere con esattezza cosa e quanto le persone mangiano, perché
differenti stili alimentari si accompagnano a differenti stili di
vita.
Per affermare che c'è un nesso tra un fattore e una malattia
non basta che una o due ricerche lo evidenzino, ma è
necessario che più ricerche siano concordi (ovviamente se x ricerche
evidenziano che un fattore fa bene e y ricerche che fa male, si può
solo concludere che barcolliamo nel buio).
In ultimo ci sono i conflitti di interesse:
produttori del vino (di frutta secca, di soia, di olio di palma, di
cioccolato) che commissionano ricerche sul ruolo del vino (frutta
secca, soia ecc.) per stare bene oppure ricerche finanziate da
industrie che producono integratori (antiossidanti ecc.). Una forma di
“conflitto di interesse” è anche quando il ricercatore condivide
fortemente determinate opzioni. Per esempio un ricercatore che è un
convinto vegano o un entusiasta del progresso tecnologico può non
avere quello sguardo distaccato che deve esser proprio del ricercatore
scientifico. Per esempio Colin e Thomas Campbell (gli autori del libro
The China study) sono convinti vegani e le indicazioni che emergono
dal loro testo è che l'alimentazione vegana è quella più salutare,
anche se la ricerca scientifica ha dati molto contraddittori sul
rapporto latte (e derivati) e salute (il latte contiene sia sostanze
pro-cancerogene che anti-cancerogene; vari studi hanno evidenziato che
chi fa frequente uso di latte e derivati ha meno probabilità di avere
alcuni tumori come il cancro del colon-retto e forse del seno, ma
forse più probabilità di averne altri, come il tumore prostatico).
Quali sono allora le evidenze scientifiche sufficientemente
affidabili sul rapporto tra alimentazione e salute? Queste:
- l'obesità (quindi mangiare troppe calorie rispetto
all'attività fisica che si fa) ha molti effetti negativi sulla
salute (m. cardiovascolari, tumori, patologie epatiche,
osteoarticolari ecc.)
- mangiare troppe proteine aumenta il rischio di tumore e
(nei bambini) aumenta il rischio di obesità e sovrappeso.
- le verdure (e la frutta) hanno vari effetti salutari:
per esempio minore probabilità di avere alcuni tumori (es. intestino)
o di essere sovrappeso o obeso;
- mangiare troppi grassi saturi (soprattutto a catena
lunga) favorisce l'ipercolesterolemia e l'aterosclerosi;
- mangiare troppo salato fa male (ipertensione,
tumori).
Sufficienti evidenze vi sono anche sul rapporto tra carni
conservate e tumori, tra eccessivo consumo di carni rosse e tumori,
tra grassi trans e malattie cardiovascolari. Ma il rischio
è più basso rispetto ai fattori prima considerati.
Sul resto le evidenze sono poche o contraddittorie.
E' probabile che una dieta ricca di alimenti antiossidanti
faccia bene, ma si sa ancora poco (e gli antiossidanti non sono solo
nei mirtilli o nella curcuma, ma anche nelle erbe aromatiche, nel
pomodoro, nell'olio d'oliva, in tante verdure e frutti). E' probabile
che mangiare troppi zuccheri semplici non faccia
bene.
Quello che è certo e che la nostra salute non dipende da se
mangiamo o meno un alimento ma dalle nostre abitudini alimentari
complessive e quotidiane. E che vi sono altre abitudini (es
il fumo di sigaretta, la scarsa attività fisica, il consumo di
alcolici) che sicuramente fanno male.
Quindi è saggio e salutare (anche dal punto di vista psichico) prima
di prestare attenzione alle “pagliuzze” pensare alle eventuali
“travi” da rimuovere.
Spesso un'immagine spiega la realtà più delle parole, per questo vogliamo proporvi 3 immagini.
1) La foto mostra persone in attesa alla mensa Caritas di Via Monza a Milano. Ogni giorno circa 1000 persone mangiano a questa mensa. 20 anni fa erano meno di 100. Sono italiani e stranieri, giovani, anziani, persone di mezza età, disoccupati e persone che lavorano.
2) Il grafico mostra l'andamento della produttività e dei salari nei Paesi sviluppati. L'andamento non è parallelo, questo significa che la produttività è aumentata, ma il guadagno conseguito è stato intascato dai padroni, mentre i salari medi sono rimasti al palo.
Contemporaneamente la disoccupazione è aumentata (soprattutto tra gli operai). In Italia un operaio su 4 è povero (il 12 % degli operai è in povertà assoluta, il 18% in quella relativa: i peggiori dati degli ultimi 10 anni) [1].
3) Negli USA la forbice tra produttività e salari è ancora più accentuata che negli altri Paesi ricchi (figura 3).
In tutti i Paesi ricchi (Europa occidentale, Nord America e Oceania)
diminuiscono i salari (o sono stazionari), aumentano i poveri e le
persone in difficolta economica, aumenta la ricchezza di chi
è ricco e, quindi, si inaspriscono le disuguaglianze. I
Paesi in cui questi fenomeni sono più accentuati sono USA, Italia,
Inghilterra.
Negli USA il 16% della popolazione è povera. 20
milioni di persone sono in povertà estrema (reddito annuo inferiore a
12.000 dollari per una famiglia di 4 persone), 30 milioni in povertà
(reddito annuo tra 12 e 23.000 dollari per famiglia di 4 persone) [2].
Dal 2004 al 2014 il reddito medio delle famiglie americane è
diminuito del 14%. Il costo per l’abitazione, per il 40%
della popolazione meno abbiente, negli ultimi 10 anni è aumentato del
35% . Per cui il potere di acquisto dei meno abbienti è diminuito ben
più del 14% [3].
Negli ultimi 8 anni il numero di cittadini americani costretti a
ricorrere ai food stamps (buoni alimentari) è aumentato del 60% (erano
28 milioni ora sono 45 milioni).
Al tempo stesso cresce la ricchezza degli USA, ma va tutta verso i
cittadini più ricchi. Si stima che le 20 persone più ricche
possiedano 732 miliardi di dollari. Per raggiungere una
tale cifra si devono sommare tutte le ricchezze del 47% della fascia
meno ricca degli statunitensi (152 milioni di persone).
Molti sono rimasti sorpresi della vittoria di Trump negli USA, del Si
alla Brexit in Gran Bretagna o del crescente consenso ai partiti
“populisti” e a personaggi discutibili. Sicuramente i motivi di tali
eventi sono molteplici. Le immagini e i dati che prima abbiamo
mostrato probabilmente hanno molto a che fare con tutto ciò.
La storia sembra stare prendendo una brutta china, così come la prese
dopo la prima guerra mondiale. Ma siamo ancora in tempo per
porvi rimedio.
La povertà, le disuguaglianze, lo sperpero non sono eticamente
tollerabili: e già solo per questo bisognerebbe fare tutto
il possibile per porvi rimedio. Oggi sappiamo che sono anche
causa di crisi economiche, di insicurezza, di delinquenza, di
disgregazione del patto sociale, di conflitti, di crisi della
democrazia. Per questo la lotta alla povertà, alle
disuguaglianze, allo sperpero deve essere la priorità. Ogni scelta che
si compie deve essere vagliata chiedendosi se è a favore dei poveri o
no, se aumenta le disuguaglianze o le colma. Dobbiamo
metterci nei panni degli ultimi, vedere la realtà dal loro
punto di vista, coinvolgerci con loro. Sarà l'inizio di una
liberazione.
Fonti:
1) ISTAT: La povertà in Italia (2016) http://www.istat.it/it/archivio/189188
;
2) www.census.gov/prod/2013pubs/p60-247.pdf)
3) Pew Charitable Trusts www.vita.it/attachment/c805d40d-27fc-4390-aeee-d08378b3aa93
Medici senza frontiere ha pubblicato “Le 10 leggende più diffuse sulla migrazione sfatate ad una ad una” E' un'interessante iniziativa per contrastare i molti seminatori di odio, che cercano di inculcare false convinzioni sui migranti, spesso per guadagnare facili consensi o tornaconti politici. Inoltre è sempre bene verificare se le proprie opinioni non siano smentite dai fatti. Riportiamo una sintesi rimandando al sito (http://milionidipassi.medicisenzafrontiere.it/antislogan)
Amnesty International ha pubblicato un rapporto
sulla situazione dei richiedenti asilo in Italia da quale emergono
varie violazioni dei diritti umani. In particolare:
1) L'Italia ha siglato accordi bilaterali con governi
responsabili di orribili atrocità, come il governo
sudanese. Sulla base di questi accordi che non offrono garanzie di
tutela dei diritti umani, gruppi di migranti, in base a un processo di
screening frettoloso e superficiale e senza un’adeguata valutazione
dei rischi che il loro rimpatrio comportava, sono stati rimandati
verso Paesi nei quali erano a rischio di gravi violazioni dei
diritti umani.
2) Gli hotspot, nati per consentire maggiori
controlli all'arrivo sui rifugiati e migranti, con la distribuzione di
una parte dei richiedenti asilo in altri Stati membri per un esame
successivo delle loro domande di asilo, nei fatti sono stati solo un
modo per identificare velocemente e per decidere
frettolosamente, superficialmente e senza adeguate garanzie di
tutela dei diritti umani il rimpatrio di molti richiedenti asilo.
Inoltrela distribuzione negli altri Paesi membri è avvenuta in
quantità irrisoria.
3) Nonostante non ci siano dubbi che la maggior parte degli agenti di
polizia abbia continuato a fare il proprio lavoro in modo impeccabile,
testimonianze coerenti raccolte da Amnesty International indicano che
in vari casi si è fatto uso eccessivo della forza e vi sono
stati trattamenti crudeli, disumani o degradanti o, addirittura,
casi di tortura.
Il rapporto si conclude reiterando la richiesta dell’apertura
di canali sicuri e regolari, che forniscano alle persone e
alle famiglie a rischio di gravi violazioni dei diritti umani la
possibilità di trovare un luogo sicuro senza mettere a rischio le loro
vite.
L'intero rapporto è on-line
www.amnesty.it/ue-chiede-a-italia-di-usare-la-mano-dura-su-migranti-e-rifugiati-risultato-pestaggi-ed-espulsioni-illegali
Con 336 voti a favore, nessun voto contrario e 25 astenuti
(appartenenti ai gruppi di Forza Italia e Lega) finalmente è stata
approvata la legge contro il caporalato.
La segretaria nazionale della FLAI-CGIL ha dichiarato: “Non è
una vittoria di una parte, ma la vittoria di un Paese civile e
moderno, la vittoria di una Repubblica fondata sul lavoro”. Ma a
questa legge di civiltà sicuramente non ci si sarebbe arrivati senza
il sindacato e soprattutto la FLAI-CGIL e il suo
“Osservatorio Placido Rizzotto contro le agromafie e il caporalato”.
E' un impegno che dura da molti anni. Ne ricordiamo alcune tappe:
- la manifestazione dei braccianti stranieri
a Rosarno, nel 2008;
- tragici fatti di Rosarno del gennaio 2010.
Tre braccianti stranieri feriti da colpi di fucile ad aria
compressa, a cui seguì una manifestazione finita con cariche della
polizia, atti di violenza da parte dei manifestanti e “ronde di
cittadini” che picchiarono vari immigrati e incendiarono i capannoni
dove dormivano. La “rivolta” si concluse col trasferimento e
l'espulsione di molti stranieri.
Roberto Maroni dichiarò che questi fatti erano frutto del
“lassismo nei confronti degli extracomunitari”; il sindacato
sottolineò che dipendevano dal barbaro sfruttamento (con la
complicità della criminalità organizzata) e dalle inumane condizioni
di vita di questi lavoratori stranieri. Mesi dopo la Magistratura
arrestò esponenti della ndrangheta.
- nel 2011 viene lanciato il “Sindacato di strada”:
furgoni e camper del sindacato girano le campagne dove lavorano i
braccianti e le piazze e le strade dove sono reclutati i braccianti
agricoli e dell'edilizia, per fare conoscere i loro diritti,
organizzarli e sindacalizzarli;
- sempre nel 2011 il primo sciopero dei braccianti stranieri
(a Nardò). Sciopero organizzato grazie sopratutto al lavoro di Yvan
Sagnet1, un giovane camerunese
venuto in Italia per una borsa di studio all'Università di Torino e
che, avendo conosciuto sulla sua pelle le inumane condizioni di
sfruttamento dei braccianti, ha scelto di impegnarsi nel sindacato;
- i rapporti su caporalato e agromafie del Centro studi
Placido Rizzotto;
- la campagna “Ci mettiamo le tende”, come
ulteriore strumento del “Sindacato di strada” e occasione di
sensibilizzazione dell'opinione pubblica e di creazione di alleanze;
- l'attenta opera di creazione di alleanze:
con la Coldiretti, con le aziende sane ed oneste, con le
associazioni di volontariato impegnate con gli immigrati e contro le
mafie. E anche con varie sezioni locali della Confagricoltura,
riuscendo così a indebolire chi si opponeva a questa legge;
- il coinvolgimento dei partiti (le proposte
di nuove norme) e dell'opinione pubblica (la
petizione per sostenere le proposte di legge).
430.000 sono i braccianti vittime del caporalato di cui
360.000 stranieri. La FLAI-CGIL da sola ha oltre
280.000 iscritti (lavoratori dell'agricoltura e
dell'industria alimentare), di cui il 43% stranieri.
Ed è proprio questa forza e un lungo lavoro di lotte, alleanze,
informazione e ricerca del consenso che ha permesso di vincere
questa battaglia. A dimostrazione che il sindacato
è un soggetto fondamentale per garantire i diritti dei cittadini.
Fino a ieri il caporalato era punito con una semplice
contravenzione ora sono previsti fino a sei anni di
reclusione e fino a otto se c’è violenza o minaccia, sia
per il “caporale”, che per il datore di lavoro. Per ogni
bracciante reclutato attraverso l’intermediazione illecita, la
legge prevede multe da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore –
in caso di minaccia o violenza, la sanzione può arrivare fino a
2mila euro. Come criteri per verificare la “condizione di
sfruttamento”, il testo indica “reiterate retribuzioni difformi dai
contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle
organizzazioni sindacali, o comunque sproporzionato rispetto alla
quantità e qualità del lavoro”; “reiterata violazione della normativa
relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo
settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie”; “violazioni
delle norme in materia di sicurezza e igiene”; “sottoposizione del
lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a
situazioni alloggiative degradanti”. Inoltre, il testo prevede, in
caso di condanna, anche “la confisca dei beni” e i
beni andranno ad alimentare il Fondo Antitratta, che
dovrebbe finanziare anche programmi di assistenza per le vittime del
caporalato. Infine, viene potenziata la Rete del lavoro
agricolo di qualità, organismo attivo dal settembre 2015,
che certifica le aziende virtuose.
Purtroppo la legge non prevede il permesso di soggiorno per
l'immigrato che denuncia il caporale o il proprio datore di lavoro
(quindi oltre i 6 mesi di permesso previsti dal D.lgs del 2012). E'
l'unico dei punti della proposta dei sindacati a non essere stato
incluso nella legge.
L'aumento del caporalato e dello sfruttamento dei lavoratori
agricoli e dell'edilizia è anche la dimostrazione della pessima
politica sull’immigrazione. Se questi lavoratori,
indispensabili per la nostra economia, fossero regolarizzati si
darebbe un duro colpo al caporalato e alle agromafie,
un serio sostegno alle imprese oneste che
rispettano la legge e pagano il dovuto ai lavoratori e, facendo
emergere il lavoro nero, ci sarebbe meno evasione fiscale e
maggiori entrate per lo Stato. Si darebbero anche il giusto
salario a questi lavoratori, che così più facilmente potrebbero
integrarsi nella nostra società e rispettare le sue leggi.
1) Ivan Sagnet ha anche scritto con la Fandango due libri “Ama il tuo sogno” e “Ghetto Italia”
Aumenta il numero dei poveri (soprattutto tra gli
operai), aumentano le disuguaglianze. Questa è la
realtà fotografata dall’ISTAT.
Le persone in stato di povertà assoluta1 sono ormai
4.598.000, il valore più alto degli ultimi
10 anni. Nel 2014 erano il 6.8% della popolazione, sono
diventati (nel 2015) il 7,6%.
Le persone in stato di povertà relativa2 sono 8.307.000 (nel 2014
erano il 12,9, nel 2015 il 13,7). L’aumento della povertà si
è verificato soprattutto tra gli operai (dal 9,7% del 2014,
al 11,7%, per quanto riguarda la povertà assoluta, dal 15,5 al 18,1
per quella relativa). Ormai più di un operaio su 4 è povero
(anche questo è il peggiore dato degli ultimi 10 anni).
La povertà è più diffusa tra i giovani che tra gli anziani
(tra 18-34 anni il 9,9% è in stato di povertà assoluta, tra 35-64 anni
7,2%, oltre 65 anni 4,1)
Ma mentre chi si affanna per sbarcare il lunario e chi non naviga
nell’oro peggiorano la loro condizione, i ricchi non sono toccati.
Infatti aumentano ancora di più le disuguaglianze economiche:
l’indice di Gini3 relativo al reddito era nel 2007 di 0,313, nel 2014
(ultimo dato disponibile) è salito a 0,325, con un incremento
del 1,2%, un record se si considera che nei Paesi
OCSE l’aumento medio è stato di +0,08%.
Se poi si considerano non solo il reddito ma anche le entrate da
investimenti e trasferimenti, le disuguaglianze sono ancora più forti
e notevolmente peggiorate negli ultimi anni. L’indice in questo caso è
di 0,516 (nel 2007 era 0,487), un aumento del 2,9%, contro la media
OCSE dell'1,6%.
Tutto ciò non è una fatalità, ma la conseguenza di un
insieme di scelte che non sono attente a chi meno ha. Ne illustriamo
due.
Il Governo Renzi ha rinunciato a 3,6 miliardi di euro di
entrate per abolire la “tassa sulla prima casa” (o ridurla
al 4 per mille più 200 euro di bonus per ville e castelli). Chi ha una
casa di proprietà risparmia un po’ di soldi (anche un bel po’ se la
casa è grande e di lusso), ma chi non ha una casa di
proprietà non ha alcun vantaggio dall’abolizione di quella tassa.
Ora in Italia solo il 24% delle famiglie con “capofamiglia” sopra i 55
anni non abita in una casa di proprietà mentre tra le
famiglie con “capofamiglia” di età inferiore a 35 anni oltre il 55%
non abita in casa di proprietà. Solo il 14% dei dirigenti
non abita in case di proprietà, mentre tra gli operai sono il
53%. Tra il 20% più povero il 66% non abita in
casa di proprietà, tra il 20% più ricco sono meno del 10%.
Quindi l’abolizione/riduzione delle tasse sulla casa e il conseguente
trovarsi in tasca tra i 100 e i 2.000 euro in più (100 se si abita in
un casermone di periferia, 2.000 se in un grande e bello appartamento
di un quartiere chic) non ha riguardato la maggioranza degli
operai, dei giovani, di chi ha difficoltà ad arrivare alla fine del
mese.
Nel 2015 è costato 3,4 miliardi di euro il
bonus di 8.000 euro dato alle imprese per ogni nuova assunzione e
altri 2,7 miliardi lo sconto sull’IRAP. Quindi agli
imprenditori sono stati dati 6,1 miliardi. 6,1 miliardi
dati a chi è ricco o almeno benestante. Si dirà che però così si sono
creati nuovi posti di lavoro e quindi ne hanno beneficato anche chi è
in basso nella scala sociale. Effettivamente nel 2015 l’occupazione
netta (cioè la somma algebrica tra i posti creati e quelli
cancellati) è aumentata di 100.700 unità. Se fosse
tutto attribuibile a tali provvedimenti (cosa poco probabile)
significa che ogni posto di lavoro (per un anno) è costato
allo Stato circa 60.000 euro.
Secondo molti economisti3 si sarebbero creati molti più posti
di lavoro se questi 6,1 miliardi invece di darli agli
imprenditori lo Stato li avesse utilizzati per finanziare
opere pubbliche quali tutela del territorio e dei beni culturali,
sicurezza antisismica, mobilità sostenibile, risparmio energetico,
nonché per l’istruzione, la ricerca scientifica, la sanità, le
politiche sociali. Inoltre in questa maniera, invece di
aumentare, le disuguaglianze si sarebbero ridotte,
perché chi è ricco e benestante (gli imprenditori) avrebbe avuto meno
contributi, si sarebbero creati più posti di lavoro e si
sarebbe prodotto qualcosa di utile e di utile per tutti o per chi ha
meno. I 100.000 nuovi posti di lavoro creati dagli
imprenditori sono soprattutto nella grande distribuzione, nelle
attività di vigilanza e investigazione, nei servizi informatici, nelle
attività di assistenza alle persone (case di riposo ecc.), nella
produzione di prodotti in pelle e di componenti per autoveicoli. Cioè
in settori che in taluni casi (grande distribuzione, autoveicoli)
hanno un impatto negativo sull’ambiente, in altri sono utili solo a
chi è benestante o ricco (attività di vigilanza, case di riposo
private, prodotti in pelle, autoveicoli).
Insomma se si considerano solo l’abolizione della tassa sulla prima
casa e gli incentivi alle imprese il Governo aveva a disposizione 9,7
miliardi di euro che poteva investire per combattere le disuguaglianze
e le ha investite invece per aumentarle (infatti gli imprenditori
hanno aumentato il loro reddito mentre gli operai si sono impoveriti).
Una politica economica che non si sa se definire cinica o idiota. E’
infatti risaputo che le disuguaglianze economiche sono tra le
cause della crisi economica e un grave freno alla ripresa:
più poveri ci sono e più i consumi, e quindi le vendite, calano; più i
disoccupati e i precari aumentano e più i salari diminuiscono e,
quindi, aumentano i poveri; più i salari diminuiscono e più le imprese
riescono a fare buoni utili anche vendendo meno e sono meno
interessati all’innovazione; più il sistema produttivo è stagnante e
meno è conveniente investire in esso, mentre diventa più conveniente
dirottare i capitali in attività finanziarie; più aumenta la
finanziarizzazione e più l’economia è instabile e a rischio di crisi.
Non è solo per un’esigenza etica, ma anche per una economica
che bisogna combattere le disuguaglianze.
Levare ai ricchi (ad esempio ripristinando uno
scaglione IRPEF per i redditi sopra i 100.000 euro o introducendo una
patrimoniale come suggerito da molti economisti), dare ai
poveri (per esempio con un sostegno al reddito come esiste
in quasi tutti i Paesi europei) e creare occupazione con investimenti
in opere pubbliche di sicura utilità e ad alta intensità di manodopera
(non nel ponte sullo Stretto di Messina ma, per esempio, per prevenire
frane e alluvioni) serve a tutti. Forse anche
ai ricchi.
1) Si è in povertà assoluta quando non si ha un
reddito tale da garantire i bisogni essenziali. L’ISTAT stabilisce
delle soglie di reddito (che variano in base al territorio e al numero
di componenti del nucleo familiare) per calcolare la povertà assoluta.
Per un single chi risiede in una grande città del meridione la soglia
è 7000 euro all’anno (588 euro al mese); per una famiglia di 2 persone
10.100 euro all’anno (844 euro al mese, cioè 422 euro a persona)
2) Sono in povertà relativa, tutti quei soggetti che
non sono in povertà assoluta e che hanno un reddito tale da avere
consumi al di sotto della media delle persone della zona geografica
nella quale si risiede).
3) L’indice di Gini è una misura delle
disuguaglianze. Varia da 0 (assenza completa di disuguaglianze) a 1
(quando un solo soggetto possiede tutta la ricchezza e tutti gli altri
niente)
4) Per esempio gli economisti firmatari della
“Lettera degli economisti” (www.letteradeglieconomisti.it)
o quelli di Sbilanciamoci (www.sbilanciamoci.it)
Fonti:
ISTAT: La povertà in Italia (2016) http://www.istat.it/it/archivio/189188
Fana M, Raitano M: Il Jobs Act e il costo della nuova occupazione: una
stima. Eticaeconomia 2016 www.eticaeconomia.it/il-jobs-act-e-il-costo-della-nuova-occupazione-una-stima
ISTAT: Rapporto sulla competitività dei settori produttivi (www.istat.it/storage/settori-produttivi/2016/Rapporto-competitivita-2016.pdf)
Continuamente ci si lamenta che le cose non vanno come dovrebbero
andare: autobus che passano raramente, mesi di attesa per praticare un
accertamento sanitario, beni artistici mal tenuti, colline che franano
dopo un temporale, interi paesi che crollano per un terremoto,
criminali che agiscono indisturbati, evasori che se la godono
(l’evasione fiscale in Italia è sui 100 miliardi, secondo il Governo,
122, secondo Confindustria, 180 miliardi, secondo l’Associazione
Contribuenti Italiani e 270 miliardi, secondo l’Eurispes).
Sempre più spesso si accusa la Pubblica Amministrazione di
inefficienza e i dipendenti pubblici di essere
fannulloni: queste sono additate come le principali cause
dei problemi prima elencati.
Le soluzioni proposte sono: maggiore potere ai “capi”
(direttori, presidi ecc.), più decisionismo, più
controlli e più sanzioni per i lavoratori fannulloni,
privatizzazioni (“il privato sì che è efficiente e
competente!”).
E’ veramente questa la ricetta per migliorare le cose?
Nutriamo qualche dubbio.
Vi vogliamo raccontare un caso che forse dà qualche luce su altri
motivi per cui le cose non funzionano.
Le Regioni hanno tra i propri compiti quello di individuare i fabbisogni
di personale del Sistema Sanitario Regionale. E’ un atto
molto importante che deve scaturire da un’analisi attenta dei bisogni
di salute della popolazione (se i malati di Alzheimer sono in aumento,
bisognerà prevedere più geriatri, psicologi, educatori, infermieri; se
l’obesità è in aumento, bisognerà prevedere nutrizionisti, dietisti,
laureati in scienze motorie, diabetologi, psicologi, assistenti
sanitari ecc.). Da questo atto scaturiscono poi quanti posti le ASL e
gli ospedali possono mettere a concorso. Se la Regione sbaglia
l’individuazione dei fabbisogni accade che per molti anni non si avrà
abbastanza personale qualificato per affrontare un problema, mentre si
avrà un eccesso di personale per un’altra attività.
La Regione Campania nel luglio scorso ha varato un tale provvedimento.
Ecco alcuni dei fabbisogni indicati (per
un’ASL di 1 milione di abitanti come quella di Napoli, considerando
solo i distretti sanitari e il dipartimento di prevenzione,
quindi escludendo gli ospedali):
La Campania è al primo posto per percentuale di bambini
obesi/sovrappeso (48%), di bambini che non mangiano le 5
porzioni giornaliere di frutta/verdura (96%), di adulti
obesi/sovrappeso (48%), di fumatori (22%), di persone che
non fanno attività sportiva (95%); di adolescenti che non
fanno un'adeguata attività fisica (93%) e siamo ai
primissimi posti per gravidanze di minori e malattie
da scarsa igiene orale (carie, parodontite); le malattie
sessualmente trasmesse sono in forte aumento.
Quindi la Regione pensa che per affrontare il problema di
quasi mezzo milione di persone sovrappeso/obese e di circa 900.000
persone che non seguono un'alimentazione corretta bastano 5 dietiste;
che per affrontare il problema che a 12 anni il 43% dei bambini ha già
almeno un dente cariato (quindi per fare educazione all'igiene orale
nei 60.000 bambini di 6-12 anni) bastano 5 igienisti dentali (che
ovviamente, se fanno questo, non possono aiutare gli odontoiatri negli
ambulatori); che non vale la pena affrontare il problema dei
circa 120.000 soggetti sopra i 70 anni di età che fanno poca
attività fisica (infatti non sono previsti laureati in
scienze motorie, anche se l'Università di Napoli ha un corso di laurea
in Scienze Motorie per la Prevenzione e il Benessere che affronta
proprio questo problema); che 12 ostetriche bastano per i 10
consultori familiari (corsi pre-parto, pap test, consulenza
contraccettiva, nonché attività di educazione alla sessualità
responsabile e “sicura” per i 50.000 studenti delle scuole
superiori); che 5 assistenti sanitari (cioè
la figura professionale deputata alla promozione della
salute, educazione sanitaria e prevenzione) bastano
per coinvolgere in tali attività un milione di persone.
Però avremo 170 infermieri (figura
professionale deputata all'assistenza ai pazienti cioè a
medicare ferite, mettere clisteri, fleboclisi, fare prelievi,
movimentare persone allettate ecc.) nel Dipartimento di
Prevenzione che non ha nessun paziente.
Se tra qualche anno troverete infermieri che passano il tempo
a chiacchierare nel Dipartimento di Prevenzione non
sarà perché sono fannulloni, ma perché non hanno niente da fare.
Se tra qualche anno la percentuale di obesi, sovrappeso, fumatori,
inattivi, adolescenti-madri, malati di infezioni sessuali, persone con
denti cariati è rimasta identica o è andata aumentando (cioè quello
che succede da molti anni) non è per una fatalità o perché i cittadini
campani si vogliono male, ma perché la Regione non ha saputo
programmare. Anzi, non la Regione ma il Governo. La Regione Campania,
infatti, da vari anni è commissariata per la Sanità. Sulla base dei
principi illustrati prima (più potere al “capo”, più decisionismo
ecc.) si è nominato un Commissario Straordinario alla Sanità,
che ha molto più potere di un assessore, che decide senza
bisogno di consultarsi con nessuno (né la Giunta né il
Consiglio Regionale, né tanto meno sindacati e altri soggetti
sociali).
In altre epoche la bozza di decreto sui fabbisogni sarebbe stata data
ai sindacati e resa pubblica, così che se qualche soggetto voleva
proporre modifiche poteva farlo. Ora invece quest'atto è stato reso
pubblico il giorno della sua approvazione e sindacati, università,
associazioni di categoria hanno fatto notare le molte assurdità in
esso contenute, ma inutilmente, perché le decisioni erano prese.
Seconda considerazione: dare maggiore potere al “capo”,
evitare il confronto con le parti sociali in nome del decisionismo
può accelerare le decisioni, ma aumenta di molto la probabilità che
si prendano provvedimenti sbagliati. Se prima della sua
approvazione si fosse reso pubblico il documento così da potere
ricevere suggerimenti, forse si sarebbe ritardata l'approvazione di
qualche settimana, ma si sarebbe evitato di prendere decisioni che nei
prossimi anni determineranno varie e gravi inefficienze: centinaia
di infermieri pagati per non fare niente, centinaia
di dietisti, assistenti sanitari, laureati in scienze motorie ecc.
disoccupati mentre sarebbero così utili per risolvere i
gravi problemi di salute della Campania.
Perché il Commissario ha sballato così tanto i fabbisogni?
Perché, come scritto nel decreto, per le ASL “non risultano essere
stati individuati i benchmarks di riferimento nazionali”, quindi, si
è pensato di prendere come riferimento le indicazioni per gli
ospedali (tot infermieri ogni x medici). Ma negli
ospedali vi sono solo pazienti, mentre nel Dipartimento di
Prevenzione non vi sono pazienti e nei Distretti ve ne sono
molto pochi. Insomma una grande cantonata presa dal
Commissario governativo che, per i suoi atti è aiutato da
una società di consulenza la KPMG spa, una
multinazione che ha tra i propri slogan “Per creare
valore nel mondo della Sanità servono degli specialisti”).
Si sa il pubblico è pieno di incompetenti, il privato invece
...
Ritorniamo dopo la pausa estiva. Speriamo che abbiate passato un buon
agosto e che siete pieni di energia e di voglia di impegnarvi per
rendere questo mondo migliore.
25 anni fa, l'8 settembre, moriva Marco Mascagna,
dopo essere stato investito da un'auto. Lui su una bici, silenziosa,
leggera, discreta; l'investitore su un auto rumorosa, pesante,
arrogante. La sua morte è in linea con la sua vita: voleva un
mondo più ecosostenibile e per questo non amava moto e
auto; voleva che gli uomini fossero gli uni per gli altri e
per questo non tollerava l'egoismo, l'arroganza e la violenza e le
loro nefaste conseguenze (la guerra, il terrorismo, lo sfruttamento
dei lavoratori, le disuguaglianze, il degrado dell'ambiente); voleva
godere degli innumerevoli regali che il mondo ogni giorno ci offre
(un bel paesaggio, il tramonto, gli affetti sinceri, il sorriso di un
bambino o di una persona sconosciuta, la musica, la letteratura,
un'escursione in montagna o una pedalata a prima mattina). Era
convinto che per essere felici non occorrono soldi e potere
ma saggezza, e che per creare una società migliore non
serve una rivoluzione violenta (che chi sa quando e se
verrà), ma che ognuno si impegni ogni giorno a
realizzarla anche rendendo la propria vita coerente con quello che
predica.
Marco non è stato un leader politico, non ha ricoperto incarichi
direttivi, non ha scritto libri, né diretto film o condotto programmi
televisivi; non era ricco, né potente; non aveva seguito ed era
sconosciuto ai più anche nella sua città e nel suo quartiere. Eppure
ha dato un contributo importante ad un mondo migliore e dopo 25 anni
lo ricordiamo come se se ne fosse andato solo ieri.
Ogni volta che passiamo per i Giardinetti di Via Ruoppolo e vediamo
tutti quei bambini, giovani, adulti, anziani avere un momento di
svago, relax, incontro, convivialità, non possiamo non pensare che se
Marco non ci fosse stato quasi certamente i Giardinetti sarebbero
scomparsi e al loro posto vi sarebbe ora un parcheggio
sotterraneo da 900 posti col via vai di auto, emissione di fumi,
ingorghi. Invece si sono perfino trasformate in aree verdi quelle che
una volta erano strade piene di macchine (una vittoria a cui solo
Marco e pochi altri ingenui sognatori credevano 25 anni fa: ma spesso
sono proprio i sognatori quelli che comprendono meglio come può
evolvere la realtà e che maggiormente incidono su di essa).
Se pensiamo a tutti i volantini che Marco ha distribuito contro il
nucleare civile e militare, contro l'inquinamento atmosferico e ai
tanti incontri che ha tenuto nelle scuole su questi ed altri temi,
alle ore ed ore che ha passato per documentarsi meglio per fornire
informazioni precise e veritiere, non possiamo non pensare che tutto
questo impegno non è stato vano e che ha contribuito a creare
le condizioni perché alcune battaglie potessero essere combattute e
anche vinte.
Insomma: non è vero che “Non serve a niente impegnarsi”,
non è vero che “Tanto non si ottiene niente”.
Certamente nessuna vittoria ci è garantita, la situazione può
migliorare ma anche peggiorare. Sicuramente se ce ne stiamo con le
mani in mano, se smettiamo di interessarci, di darci da fare,
se ci limitiamo a brontolare le cose peggioreranno, ma se
faremo come Marco il nostro impegno non sarà inutile. E, per fortuna,
l'impegno che ci viene chiesto nelle attuali condizioni della
nostra società non necessita di scelte coraggiose, non
mette a repentaglio la nostra vita e i nostri cari come in altre
situazioni è successo e succede. L'impegno che dobbiamo dare si
concretizza nel partecipare ad una manifestazione o ad un sit-in, nel
raccogliere firme per una petizione, nell'approfondire un argomento,
nel prendere la parola in un consesso, nell'inviare delle mail,
nell'affiggere una locandina o nel distribuire un volantino e in altre
“banalità”. Cose poco eroiche ma tutt'altro che inutili.
Come diceva Raoul Follerau "Se molta gente di poco conto, in
molti luoghi di poco conto, facesse cose di poco conto ... la faccia
del mondo cambierebbe".
Estate, tempo di ferie. Con la calura estiva si dorme peggio,
si è più stanchi ed è più difficile lavorare. Per questo l’estate è
sinonimo di vacanze e di meritato riposo.
Non per tutti però è così. Per i lavoratori agricoli l’estate è la
stagione in cui più si lavora. 900.000 lavoratori regolari, 50%
autonomi e 50% dipendenti. A questi vanno aggiunti i lavoratori non
censiti dall’ISTAT (immigrati irregolari, lavoratori a nero ecc.):
sono probabilmente intorno a 400.000 persone. Sono soprattutto questi
ultimi che non se la passano bene. In Italia si stima che 430.000
persone sono vittime di varie forme di caporalato (40.000 in più
rispetto al precedente studio di 2 anni fa). L’80% sono stranieri. Al
contrario di quello che si crede è un fenomeno che non coinvolge solo
il Sud Italia (anche se qui è maggiore): è dimostrata la sua presenza
in molte province italiane tra cui Alessandria, Cuneo, Bolzano,
Trento, Brescia, Lecco, Mantova, Grosseto, L'Aquila, Latina, le
province campane, pugliesi, calabre siciliane.
430.000 persone lavorano tra le 8 e le 12 ore, sotto il sole, senza un
riparo, chini a raccogliere ortaggi, a trasportare casse, a prendere
frutta per un salario tra i 22 e i 30 euro al giorno (circa la metà di
quello previsto dal contratto nazionale dell’agricoltura). Da questo
magro guadagno vanno tolti i soldi da dare al “caporale trasportatore”
che li porta nei campi: in media 5 euro. Frequente è il lavoro a
cottimo (in agricoltura vietato dalla legge): 3-4 euro a cassone di
375 Kg.
Il 60% delle vittime del caporalato non ha accesso all’acqua e a
servizi igienici quando è al lavoro (quindi devono portarsi bottiglie
d’acqua per dissetarsi).
Sono stati dimostrati in vari casi forme di violenza: ricatto;
sottrazione dei documenti; imposizione dell’alloggio, del vitto e del
trasporto ai campi; percosse; molestie sessuali.
In molti casi esiste una organizzazione ben strutturata di caporali,
con un capocaporale (che in un mese può guadagnare anche 80.000-90.000
euro), caporali intermedi (guadagno mensile fino a 5.000-10.000 euro),
caporali trasportatori (guadagno fino a 2.000 euro). Un danno
economico che si stima intorno ai 3,5 miliardi di euro l’anno in
Italia.
Negli ultimi anni sono aumentati i controlli e, grazie soprattutto
all’azione dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil e del
“sindacato di strada” della CGIL, anche la conoscenza del fenomeno e
la pressione sul Parlamento e su Governo per un’azione più efficace
contro questa piaga. E’ da tempo in discussione una legge contro il
caporalato, che purtroppo non raccoglie tutte le proposte del
sindacato, tra cui quella della estensione del reato anche all’impresa
agricola che lo utilizza.
Questo tragico fenomeno è anche la dimostrazione della pessima
politica sull’immigrazione che abbiamo. La nostra agricoltura utilizza
circa 360.000 lavoratori stranieri irregolari. Se si regoralizzassero
si darebbe un duro colpo al caporalato e alle agromafie, un serio
sostegno alle imprese oneste che rispettano la legge e pagano il
dovuto ai lavoratori e, facendo emergere il lavoro nero, meno evasione
fiscale e maggiori entrate per lo Stato. Si darebbero anche il giusto
salario a questi lavoratori che più facilmente potrebbero integrarsi
nella nostra società e rispettare le sue leggi. Senza un soldo in
tasca, trattati come animali e con la legge che invece di tutelarli li
perseguita, perché mai dovrebbero sentirsi parte della nostra società
e rispettare le nostre regole?
Ti invitiamo a firmare la petizione per una rapida approvazione della
legge contro il caporalato http://www.progressi.org/caporalato
Fonte: Osservatorio Placido Rizzotto – SLAI CGIL: Terzo Rapporto
Agromafie e Caporalato (2016)
Molti cittadini italiani sono contrari all’arrivo di stranieri in
Italia. Sono talmente contrari e preoccupati per questa “invasione”
che il principale criterio per scegliere quale partito votare diventa
se promette uno stop all’immigrazione o no.
In realtà l’Italia e l’Europa hanno un estremo bisogno di immigrati. E
non lo dicono enti o associazioni umanitarie come la Caritas, Amnesty
o Medici senza frontiere, ma l’ONU e l’Istat. L’ONU
dal 2000 pubblica ogni due anni un rapporto sull’evoluzione
demografica nel mondo. L’Istat ha pubblicato un
rapporto sul medesimo argomento, riguardante l’Italia. Tutti questi
rapporti registrano gli stessi andamenti demografici, non si
discostano nelle previsioni e arrivano alla medesima
conclusione: i Paesi europei, e soprattutto l’Italia, hanno un
estremo bisogno di immigrati e se la situazione economica e
sociale, già ora, non è diventata critica è grazie agli immigrati.
Le basi sulle quali si fanno queste affermazioni sono le seguenti:
Un maggior numero di vecchi comporta un aumento della spesa
pensionistica, sanitaria e sociale; un minor numero di
persone in età lavorativa determina minori entrate per le
casse dello Stato e degli istituti pensionistici. Per
mantenere inalterato negli anni futuri il rapporto fra occupati
potenziali (la popolazione fra i 14 e 64 anni) e over 65 anni, secondo
i rapporti dell’ONU, si dovrebbe elevare l’età pensionabile a
77,3 anni per l’Italia (75 anni in media per i Paesi
europei).
La stratificazione per fasce d’età è ancora più drammatica nel
Sud Italia. Qui gli over 65 che ora sono 2,5 milioni,
diventerebbero 3,6 milioni (3,4-3,7milioni) nel 2030 e 4,1 milioni
(3,6-4,6) nel 2065. La popolazione in età lavorativa da 9,5 milioni
attuali, passerebbe a 8,4 milioni (8,3-8,5) nel 2030 e poi a 5,8
milioni (5,3-6,4 milioni) nel 2065.
Sia l’ONU che l’Istat ritengono che tale drammatica
situazione può avere una sola soluzione: un massiccio arrivo di
stranieri in età lavorativa (almeno 200.000 immigrati all’anno,
secondo l’Istat). Bisognerebbe inoltre arrestare la
migrazione di giovani italiani all’estero, soprattutto di
quelli del Sud, e di questi al Nord Italia
(tutti questi fenomeni negativi sono più accentuati nel Meridione).
L’immigrazione non è quindi un fenomeno da contrastare, ma da favorire
e governare. E’ necessario creare canali di accesso sicuri e
legali sia per i profughi delle zone di guerra che per gli
“immigrati economici” (che dal punto di vista demografico ed economico
sono “i migliori”, perché giovani, intraprendenti e desiderosi di
mettere radici nel Paese che li accoglie). Bisogna favorirne
l’integrazione, insegnando loro l’italiano,
facendo conoscere la nostra cultura e come funzionano le nostre
istituzioni, facendoli partecipare alla nostra vita civile
e culturale arricchendola del loro punto di vista. E’ fondamentale,
inoltre, favorire il loro ingresso nel mercato del lavoro
legale e promuovere la loro imprenditorialità.
In questa maniera si aumenta al massimo l’effetto benefico sulla
nostra società e sulla nostra economia e si riducono al minimo i
problemi che l’ingresso di queste persone possono determinare.
Leggendo questi rapporti non si può non pensare a come le parole
d’ordine e gli slogan di tanti politici e le analisi di tanti
commentatori stridano con tutto quanto abbiamo detto. “Basta
immigrati”, “Rimandiamoli a casa loro”, “Gli immigrati levano il
lavoro agli italiani”, “Gli immigrati sono il maggiore problema della
nostra epoca”, “Oggi più che una questione meridionale esiste una
questione settentrionale”: ma come fanno a dire simili corbellerie?
Uno dei problemi della nostra epoca, caratterizzata dall’enorme
diffusione delle informazioni, è l’instaurarsi di circoli
viziosi del seguente genere: fasce di popolazione
di fronte a nuovi fenomeni si preoccupano; ? politici, giornalisti e
blogger (spesso ignoranti, talvolta privi di scrupoli) per
avere consenso cavalcano queste paure, diffondendole e
proponendo soluzioni semplici e accattivanti (nonché
irrealizzabili); ? fasce sempre più consistenti di
popolazione sono spaventate e si affidano a soluzioni
semplicistiche; ? la maggioranza dei politici e sempre più
giornalisti hanno timore ad esprimere posizioni diverse per paura di
perdere consensi e decidono di cavalcare anche loro queste
paure; ? la paura e la richiesta di interventi semplicistici
si allarga sempre più nella popolazione .
Cosa fare?
Bisogna rompere questa spirale intervenendo sui
cittadini, sui politici e sugli organi di informazione, cercando di agire
sul livello emotivo (tranquillizzando e ridestando sentimenti
d’umanità) e su quello cognitivo (fornendo dati come quelli che qui
abbiamo illustrato).
Tutti possono fare qualcosa e tutto è utile per rompere questa
spirale crudele e pericolosa.
Gli studiosi dei sistemi complessi ci dicono che i circoli viziosi
sono dei punti di intervento privilegiati per fare evolvere un
sistema, perché la circolarità negativa può trasformarsi in
una circolarità positiva, potendosi così determinare miglioramenti
inaspettati. Quindi diamoci da fare.
Fonti: 1) ONU Department of Economic and Social
Affairs Population Division,Word Population Ageing 1950-2050,www.un.org; 2) Istat, Il futuro
demografico del Paese: previsioni regionali della popolazione
residente al 2065 http://www.istat.it/it/archivio/48875;
3) Pittau F, I fenomeni migratori e il futuro del Paese, ADISTA,
9/6/16 www.adista.it/articolo/56355.
Nell'ultimo messaggio “Cosa muove gli uomini” abbiamo citato il fenomeno
della “sostituzione della motivazione”. Questo fenomeno
consiste nel fatto che motivazioni di diverso ordine, invece di
sommarsi, possono confliggere. Illustravamo gli effetti paradossi che
si sono avuti offrendo soldi a chi dona il sangue o a chi partecipa a
sperimentazioni mediche: diminuiscono le persone disposte a donare il
sangue e a partecipare alle sperimentazioni. E ciò perché molte
persone sono disposte a donare il sangue o a partecipare ad una
sperimentazioni per motivi etici e di civismo, ma non per avere un po'
di soldi. Lo stesso principio, dicevamo, spiega perché far pagare una
multa a chi ritira con ritardo i figli dalla scuola materna aumenta il
numero dei ritardatari: perché non ci si sente più impegnati nei
confronti degli insegnanti e bidelli ma si valuta solo il costo del
ritardo nel prendere il figlio.
A nostro parere, pensare che solo conseguire
un vantaggio economico muove le persone è indice di una mente non
sana. Oggi, questa convinzione è molto diffusa ed è
presentata come un dato di fatto, quando invece non lo è.
Uno dei campi in cui più viene applicata è quello lavorativo,
per aumentare la produttività. Si dice “offriamo soldi a chi lavora
di più e meglio e tutti lavoreranno di più e meglio per cercare di
avere il premio”. E' vero?
Gli studi in proposito dicono che gli incentivi economici per
aumentare la produttività in alcuni casi funzionano, in altri no e
in alcuni casi addirittura sono negativi.
Perché in molti casi non funzionano? Questo accade
per varie ragioni:
1) per il principio della “sostituzione dei bisogni”:
gli incentivi economici spesso demotivano i “buoni
lavoratori”, i lavoratori che svolgono i loro compiti per
motivazioni intrinseche (autorealizzazione, autostima, eticità ecc.).
Come il compenso fa fuggire la gran parte dei donatori di sangue, così
fa arretrare i bravi insegnanti, medici, impiegati ecc.;
2) perché peggiorano il “clima lavorativo” per varie
ragioni:
a) gli incentivi ai lavoratori più bravi o produttivi necessitano di
strumenti e procedure di controllo per valutare la qualità e quantità
di lavoro svolto. Il lavoratore si sente
controllato, può pensare che non si ha fiducia in
lui, può percepire il lavoro non più come una cosa propria
e può disaffezionarsi alla sua azienda percependola
come estranea e minacciosa;
b) in molti casi aumentano anche gli obblighi burocratici
del lavoratore, obblighi che sono sempre poco graditi;
c) gli incentivi ai lavoratori più “bravi”, aumentando la
competizione, tendono a peggiorare i rapporti tra i lavoratori,
a diminuire la collaborazione e l'aiuto reciproco.
Tutto ciò si traduce in un peggiore clima lavorativo, che non solo
peggiora la qualità della vita delle persone (gran parte della vita la
si passa al lavoro) ma anche la produttività;
3) perché gli incentivi e il sistema di controllo che ad essi
va associato costano;
4) perché se l'incentivo economico non è consistente può non
motivare i “lavoratori pigri” (ma, come abbiamo visto può
demotivare i “buoni lavoratori”).
Gli incentivi possono avere invece un effetto positivo quando
riguardano lavori che difficilmente possono essere svolti per
motivazioni intrinseche (lavori ripetitivi, monotoni, non
qualificati); quando si configurano come una “compartecipazione agli
utili” o un compenso accessorio a provvigione (per esempio, più
prodotti vende un venditore e più guadagna). Inoltre sembrano
funzionare meglio nelle aziende più sindacalizzate, quando
gli incentivi sono frutto di un accordo tra sindacati e padroni,
accordo condiviso dai lavoratori.
Malgrado tutto ciò, sentiamo parlare sempre della necessità di
incentivi e controlli per qualsiasi tipo di attività e per
tutti i lavoratori e si varano provvedimenti legislativi o aziendali
di tal genere anche con l'opposizione dei lavoratori. Come mai? Forse
perché tutto ciò è un un “pilastro ideologico”, un dogma
della “religione” della nostra società (la religione del denaro,
dell'avere): come in tutti i fondamentalismi si preferisce chiudere
gli occhi e negare la realtà, piuttosto che mettere in crisi le
proprie convinzioni. Oppure questo avviene perché chi pensa
che i soldi siano l'unico mezzo per ottenere qualcosa sono
le persone che hanno orientato tutta la loro vita ad avere di più, a
fare carriera ad ogni costo. Ed è probabile che abbiano fatto
carriera. Quindi è probabile che tra manager, ministri, alti
dirigenti, opinion leader ecc. questi individui abbondino.
Essi non riescono a comprendere che la maggioranza delle
persone non è come loro, non hanno “la loro patologia”:
hanno molto meno soldi, ma sono molto più ricchi umanamente.
Si racconta che uno di questi infelici, vedendo Madre Teresa
di Calcutta china ad aiutare una persona cenciosa e puzzolente,
abbia detto “Non riuscirei a fare il suo lavoro nemmeno per tutto
l'oro del mondo”. E Madre Teresa gli abbia risposto: “Ah, neanche
io!”.
Fonte: www.econ-pol.unisi.it/bartolini/papers/incentivi%20e%20benessere%20sul%20lavoro.pdf
Cosa muove gli uomini? La risposta a una tale domanda non è semplice,
anche perché “gli uomini” sono un insieme molto composito e uno stesso
individuo può essere mosso da motivazioni diverse a seconda delle
situazioni in cui si trova.
Purtroppo nella nostra società l'economia la fa da padrone e molti
pensano che la ragione ultima che muove gli uomini è conseguire un
vantaggio economico. Ma se ciò può essere vero per chi la pensa così,
non è vero per la gran parte delle persone.
Filosofi, psicologi, sociologi, economisti hanno cercato di dare
risposte alla domanda “Cosa muove gli uomini”, soffermandosi
soprattutto sul tema dei bisogni.
E' esperienza comune che esiste una gerarchia dei bisogni.
Se stiamo morendo di fame o cascando dal sonno, poco ci interesserà
soddisfare i nostri bisogni estetici. Maslow, uno psicologo del secolo
scorso, ha descritto questa gerarchia dei bisogni come una piramide (“piramide
di Maslow”). Alla base ci sono i bisogni
fisiologici, di sopravvivenza (bere, mangiare, dormire,
ripararsi dalle intemperie ecc.). Quando questi vengono soddisfatti,
anche parzialmente, si esprimono altri bisogni
(quelli di sicurezza), volti a proteggere dal dolore
fisico e psichico e, quindi, il bisogno di avere un minimo di reddito
stabile, una dimora sicura ecc. Quando questi sono soddisfatti, anche
parzialmente, compaiono i bisogni sociali, il
bisogno di amare e di essere amato, di avere amici, di essere
socialmente accettati ecc. Un ulteriore livello è quello dei bisogni
di stima (autostima e considerazione da parte di altri). In
ultimo vi sono i bisogni di autorealizzazione e
quelli culturali ed estetici.
Ora, avere una disponibilità di soldi è fondamentale per soddisfare i
bisogni di sopravvivenza e di sicurezza, ma non è detto che serva per
amare ed essere amati, per avere amici, per essere stimati, per
sentirsi soddisfatti di sé, per godere della bellezza di cui è ricco
il nostro mondo. Questo spiega il “paradosso di Easterlin”,
cioè che all'aumentare del reddito la felicità aumenta sempre
meno, fino a non avere più effetto o ad averne uno negativo.
La ricerca spasmodica di avere sempre di più, infatti, può portare a
dedicare poco tempo ai familiari, agli amici, a coltivare il proprio
spirito. Secondo le ricerche di un altro psicologo, Adelfer, quando
la soddisfazione di un bisogno viene frustrata, il soggetto
regredisce, cercando di soddisfare, anche in maniera eccessiva, un
bisogno gerarchicamente inferiore. Per esempio, il non
riuscire a soddisfare il bisogno di amare ed essere amato può portare
il soggetto a soddisfare maggiormente il bisogno di sicurezza (avere
un reddito maggiore, una casa più grande, un gruzzolo da parte più
consistente ecc.).
La gran parte delle persone, pur non avendo studiato Maslow, Easterlin
e Adelfer, sa perfettamente tutto ciò. Infatti, la stragrande
maggioranza delle persone cura i rapporti affettivi, dedica
tempo ai familiari e alle amicizie. E' un’attività che non procura
nessun vantaggio economico, ma questo non ha alcuna importanza, perché
un tempo così speso non è per niente improduttivo (come qualche
infelice potrebbe pensare), ma un tempo ricco.
Allo stesso modo l'insegnante attento ai propri studenti, ai loro
problemi, a farli crescere culturalmente non lo fa per conseguire un
vantaggio economico, ma perché scambia affetto con i propri studenti,
viene stimato, ama la propria materia e si realizza se trasmette
questo amore. Allo stesso modo il falegname che con scrupolo svolge il
proprio lavoro, lo fa per autostima, perché è soddisfatto quando il
prodotto del suo lavoro è a regola d'arte. E così ogni professione,
impiego, mestiere. Allo stesso modo i 6,5 milioni di persone
impegnate almeno un giorno al mese in attività volontarie e
gratuite (preparazione di pasti per indigenti; doposcuola; assistenza
ai senza fissa dimora, a immigrati, a persone non autosufficienti o
malate; impegno nella difesa dell'ambiente o del patrimonio culturale,
nella promozione della pace e della nonviolenza, nella solidarietà con
le popolazioni del Terzo Mondo ecc.) lo fanno per realizzare i propri
ideali, per dare e ricevere affetto e, se fossero pagati,
probabilmente, non lo farebbero.
Si, proprio così. Numerose ricerche lo dimostrano. Per esempio, lì dove
si è pagato chi dona sangue, le donazioni sono diminuite.
Se si dà un compenso per partecipare ad una ricerca scientifica, le
persone tendono a rifiutarsi. Questo avviene per un fenomeno studiato
in psicologia, il “fenomeno della sostituzione
delle motivazioni”: motivazioni di diverso ordine possono
confliggere, per cui le motivazioni non si sommano ma una sostituisce
l'altra. Così, nel caso della donazione di sangue, la motivazione
economica non si aggiunge a quella etica, ma si sostituisce ad essa e
tante persone non sono più motivate a donare il sangue per soldi. Lo
stesso principio spiega, per esempio, perché far pagare una multa a
chi ritira con ritardo i figli dalla scuola materna aumenta il numero
dei ritardatari: perché non ci si sente più impegnati nei confronti
degli insegnanti e bidelli ma si valuta solo il costo del ritardo nel
prendere il figlio.
Chi ha come unica motivazione alle proprie azioni il vantaggio
economico, non è normale. Orientare tutta la propria vita
ad avere sempre di più è una patologia, una nevrosi. Pensare
che solo conseguire un vantaggio economico muove le persone è indice
di una mente non sana.
Eppure questi sono i modelli che continuamente ci vengono proposti,
questo è il messaggio che continuamente ci viene propinato. Non
ascoltiamolo. Rimaniamo sani, rimaniamo umani.
Forse non tutti sanno che si stanno raccogliendo le firme per 11
referendum. Giornali e tv ne hanno parlato poco o niente e, proprio
per questo, abbiamo pensato che fosse utile darne informazione.
1) Referendum contro gli inceneritori. Con questo
referendum si vuole abrogare la norma dello Sblocca Italia che
definisce gli inceneritori “infrastrutture strategiche di preminente
interesse nazionale” riducendo i tempi per la valutazione di impatto
ambientale e attribuendo le competenze al Governo, che decide quanti
inceneritori costruire, di quale capacità e dove, senza che le Regioni
possano obiettare alcunché (in deroga ai Piani Regionali). Il Governo
su questa base ha deciso che devono essere costruiti 15 inceneritori
nel Centro e Sud Italia.
Se il referendum passa la competenza ritorna alla Regioni e salta il
piano del Governo. Ovviamente una vittoria del referendum è una chiara
indicazione che i cittadini non gradiscono questa forma di smaltimento
dei rifiuti e un incentivo ad impegnarsi ad aumentare la raccolta
differenziata (attualmente in Italia è al 45%), il compostaggio e la
riduzione della produzione dei rifiuti.
2) Referendum contro nuovi impianti di estrazione petrolifera. Questo referendum vuole abrogare la norma del piano energetico che indica dove si possono ricercare ed estrarre idrocarburi. Quindi, se passa, sarà vietato aprire nuovi impianti di estrazione (gli impianti già in funzione o autorizzati non sarebbero interessati)
3) Quattro referendum riguardano la riforma scolastica
cosiddetta “buona scuola”.
Il primo vuole abrogare la possibilità di fare donazioni a
singole scuole. Se i SI vinceranno le donazioni
confluiranno in una “cassa nazionale statale” che utilizzerà i fondi
secondo criteri propri. Con questo referendum si vuole impedire che le
scuole di regioni o quartieri ricchi finiscano per avere più risorse
di quelle delle zone povere, accentuando le differenze tra ricchi e
poveri.
Il secondo vuole abrogare il limite minimo di 400 ore in
azienda per gli studenti degli istituti professionali e tecnici e di
200 ore per quelli dei licei (alternanza scuola-lavoro). Se
i Si vinceranno saranno le singole scuole a decidere e a pianificare
quante ore gli studenti dovranno svolgere in azienda. Il referendum è
stato promosso perché si ritiene che questo vincolo rigido sottrae ore
di scuola ai ragazzi e serva poco alla formazione dei ragazzi (si
tenga conto che, data la grande massa di studenti, spesso non c’è
un’adeguata offerta di reale formazione in azienda). Inoltre si
obietta che così si fornisce manodopera gratis in un periodo di grande
disoccupazione.
Un terzo referendum vuole abrogare la
discrezionalità del preside nello scegliere o confermare i docenti (dopo
3 anni). La nuova legge ha introdotto la chiamata diretta dei docenti
da parte del preside (all'interno di una lista di nomi). Il referendum
è stato promosso perché si ritiene che la discrezionalità può dare
luogo ad assegnazioni clientelari o a indebiti condizionamenti.
Il quarto vuole abrogare il potere del
dirigente scolastico di scegliere i docenti a cui dare il premio
salariale.
4) Due referendum chiedono l'abrogazione di alcune norme
della legge elettorale (Italicum).
Col primo si propone di abolire il
voto bloccato ai capilista e le candidature in più collegi.
L'Italicum prevede piccoli collegi elettorali (di 5-7 seggi). Quindi
la maggioranza dei partiti risulterà avere eletto solo un candidato e
pochi partiti non più di 3-4. La legge prevede che, se per il partito
scatta il seggio, il capolista è automaticamente eletto, mentre le
preferenze valgono solo per gli altri candidati. Inoltre un candidato
può candidarsi in più collegi (fino ad un massimo di 10). L'insieme di
queste due norme fa si che siano le segreterie di partito a scegliere
le persone che saranno elette, non solo perché i capilista sono
bloccati, ma anche perché, potendo essere eletti in più collegi e
potendo scegliere in quale accettare e in quale rinunciare, si possono
alterare totalmente le preferenze espresse dai cittadini. Quindi il
referendum è contro il sistema delle “liste bloccate”.
Il secondo vuole abrogare il premio di
maggioranza. L'Italicum prevede che al partito che ottiene
almeno il 40% dei voti vadano il 55% dei seggi. Se poi nessun partito
ottiene il 40% dei voti, i due partiti più votati vanno a ballottaggio
e quello che prende più voti avrà il 55% dei seggi. In questa maniera
può succedere che un partito con solo il 20% dei voti può avere il 55%
dei seggi (potendo così eleggere da solo il Presidente della
Repubblica e la maggioranza dei membri della Corte Costituzionale).
Tali norme appaiono fortemente in contrasto con la nostra
Costituzione. Infatti la Corte Costituzionale ha dichiarato
incostituzionale la legge elettorale (il Porcellum, con la quale è
stato eletto l'attuale Parlamento) proprio perché con un premio di
maggioranza troppo ampio si contravviene al “principio fondamentale di
eguaglianza del voto”. Con l'Italicum ancor più la distribuzione dei
seggi del Parlamento non rispecchierà quella del voto dei cittadini,
perché un partito col 25% dei voti avrà il 55% dei seggi (340 seggi) e
uno col 24,9% dei voti il 15% (93 seggi). In pratica il voto del
cittadino che ha votato il primo partito vale 4 volte il voto del
cittadino che ha votato per il secondo. La finalità di questo
referendum è quella quindi di fare in modo che il Parlamento sia
rappresentativo del Paese (che secondo la Corte Costituzionale deve
essere la principale caratteristica di una legge elettorale) e
impedire che una minoranza imponga la sua volontà alla maggioranza dei
cittadini
5) Tre referendum riguardano il cosiddetto Jobs Act.
Il primo chiede di abrogare la norma che prevede l'indennizzo
e non il reintegro in caso di licenziamento illeggittimo
(senza giusta causa). Se vincono i SI il lavoratore ingiustamente
licenziato dovrà essere riassunto.
Il secondo referendum chiede l'abolizione del sistema dei
voucher (cioè i buoni lavoro erogati dall'INPS, una forma
di pagamento per lavori occasionali e accessori). Il Jobs Act ha
esteso questa forma di pagamento che prima era limitata a pochi
settori. Nell’ultimo anno c’è stato un enorme aumentato dell’uso dei
voucher, che ha fatto pensare a un loro uso truffaldino per pagare
lavori che non sono per niente occasionali, aumentando così lo
sfruttamento dei lavoratori e il precariato (anche l’INPS ha segnalato
questo problema). Inoltre l’utilizzazione in alcuni settori (ad
esempio nell’edilizia) diminuisce la sicurezza sul lavoro di tutti le
persone impegnate nell'attività, perché i voucheristi spesso non hanno
ricevuto adeguata preparazione sui rischi e perché non sono inseriti
nei piani di sicurezza. Il referendum in questo caso è soprattutto una
pressione sul Governo perché cambi le norme in proposito.
Il terzo referendum riguarda il subappalto e la responsabilità
solidale a carico del committente. Il Jobs Act ha abolito
la responsabilità solidale del committente e del titolare del
subappalto per i crediti retributivi e il pagamento dei contributi.
Adesso, se un lavoratore di un subappalto non viene pagato o non gli
sono stati versati i contributi, deve agire legalmente sia contro il
committente che contro l’appaltatore (se vi è una catena di
subappalti, contro tutti i vari titolari). Dopo la sentenza
favorevole, il lavoratore deve prima tentare di recuperare il proprio
credito nei confronti del proprio datore di lavoro e solo dopo può
agire contro il committente (o, in caso di una catena di subappalti,
in successione dall’ultimo subappaltante fino al primo). Poiché,
spesso i subappaltatori sono meno solventi, finirà per avere quanto
gli spetta solo dopo molti anni. Con il referendum si ritorna alla
precedente normativa, ripristinando il principio di una responsabilità
solidale tra chi sceglie l’appaltatore (il committente) e
l’appaltatore.
Se si vuole firmare per alcuni o tutti i referendum si può
andare in una delle municipalità del Comune di Napoli
(orario 8:30-13:00) oppure a Palazzo San Giacomo o
cercare su internet luoghi e orari dei punti di raccolta firme.
Il nostro organismo è programmato geneticamente per fare lunghe
camminate, per correre, per arrampicarsi, per lottare e per molte
altre attività motorie, perché per milioni di anni sono stati gli
strumenti indispensabili per procacciarsi il cibo, fuggire dai
predatori, difendersi. Si è così selezionato un patrimonio genetico
funzionale ad una frequente e anche intensa attività motoria. Per
questo motivo un’insufficiente attività fisica è tra le cause
di numerosissime patologie: obesità, arteriosclerosi,
diabete, infarto, ictus, cancro del colon e del seno (chi fa poca
attività fisica ha il 30% di probabilità in più), colecistopatie,
osteoporosi, lombaggine ecc. Un’adeguata attività fisica, invece,
rafforza i muscoli, i tendini e le ossa, aumenta la capacità
respiratoria, tiene pulite le arterie, migliora la qualità del sonno e
l’umore (ha un evidente effetto preventivo e terapeutico sulla
depressione), ecc.
In Europa la scarsa attività motoria determina circa
600 mila morti e la perdita di 5,3 milioni di anni
di vita in buona salute ogni anno, con un costo economico che si stima
sui 150-300 dollari a persona all'anno [1]
Una recente revisione degli studi su attività fisica e salute ha
evidenziato che i maggiori effetti positivi sulla salute si hanno
quando si pratica almeno 1 ora di attività fisica leggera al
giorno (p. es. camminare a passo svelto o andare in bici
in pianura) e 1 ora di attività fisica vigorosa al giorno
(p. es. salire le scale o andare in bici in salita) e che è meglio
distribuire nel corso del giorno e della settimana questa quota di
attività piuttosto che concentrarla in una sola volta al giorno o in
poche volte alla settimana [2].
E' sulla base di queste evidenze scientifiche che l'Organizzazione
Mondiale della Sanità indica nella bicicletta uno strumento prezioso
per stare in salute, perché è adatto a tutti (dai bambini
ai vecchi), è comodo, economico, semplice, piacevole e ha molti altri
effetti benefici.
Molte persone non svolgono attività fisica perché non hanno tempo (o
dicono di non averne). Ebbene, se si usa la bici come mezzo di
trasporto al posto dell'auto si fa attività motoria e si risparmia
tempo. La velocità media delle auto, infatti, è tra i 15 e i
20 Km/h in città (7 Km/h nelle ore di punta), nelle strade
extraurbane è di 38 Km/h; gli autobus viaggiano sui 5-7 Km/h [3]. Se
si considera anche il tempo per cercare un parcheggio o aspettare che
l'autobus arrivi, la velocità media totale può anche dimezzarsi e il
tempo per spostarsi può anche raddoppiare. Se si usa la bici
si fa prima che se si usa l'autobus o l'automobile (in
particolare nelle ore di punta): quindi con la bici si pratica
attività fisica senza occupare tempo, anzi, guadagnando tempo. E
respirando anche meno gas inquinanti, perché, come hanno dimostrato
varie ricerche, l'aria dell'abitacolo delle auto è molto più
inquinata dell'aria presente nelle strade.
Una bici da città nuova costa sui 150-200 euro, dura a lungo e non ha
bisogno di benzina, cambi d'olio ecc.
La bicicletta non inquina (zero emissioni, rumorosità
minima), occupa pochissimo spazio (10 bici parcheggiate
occupano lo spazio di una sola auto - si veda http://urban.bicilive.it/rastrelliere-bici-car-bike-port)
e quindi migliora la qualità della città, con effetti positivi su
vivibilità, turismo economia.
Se si considera poi che nelle città italiane, nei giorni lavorativi,
il 30% degli spostamenti delle auto serve per percorrere distanze
tra 700m e 3 Km e il 23% distanze tra 3 e 5 Km [4], appare
evidente che promuovere l’uso della bicicletta (e dei piedi)
come mezzo di trasporto urbano è tra i principali interventi per
risolvere il problema del traffico.
Moltissime città hanno ormai scelto questa strategia: non puntare più
a velocizzare il traffico e a renderlo più scorrevole, interventi di
scarso o momentaneo effetto, ma promuovere pedonalità e ciclabilità
con piste e percorsi ciclabili, ztl, aree pedonali, possibilità di
portare le bici sui mezzi pubblici, bike-sharing ecc.
Parigi, per esempio ha eliminato migliaia di
posti sosta auto dalla città e messo su un sistema di bike-sharing
da 20.000 bici [5].
A Monaco su quasi tutti i marciapiedi è stata
disegnata una pista ciclabile e sono state create ztl pari a
44 Kmq (Napoli, dopo i provvedimenti dell'Amministrazione
De Magistris, è arrivata a 3 Kmq, e c'è pure chi ha protestato).
A Londra, per circolare nell’area centrale (25 Kmq), si paga
un ticket di 11 euro al giorno e dal 2010 è stato
istituito un sistema di bike-sharing che attualmente ha 8.000
bici con 400 stazionamenti.
D'altra parte le direttive europee e la stessa legge italiana
prescrivono che nella strategia e negli interventi per la
mobilità bisogna seguire una precisa gerarchia: 1)
pedoni e ciclisti, 2) movimento dei veicoli per il trasporto
collettivo con fermate di linea, 3) movimento di
veicoli motorizzati (auto, moto, autobus turistici, taxi),
4) sosta dei veicoli motorizzati [6].
E' seguendo questa strategia che Berlino è arrivata ad avere
29 auto ogni 100 abitanti, Londra 31, Monaco di
Baviera 35 [7]. Napoli ne ha invece 58 e,
una volta tanto, sta messa meglio di molte città italiane.
Qualcuno sicuramente vi dirà che tutto ciò non si può fare per i
licenziamenti che vi sarebbero nell'industria dell'auto, i
contraccolpi sull'occupazione, ecc. Sono coloro che hanno a cuore la
sorte dei lavoratori solo quando si tratta di difendere i loro
interessi. Per fortuna la realtà è ben diversa: migliorando la qualità
e vivibilità delle città aumenta il turismo e gli insediamenti di
aziende ad alta innovazione. Inoltre la produzione di
biciclette produce molti più posti di lavoro che quella delle auto e
moto: 3 volte di più per ogni unità di fatturato [8].
1) OMS: The European Health Report www.euro.who.int/__data/assets/pdf_file/0009/82386/E93103.pdf.
2) Samitz G, Egger M, Zwahlen M. Domains of physical activity and
all-cause mortality: systematic review and dose-response meta-analysis
of cohort studies. International Journal of Epidemiology 2011
3) https://benzinazero.wordpress.com/2015/10/20/tutti-i-giorni-in-auto-alla-velocita-di-una-bicicletta/
4) ISFORT 2011.
5) Institute for Transportation and Development Policy 2011
6) Ministero dei Lavori Pubblici: Direttiva per la redazione, adozione
ed attuazione dei piani urbani del traffico (emanate il 24.6.1995 in
attuazione dell'art. 36 del Codice della Strada)
7) Eurostat 2012
8) http://fiab-onlus.it/bici/notizie/notizie-varie/news-varie/item/1063-bici-e-valutazione-salute.html
Immaginate che in Italia da anni ci sia un Governo
dispotico e che una buona parte della popolazione, non potendone più,
scenda in piazza. Immaginate che la repressione sia particolarmente
dura, con centinaia di morti e migliaia di arresti e di persone
torturate e che chi è sospettato di essere un oppositore rischia il
posto, il carcere, discriminazioni e violenze. Immaginate che alcuni
gruppi rispondano con le armi alla repressione e riescano anche a
conquistare alcune cittadine. Immaginate che i gruppi armati
velocemente si moltiplichino, ognuno finanziato da una diversa potenza
straniera che ha mire sull'Italia. Queste potenze (insieme a idioti e
furbi, che non mancano mai) riescono a rinfocolare divisioni come
quelle tra abitanti del Nord e del Sud, tra credenti e non credenti,
tra cattolici, protestanti, ebrei, musulmani, tra conservatori e
progressisti, tra chi ha un dialetto e chi un altro. Immaginate che
Napoli sia prima controllata da fanatici nordisti che stuprano le
donne, ammazzano i resistenti, vi privano della libertà di circolare
liberamente, riunirvi con amici, parlare in dialetto (e che ogni
infrazione a questi divieti può significare diventare prigioniero o
peggio). Immaginate che il Governo, per cacciare questi fanatici,
bombardi la città, distruggendo case, scuole, uffici, ospedali e
facendo centinaia di morti e migliaia di feriti. Immaginate che i
generi di prima necessità inizino a scarseggiare e a costare sempre di
più, che scuole e Università funzionino a singhiozzo, che molte
attività produttive chiudano, che l'assistenza sanitaria entri in
crisi, che l'ordine pubblico non sia più garantito. Immaginate che
gruppi di fanatici islamici di efferata violenza, abbiano preso il
controllo di Salerno e che si è sparsa voce che presto arriveranno a
Napoli, e che è molto probabile che l'aviazione governativa o di
qualche potenza straniera, per fiaccare questi fanatici, lancerà
missili e bombe sulla nostra città.
Riuscite a immaginare lo stato d'animo vostro e dei vostri
cari? Riuscite ad immaginare la paura, il terrore, la
disperazione, la rabbia per essere piombati in questo incubo senza via
d'uscita? Di fronte ad una tale situazione non decidereste di andare
via voi e i vostri cari, costi quel che costi?
E' quello che hanno fatto 11 milioni di siriani (più
della metà dell'intera popolazione della Siria) e 3 milioni
di cittadini di Paesi sub-sahariani (Sud Sudan, Sudan,
Repubblica Centrafricana, Eritrea, Somalia ecc.).
6,5 milioni di siriani sono fuggiti in altre zone del Paese,
4,8 milioni fuori dai confini nazionali. Di questi quasi 2
milioni sono in Turchia (1 rifugiato ogni 35 cittadini turchi),
1.100.000 in Libano (un rifugiato ogni 4 Libanesi), 650.000 in
Giordania (un rifugiato ogni 10 Giordani), 130.000 in Egitto (1 ogni
630 egiziani), 100.000 in Germania (1 ogni 800 Tedeschi), 65.000 in
Svezia (1 ogni 147 Svedesi), 50 in Serbia (1 ogni 143 Serbi), 18.000
in Austria (1 ogni 467 austriaci), 6.000 in Francia (1 ogni 11.000
Francesi), 2.000 in Italia (1 ogni 3.000 Italiani) [1].
I trattati internazionali stabiliscono che bisogna accogliere
e dare protezione a chi fugge da guerre o persecuzioni. E'
la concretizzazione di un principio etico basilare e antico:
bisogna aiutare chi è in pericolo. Principio che si basa sulla
semplice considerazione che tutti possiamo trovarci in pericolo, che “oggi
a te, domani a me”. Nelle legislazioni questo principio di
fraternità e buon senso si è concretizzato in un reato,
l'omissione di soccorso, che è punito anche con 3 anni di
carcere. E a nulla valgono davanti al giudice giustificazioni tipo
“Eravamo in 5 in auto, per cui non abbiamo potuto portarlo al pronto
soccorso” o “Se lo aiutavamo ci perdevamo buona parte del film o della
partita” o ancora “Dedicando il mio tempo ad aiutare quel disgraziato
sarei arrivato tardi al lavoro avendo un danno economico o perdendo un
buon affare”. Insomma, davanti ad una persona che è in
pericolo ogni altra istanza passa in secondo piano: la
priorità è aiutarla e fare in modo che esca da quella situazione
critica.
Purtroppo i Paesi europei (Italia compresa) non si stanno
comportando così. La loro priorità è impedire ai profughi
di raggiungere il proprio territorio.
La dimostrazione sono i 6 miliardi di euro dati alla Turchia
(un Paese che è al primo posto per le violazioni del trattato
sui diritti umani firmato da 47 Paesi dell'area europea)
perché fermi i profughi, gestisca l'accoglienza (sic!) e i rimpatri, e
limiti l'ingresso nei Paesi UE solo a 72.000 rifugiati e solo dopo che
si troverà un accordo su come devono essere distribuiti tra i Paesi
dell'Unione. Un accordo fortemente criticato da
tutte le organizzazioni che difendono i diritti umani (“Un
colpo di proporzioni storiche ai diritti umani” secondo Amnesty
International) e che, malgrado questo, secondo le
intenzioni del nostro presidente del Consiglio, deve essere un modello
da replicare anche con la Libia (sic!). Ma possibile che non si
chiedano come possono questi Paesi offrire una protezione
umanitaria adeguata ai rifugiati stranieri quando non riescono a
offrirla ai propri cittadini?
La politica dell'Europa sui migranti non solo è una palese violazione
dei diritti umani e di basilari principi morali, è anche una
violazione del trattato di Ginevra e di altri impegni internazionali
solennemente sottoscritti. Non arresterà questo flusso di disperati,
renderà solo la loro fuga più pericolosa. Secondo uno studio
coordinato dall'Università di Birmingham, infatti, le
politiche messe in atto dai Paesi europei hanno aumentato il rischio
di morte per chi fugge dalla Siria: era di 1 ogni
1.000 persone, ora è diventato di 1 ogni 400 persone[1].
E' anche una politica miope, perché la maggioranza
dei profughi di guerra ritornano nella loro patria quando la
situazione si calma e migliora, e si ricordano di come sono stati
trattati dai Paesi dove sono fuggiti. Questo mare di soldi poteva,
quindi, essere speso per creare corridoi umanitari,
sostenere le famiglie e le comunità che sono disposte ad
accogliere questi nostri fratelli, favorire una
distribuzione che non determini problemi e conflitti e creare così le
premesse per futuri buoni rapporti con Paesi importanti dal punto di
vista geopolitico.
Per fortuna ci sono le tante associazioni di volontari
che si spendono per assistere profughi e migranti, ci sono
amministrazioni di piccoli comuni (per esempio Satriano,
Santorso, Sant’Alessio in Aspromonte, Chiesanuova, Santa Marina ecc.)
che dimostrano più intelligenza e umanità dei leader europei,
accogliendo molti migranti e facendone uno strumento di sviluppo
culturale ed economico, ci sono le popolazioni di Lesbo,
Lampedusa, Chios, che, avendo visto con gli occhi,
ascoltato con le orecchie e toccato con mano la tragedia di queste
persone, li hanno sentiti fratelli e come tali li hanno accolti.
Vogliamo invitarvi a guardare con attenzione il piccolo album
di foto presente a questo link www.avvenire.it/Mondo/Pagine/foto-reuters-migranti-premio-pulitzer.aspx.
Fatelo circolare tra i vostri contatti, perché spesso
un'immagine è più eloquente di tanti discorsi e perché tra
quei volti, poteva esserci il nostro.
Note: 1) dati UNCHR relativi a giugno 2015; 2) www.compas.ox.ac.uk/media/PB-2016-MEDMIG-Unpacking_Changing_Scenario.pdf,
Il 17 aprile i cittadini italiani sono chiamati a esprimersi sul
referendum che chiede di cancellare la norma che consente alle società
petrolifere di cercare ed estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia
marine dalle coste italiane senza limiti di tempo. Nonostante,
infatti, le società petrolifere non possano più richiedere per il
futuro nuove concessioni per estrarre in mare entro le 12 miglia,
l’estrazione e le ricerche già in corso non avrebbero più scadenza. Il
Governo, infatti, ha cancellato le norme dello Sblocca Italia
contestate dalle Regioni e dagli ambientalisti, ma nella legge di
stabilità (L. 208 del 28/12/15) ha stabilito che le
concessioni per la ricerca ed estrazione di idrocarburi sono a tempo
illimitato (prima avevano una durata solitamente di 30 anni).
Se i SI saranno prevalenti, si ritornerà a questa situazione
precedente (cioè varrà la data di scadenza indicata nella concessione
che la società petrolifera ha avuto).
I motivi per cui pensiamo che sia giusto dire SI
all’abrogazione di questa norma sono questi:
1) non si comprende perché lo Stato debba
concedere alle società petrolifere il privilegio di potere usufruire
di un bene pubblico senza limiti di tempo. Ciò è contrario
al buon senso e alla normativa europea, che stabilisce che
tali concessioni debbano “essere limitate in modo da evitare di
riservare a un unico ente un diritto esclusivo su aree per le quali la
prospezione, ricerca e coltivazione possono essere avviate in modo più
efficace da diversi enti” (Direttiva 94/22/CE). Questa condizione di
favore è stata introdotta dal Governo Renzi (non esisteva prima) e non
se ne comprende l'utilità per l'Italia. E' giusto quindi
cancellarla e ritornare alla precedente normativa consona alle
direttive europee. E questo anche per evitare possibili multe
da parte della UE per non avere rispettato la direttiva
94/22.
2) La combustione dei combustibili fossili è
la principale causa dell'aumento dei gas serra, un fenomeno
molto preoccupante per i possibili effetti sul clima e sull'ecosistema
Terra. Quindi è necessario diminuire l'estrazione dei
combustibili fossili e i consumi legati alla loro combustione.
Da anni ci battiamo per un modello di trasporti meno energivoro, meno
inquinante e più sostenibile, per ridurre i consumi di energia, per
riciclare plastica ed altri materiali, per uno stile di vita più
sobrio. Ma avere stili più ecocosostenibili e battersi per una
riduzione dei consumi energetici serve a poco se l'offerta rimane alta
e a basso costo. Con questo referendum si ha un'arma per agire su
questo altro versante e per far capire al Governo che deve
mantenere l'impegno preso alla Conferenza di Parigi di
realizzare politiche che garantiscano che l’aumento di temperatura
media rimanga sotto i 2°C. Secondo gli scienziati
dell'IPCC, per raggiungere questo risultato, bisogna evitare
di estrarre l’82% del carbone, il 49% del gas naturale e il 33% del
petrolio dei giacimenti conosciuti [1]. L'Italia deve fare
la sua parte e può iniziare lasciando parte del gas e del petrolio
alle scelte delle generazioni future.
3) Il voto espresso dal referendum ha anche
un significato politico: esprime il sentire degli italiani
e dà indicazioni ai politici su cosa essi vogliono. Votando
SI i cittadini faranno capire che loro sono fortemente interessati:
a) alla tutela dell'ambiente
b) a una politica energetica che privilegi le fonti
rinnovabili e sostenibili (questo Governo, invece, ha
diminuito il sostegno a tali fonti ed aumentato quello ai combustibili
fossili, che ammontava già ad oltre 4 miliardi di euro l'anno [2])
c) a un uso dei beni comuni a vantaggio di tutti i cittadini e
non solo di pochi (solitamente già ricchi e potenti)
d) a lasciare ai nostri figli e nipoti un pianeta in cui
esistano ancora risorse preziose come il petrolio e il gas naturale
(preziose non perché possono essere bruciate, ma perché con
esse si possono produrre materie plastiche per usi biomedicali e
sanitari, farmaci, apparecchi elettronici ecc.).
4) Un'altra ragione per votare SI è per far
capire che non siamo degli sprovveduti e che non ci beviamo le varia
panzane che sono state dette per cercare di convincere a disertare
il voto. Ne citiamo alcune:
- Non è vero che la vittoria dei No determinerà la perdita di
migliaia di posti di lavoro. Le attività estrattive sono
tra quelle a più bassa intensità di mano d'opera. Per ogni milione di
euro di valore aggiunto l'industria estrattiva marina determina 2,5
posti di lavoro, mentre i servizi di alloggio e ristorazione 25 posti
di lavoro [3]. E' più conveniente quindi tutelare l'ambiente e il
paesaggio (“'A funtana che jetta soldi” come diceva Angelo Vassallo,
il sindaco di Pollica) che sono la base delle attività turistiche più
che produrre un poco di gas e petrolio sottocosta. A parità
di investimenti il risparmio energetico e le fonti rinnovabili
determinano il triplo dei posti di lavoro della produzione di
energia da combustibili fossili [4]. Se veramente si
vogliono salvaguardare posti di lavoro non bisognava tagliare
i sussidi alle fonti rinnovabili e bisognerebbe
investire di più nel risparmio energetico. Inoltre se vince
il SI non significa che di botto tutte le piattaforme di estrazione e
ricerca si fermeranno. Quello che accadrà è che le varie concessioni
termineranno alla data stabilita nella concessione (come avveniva
prima del 2015 quando la norma oggetto del referendum non esisteva)
cioè in un periodo variabile tra il 2016 e il 2045. Quindi si ha tutta
la possibilità di reimpiegare i pochi lavoratori in altri lavori (ad
esempio energie rinnovabili, tutela del mare, risparmio energetico,
approvvigionamento idrico ecc.).
- Non è vero che “saremmo costretti a chiudere i rubinetti
delle piattaforme esistenti da un giorno all’altro rinunciando a
circa il 60-70% della produzione di gas nazionale”. Come
abbiamo spiegato non si avrebbe nessuna chiusura “da un giorno
all'altro”, ma ogni pozzo chiuderà alla sua naturale scadenza (cioè
dopo 30 anni di esercizio, come avveniva fino al 2015). Non è
vero che la produzione di gas dalle piattaforme entro le 12 miglia
ammonta al 60-70% della produzione nazionale di gas
(ammonta al 26% [5]) e non si dice che questa quota riesce a
soddisfare solo il 3% dei consumi di gas italiani. Ridurre
nel corso di vari anni del 3% i consumi di gas non solo è qualcosa
di assolutamente fattibile, ma è anche conveniente in
termini di occupazione e riduzione dell'inquinamento ed è molto meno
di quanto l'Italia si è impegnata a fare nella Conferenza di Parigi.
- Non è vero che lo Stato avrà una consistente riduzione delle
entrate. Secondo dati del Ministero dello Sviluppo la
ricerca e l'estrazione di idrocarburi entro le 12 miglia dalla costa
determinano ogni anno 28 milioni di euro di entrate
[6]. Se si pensa che il Governo con la sua decisione di non
accorpare il referendum alle elezioni amministrative ha determinato
una spesa di circa 300 milioni di euro non ci si può non
indignare. Inoltre tale perdita si potrebbe subito coprire aumentando
le royalties che lo Stato chiede per la ricerca ed estrazione di
idrocarburi, che sono tra le più basse in Europa. In Italia, infatti,
sono pari al 10% per il gas e al 7% per il petrolio, con esenzione per
le prime 50 mila tonnellate di petrolio e i primi 80 milioni di metri
cubi di gas estratti (per tali esenzioni il 79% delle piattaforme di
estrazione non paga alcuna royalties all’Italia). Altri Paesi europei
hanno royalties anche 5 volte superiori e senza franchigie.
Queste considerazioni, a cui altre potrebbero aggiungersi (vedi i
nostri precedenti messaggi), sono per noi più che sufficienti per
scegliere di votare SI. Per questo ti invitiamo ad impegnarti
perché quante più persone possibile vadano a votare (per raggiungere
il quorum del 50% + 1) e perché votino SI.
1) McGlade C, Ekins P: The geographical distribution of fossil fuels unused when limiting global warming to 2 °C, Nature, 517, 1/2015; 2) Legambiente: Stop sussidi alle fonti fossili www.legambiente.it/sites/default/files/docs/stopsussidifontifossili_2014_0.pdf; 3) Unioncamere: IV rapporto sull’economia del mare www.unioncamere.gov.it/P42A2672C2507S144/Rapporto-Unioncamere-sull-Economia-del-Mare-2015.htm; 4) Political Economy Research Institute 2010 www.peri.umass.edu/554/; 5) ASPO-Italia https://aspoitalia.wordpress.com/2016/03/07/le-bufale-sul-referendum-del-17-aprile; 6) http://espresso.repubblica.it/attualita/2016/03/24/news/referendum-trivelle-10-cose-da-sapere-per-votare-informati-1.255743.
Se cerchiamo “assenteismo” su un dizionario troviamo questa
definizione “L’assentarsi spesso dal lavoro senza validi motivi” e
“assenteista” “colui che si assenta senza validi motivi dal lavoro o
altri impegni”. L’assenteista è riprovevole perché
infrange il patto scritto col datore di lavoro (che in
molti casi è l’ente pubblico e, quindi, tutti noi), dichiara
o spinge a dichiarare il falso (ad esempio al proprio
medico), fa diminuire la qualità/quantità del servizio reso dalla
struttura in cui opera, reca un danno economico
all’azienda in cui lavora e all’intera società, reca un danno ai
colleghi di lavoro, dà cattivo esempio e demotiva
altri lavoratori.
I giornali parlano spesso di assenteismo, soprattutto riportano casi
eclatanti scoperti dalla magistratura, perché vedere un assenteista
smascherato è una cosa che fa piacere e quindi sono notizie che
giornalisticamente “tirano”. Spesso riportano anche dati come “Nel
pubblico l'assenteismo è più alto del 50%”, “L'assenteismo nella
pubblica amministrazione vale 3,7 miliardi”, “19 giorni di assenza pro
capite nel pubblico impiego, 13 nel privato” (tutti del Sole 24 Ore).
Come sempre bisogna esercitare lo spirito critico, leggere con
attenzione per vedere se le cose stanno realmente così.
La prima cosa da dire è che in economia “assenteismo” non ha
il medesimo significato del linguaggio comune. “Tasso di
assenteismo”, “indice di assenteismo”, “durata media dell'assenteismo”
sono tutti indicatori che misurano i giorni (o le ore) in cui
il lavoratore è stato assente per malattia, infortunio, permessi
(ad esempio per matrimonio, per lutto, per assistere un portatore di
handicap, per gravidanza o allattamento ecc.). Cioè per tutte
le assenze escluse le ferie.
Ora essere malati, avere un infortunio, un lutto o un congiunto
portatore di handicap sono tutte cose negative, ma non riprovevoli: sono
disgrazie non comportamenti immorali e illegali.
Allattare un bambino, essere incinta, assistere un portatore
di handicap, sposarsi sono cose positive, socialmente ed
economicamente utilissime. Sarebbe più corretto parlare di
“assenze” e non di “assenteismo” e non si capisce perché in
economia si usa un termine cosi fuorviante e connotato negativamente.
Si potrebbe obiettare che chi si assenta senza validi motivi certo non
lo dichiara (anzi dichiara di essere in una di quelle condizioni in
cui si ha il diritto di assentarsi) e che quindi è difficile separare
l'assenteista dall'assente. Ma questo è vero solo in parte. Alcune
tipologie di assenze (matrimonio, infortunio, gravidanza ecc.) sono
difficilmente “millantabili”.
Che l'Italia abbia un triste primato nell'assenteismo è poi vero o no?
In realtà nessuno lo sa. Gli indicatori di assenza dal lavoro ci
dicono che le assenze dal lavoro sono più frequenti nei Paesi
Scandinavi, in Francia, Olanda. Ma questo forse dipende da
un maggiore numero di donne lavoratrici, da una maggiore natalità o da
una normativa più attenta ai problemi sociali e ai diritti del
lavoratore. Ma anche considerando i soli giorni di assenza
per malattia (l'assenteista solitamente dichiara di essere
malato) l'Italia non è assolutamente ai primi posti,
anzi, è sotto la media UE (Italia 6,7 giorni di
malattia all'anno per lavoratore di imprese private, UE 7,4 giorni).
Il Portogallo è al primo posto (11,9 giorni di malattia, seguita dalla
Francia 8,3 giorni) [1].
Il paragone poi tra pubblica amministrazione e aziende
private è molto arduo perché la
quota di donne, anziani, portatori di handicap è maggiore nel
pubblico. Inoltre nelle aziende private le giornate di
assenza aumentano con l'aumentare delle dimensioni dell'azienda: sono
il 4,9% delle ore lavorabili nelle aziende con meno di 15 dipendenti,
il 5,9 fino a 100 dipendenti e il 7,8% nelle aziende con oltre 100
dipendenti [2]. E' difficile trovare pubbliche amministrazioni con
meno di 15 o 100 dipendenti per cui il confronto andrebbe fatto solo
tra pubblica amministrazione e grandi aziende ma questo raramente
viene fatto. Nelle aziende piccole (e ancora di più
nel caso di “aziende” con 1 o 2 dipendenti) nel quale il datore di
lavoro può licenziare quando vuole il lavoratore finisce per
andare al lavoro anche se è malato o ha avuto un lutto in famiglia.
Quindi, avere un basso percentuale di assenze per malattia,
spesso è un indicatore di scarsa tutela dei diritti del lavoratore.
La CGIA di Mestre per il 2012 ha dato questi dati: i giorni di
malattia medi registrati tra i lavoratori statali 16,72; nel settore
privato 18,11 giorni [3]. Un dato molto diversi da quello dello studio
di Confindustria citato dal Sole 24 Ore. Probabilmente la differenza è
data dal fatto che la CGIA dai lavoratori privati ha escluso autonomi,
colf, badanti e dirigenti.
Gli impiegati fanno mediamente il 60% in più di giornate di
malattia (esclusi infortuni e m. professionali) dei
quadri e gli operai il 180% in più [2]. Tali differenze
sono in gran parte dovute al fatto che la salute dipende
soprattutto dal reddito e dall'istruzione. L'operaio non
solo vive in media 5 anni in meno di un avvocato, ma anche si ammala
prima e più frequentemente di quest'ultimo. Se l'aspettativa di vita
libera da disabilità per l'1% più povero è 53 anni, mentre per l'1%
più ricco è 70 anni [4], è ovvio che chi fa i lavori meno
remunerati (l'operaio non qualificato) si ammala molto più spesso di
chi è imprenditore, dirigente o quadro.
Purtroppo oltre ad ammalarsi da giovani e più frequentemente devono
subire anche di essere additati come “assenteisti”.
Fonti: 1) AIDP: L'assenteismo, 2014; 2) Centro Studi Confindustria 2012 in AIDP: L'assenteismo, 2014; 3) Ufficio Studi CGIA 2014; 4) The Equality Trust: Equal opportunities for health (www.equalitytrust.org.uk).
Solitamente si pensa che lo stare in buona o cattiva salute dipende
innanzitutto dalla fortuna (o sfortuna), dal patrimonio genetico o
dalle proprie abitudini di vita. Le ricerche scientifiche ci dicono
invece che la salute dipende soprattutto dal reddito e
dall'istruzione.
Dividendo la popolazione della Gran Bretagna in 100 fasce per livello
di reddito risulta che la prima fascia (l'1% più povero) vive
circa 10 anni meno dell'ultima fascia (l'1% più ricco) [1].
Un'analoga ricerca compiuta in Italia, dividendo la popolazione in 10
fasce di reddito, ha evidenziato che la prima fascia (il 10% più
povero) vive in media 5,6 anni meno del 10% più ricco [2].
Un operaio vive in media 5 anni meno di un avvocato
[3]. I lavoratori che vivono meno sono gli agricoltori, i minatori,
gli addetti alla rimozione dei rifiuti, i muratori, gli operai
dell'industria, gli autotrasportatori. Quelli che vivono più a lungo
sono i dirigenti e gli imprenditori, seguiti dai liberi
professionisti. I precari vivono meno di chi ha un posto sicuro [4].
Le differenze tra ricchi e poveri sono ancora più marcate se si
considera l'aspettativa di vita libera da disabilità: per l'1%
più povero in media è 53 anni; per l'1% più ricco 70 anni;
per il 40% più benestante è sopra i 65 anni (tra 65 e 70 anni), per il
55% meno benestante è sotto i 65 anni [1].
Perché avviene questo? Per una pluralità di ragioni. I più poveri
fanno lavori più insalubri (un contadino o un minatore è molto esposto
a cancerogeni, polveri, possibilità di incidenti), sono meno istruiti
e sanno tutelare meno bene la loro salute (tra le laureate
solo il 4% è obesa, tra le donne con licenza elementare il 23%),
non possono accedere ad alcuni servizi (ad esempio alla sanità
privata, all'intramoenia, alle palestre), spesso rinunciano alle
prestazioni sanitarie per non pagare il ticket (nel solo 2012, per
motivi economici, 2,7 milioni di italiani hanno
rinunciato a curarsi) [5], hanno più preoccupazioni e
stress, abitano case e in zone meno salubri (più inquinate, con meno
servizi ecc.).
Queste grandi differenze nell'aspettativa di vita e nell'aspettativa
di vita in buona salute, tra poveri e benestanti, tra contadini e
operai da una parte e dirigenti e professionisti dall'altra sono
raramente considerate nella nostra legislazione e nei servizi
pubblici.
Per esempio i contadini hanno l'aspettativa di vita più
bassa, ma vanno in pensione alla stessa età dei dirigenti e degli
impiegati. Agricoltori, muratori, addetti al
prelievo dei rifiuti per la nostra legislazione non
rientrano nella categoria “lavori usuranti”; questi
lavoratori devono pagare i contributi fino a 66 anni e 7 mesi (come i
dirigenti e gli impiegati), ma prenderanno la pensione per meno anni
perché moriranno prima dei dirigenti e degli impiegati. A conti fatti
essi non riceveranno dopo i 66 anni e 7 mesi quanto hanno versato in
tanti anni di lavoro, mentre i dirigenti, vivendo più a lungo,
riceveranno più di quello che hanno versato: così succede che i
più poveri pagano la pensione ai più benestanti.
Ancora, lo Stato ripartisce il fondo sanitario tra le Regioni in base
soprattutto al numero di abitanti e alla percentuale di popolazione
anziana. In questa maniera finisce che le regioni del Nord
ricevono molti più soldi di quelle del Sud, anche se c'è maggiore
bisogno di servizi sanitari al Sud che al Nord, perché i
poveri sono più numerosi qui (le famiglie in povertà relativa sono il
6% nel Nord Italia e il 26% nel Sud, quelle in povertà assoluta sono
il 5,7% al Nord e il 12,6% al Sud) [6[. I finanziamenti pro capite che
la Liguria riceve dallo Stato per il suo servizio sanitario è
circa il 15% più alto di quello che riceve la Campania.
Questo maggiore finanziamento alla Liguria è determinato dal fatto che
ha una popolazione più anziana, ma ha una popolazione più anziana
perché l'aspettativa di vita è più lunga e perché molti ricchi e
benestanti piemontesi, dopo la pensione, si trasferiscono sulla costa
ligure a godersi una lunga pensione.
Questo iniquo sistema di ripartizione del fondo sanitario (dare più
soldi a chi è più ricco e ha meno bisogni di salute) dura da decenni
ed è tra le cause principali del diverso livello di servizi sanitari
tra Nord e Sud Italia.
Di tutto questo si parla pochissimo. Si parla invece in continuazione
che si spende troppo (mentre siamo tra i Paesi europei che
spendono meno per la sanità: il 7% del PIL, e, in potere di
acquisto il 28,7% in meno della media dei Paesi UE14 [7]),
che non si può garantire a tutti cure gratis e si insinua l'idea che
bisogna tagliare la spesa sanitaria e che è necessario un sistema
misto assicurativo e pubblico.
In realtà l'ingresso delle assicurazioni nella sanità non
migliora l'assistenza alla popolazione più povera, né le prestazioni
sanitarie e la salute dei cittadini. Non riduce nemmeno la spesa da
parte dello Stato. L'esperienza dei Paesi che hanno scelto
questa strada lo dimostra: in Olanda, Germania, Belgio, Francia,
Austria, USA cioè nei Paesi dove lo Stato spende di più per
la Sanità, le assicurazioni hanno un ruolo importante.
Negli USA dove l'assistenza sanitaria pubblica è garantita solo agli
indigenti e a famiglie di basso reddito, la spesa sanitaria totale è
il 16,9% del PIL di cui l'8% pubblica. Cioè negli Usa lo
Stato spende per la Sanità più dell'Italia riuscendo
a garantire un'assistenza sanitaria (molto più scadente dell'Italia)
solo al 30% della popolazione [7[.
Aveva ragione Virchow, il grande medico e scienziato dell'800, che
diceva: “Il miglioramento della medicina potrà alla fine
prolungare la vita umana, ma il miglioramento delle condizioni
sociali può raggiungere questo risultato più in fretta e con
maggiore successo” e “La medicina è una scienza sociale e la
politica non è altro che medicina su larga scala”.
Fonti: 1) The Equality Trust: Equal opportunities for health (www.equalitytrust.org.uk); 2) Costa G.: differenze nella speranza di vita in base al reddito a Torino; 3) Bajekal et al (2007); 4) Ministero dell'Economia e Finanza: I determinanti dell'aspettativa di vita in Italia 5) C.R.E.A. Sanità-Università di Roma Tor Vergata 2015; 6) ISTAT; 7) OCSE
Il Governo ha deciso: il 17 aprile si voterà il referendum sulle
trivellazioni petrolifere. Di che si tratta? Per spiegarlo bisogna
fare qualche passo indietro.
Ricordate lo Sblocca Italia? Il decreto di 296 pagine sugli argomenti
più disparati diventato legge nel 2014? Questo discusso decreto (vedi
i nostri messaggi del 6/11/2014 e del 28/5/2015) permette di ricercare
ed estrarre petrolio anche ad una distanza dalla costa e da aree
marine protette minore di 12 miglia, anche nei parchi nazionali e
nelle aree protette, anche se la Regione è contraria. Contro
l'approvazione di questo decreto si erano espresse le associazioni
ambientaliste, quelle turistiche (es. il Touring Club Italia),
centinaia di comitati locali, la Conferenza delle Regioni, le
Conferenze episcopali di Abruzzo e Molise (due delle Regioni più
tartassate dal decreto), intellettuali ecc.
Successivamente all'approvazione del decreto, 10 Regioni (Liguria,
Veneto, Marche, Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Puglia,
Calabria Sardegna) hanno presentato richiesta di 6 referendum.
Il Governo, per paura di perdere, ha inserito nella legge di stabilità
alcune disposizioni, quali il divieto di ricerca ed estrazione nella
fascia di 12 miglia dalla costa e dalle aree marine, il coinvolgimento
delle Regioni ecc. che in parte accolgono le richieste delle Regioni e
degli ambientalisti. Dei 6 referendum è stato così ammesso solo uno
(su altri due la Corte Costituzionale si dovrà esprimere tra pochi
giorni).
Il referendum del 17 aprile chiede che sia abrogata la norma che
stabilisce che le concessioni alla ricerca e all'estrazione siano a
tempo illimitato. Va detto, infatti, che il Governo ha chiuso le
stalle dopo che ha fatto uscire le vacche: al 31 dicembre 2015 aveva
già concesso, secondo le vecchie norme dello Sblocca Italia, 90
permessi sulla terra ferma e 24 in mare (una concessione permette di
ricercare petrolio nel Golfo di Taranto a solo 1,16 miglia da un'area
protetta, il Sito di Importanza Comunitaria “Amendolara”). Se passa il
referendum tutte queste concessioni possono essere ridiscusse, se non
passa, le aziende petrolifere avranno mano libera. Insomma, come ha
detto il WWF, il Governo ha fatto il furbo: si è affrettato a
concedere quante più autorizzazioni è possibile, senza rispettare il
limite dei 12 Km, senza sentire le Regioni ecc. e poi ha concesso
quello che chiedevano gli ambientalisti e le Regioni, quando ormai i
giochi erano compiuti,. Ovviamente non ha potuto concedere che le
autorizzazioni fossero a tempo e ridiscutibili, perchè avrebbe
vanificato tutta la sua strategia.
Un sondaggio ha evidenziato che oltre l'88% degli italiani è contrario
alle ricerche petrolifere in mare sotto le 12 miglia. Quindi vittoria
facile del referendum? Tutt'altro. Il Governo, malgrado i molti
appelli ad accorpare le elezioni amministrative col referendum, ha
deciso che questo si terrà prestissimo, il 17 aprile. Appare chiaro
che Renzi cerca di fare in modo che non si raggiunga il quorum del 50%
dei votanti. E per farlo fa spendere agli italiani circa 350 milioni
di euro (tanto si sarebbe risparmiato se si accorpavano le due
votazioni in un unico giorno). Inoltre, se la Corte Costituzionale
desse il via libera agli altri due referendum, questi non potrebbero
tenersi il 17 aprile, perché la data è troppo vicina, quindi altri 350
milioni da spendere inutilmente. Nel merito di questa strategia
pro-petrolio del Governo va detto che:
Insomma lasciamo andare alla malora la nostra ricchezza più importante – il paesaggio, inteso come bene naturale, ambientale, culturale, storico, artistico – e la mettiamo ancor più a rischio per avere un poco di petrolio di qualità scadente, quando il futuro è delle energie pulite e rinnovabili.
Fonti: 1) World Travel & Tourism Council 2013; 2) INAIL: Secondo rapporto Pesca 2011; 3) Impresapesca: Pesca dei molluschi bivalvi con draga idraulica in Adriatico, 2015
“Nella Terra dei fuochi il tumore uccide di più: i nuovi dati
dell’Istituto superiore della sanità” (Repubblica), “Emergenza bambini
nella Terra dei Fuochi: tumori già a 1 anno” (Corriere della Sera),
“La diossina, il rimpianto: la Terra dei Fuochi avvelenata due volte.
I parenti delle vittime dopo il rapporto dell’Istituto di Sanità:
“Dicono che avevamo ragione, nessuno guarirà per questo” (La Stampa),
“L'Istituto Superiore di Sanità: nella Terra dei Fuochi ci si ammala e
si muore di più” (Il Mattino). Questi sono i titoli di alcuni degli
articoli usciti in questi ultimi giorni sui giornali. Da
questi titoli si evince che l'Istituto Superiore
della Sanità (ISS) ha pubblicato una nuova ricerca che evidenzia che
nella Terra dei fuochi vi sono più morti, ci si ammala di più
(soprattutto di tumori, e soprattutto i bambini) e che questo
(almeno per La Stampa) dipende dalla diossina.
Se si leggono gli articoli si leggono frasi come queste:
- “Aumento di mortalità, patologie e ricoveri nella popolazione
adulta” (Corriere della Sera);
- “Cosa finalmente viene riconosciuto. Un pezzo d’Italia è malato.
Così avvelenato da anni di sversamenti illegali e roghi tossici, da
ammalare la sua gente” (La Stampa);
- “Quella che prima era un’ipotesi avvalorata da dati
in continuo aggiornamento, oggi è una certezza.
Almeno per l’Istituto superiore di sanità, che nella
Terra dei fuochi ci si ammala e si muore di più per diverse
patologie collegate in qualche modo allo smaltimento
illegale dei rifiuti” (Il Fatto Quotidiano);
- “Nella Terra dei fuochi ci si ammala e si muore di più per diverse
patologie collegate in qualche modo allo smaltimento illegale dei
rifiuti” (Il Mattino).
In sintesi la mortalità, le patologie e i ricoveri sono
aumentati, si muore di più che altrove e questo dipende dai rifiuti.
Quanto c'è di vero in tutto ciò? Facile saperlo basta
andare sul sito dell'ISS.
1) Non c'è nessun nuovo studio dell'Istituto
Superiore di Sanità. L'ultimo studio è del maggio
2014, pubblicato sul sito nel luglio 2014 e sulla rivista
dell'ISS nel settembre 2015. La domanda sorge spontanea: perché tutto
ad un tratto viene recuperato uno studio vecchio di quasi 2 anni e
sbattuto in prima pagina? Ciò non contraddice il criterio principale
della “notiziabilità”, che è la novità?
2) “Aumento della mortalità, di patologie e ricoveri” in
italiano significa che prima ne erano di meno e ora sono di più.
L'ISS dice questo? No. Lo studio non fa altro che
confrontare i dati di una zona (i 55 comuni della Terra dei Fuochi)
con quelli regionali o nazionali (confronto tra aree geografiche e non
nel tempo). Quindi l'ISS non dice niente in proposito. I dati però si
trovano sul sito dell'ISTAT, che riporta che i tassi
di mortalità standardizzati per età (per
neutralizzare il fattore invecchiamento della popolazione) sono in
diminuzione sia in provincia di Napoli che in quella di Caserta
(a Caserta nei maschi erano 146/100.000 abitanti nel nel 2003 e 123
nel 2012, nelle femmine erano 94/100.000 ora sono 79). Quindi non c'è
nessun aumento della mortalità, anzi, c’è una diminuzione.
3) Nel rapporto dell'ISS le parole diossina, diossine, PCDD
non compaiono neanche una volta.
4) Il rapporto confronta mortalità e ricoveri dell'area della
Terra dei Fuochi (nonché l'incidenza dei tumori nell'area
del registro tumori dell'ex ASL Napoli 4) con gli analoghi
dati della Campania (o dell'Italia Centro-meridionale per
le patologie infantili) per vedere se si muore, ci si ricovera e ci si
ammala di più o di meno. Ecco i principali risultati:
- nessun eccesso di mortalità nella fascia d'età 0-14 anni
(“I dati relativi alla mortalità nell’età evolutiva sono analoghi a
quelli osservati nel resto della Regione”)
- nessun eccesso di mortalità per tumori nella fascia d'età
0-14 anni
- eccesso di tumori del sistema nervoso centrale nel primo
anno di vita e nella fascia di età 0-14
- eccesso di bambini ricoverati per tumore nel primo anno di
vita
- eccesso di tumori negli adulti (circa 10% in più)
- eccesso di mortalità per tumori negli adulti (circa
8%)
- eccesso di incidenza e mortalità riguarda i tumori di stomaco,
fegato, polmone e vescica e mammella
- difetto di incidenza di leucemie, tumori tiroidei e
pancreatici negli adulti.
5) Il rapporto analizza poi l'insieme delle patologie che i
rifiuti tossici potrebbero causare (se bruciati o
interrati) e confronta i ricoveri per l'insieme di tutte queste
patologie nella Terra dei Fuochi e in Campania. Nell'area TdF
della provincia di Caserta vi è un tasso di ricoveri
significativamente più basso che in Campania per queste patologie,
nella parte riguardante la provincia di Napoli non vi sono differenze
significative col resto della Regione.
6) Nel rapporto è scritto (pag. 2) “Le
caratteristiche metodologiche dello studio SENTIERI non consentono,
in linea generale, la formulazione di valutazioni di nessi
causali” ... “Queste considerazione valgono in particolare
per le patologie ad eziologia multifattoriale” come i tumori.
A pag. 26 è scritto “E' al momento difficoltoso individuare i fattori
ambientali specificamente associati all’insorgenza dei tumori
infantili … poiché i tumori, in particolare quelli infantili, possono
essere il risultato di una combinazione di cause genetiche e
ambientali”. Quindi lo studio non dimostra nessun nesso tra
rifiuti e tumori o altre patologie semplicemente perché è
uno studio epidemiologico trasversale (o geografico) e questo tipo di
studi non ha questa capacità (vedi il nostro documento “ABC per
orientarsi nei dati epidemiologici” www.giardinodimarco.it/documenti/2013/abc%20per%20capire%20l%27epidemiologia.pdf).
In conclusione giornali e TV hanno preso un rapporto vecchio
di quasi due anni, di cui avevano già ampiamente parlato
(vedi per esempio l'articolo di Saviano sulla prima pagina di
Repubblica del 5/7/14 e il nostro commento www.facebook.com/permalink.php?id=204873329551070&story_fbid=755910974447300)
e l'hanno sbattuto in prima pagina, facendo dire all'ISS
quello che non dice (non c'è alcun aumento della mortalità
e dei tumori, non è dimostrato alcun nesso tra rifiuti e malattie, non
parla per niente di diossine e malattie, non c'è eccesso di mortalità
e di mortalità per tumori nei bambini) e non dicendo una cosa
importante che dice (che nell'area TdF della provincia di
Caserta vi è un tasso di ricoveri, per le patologie che potrebbero
essere favorite dai rifiuti, significativamente più basso che in
Campania).
Lo studio dice solo che nella
cosiddetta Terra dei fuochi forse c'è un aumento dei tumori
nel primo anno di vita. E bisogna dire “forse”, perché il
numero di ricoveri non è un buon indicatore del numero di bambini
malati e perché il numero di casi è, per fortuna, molto esiguo (7
casi di tumore del sistema nervoso invece dei 3 attesi). I
dati “statisticamente significativi” lo sono con un intervallo di
confidenza del 90%; se si usasse, come solitamente si fa, un
intervallo di confidenza del 95% nessuno di questi eccessi di tumore
sarebbe significativo.
Il rapporto dice inoltre che tra Napoli e Caserta si muore di
più e ci si ammala di più che nell'Avellinese, Beneventano
o Salernitano o al Centro e Nord Italia. Un dato che è
conosciuto da decenni e che non stupisce se si considera
che la popolazione di quest'area è più povera, vive in un contesto
urbanistico-ambientale più degradato (traffico automobilistico,
fabbriche, congestione urbana, carenza di servizi, rifiuti ecc.), ha
stili di vita meno salutari (a Napoli il 15% della popolazione è
obesa, in Italia il 10%, a Napoli il 42% è sedentario, in Italia il
29%) e dispone di servizi sanitari carenti.
Continuiamo a chiederci: perché sbattere in prima pagina una
notizia vecchia di 2 anni e già ampiamente trattata proprio ora?
Perché si vogliono spaventare i cittadini? Perché
si polarizza tutta l'attenzione sui rifiuti tralasciando tutti gli
altri problemi di questo territorio (e povertà,
disoccupazione e inquinamento da traffico incidono sulla salute molto
di più)?
La legge è legge e deve essere rispettata, se non la si rispetta si
deve essere puniti (galera o ammenda, a secondo della gravità).
La legge prescrive che le polveri sottili (PM10) non devono superare
una concentrazione superiore a 50 mcg/mc più di 35 volte all'anno. A
Napoli e in quasi tutte le città italiane questa legge non
è mai rispettata. Nel 2015 vi sono stati 73 giorni di
superamento (più del doppio di quanto ammesso). E non è
stato l'anno peggiore: nel 2008 il limite è stato superato per 134
giorni e nel 2009 per 170 giorni [1]. Ci possiamo
consolare pensando che non siamo stati tra le città più inquinate. Per
esempio a Milano, nello scorso anno, il limite è stato
superato per 102 giorni [2].
Malgrado questa palese infrazione della legge, nessun Sindaco (o
Assessore all'Ambiente) è mai stato punito. La legge infatti individua
nel Comune l'ente preposto al rispetto di questi limiti. Ma l'inquinamento
dell'aria dipende non solo dall'operato del Comune, ma anche dalla
Unione Europea, che stabilisce quanti inquinanti può
emettere un veicolo a motore, dal Governo, che può
destinare finanziamenti a determinate opere o veicoli, dalla
Regione, che ha competenza sui trasporti regionali e sulla
pianificazione territoriale, e anche dai cittadini,
che possono avere comportamenti ecosostenibili o non ecosostenibili.
La UE, per esempio, nell'autunno del 2015 ha
stabilito che i test che i veicoli devono superare per
essere omologati sono positivi anche se i valori di emissione
rilevati nei test su strada eccedono del 110% i limiti di legge.
Una norma che ha un pesante impatto negativo sulla qualità dell'aria.
In Europa gli italiani sono tra i popoli che usano di più la
macchina e meno piedi e bici (il 30% degli spostamenti in
auto dei giorni feriali servono per raggiungere mete distanti tra i
700m e i 3 Km) [3]
Negli ultimi giorni di dicembre, per particolari condizioni
meteorologiche (assenza di venti e “inversione termica”, cioè la
formazione di una fascia d'aria più calda, che impedisce la
dispersione degli inquinanti verso l'alto), l'inquinamento di tante
città italiane è salito a livelli altissimi (a Cassino il PM10 ha
superato i 170 mcg/mc). I giornali si sono finalmente accorti di
questo problema e il Governo ha approvato alcuni provvedimenti.
Esaminiamoli brevemente.
1) Un decalogo per i Sindaci non vincolante e senza
alcun valore giuridico (come ha precisato il Ministro dell'Ambiente).
Nel decalogo si consiglia ai primi cittadini, quando vi sono
più di 7 giorni consecutivi di sforamenti dei limiti
massimi degli inquinanti, di fare un'ordinanza in cui si disponga di abbassare
di 2 gradi il riscaldamento delle case, di ridurre
il limite di velocità di 20 Km/h, di ridurre o
abolire i biglietti per i mezzi pubblici.
Il primo provvedimento potrebbe essere utile ma vale quanto una grida
manzoniana, perché i Comuni non hanno personale che possa andare nei
vari appartamenti a misurare la temperatura. Il secondo è di dubbia
utilità, forse addirittura controproducente in determinate situazioni.
Il terzo ha un “piccolo” difetto: i Comuni devono rifondere alle
aziende di trasporto il mancato incasso e le finanze dei
Comuni non sono proprio rosee, considerando i massicci tagli ai
trasferimenti da parte dello Stato subiti negli ultimi 20
anni (8,3 miliardi in meno negli ultimi 5 anni [4]).
2) Il Governo ha destinato ai Comuni 12 milioni di euro per
“potenziare il trasporto pubblico e il car shering”. Con 12
milioni di euro si comprano una cinquantina di autobus. Se si
considera che ogni anno in circa 40-50 città capoluogo si superano i
limiti di legge e che sono numerose anche le città non capoluogo in
cui ciò avviene, si può dire che con questa cifra ogni città
inquinata può comprare meno di mezzo autobus. Più che
“potenziare il trasporto pubblico” ci sembra una presa per i fondelli.
3) Si promette che verranno dati incentivi a
chi rottama auto vecchie per comprarne una nuova. Cioè si destinano
soldi pubblici per favorire l'acquisto di auto, non
considerando che l'Italia è uno dei Paesi al mondo con il maggior
numero di auto per abitante e per Kmq (in Italia vi sono 608
autovetture ogni 1000 abitanti, in Germania 539, in Francia 512, in
Spagna 476, nel Regno Unito 464 [5]). Ovviamente non vi sono incentivi
per chi va a piedi o in bici, ma solo per chi va in auto e ha i soldi
per permettersela.
4) Il Governo inoltre ha elencato vari stanziamenti presenti
in provvedimenti già varati:
- 250 milioni di euro per la ristrutturazione di “scuole,
strutture sportive e condomini”. Se si tiene conto che nella
sola Campania gli istituti scolastici sono circa 8000
(ciascuno con più plessi) [6] e i condomini oltre 50.000
si può capire che si tratta di una cifra ridicola;
- 50 milioni di euro per impiantare colonnine di
ricarica per le auto elettriche, cioè un
aiuto con soldi di tutti a chi può permettersi un'auto elettrica,
che costa il doppio di un'auto normale (i modelli più
economici costano sui 30.000 euro) e che dopo 3-4 anni è
inservibile se non si cambia la batteria (che costa quanto un’auto a
benzina);
- 70 milioni per ristrutturazioni di edifici delle amministrazioni
centrali.
A conti fatti il Governo ha deciso di investire circa 400
milioni per provvedimenti (discutibili e di dubbia
utilità) contro l'inquinamento atmosferico. Contemporaneamente
dà 4 miliardi e mezzo a due settori che sono tra le principali cause
dell'inquinamento dell'aria. Infatti ogni anno lo Stato dà
agli autotrasportatori circa 2 miliardi e mezzo di euro
(2 miliardi di sconti sui carburanti, 400 milioni di fondi per il
sostegno al settore, 120 milioni per sconti sui pedaggi autostradali e
22 milioni di sconti sulla RCA) e circa 2 miliardi alle
centrali a carbone e a metano e agli inceneritori [7].
Tutto ciò ci riempie di tristezza, sconcerto e rabbia: l'inquinamento
atmosferico determina tra 40.000 e 50.000 morti ogni anno
in Italia [8]. Se i limiti di legge venissero rispettati vi
sarebbero diverse migliaia di morti in meno. Possibile che queste
vite umane interessano così poco e non pesano sulla coscienza di chi
con le proprie scelte determina questa situazione?
1) ARPA Campania; 2) ARPA Lombardia; 3) ISFORT 2012; 4) CGIA Mestre
2015; 5) Eurostat 2012; 6) Ministero della Pubblica Istruzione; 7)
Legambiente: Stop sussidi alle fonti fossili
www.legambiente.it/sites/default/files/docs/stopsussidifontifossili_2014_0.pdf;
8) stime basate su OMS “Health effects of transport related air
pollution, 2005 e “ESCAPE project”, Lancet, 2014.
Natale tempo di presepi. Solo pochi decenni fa il presepe sembrava
destinato ad una lenta agonia, soppiantato dal più “laico” e festoso
albero di Natale. Ora è ritornato di moda. Ci tengono al presepe non
solo i cristiani e i semplici alla Luca Cupiello, ma anche chi non
crede né in Cristo né in Dio e “semplice” non è.
Costoro lo pretendono anche nei luoghi pubblici e laici, brandendolo
come un’arma contro gli “arabi”, gli stranieri, i migranti, i non
cristiani. Ma, se dal presepe leviamo arabi, ebrei e
stranieri, rimangono solo il bue e l'asinello.
Il presepe parla invece un'altra lingua: quella della particolare attenzione
che dovremmo avere per i poveri e gli stranieri, come erano Maria,
Giuseppe e Gesù, come era Francesco d'Assisi a Greccio.
Poveri e stranieri che, secondo il messaggio cristiano, sono i
soggetti nei quali Dio si identifica (“qualunque cosa avrete fatto
verso questi più miseri, lo avete fatto a me” Mt. 25) e nel rapporto
con i quali si gioca il giudizio su di noi (“Separerà gli uni dagli
altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore
alla sua destra e i capri alla sinistra. E dirà a quelli che stanno
alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità
il Regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo, perché io
avevo fame e mi avete dato da mangiare, ero forestiero e mi avete
ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete assistito,
incarcerato e siete venuti a trovarmi … E se ne andranno i giusti alla
vita eterna, gli altri al supplizio eterno” Mt. 25).
Come si può festeggiare il Natale (cioè la nascita di chi ha portato
questo messaggio) ed essere d'accordo alle politiche antiimmigrazione
dell'Italia e dell'Europa, che nei primi 11 mesi di questo 2015 hanno
causato 3.200 morti nel Mediterraneo (il doppio
dello scorso anno) e 700 bambini deceduti é? [1]
Come si può condividere la scelta della UE (e dell'Italia) di dare
3 miliardi di euro ad uno stato poco democratico (è al 149°
posto su 180 per libertà di stampa) e spesso brutale come la Turchia,
perché respinga o trattenga i migranti, purché non li faccia
venire da noi?
Come si può essere per il presepe, che pullula di poveri (i pastori
della Palestina o il popolino napoletano) e non dire nulla contro una
politica economica che dagli anni '80 ad oggi ha favorito ricchi e
benestanti e penalizzato poveri e meno abbienti (ricordiamo che negli
anni ’70 c’erano scaglioni di reddito con aliquote IRPEF del 50, 60 e
perfino 80%, mentre oggi l’aliquota massima - sopra i 75.000 euro
lordi annui - è del 43%: quindi un super-ricco e una persona che
guadagna 3.000 euro al mese sono tassati con la medesima aliquota)?
Come si può tollerare che in Italia vi siano oltre 50.000
persone senza casa, senza che questo diventi una priorità
per l'azione di governo? [2]
Come si può accettare che il 20% degli italiani possieda il
62% della ricchezza del Paese e il 20% più povero solo lo 0,4%,
senza che si intraprenda una vigorosa azione di redistribuzione della
ricchezza (che secondo la maggioranza degli economisti sarebbe il più
efficace provvedimento contro la crisi economica)? [3]
L'identità cristiana, di cui tanti cianciano, non sono simboli e
tradizioni come il presepe, a cui ci si aggrappa senza comprenderne il
significato, ma è l'attenzione agli ultimi, il vedere in ogni altro
uomo un nostro fratello, il sapersi immedesimare nell'altro (“Da
questo riconosceranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli
uni per gli altri”). Da questo punto di vista è un'identità che può
essere rivendicata (se si vuole) anche da chi credente non è: non è
molto diversa, in fondo, dai valori illuministici di libertà,
fraternità, uguaglianza, per i quali tanti hanno dato la
vita, e che dovrebbero essere i valori fondativi dei nostri Stati
democratici.
Facciamo quindi il presepe, se vogliamo farlo, scambiamoci gli auguri
di buon Natale, ma solo se condividiamo, da credenti o non credenti,
il messaggio di Gesù di Nazareth di fraternità e di attenzione
privilegiata ai poveri, agli stranieri, agli ultimi.
A noi ci piace il presepe e per
questo la Marco Mascagna augura a tutti buon Natale.
1) Fondazione Migrantes 2015 2) Istat 2014; OXFAM 2015
L’Agenzia Europea per l’Ambiente ha pubblicato il nuovo rapporto
sull’inquinamento atmosferico in Europa e molti giornali hanno
pubblicato articoli intitolati “Italia il Paese più inquinato:
84.000 morti ogni anno per l’aria inquinata”.
Il numero di morti indicati è quasi il doppio rispetto a quello
fornito da altri studi e che noi della Marco Mascagna abbiamo più
volte riportato. Che cos’è successo? Sono cambiate le stime di danno?
E’ aumentato l’inquinamento atmosferico? I giornalisti hanno preso una
cantonata? E quali riflessioni vanno fatte su questi dati e sul triste
primato dell'Italia?
Il rapporto è basato sui dati forniti dai Ministeri dell’Ambiente
delle varie nazioni e le procedure di rilevamento degli inquinanti
sono stabilite da norme comunitarie sulla base della letteratura
scientifica. Per l'Italia il documento della AEA riporta le seguenti
stime di morti causate dall'inquinamento atmosferico:
- 59.500 morti/anno per il PM2.5
- 3.300 morti/anno per l’O3
- 21.600 morti/anno per l’NO2
La somma effettivamente fa 84.000 morti. Ma nel rapporto è
scritto (pagina 44) che le stime
non sono sommabili tra di loro, essendo riferite a
inquinanti intrinsecamente correlati. Possiamo dire con una certa
approssimazione che i morti dovrebbero essere tra i 60.000 e i 75.000.
Comunque molti di più dei 40.000-50.000 di altri studi.
Nel rapporto è scritto anche che la situazione
dell'inquinamento atmosferico è lievemente migliorata, ma resta
molto critica. Quindi l'aumento non dipende da un
peggioramento dell'inquinamento.
Per calcolare il numero di morti sono utilizzate le stime degli ultimi
studi in proposito (es. lo studio ESCAPE), studi tra i più
accreditati. Il calcolo dei morti per le polveri fini è stato fatto
rispetto ad un valore di riferimento di 0 microgrammi/mc,
seguendo la raccomandazione dell'Organizzazione Mondiale della Sanità
di calcolare l’impatto sul “full range” delle concentrazioni. Gli
altri studi invece avevano come valore di riferimento 10 mcg/mc,
valore che si può considerare molto vicino al fondo naturale. Possiamo
dire, cioè, che il raporto dell'AEA stima i morti dovuti alle
polveri fini (naturali+artificiali), che sono tra i
60.000-75.000 gli altri studi solo quelli dovuti
all'inquinamento vero e proprio (40.000-50.000 morti all'anno).
I giornalisti non hanno letto il rapporto né chiesto pareri a qualche
esperto, hanno sommato i dati riferiti all'Italia e hanno sparato la
cifra di 84.000 morti all'anno (la più alta tra i Paesi europei), senza
un minimo di riflessione su perché l'Italia ha questo tragico
primato (primato che in realtà non ha, perché se si
considerano i morti/abitante, Bulgaria, Ungheria e Romania, sono messi
peggio dell'Italia).
C'è da chiedersi: perché la Svezia ha 0,4 morti per
inquinamento atmosferico ogni 1000 abitante e l'Italia ne ha 1?
Perché Francia, con 6 milioni in più di abitanti dell'Italia, ha
16.000 morti in meno per polveri fini? Perché in Spagna,
Danimarca e Regno Unito l'inquinamento atmosferico causa 0,5
morti/1000 abitanti, in Francia e in Germania 0,7
morti/1000 abitanti, mentre in Italia 1/1000 (cioè il 100%
in più di Danimarca, Spagna e Regno Unito e il 43% in più di Francia e
Germania)?
Questa notevole differenza non dipende dal tasso di
industrializzazione e nemmeno da condizioni climatiche o dal numero di
inceneritori. Ciò che distingue l'Italia da questi Paesi è il
numero di veicoli circolanti: in Italia ci sono 61 autovetture ogni
100 abitanti, in Germania 54, in Francia 51, in Spagna 47, nel Regno
Unito 46. Questo è quello che determina il maggiore
inquinamento atmosferico in Italia, che ha infatti come fonte più
importante il traffico veicolare.
Questa semplice verità è stata taciuta da tutti i giornali.
Mentre per mesi giornali e televisioni hanno parlato del presunto
inquinamento dei prodotti agricoli della Terra dei Fuochi,
terrorizzando i cittadini, non li si informa che auto, moto e camion
avvelenano l'aria e determinano senza alcuna ombra di dubbio (perché
tutti gli studi in proposito sono conformi e danno stime abbastanza
simili), varie decine di migliaia di morti ogni anno. Cosi la gente si
preoccupa molto di più per cose poco pericolose (es. onde
elettromagnetiche e rifiuti) e quasi nulla di cose estremamente
pericolose (l'inquinamento da auto, moto e camion). Il Governo
e la Regione destinano milioni di euro per la Terra dei Fuochi e
molto meno per un problema ben più grave come l'inquinamento
atmosferico da veicoli a motore. Anzi i Governi
danno incentivi e finanziamenti al trasporto merci su
gomma e si accollano gran parte dei costi del trasporto su gomma
(secondo lo studio AdT i soldi che entrano nelle casse pubbliche
grazie a tassa di possesso dei veicoli, accise sui carburanti e ricavi
di multe e contravvenzioni sono inferiori a quelle che sono spese per
costruzione e manutenzione delle strade, gestione del traffico e costi
esterni, come le malattie da inquinamento, i danni ai monumenti ecc.
Una politica che disincentivi l'uso spropositato di auto, moto
e camion e che incentivi il trasporto pubblico e l'uso di bici e
piedi non solo salverebbe ogni anno decine di
migliaia di vite, ma renderebbe le nostre città
più vivibili, più belle, più turisticamente appetibili.
Contribuirebbe inoltre a ridurre l'effetto serra, le piogge
acide e il buco d'ozono e creerebbe posti di
lavoro.
EEA: Air quality in Europe — 2015 report
Abbondano in televisione e sui giornali ricette di cucina e consigli
alimentari, indicazioni di alimenti da evitare perché pericolosi e da
assumere assolutamente perché proteggerebbero dalle malattie e ci
farebbero stare in buona salute. Poi c'è la pubblicità che tesse le
lodi di questo e quell'altro prodotto. Possiamo fidarci di tutti
questi consigli?
Se pensiamo che le prime 7 aziende alimentari hanno incassato
270 miliardi di dollari nel solo 2013 (Unilever 69 miliardi
di dollari, Pepsi-Co 66, Coca Cola 47, MARS 33, Danone 29, Kellogg’s
15, Nestlé 11) e speso 21 miliardi di dollari in pubblicità.
Qualche dubbio dovrebbe sorgere.
Oggi le grandi aziende alimentari hanno due principali
strategie di marketing:
Tutta questa grande opera di “informazione ed educazione alimentare”
svolta dalle aziende porta a convinzioni e idee spesso
molto diffuse ma che non hanno alcun fondamento scientifico
e a comportamenti bizzarri o scorretti.
Vediamone qualcuno.
1) La convinzione che l'acqua in bottiglia sia più sicura e
più salutare di quella del rubinetto. L'acqua del
rubinetto è più controllata e deve rispettare parametri più
rigorosi. Molti non la bevono perché contiene il calcare,
non sapendo che questo è un problema per la lavastoviglie, ma non per
il nostro organismo che ha bisogno di calcio (e molte persone hanno un
deficit di calcio). Ovviamente non esistono acque che “depurano
dentro” o “della salute”. Sono solo due delle tante trovate
pubblicitarie, che però determinano l'acquisto ogni anno in
Italia di 12,4 milioni di tonnellate di acqua.
Quando si tratta di alimentazione dovremmo tenere presente i seguenti
principi che non derivano solo da molte ricerche ma anche dal buon
senso:
1) Un’alimentazione corretta è importante per
mantenere una buona salute, ma ci si ammala e si muore anche
facendo la più corretta alimentazione possibile e
l’ortoressia (l'eccessiva, ossessiva attenzione a seguire
un'alimentazione sana) è una malattia.
2) Non mangiamo solo per nutrirci ma anche per procurarci
piacere, per socializzare ecc. Quindi uno stile alimentare
che ci fa perdere il piacere di mangiare e che ci isola dagli altri è
un'alimentazione “sana”?
3) L’alimentazione è molto complessa: evitiamo semplificazioni
(naturale/artificiale, fa male/fa bene, vegetale/animale, crudo/cotto)
e le mode
4) Vi sono cose molto importanti (non ingrassare;
non assumere troppi alcolici, troppi grassi saturi, troppo sale,
troppe proteine; mangiare verdura e frutta), altre meno
importanti (es. limitare le carni rosse, limitare gli
zuccheri semplici), altre tutte da dimostrare (es.
non bere latte, mangiare solo alimenti con basso indice glicemico, non
assumere cibi grassi con cibi proteici ecc.) e altre smentite
dai fatti (es. che il crudismo sia uno stile alimentare
“salutare”).
I contadini sapevano bene che se si prendeva tutta l'erba di un prato
senza fare tanta attenzione alle diverse specie presenti e se ne
faceva un solo fascio e poi lo si dava da mangiare al cavallo o alla
propria famiglia si rischiava di procurare la morte
dell'uno o dell'altra. Da questa esperienza è nata l'espressione "Non
bisogna fare di ogni erba un fascio". Oggi sono pochi a raccogliere
erba, ma non pochi che ne fanno un solo fascio.
Prima di fare un'affermazione bisognerebbe sempre vedere se
c'è qualche cosa che la smentisce e, se c'è, bisognerebbe
derivarne che l'affermazione è falsa, forse proprio perché fa di ogni
erba un fascio. Non è vero, infatti, che "l'eccezione conferma la
regola", anzi "l'eccezione conferma che la regola è
sbagliata" (non vera), perché contraddetta dai fatti.
Il medesimo spirito critico dovremmo avere quando leggiamo i giornali
o un libro, quando sentiamo un dibattito o una conferenza, quando
vediamo un programma televisivo o un sito web.
In questi giorni, dopo i tragici fatti di Parigi, abbiamo ascoltato
interessanti riflessioni, doverose domande a cui dare una risposta, ma
anche tante affermazioni superficiali e azzardate perché smentite dai
fatti.
Se si dice che "L'Occidente è tollerante" bisogna
chiedersi: "Il nazismo, il fascismo, lo stalinismo dove sono
nati e si sono sviluppati? Atteggiamenti xenofobi e omofobi
non sono forse ancora molto diffusi in Occidente e, purtroppo, in
ascesa?"
Se si dice che la religione islamica è intollerante e
violenta, si sono letti gli innumerevoli passi del Corano
che definiscono Allah “Il Misericordioso" e si dice
che "non ama gli eccessi"? Si è letto il brano che
definisce il credente colui che "respinge il male col bene"? Si
conosce il brano che dice che chiunque uccide un uomo "è come
se avesse ucciso l'umanità intera, e chi ne ha salvato uno,
è come se avesse salvato tutta l'umanità"? Le uniche eccezioni a tali
insegnamenti, per il Corano, sono la pena di morte per l'uomo che ha a
sua volta ucciso o "sparso la corruzione sulla terra" e la guerra
difensiva (dove però è vietata l'uccisione di donne, anziani e
bambini). Una posizione molto pacifista e non violenta per l'epoca (il
VII secolo dopo Cristo) e caratterizzata da pragmatismo e moderazione
che molti studiosi ritengono due caratteristiche dell'Islam.
Se si dice che "Le religioni, con la loro convinzione di
possedere la verità, hanno in sé la radice dell'intolleranza e della
violenza" si è cosi certi di non credere a propria volta di
possedere la verità? (In realtà crediamo che ognuno ritiene vere,
giuste e sagge le posizioni che ha, anche perché, se ritenesse il
contrario, probabilmente le cambierebbe). E come mai questa radice di
intolleranza e di violenza ha determinato uomini come San
Francesco e Gandhi (nonchè Maulana Abul Kalam Azad e Khan
Abdul Ghaffar Khan), la nonviolenza, l'obiezione di coscienza alla
guerra e alla sua preparazione e in alcuni casi il rifiuto di
qualsiasi forma, anche minima, di violenza? Nè ci risulta che
Stalin o Pol-Pot fossero religiosi.
Tutto ciò, ovviamente, non vuole dire che l'Occidente è intollerante,
né che il Corano e la religione islamica non siano utilizzati da una
piccola minoranza degli 1,6 miliardi di mussulmani per giustificare
l'intolleranza, l'odio e la violenza, e nemmeno che tutti i credenti
sono tolleranti, miti e pacifici. Quello che vogliamo dire è che la
realtà è complessa, sfaccettata e ricca di sfumature e per
comprenderla bisogna osservarla con occhi scevri da pregiudizi e
senza semplificarla in bianco e nero, buoni e cattivi. Se
non si riesce a vedere la complessità, le sfumature, le sfaccettature
si rischia poi di muoversi come ciechi in una cristalleria
ed è proprio la cosa di cui abbiamo meno bisogno in questo momento.
Purtroppo molti politici, giornalisti e opinion leader
parlano alla pancia delle persone (che non è un organo
capace di pensare e ragionare) ed enfatizzano rischi e pericoli. Spaventare
le persone è una facile strategia per guadagnare consensi e avere
deleghe in bianco. Quando si è spaventati non si
riesce a ragionare lucidamente, ma è proprio in queste
situazioni, invece, che è necessario ragionare lucidamente e non
fare scelte azzardate di cui ci potremmo pentirci amaramente.
Consigliamo di leggere le razionali 7 proposte dello storico Franco
Cardini pubblicate sul periodica “Vita” (http://dm.vita.it/publish/m/vitadigitalmagazine/i/paris2015/production/desktop).
L'Italia è tra i Paesi europei che spende di meno per la
Sanità. La spesa pubblica è pari al 7% del PIL
(prodotto interno lordo). In Olanda è il 10,1%, in
Danimarca il 9,3%; Francia 9%; Germania
8,7%; Austria 8,5%; Belgio 8,1%; Norvegia e Svezia 7,9%,
Regno Unito 7,8%; Islanda 7,4%, Finlandia e Spagna 6,8%; Portogallo
6,7%; Grecia 6,1% [1].
Se il confronto viene fatto in valori assoluti (a parità di potere di
acquisto), la situazione è analoga: l'Italia spende 2.481
dollari per abitante, molto meno dell'Olanda (4375
dollari/ab), della Germania (3.691 dollari/ab), Francia (3.317
dollari), Irlanda (2.628 dollari) e poco più della Spagna (2.190
dollari). L'Italia spende il 28,7% in meno della media dei
Paesi UE14 [1].
Malgrado ciò ad ogni finanziaria si continua a tagliare la
spesa sanitaria (dal 2010 al 2013 la spesa sanitaria è
stata tagliata del 3,5% all'anno) [1].
Si è fatto credere (ed è diventato senso comune) che spendiamo
troppo e che il Sistema Sanitario è inefficiente, anche se i dati
dicono il contrario. A fronte di una spesa sanitaria così
bassa abbiamo risultati che altri Paesi ci invidiano: siamo il Paese
con la più alta aspettativa di vita dopo la Spagna (Italia
82,8 anni, UE 79,2 anni), la mortalità
post-ricovero per infarto e ictus è tra le più basse di Europa [1],
la sopravvivenza per i malati di cancro è migliore
non solo della media Europea ma anche dei Paesi del Nord
Europa (32% di sopravvivenza a 5 anni in Italia contro il
22% del Nord Europa per il tumore gastrico; 89% contro l'85% per il
tumore alla prostata; 61% contro il 59% per il cancro del colon; 86%
contro l'85% per il tumore alla mammella; 67% contro il 56% per il
cancro al rene) [2].
Questo non significa che non vi sono problemi. I
principali sono i lunghi tempi di attesa per molte prestazioni, una
non tollerabile differenza tra le prestazioni di alcune regioni e
quelle di altre, tra alcuni centri ed altri; le disuguaglianze di
salute tra ricchi e poveri, tra istruiti e non istruiti (i poveri
vivono 5,6 anni in meno dei ricchi; nelle donne con licenza elementare
il 23% è obeso, nelle laureate solo il 4%) [3]. Esistono anche sprechi
e inefficienze, ma queste non si affrontano riducendo la spesa
sanitaria ogni anno del 3,5%. In questa maniera si tagliano solo i
servizi e non si rispetta l'art. 32 della Costituzione (“La Repubblica
tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse
della collettività). Basta pensare che nel solo 2012, per motivi
economici, 2,7 milioni di italiani hanno rinunciato a curarsi
[4].
Per affrontare questi problemi sarebbe necessario investire
nella sanità un poco di più (anche rimanendo sotto la media
UE) e affrontare con provvedimenti coraggiosi le cause delle
inefficienze (le raccomandazioni, le carriere fatte per
“motivi politici” invece che per merito, l'utilizzazione del ruolo
pubblico per la propria attività professionale privata ecc.). Ma
di questo non si parla. Si parla sempre di costi eccessivi
della Sanità, della necessità di tagliare la spesa e di introdurre
nuovi ticket, dell’impossibilità di garantire a tutti le cure,
dell'opportunità di favorire le assicurazioni integrative o di creare
un sistema misto (limitare l'assistenza a carico dello Stato solo a
chi è di basso reddito mentre gli altri cittadini sarebbero obbligati
ad assicurarsi).
Nei rapporti del Censis, per esempio spesso si fanno simili analisi e
proposte. Non tutti sanno però che i rapporti del Censis
sulla sanità (così come quelli di altri enti) sono
commissionati e finanziati dalle compagnie di assicurazione
(in particolare dall'Unipol). Il Forum ANIA-Consumatori, che ha
pubblicato un rapporto sulla situazione sanitaria italiana, non è
un'associazione di consumatori, ma il consorzio delle compagnie di
assicurazioni.
Da vari anni si sta indebolendo il Sistema Sanitario pubblico,
tagliandone i fondi e parlandone male, e si insinua l'idea che è
necessario un sistema misto assicurativo e pubblico.
In realtà l'ingresso delle assicurazioni nella sanità non
migliora le prestazioni sanitarie e la salute dei cittadini e non
riduce la spesa da parte dello Stato. Può sembrare strano
ma i dati dicono che è così. In Olanda, Germania, Belgio, Francia e
Austria, cioè nei Paesi dove lo Stato spende di più per la
Sanità, le assicurazioni hanno un ruolo importante.
Negli USA dove l'assistenza sanitaria pubblica è garantita solo agli
indigenti (e, dopo la riforma Obama, anche a famiglie di basso
reddito), la spesa sanitaria totale è il 16,9% del PIL di cui l'8% di
parte pubblica. Cioè negli Usa lo Stato spende per la Sanità
più dell'Italia (l'Italia spende il 7% del PIL) riuscendo
a garantire un'assistenza sanitaria (molto più scadente dell'Italia)
solo al 30% della popolazione [1].
Come spesso succede le opinioni sono create ad arte e subdolamente, e
si radicano diventando convinzioni salde e si trasmettono poi da
cittadino a cittadino. Bisogna avere sempre un atteggiamento critico,
valutare sui dati e non sul sentito dire o sulle impressioni ed essere
attenti ai conflitti di interesse.
Fonti: 1) OCSE; 2) Eurocare, Lancet Oncology 2014; 3)
Costa –Spadea: disuguaglianze di salute; 4) C.R.E.A. Sanità-Università
di Roma Tor Vergata 2015;
L’inquinamento atmosferico è il più pericoloso per la salute e per
l’ambiente. Numerosi studi evidenziano che l'inquinamento
dell'aria determina tumori, malattie respiratorie, infarti.
L'Organizzazione mondiale della Sanità ha inserito l'inquinamento
atmosferico determinato dai veicoli a motore tra i cancerogeni certi.
Grazie a studi che hanno seguito per molti anni migliaia di persone
abitanti in zone con diverso livello di inquinamento possiamo
anche calcolare quanto è il rischio e quante persone ogni anno si
ammalano e muoiono a causa dell'inquinamento atmosferico: in
Italia muoiono 40.000 persone [1], a Napoli circa
2.000 [2].
In Italia e in Europa la principale fonte di emissione sono
auto, moto e camion [3]. In Italia il 52% degli ossidi di
azoto, il 45% del monossido di carbonio, il 27% dei composti organici
volatili (benzopirene, benzofenantrene ecc.), il 24% delle polveri
fini (PM10) e il 26% delle polveri ultrafini (PM2,5) originano dal
trasporto su gomma [4] .
Per questi motivi tutti i Paesi della UE nel 2010,
al termine della Conferenza su Salute e Ambiente, hanno firmato un
documento nel quale si sono impegnati a
"intensificare gli sforzi per sviluppare, migliorare ed implementare
la salute e la legislazione ambientale”, promettendo “limiti
più' rigorosi delle emissione massime dei veicoli a motore”.
La Commissione Europea ha preso sul serio questa dichiarazione è ha
steso una proposta di regolamento che prevede che i veicoli
devono superare test su strada (il test RDE Real
Driving Emission) e non solo “in laboratorio” (test NEDC
New European Driving Cycle, che è ancora quello definito nel 1979). I
veicoli infatti inquinano e consumano molto più di quanto dichiarato
dalle case automobilistiche perché queste analizzano le performance
in situazioni artificiali (col test NEDC), molto diverse da
quelle reali, su strada. La proposta della Commissione prevedeva che
dal gennaio 2017 i nuovi modelli e dal 2018 i nuovi veicoli (anche
quelli di vecchi modelli) dovevano superare test su strada e che le
emissioni di ossidi di azoto (verificati tramite test su strada) non
potevano discostarsi oltre il 60% dai limiti di legge, dal settembre
2019 i veicoli dovevano rispettare i limiti di legge utilizzando il
test su strada (il test RDE).
Ma qualche giorno fa i Governi dei Paesi della UE hanno
varato un regolamento molto più permissivo:
- l'obbligo di test su strada per i nuovi modelli slitta di 9
mesi (dal settembre 2017), quello per i nuovi
modelli di un anno (entrano in vigore dal 2019, invece che
dal 2018)
- si permettono valori più alti del 110% (invece che
del 60% come previsto) fino al 2020 (invece che
fino al 2019).
- si dà licenza alle aziende automobilistiche di non
rispettare mai i limiti stabiliti. Infatti mentre la
proposta della Commissione prevedeva che dal settembre 2019 i test su
strada erano superati se si rispettava il limite di legge, il
regolamento varato dai Governi ha stabilito che i test sono
superati anche se i valori di emissione rilevati su test su strada
eccedono del 50% i limiti di legge e questo solo dal 2020,
prima, infatti, potranno essere anche del 110% più alti.
Questa scelta non è priva di conseguenze per noi cittadini: essa
determinerà in tutta Europa decine di migliaia di morti in
più ogni anno.
Il nostro Governo è stato tra i principali sostenitori di queste
modifiche; l'Olanda l'unico Paese a votare contro e la Repubblica Ceca
si è astenuta. Gli altri Governi hanno preferito stare dalla parte
delle case automobilistiche invece che da quella dei cittadini.
Il problema e che i cittadini non fanno sentire la loro voce,
si disinteressano e pensano ad altro, mentre le aziende
automobilistiche sono molto attente e svolgono un'azione di lobbying.
Tra un mese si terrà a Parigi la Conferenza sui cambiamenti
climatici, il regolamento approvato dai Governi Europei che
prima abbiamo illustrato è un pessimo presagio delle decisioni che si
potrebbero prendere se i cittadini europei pensano ad altro e non
fanno sentire la loro voce. Un modo per farlo è firmare la
petizione lanciata dal WWF (http://www.wwf.it/roadtoparis.cfm#firma)
e/o quella della piattaforma Progressi (http://www.progressi.org/clima)
e/o ancora quella lanciata da varie associazioni statunitensi
ai Governi che parteciperanno alla Conferenza (http://pollutersoutpeoplein.com/?code=RAN2).
Un altro modo è quello di chiedere conto ai nostri eletti
delle loro scelte e di esercitare il diritto voto con lucida
razionalità e non sulla base di simpatie o antipatie, di
paure o sogni, ma dei fatti.
Fonti: 1) EEA European Environment Agency (2013).
Le stime sono basate sul rapporto dell’OMS “Health effects of
transport related air pollution, 2005” e quindi andrebbero
ricalcolate sulla base delle stime, più severe, degli studi più
recenti (ESCAPE ecc.). 2) Il dato è calcolato applicando i
valori dei “rischi attribuibili” evidenziati nello studio ESCAPE alle
medie annue dei principali inquinanti forniti dall'ARPA. 3) ISPRA-
Ministero dell'Ambiente Stato dell'Ambiente 2014. 4) Ispra-Ministero
dell'Ambiente Qualità dell'ambiente urbano 2014
L'Unione Europea ha tra i propri principi fondamentali il principio “Chi
inquina paga”. Questo principio non risponde solo a criteri
di giustizia ma a ragioni economiche.
Se per esempio due soggetti producono la stessa merce che ha un valore
x (per esempio 1000 euro), ma un produttore non determina nessun
inquinamento, mentre l'altro si, in realtà il valore prodotto dai due
produttori non è uguale perché uno ha prodotto x (1000 euro), mentre
l'altro x meno il costo del danno procurato dall'inquinamento.
Per esempio, se il secondo produttore, per produrre la propria merce,
ha sporcato una piazza, per cui per ripulirla sono necessarie 300
euro, la ricchezza prodotta è stata in realtà 1000 euro – 300 euro,
cioè 700 euro. Se il secondo produttore fosse anche il proprietario
della piazza si accorgerebbe subito che nel suo sistema di produzione
qualcosa non va e cercherebbe di fare come fa il primo produttore che
non ha costi aggiuntivi perché non produce “danni collaterali”.
Nella realtà purtroppo quasi sempre avviene che i danni non
ricadono su chi li ha prodotti ma sulla collettività intera
o su gruppi di persone o singoli soggetti che dall'attività produttiva
non hanno guadagnato niente. Per questo gli economisti dicono che bisogna
“internalizzare le esternalità negative” (cioè calcolare
quanto è il costo del danno collaterale di quella determinata
produzione e far pagare questo costo al produttore). In
questo modo si stimolano i produttori a migliorare le loro
produzioni (a non produrre esternalità negative), si
stimolano i consumatori a preferire prodotti che causano meno
danni collaterali (perché costeranno di meno non gravando
di esternalità negative) e si fa in modo che lo Stato abbia
risorse adeguate per riparare i danni arrecati da tali produzioni.
Il principio “chi inquina paga” è un caso particolare di
“internalizzare le esternalità negative”. Secondo questo principio
quindi bisognerebbe calcolare tutti i danni provocati da ciascuna
produzione e farli pagare al titolare della produzione.
La cosa è più facile a dirsi che a farsi. Per esempio quanto
“costa” una vita umana? Un paesaggio deturpato? Un gruppo
di cittadini stressati? Un sonno disturbato dai rumori?
Malgrado tutte le critiche che si possono fare a questo principio
(critiche avanzate da ecomarxisti, bioeconomisti ecc.) la sua
applicazione avrebbe comunque notevoli vantaggi (oltre a ripristinare
un po' di giustizia).
Uno studio commissionato dall’Unione Europea ha stimato che i
combustibili fossili determinano ogni anno danni per un valore tra
150 e 300 miliardi di euro. Non ci risulta però che i
produttori di tali combustibili paghino questi costi esterni. In vari
Paesi europei vige una tassa sulle emissioni di CO2 o tasse sui
carburanti, ma in questo caso paga chi utilizza i combustibili
fossili. Non è l'ideale ma è già qualcosa, perché è un modo col quale
si fanno pagare i danni causati dagli effetti collaterali a chi in
qualche modo li ha procurati. Per esempio si fanno pagare i danni
dell'inquinamento atmosferico a chi usa auto e moto e non a chi usa la
bicicletta o i piedi.
A quanto ammontano i danni del trasporto su gomma e quanto
pagano automobilisti e motociclisti e autotrasportatori?
Purtroppo la più recente indagine sui costi esterni del trasporto su
gomma risale al lontano 2004. Le cifre sulle entrate le fornisce il
Ministero dei trasporti e l'ACI. Ecco i dati (tutti del 2004): entrate
tramite il gettito fiscale 58 miliardi, esternalità
negative 38 miliardi di euro, spesa pubblica per i
trasporti su gomma (costruzione e manutenzione strade, polizia
stradale ecc.) 40 miliardi. Quindi nel 2004 lo Stato ha
speso per i trasporti su gomma 78 miliardi e ha incassato dalle tasse
sui trasporti (accise sulla benzina, tassa di possesso del veicolo
ecc.) 58 miliardi. Rimangono 20 miliardi che sono
stati pagati non da chi usa di più auto, moto o camion ma da tutti i
cittadini, anche da quelli che non hanno né auto né moto o
che ne fanno un uso oculato.
Ma c'è qualcosa di più grave.
Due anni fa Legambiente ha spulciato tutte le varie leggi e leggine
con le quali lo Stato da finanziamenti, sconti e agevolazioni a
settori strettamente connessi con i combustibili fossili. Si è
scoperto così che l'Italia ogni anno regala 4,4 miliardi a
autotrasportatori, centrali elettriche alimentate a combustibili
fossili (carbone , metano ecc.), industrie che
fanno un grande uso di questi combustibili.
Per esempio agli autotrasportatori sono andati circa 2 miliardi di
sconti sui carburanti, 400 milioni/l'anno di fondi per il sostegno al
settore, 120 milioni per sconti sui pedaggi autostradali, 22 milioni
di sconti sulla RCA. Quasi 2 miliardi sono andati invece alle centrali
termoelettriche. Lo Stato versa molti più soldi alle centrali
a carbone o a metano che all'energia solare o eolica.
Nel 2015 l'Italia ha avuto un richiamo dall’Unione Europea per
il ritardo nell'introdurre tasse modulate secondo il principio del
"chi inquina paga" (“rimangono lettera morta la
revisione dell'imposizione ambientale e l'eliminazione delle
sovvenzioni dannose per l'ambiente”).
In questi ultimi anni l'espressione “Ce lo chiede l'Europa” è
stato un leitmotiv nella politica italiana. Si sono tolti diritti ai
lavoratori, si sono tagliati servizi, sono state aumentate varie
tariffe perché “ce lo chiede l'Europa”. Se però l'Europa ci chiede
di eliminare le sovvenzioni a settori fortemente inquinanti e di
introdurre tasse che rendono effettivo il principio “Chi inquina
paga” questo richiamo ai nostri governanti entra da un orecchio ed
esce dall'altro.
Fonti: AdT: I costi ambientali e sociali del trasporto in Italia, 5°
rapporto (2005); Ministero dei Trasporti conto nazionale trasporti
2005; Legambiente: Stop sussidi alle fonti fossilli (www.legambiente.it/sites/default/files/docs/stopsussidifontifossili_2014_0.pdf)
A noi non importa niente essere alla moda e nemmeno dire cose
originali. Le mode passano velocemente e, una volta passate, ci
appaiono ridicole; l’originalità non è un valore in sé (una cosa
originale può anche essere brutta, falsa, inutile, malvagia ecc.):
acquista valore solo se si accompagna a qualcosa che ha valore in sé
(che è bella, vera, utile, buona ecc.).
Oggi vogliamo parlarvi della mitezza, una cosa non
di moda, e probabilmente diremo cose non originali. Anzi, pensiamo che
sia utile parlarne proprio perché non è di moda, proprio perché questa
virtù si è eclissata ed è invece importante riscoprirla e praticarla.
Sembra che il significato originale di mite sia “maturo al
punto giusto”, cioè né acerbo ed aspro, né fracido ed
andato a male. Da qui i significati di tenero, dolce, né troppo né
troppo poco (da cui per es. “una temperatura mite”). Il
contrario di mite è aggressivo, arrogante, violento, eccessivo.
Molte pagine facebook, trasmissioni televisive, liste di discussione
sono piene di violenza e aggressività. Troppo spesso vediamo persone
pronte a saltar su, a sbraitare, ad offendere, a “mandare a ...” chi
la pensa in maniera diversa; troppo spesso le discussioni diventano
dei combattimenti, il confronto con gli avversari una guerra senza
esclusione di colpi, il vivere quotidiano una perenne lotta.
C’è troppa violenza nella nostra società, troppa aggressività
nei rapporti umani, troppa arroganza. Questo è un primo
motivo per riscoprire e praticare la mitezza: per rompere il
circolo vizioso dell’aggressività, la spirale della
violenza, per rendere il mondo più vivibile.
La comunicazione, le relazioni umane sono processi circolari, se ci si
sente minacciati ci si mette sulla difensiva e si attaccherà a sua
volta: in questa maniera si fa emergere il peggio dalle persone. Se
invece si ha una comunicazione mite, improntata al
rispetto per gli altri, si dà la possibilità di fare emergere gli
aspetti positivi dell’altro, si instaura non un combattimento ma un
vero dialogo e il dialogo permette di capire le ragioni
dell’altro, di vedere la realtà da punti di vista diversi:
allarga lo sguardo, arricchisce e favorisce la crescita
intellettuale e morale (come anche tante ricerche
scientifiche dimostrano).
Non va confusa la mitezza con la tolleranza. La
tolleranza si basa sulla reciprocità (“io ti tollero se tu mi
tolleri”), mentre la mitezza è incondizionata,
perché è basata sul fatto che tutti gli uomini sono degni di rispetto.
Tutti gli uomini sono degni di rispetto, ma non tutte le
opinioni, le idee e le ideologie sono degne di rispetto
(l’opinione che le donne, gli ebrei, i negri, gli arabi siano “esseri
inferiori” non è degna di rispetto). Il mite non può tollerare tali
opinioni e ideologie, sente che ha il dovere di combatterle e di
difendere chi è debole o subisce violenza.
La tolleranza è figlia dell’indifferentismo, del “io mi faccio
i fatti miei e tu ti fai i tuoi”; la mitezza nasce da
“siamo tutti fratelli, tutti degni anche se tutti impastati di bene e
di male”.
Alcuni pensano che la mitezza non paghi, non realizzi niente e che con
l’aggressività, l’arroganza e la prepotenza si ottiene di più. Noi
crediamo che le cose non stanno così. “Mandare a quel paese” qualcuno
o “dirgliene quattro”, può farci credere di aver raggiunto un
obiettivo, ma è un’infantile ed effimera soddisfazione personale (uno
“sfogo”), che nulla cambia nella realtà. Il mite non sa che farsene di
una tale soddisfazione personale, egli vuole incidere, vuole cambiare
la situazione in maniera irreversibile. E sa che per incidere
profondamente nella realtà bisogna sentire le ragioni dell'altro,
instaurare un dialogo, cercare mediazioni alte. I diktat, le
imposizioni, i colpi di mano possono dare l'illusione di fattività
ma alla lunga non pagano, non cambiano irreversibilmente. Non
basta vincere, bisogna anche convincere e, soprattutto,
convincere chi la pensa in altro modo.
Martin Luther King, Gandhi, Nelson Mandela sono persone che
hanno cambiato profondamente la realtà, grandi politici e uomini
d’azione. Persone che hanno fatto della mitezza il loro
carattere distintivo, che hanno vinto perché hanno convinto. Purtroppo
oggi quasi tutti i politici fanno sfoggio d’arroganza e di machismo
e, ahi noi, tanti cittadini pensano che ciò sia segno di capacità
politica.
Nell'ultimo messaggio abbiamo visto che in Italia non esiste una
patrimoniale soggettiva (che tassa cioè il patrimonio complessivo del
cittadino), ma singole imposte su singoli "possessi" (es. la casa, i
terreni, l'eredità, i titoli finanziari). Una "patrimoniale
soggettiva" (di tutti i beni del soggetto) risponderebbe alle
indicazioni della nostra Costituzione che afferma che le tasse devono
essere progressive (chi più ha deve in proporzione dare di più).
Infatti, tassando solo alcuni possessi e non il patrimonio
complessivo, non si rispetta il principio della progressività.
Per esempio, due cittadini potrebbero pagare un'uguale tassa
patrimoniale anche se uno è proprietario di una casa, di uno yacht e
di numerosi quadri d'autore e l'altro possiede solo una casa
del medesimo valore di quella dell'altro cittadino.
Abbiamo visto anche che dal 1995 al 2010 il patrimonio è
stato sempre meno tassato (nel 1995 le tasse patrimoniali
contribuivano per il 9,8% al totale delle entrate tributarie dello
Stato, nel 2010 al 5,9%), mentre sono state aumentate le
tasse sui lavoratori. Quindi sono stati tolti soldi a chi
ha di meno per darli a chi ha di più.
In questi giorni si parla di abolire del tutto la tassa sulla
prima casa e molti cittadini sono contenti di ciò, senza
considerare che in questo modo a chi ha un piccolo
appartamento saranno abbonati qualche decina di euro, ma a chi ha un
castello o una villa con piscina gli saranno abbonati varie migliaia
di euro. Quindi possiamo dire che in questo modo lo
Stato regala migliaia di euro ai ricchi e qualche
decina di euro a chi con grandi sacrifici ha pagato tutta
la vita un mutuo per avere una piccola casa.
Ciò è ingiusto e contrario alla Costituzione e, per di più, non
favorisce la ripresa dell'economia. La crisi economica ha tra le sue
principali cause l'eccessiva disuguaglianza economica: fette sempre
più ampie di popolazione hanno troppo pochi soldi e quindi i consumi
calano, l'economia ristagna e le entrate dello Stato diminuiscono,
contemporaneamente i ricchi hanno sempre più soldi che preferiscono
impiegare in ambito finanziario, da cui manovre speculative, economia
instabile e crisi.
Oltre a tassare di più i lavoratori e meno i patrimoni, dagli
anni '90 si è provveduto a tassare di meno i beni di lusso.
L'IVA (imposta sul valore aggiunto) è nata nel 1973 e tassava i
diversi beni con 4 diverse aliquote: 0% (cioè esente da IVA) i beni di
prima necessità (es. alimenti), 6% beni di cui si vuole agevolare
l'acquisto (ad es. i libri), 18% i beni di lusso (pellicce, gioielli
ecc.), 12% tutti gli altri. L'IVA per i beni di lusso nel 1975 è stata
portata al 30%, nel 1977 al 35% e nel 1982 al 38%. Contemporaneamente
l'aliquota standard (quella per la generalità delle merci) è salita al
14% nel 1977, al 18% nel 1982 e al 19% nel 1988. Poi dal 1991
l'aliquota per i bene di lusso è stata dimezzata uniformandola
a quella di un qualsiasi altro bene (comprare una pelliccia
o fare delle fotocopie dal 1991 sono tassate con la medesima
aliquota), e successivamente l'aliquota standard è stata
portata al 20%, poi al 21 e in ultimo al 22%.
Insomma negli ultimi decenni si sono ridotte le tasse ai
ricchi (riduzione/abolizione di tasse patrimoniali,
riduzione dell'IVA sui ben di lusso, riduzione delle imposte di
successione) e si sono aumentare le tasse a chi ricco non è
(aumento delle tasse sui lavoratori a basso e medio stipendio, aumento
dell'IVA sui beni non di lusso). Non si è fatto quasi niente
contro la grande evasione ed elusione fiscale (la gran
parte dei 130 miliardi di euro di evasione/elusione fiscale all'anno),
realizzata grazie a fittizie società estere, paradisi fiscali, aziende
a scatole cinesi ecc. Cosi le disuguaglianze sono aumentate a
dismisura e ciò è stato tra le cause della crisi economica,
che ha ulteriormente impoverito i meno abbienti e
fatto aumentare i guadagni dei superricchi. Come afferma il famoso
economista Piketty è necessario "una tassa globale sui grandi
patrimoni, oltre che la reintroduzione di sistemi di tassazione
altamente progressivi".
Fonti: 1) Eurostat: Taxation trends in the European Union, 2014; 2) T.
Piketty: Il capitale nel XXI secolo, Bompiani, 2014
Grazie alla campagna di Greenpeace e ai 7 milioni di cittadini che in tutto il mondo hanno firmato la petizione di questa organizzazione la Shell ha deciso di lasciare l'artico e di rinunciare alle trivellazioni petrolifere. Un'ulteriore dimostrazione che quando i cittadini si attivano numerosi le cose possono cambiare
La nostra Costituzione prescrive che le tasse devono rispondere al
principio della progressività: chi ha di più deve dare
proporzionalmente di più. In Italia da molti anni le cose non vanno
proprio così. In un precedente messaggio (il 9 del 16/3/15, presente
sul nostro sito e sulla pagina facebook) facevamo una breve storia
delle aliquote IRPEF (la tassa sui redditi delle persone fisiche) ed
era evidente che dal 1975 in poi, soprattutto dagli anni ’80
in poi, si sono sempre più ridotte le tasse a ricchi e benestanti
mentre sono state aumentate sempre più alle persone con basso
reddito. Negli anni ’70 c’erano scaglioni di reddito con
aliquote del 50, 60 e perfino 80%, mentre oggi l’aliquota massima
(sopra i 75.000 euro lordi annui) è del 43%: quindi un
super-ricco e una persona che guadagna 3.000 euro al mese sono
tassati con la medesima aliquota. Addirittura più volte è
successo che l’aliquota effettiva (quella che considera anche
detrazioni, deduzioni ecc.) era più alta per chi era di basso reddito
rispetto a chi era benestante.
Oltre alla tassa sulle persone fisiche ci sono le tasse sui patrimoni
e quella sul valore aggiunto (l’IVA).
In Italia, a differenza di altri Paesi, non esiste una vera
imposta sul patrimonio (cioè una “patrimoniale soggettiva”,
che tassa l’intero patrimonio di un soggetto), le tasse patrimoniali
colpiscono solo alcuni “possessi”: le case, i terreni, l’eredità, i
titoli finanziari. Le tasse patrimoniali esistono in tutti i
Paesi avanzati, perché si ritiene, giustamente, che un
proprietario di case o terreni o azioni o quadri d’autore o gioielli
o yacht, anche se ha un reddito uguale ad un altro
cittadino che non ha alcuna proprietà è più ricco di quest’ultimo
e, quindi, deve contribuire di più. Il principio che chi ha di più
deve dare di più non risponde solo ad un principio di giustizia, ma
anche a fare in modo che lo Stato abbia risorse sufficienti per pagare
i servizi ai cittadini (sanità, istruzione, polizia, strade, tutela
dell’ambiente ecc.) e ad evitare che le disuguaglianze
economiche siano troppo grandi, perché ciò frena lo sviluppo
economico, aumenta la criminalità e non favorisce il benessere
globale del Paese.
Le tasse patrimoniali hanno una funzione in più: quella di
orientare i risparmi di ricchi e benestanti verso attività
produttive oppure culturali, artistiche, sociali (ciò
soprattutto se si incentiva il finanziamento di queste attività
tramite agevolazioni fiscali).
In Italia non solo non c’è e non c’è stata una “tassa patrimoniale
soggettiva” (sull’intero patrimonio di un soggetto), ma dal
1995 al 2010 si sono presi vari provvedimenti per alleggerire quelle
poche tasse patrimoniali esistenti (in particolare le
imposte sulla casa e sulle successioni). Contemporaneamente è
andata aumentando la tassazione generale, in particolare le
imposte sui redditi delle persone fisiche (con le inique storture che
abbiamo descritto nel messaggio 9 del 16/3/15). Così, mentre nel 1995
le tasse patrimoniali contribuivano per il 9,8% al totale delle
entrate tributarie dello Stato, nel 2010 il loro contributo si era
ridotto al 5,9%. Quindi lo Stato ha spremuto sempre più le
persone di basso e medio reddito e sempre meno i ricchi e i
benestanti. Secondo vari studiosi tale iniqua politica
fiscale è stata tra le cause della profonda crisi economica che
l’Italia dal 2008 sta vivendo.
L’attuale situazione italiana vede il 20% ricco o benestante
possedere il 62% della ricchezza del Paese e il 20% povero o di
basso reddito possedere lo 0,4% della ricchezza.
Di quel 20% ricco e benestante tutti sono proprietari della
prima casa (e anche della seconda: basta che sia intestata
al coniuge e che questi si prenda la residenza nel luogo di
villeggiatura dove è situata la casa). Tra quel 20% che
possiede appena lo 0,4% della ricchezza i proprietari di casa sono
pochissimi. Se si abolisce l’IMU, la tassa sulla
casa, il 20% ricco o benestante sarà molto avvantaggiato da
tale provvedimento, mentre il 20% di poveri e persone di
basso reddito non avrà alcuna agevolazione. L’abolizione
della tassa sulla casa è quindi un provvedimento che aumenta le
disuguaglianze economiche e avvantaggia chi ha di più.
In Italia si producono 12 milioni di tonnellate/anno di rifiuti
umidi, ma l'Italia ha impianti per trattare solo 3,8 milioni di
tonnellate (cioè abbiamo un deficit superiore al
70%). La carenza di impianti di compostaggio rende molto
onerosa per i comuni la raccolta differenziata della
frazione umida (se Napoli avesse un impianto di trattamento della
frazione umida si stima che risparmierebbe circa 40 euro a
tonnellata). Se in molti comuni e quartieri di grandi città non si
raccoglie l'umido (che è il 40% della spazzatura prodotta dalle
famiglie) è soprattutto per questo motivo.
Inoltre la frazione umida dei rifiuti urbani è
quella più problematica perché dà cattivi odori, favorisce la
proliferazione di animali nocivi (insetti, topi ecc.),
decomponendosi inquina il suolo e le acque.
Costruire impianti di trattamento dell'umido è fondamentale per una
corretta gestione dei rifiuti e non incorrere nelle sanzioni della UE.
Un Governo serio, attento al bene degli italiani e alle norme UE,
interverrebbe per facilitare la costruzione di impianti di
compostaggio. Quello italiano invece si disinteressa totalmente tanto
è vero che nelle 296 pagine del decreto Sblocca Italia non si
parla di questo argomento, si parla invece e molto
di inceneritori, che diventano "infrastrutture e insediamenti
strategici di interesse nazionale". In quanto tali si può
derogare a numerose norme per poterli costruire.
Forte di questo decreto ormai legge, il Governo ha preparato
uno schema di decreto che prevede 12 nuovi inceneritori,
oltre i 6 già in costruzione (uno anche per la Campania, malgrado
bruciamo il 26% del totale dei rifiuti e ne compostiamo il 5% della
frazione umida).
C'è veramente una tale "urgente e improrogabile necessità" di
inceneritori? No.
In italia infatti è incenerito il 20% dei
rifiuti, una percentuale perfettamente in linea con la media
europea (22%). Il 20% è una quota considerevole, tenendo
conto che la frazione a più alto valore energetico è pari a circa il
30% dei rifiuti e che questa è formata soprattutto da plastica e
cellulosa, che è più conveniente ed ecologico riciclare.
La produzione di rifiuti urbani è in diminuzione (in
Italia e in tutta Europa). Tale riduzione non dipende dalla
crisi economica (è iniziata prima del 2008 e, mentre la
spesa per i consumi delle famiglie europee dal 2008 al 2012 si riduce
dello 0,7%, la produzione dei rifiuti si riduce del 5,6%). In Italia
la produzione di rifiuti pro capite scende dal 2010 al 2012 da 32,5
milioni a 29,6 milioni di tonnellate, cioè da 536 Kg/ab, a 505 Kg/ab
(una diminuzione del 6%).
La raccolta differenziata aumenta sempre più: nel
2009 era del 33%, nel 2013 del 42% (un aumento del 27%). Tranne il
Veneto, nessuna regione ha raggiunto l'obiettivo di legge del 65% di
raccolta differenziata. I principali motivi sono la mancanza di
investimenti iniziali necessari per avviare la raccolta porta a porta
e la carenza di impianti di trattamento della frazione umida.
Il Veneto è riuscito a rispettare la norma UE sulla
raccolta differenziata oltre il 65%, perché ha
costruito molti impianti di trattamento della frazione umida
(capaci di trattare 1.500.000 tonnellate di rifiuti all'anno), investendo
poco nell'incenerimento (ha impianti capaci di 200.000
tonnellate all'anno).
Oggi molti inceneritori del Nord Europa sono sottoutilizzati
perché non ci sono abbastanza rifiuti da incenerire. Il
Governo danese ha varato il programma “Ricicliamo di più e bruciamo di
meno” (Denmark without waste – recycle more, incinerate less.
The Danish Government, 2013).
La UE ha varato una direttiva per ridurre la produzione dei
rifiuti ed è in procinto di fissare l'obiettivo del 75% di raccolta
differenziata.
Insomma non c'è nessun motivo di costruire inceneritori, ma il Governo
deroga alle leggi (e probabilmente alla Costituzione) per costruirne;
c'è un enorme, urgente e improrogabile necessità di costruire impianti
di compostaggio e il Governo se ne disinteressa totalmente.
Il 24 settembre verrà presentato lo schema di decreto alla Conferenza
Stato-Regioni, ti invitiamo a firmare la petizione
che chiede ai presidenti di Regione di opporsi a tale schema di
decreto.
L'8 settembre del 1991 Marco Mascagna moriva, dopo una vita breve ma
ricca, lasciando un segno positivo del suo passaggio. Quest'anno lo
vogliamo ricordare con una frase che pensiamo gli sarebbe piaciuta e
che avrebbe inserito tra quelle che amava citare e diffondere.
L'autore è Francuccio Gesualdi, uno degli allievi di don Milani,
direttore del Centro Nuovo Modello di Sviluppo.
"La domanda giusta da porci non è come si fa a creare lavoro,
ma come si fa a garantire a tutti una vita dignitosa, utilizzando
meno risorse possibile, producendo meno rifiuti possibili e
lavorando il meno possibile"
Nell'ultimo messaggio ("Sull'immigrazione facciamo
lavorare il cervello", vedi www.giardinodimarco.it) dicevamo che su questo
tema si fa molta propaganda, parlando alla pancia delle persone (che
non è un organo capace di pensare e ragionare). Per questo fornivamo
alcuni dati indispensabili per qualsiasi ragionamento su questo tema.
Oggi vogliamo darvi qualche altra informazione.
I migranti che sbarcano sulle nostre coste sono spinti da
motivazioni fortissime.
Per capire quanto è forte la determinazione a fuggire dalla loro
patria ci può venire in aiuto uno studio di Medici per i Diritti Umani
che ha intervistato e visitato un campione di immigrati sbarcati in
Sicilia [1]. La durata media del viaggio dall'Africa
subsahariana (Nigeria, Mali, Ghana ecc) alla Sicilia è di 22 mesi,
da Somalia ed Eritrea 16 mesi, poco meno dalla Siria. Le singole tappe
del viaggio sono garantite da organizzazioni criminali o da singoli
soggetti che operano in proprio. Durante il viaggio si è alla mercè di
chi garantisce le singole tappe del viaggio o delle "polizie" dei vari
Paesi che si attraversano. Ad ogni tappa, per potere proseguire nel
viaggio, bisogna versare soldi (quasi sempre inviati da parenti
rimasti nel Paese di origine o guadagnati con lavori quasi da schiavo)
o fornire "servizi" ai trafficanti o a poliziotti corrotti. Il 100%
degli immigrati intervistati hanno dichiarato di avere subito
percosse, violenze, torture durante il viaggio. Alle visite mediche
effettuate, il 65% dei migranti presenta segni di violenza:
il 55% cicatrici, il 10% fratture, il 2% ustioni. Molti
migranti durante il viaggio hanno visto altri migranti morire e la
paura di morire o di subire violenza è pressoché costante durante
tutto il viaggio. Nella sola attraversata del Mediterraneo e
nel solo 2014 i morti accertati sono 3.419, 1 ogni 60 migranti [2].
E' difficile dire quanto pagano per percorrere questo lungo esodo (si
va da 1.000 a 5.000 euro, ma solo il 45% degli intervistati risponde a
questa domanda).
Da questi dati si può avere un'idea di quali forti ragioni
motivano ad intraprendere un tale viaggio e di come siano ridicoli
i tentativi di arrestare tale fenomeno con provvedimenti tipo il
reato di clandestinità (ammenda da 5mila a 10mila €, art 10
bis legge 94/2009, ammenda che si converte in reclusione di 15 giorni
se non si paga) oppure con la detenzione nei CIE
(attualmente secondo la legge 163/14 per un massimo di 3 mesi) o
con "muri" alle frontiere (per lo più recinzioni di ferro o
filo spinato) ecc.
Vale ancora la distinzione tra profughi e migranti economici?
I dati prima illustrati, secondo Medici per i Diritti Umani e altre
organizzazioni che si interessano di migranti, mettono in crisi la
distinzione tra profughi e migranti economici. I primi sono
coloro che fuggono da guerre, persecuzioni, violenze, discriminazioni
e che, secondo il trattato di Ginevra, abbiamo il dovere di
accogliere; i secondi coloro che lasciano il loro Paese in cerca di
migliori condizioni di vita e che non si ha l'obbligo di accogliere.
Un "migrante economico", per essere disposto ad affrontare il calvario
che abbiamo illustrato e così gravi rischi, significa che scappa da
condizioni di vita disumane, (quindi non gli sono garantiti i diritti
umani fondamentali) e, perciò, rientra nella categoria degli aventi
diritto alla protezione sussidiaria. Tale status dovrebbe essere
garantito anche in considerazione dei traumi e delle violenze subite.
"Rispediamoli a casa loro"
Questo non è solo uno slogan leghista, è anche la linea dell'Europa e
del Governo italiano nei confronti dei "migranti economici" (Renzi:
"La Sinistra non deve avere paura del concetto di rimpatrio", " I
migranti economici vanno rimpatriati").
Il fatto è che rimpatriare un migrante è facile a dirsi ma
molto difficile a farsi. La stragrande maggioranza dei
migranti irregolari non ha documenti e non dice di quale Paese è: dove
si rimpatriano se non si sa quale è la loro patria?
I rimpatri poi costano: se si considerano solo i
costi di detenzione nei CIE e di viaggio, lo Stato italiano
spende circa 56 milioni ogni anno [3].
Molto di più costa "il muro" che l'Italia ha organizzato
per contrastare il fenomeno dell'immigrazione irregolare: nel
solo 2012 abbiamo speso 106 milioni di euro [3]. Ma gli
effetti sperati sono stati quasi nulli. Un altro studio conclude che
le politiche di contrasto all'immigrazione irregolare non hanno
arginato il fenomeno ma hanno solo aumentato i pericoli e il costo che
questi disperati devono sopportare per poter sperare di giungere in
Europa [4]. Per questo non solo le organizzazioni umanitarie (es.
Amnesty) si chiedono se non sia più conveniente accogliere i
migranti invece che cercare di respingerli. L'OCSE, per
esempio, ha evidenziato che, anche in tempo di crisi, il tipo di
manodopera offerta dai migranti è richiesto in diversi settori
dell'economia dei Paesi europei e può essere, quindi, conveniente
aumentare il loro numero e soprattutto regolarizzarli, per contrastare
così lavoro nero ed evasione fiscale e rimpinguare le casse dello
Stato. Nel solo 2014 gli immigrati regolari hanno versato
nelle casse dello Stato 7 milioni di euro di tasse e 9 milioni di
euro nei fondi previdenziali e hanno prodotto 123 miliardi di euro
(l'8,8% del PIL italiano) [5].
Le organizzazioni che si interessano di migrazioni da tempo propongono
di creare percorsi legali sia per i profughi sia per i
migranti economici: vi sarebbero migliaia di morti
in meno, meno sofferenze, si spenderebbe di meno, si darebbe un
colpo alle organizzazioni criminali, al lavoro nero e all'evasione
fiscale. Una politica europea comune in tal senso sarebbe
l'ideale. Ogni Paese invece agisce per i fatti propri cercando di
allontanare da sé i migranti e dirottandoli sui Paesi vicini. Questo
scaricabarile è la causa di tante morti e sofferenze, costa sempre di
più e non risolve la questione.
Fonti: 1) MEDU: Fuggire o morire, 2015; 2) UNHCR
2014; 3) Lunaria: Costi disumani: la spesa pubblica per il contrasto
all'immigrazione irregolare (http://www.lunaria.org/wp-content/uploads/2013/05/costidisumani-web_def.pdf);
4) The human and financial costo of 15 years of Fortress Europe http://www.themigrantsfiles.com/;
5) Fondazione Leone Moressa: Il valore dell'immigrazione, Franco
Angeli, 2015. www.fondazioneleonemoressa.org/newsite/la-ricchezza-degli-stranieri-ditalia
Nel corso della storia l'Italia è stata soggetta a vari e imponenti
"flussi immigratori", ma sotto forma di invasioni belliche (Greci,
Visigoti, Vandali, Goti, Longobardi, Arabi, Normanni, Francesi,
Spagnoli ecc.).
Dal 1990 e soprattutto nel primo decennio di questo secolo, compare
questo fenomeno nuovo: l'immigrazione pacifica da parte di persone di
Paesi Poveri. Poiché su questo tema si fa molta propaganda, parlando
alla pancia delle persone (che non è un organo capace di pensare e
ragionare) e lanciando allarmi (spaventare le persone è una facile
strategia per guadagnare consensi e avere deleghe in bianco), pensiamo
che sia giusto e opportuno dare delle informazioni e degli spunti per
riflettere.
Innanzitutto bisogna fare una precisazione: i dati certi si
riferiscono agli immigrati regolari, su quelli irregolari si hanno
solo stime (ma abbastanza attendibili). Inoltre il numero di nuovi
immigrati regolari dipende molto dalle varie leggi fatte dal
parlamento (leggi sull'immigrazione, sanatorie ecc.).
Immigrazione regolare
Mentre negli anni 2000 sono "entrati" più immigrati che negli anni
'90, dal 2010 ad oggi i flussi di immigrati regolari sono
diminuiti considerevolmente: se nel 2007 i nuovi immigrati erano
circa 500.000, nel 2013 sono stati 307.000 e nel 2014 250.000,
di cui circa la metà per ricongiungimenti familiari. Ciò dipende dalla
diminuzione della domanda dovuta sia alla crisi economica sia ad una
certa saturazione del mercato.
Attualmente vivono in Italia circa 5 milioni di stranieri
(regolari), pari all'8,5% della popolazione. Il 53% sono
donne, il 70% extracomunitari. Il 22% viene dalla Romania, il 10%
dall'Albania, 9% dal Marocco, 5% dalla Cina, 4% dall'Ucraina, poi
dalle Filippine, dalla Moldavia e dall'India (3%), dal Perù e dalla
Polonia (2%). Poco più della metà sono di religione cristiana, circa
il 30% mussulmani.
Una parte degli immigrati che arrivano in Italia, dopo un tempo
variabile emigra in altri Paesi europei (circa 200.000 all'anno dal
2010 in poi), pochissimi ritornano nel loro Paese.
L'Italia non è tra i Paesi europei con maggiore presenza di immigrati.
Come abbiamo detto l'Italia ha l'8,5% di stranieri, la
Svizzera 23%, l'Austria 12%, il Belgio 11%, la Spagna 11%, la
Germania 9,5%, la Norvegia 9%, la Gran Bretagna 8,5%. La
Francia ha solo il 6% di stranieri, ma questo dato è falsato dal fatto
che questo Paese dà con più facilità di altri la cittadinanza francese
(per esempio vige lo "ius soli"). Se esistesse una normativa come
quella italiana si stima che gli stranieri in Francia sarebbero l'11%.
Il nostro Paese infatti difficilmente dà la cittadinanza
italiana a persone di altri Paesi.
Immigrazione irregolare
Le stime ci dicono che il numero di irregolari presenti sul nostro
territorio è andato fortemente riducendosi: nel 2003 erano
mezzo milione, nel 2012 325.000, nel 2014 300.000. I motivi
di tale diminuzione sono sempre la crisi economica e la saturazione
del mercato.
E' andato invece aumentando il numero degli sbarchi:
nel 2010 sono sbarcate 4.000 persone, nel 2011 62.000, nel 2012
13.000, nel 2013 43.000, nel 2014 170.000. Questo
andamento altalenante con una grande impennata negli ultimi anni è
dovuto ai molti conflitti presenti in Africa e in Medio Oriente. La
maggioranza di queste persone fugge da guerre e persecuzioni.
Infatti dei 170.000 sbarcati nel 2014, vengono dalla Siria 42.000,
34000 dall'Eritrea, 10.000 dal Mali, 9000 dalla Nigeria, 9000 dal
Gambia, 6000 dalla Somalia. Sono persone che hanno diritto
all'asilo e alla protezione secondo la convenzione di Ginevra e vari
trattati firmati dall'Italia. L'ONU stima che il 95% dei
richiedenti sbarcati in Italia ha diritto allo stato di rifugiato, ma
l'Italia ha accolto solo il 60% delle domande. Va detto che la
maggioranza delle persone che sbarcano in Italia non ha nessuna
intenzione di rimanere nel nostro Paese, ma vuole andare in altri
Paesi dove hanno parenti o conoscenti o dove si sentono più sicuri o
dove sperano di trovare più facilmente lavoro. Dei 42.000
siriani sbarcati in Italia nel 2014 solo 500 hanno fatto domanda di
asilo e protezione in Italia, gli altri 41.000 sono andati in altri
Paesi europei.
Questo spiega perché, pur avendo un gran numero di sbarchi, l'Italia
ha un basso numero di rifugiati: in Italia sono 94.000 (lo 0,15%
della popolazione), in Francia 252.000 (lo 0,4%), in Germania
217.000 (lo 0,3%), in Svezia 14.200 (l'1,5%), in
Inghilterra 117.000 (lo 0,2%).
Da questi dati appare evidente che frasi tipo "Ormai è un'invasione",
"Siamo invasi dagli extracomunitari", "Basta all'islamizzazione
dell'Italia", "Sempre più immigrati, non saremo più padroni a casa
nostra", non hanno alcun fondamento nei fatti. Eppure tantissime
persone, in perfetta buona fede, sono convinti di ciò. Perché? Perché
troppi articoli di giornali e servizi televisivi enfatizzano questo
fenomeno; perché se un italiano scippa la borsa ad una persona o
stupra una donna raramente la notizia finisce sul giornale e mai in
maniera evidente, mentre viene riportata e con evidenza se l'autore di
questi reati è un immigrato (soprattutto se è un extracomunitario);
perché alcuni politici sono riusciti ad imporre questo tema
come se fosse il principale problema che ha l'Italia: si
concentra l'attenzione sugli immigrati invece che sull'enorme
evasione fiscale, sulle scandalose disuguaglianze economiche,
sulle 40.000 persone che ogni anno muoiono in Italia per effetto
dell'inquinamento atmosferico, sulla necessità di prendere
provvedimenti seri contro il cambiamento climatico, sullo sfruttamento
dei lavoratori e sul lavoro nero, sul bassissimo livello di istruzione
dei nostri concittadini (il 28% degli Italiani è semianalfabeta),
sulla disoccupazione che è a livelli intollerabili.
Proprio la difficoltà di trovare lavoro o la perdita del posto di
lavoro è la principale causa dell'emigrazione degli italiani.
Un gran numero di italiani continua ad emigrare. Certo non è più
l'emigrazione di massa di una volta (tra il 1876 e il 1976,
secondo le stime più prudenti, sono emigrati dall'Italia
oltre 24 milioni di italiani), ma non sono pochi. Nel 2011
sono emigrati 58.000, nel 2012 78.000, nel 2013 82.000.
Spesso a tal proposito si parla di fuga di cervelli, ma non è vero: nel
2013 solo il 16% degli italiani emigrati era laureato.
Queste cifre si riferiscono agli "immigrati regolari" (cioè a coloro
che spostano la loro residenza all'estero), ma molti italiani che
lavorano o cercano un lavoro all'estero mantengono la residenza in
Italia. Si stima siano circa il triplo.
L'immigrazione/emigrazione non potrà mai essere sconfitta con
sbarramenti, muri, respingimenti ecc. ma solo combattendo
il neocolonialismo e lo sfruttamento dei Paesi Poveri, regolando
severamente il mercato delle armi, attuando politiche di distribuzione
dei redditi (tassazione fortemente progressiva, patrimoniale, lotta
all'evasione fiscale e alla corruzione, reddito di cittadinanza,
ecc.), rafforzando il ruolo dell'ONU ecc.
In Sud Africa, quando c'era l'apartheid, il territorio era
diviso in vari "nazioni", e i neri che facevano parte di una
"nazione" non potevano spostarsi in un'altra e soprattutto
non potevano andare in quella dei bianchi, se non con permessi, visti
e controlli. Il mondo intero si indignò per questa barbarie. Quello
che succedeva nel Sud Africa e che faceva indignare il mondo intero
succede nell'intero nostro pianeta e sono in pochi a scandalizzarsi.
Bisogna prendere sul serio i principi di libertà, uguaglianza,
fraternità e metterli in pratica: come ha fatto Nelson Mandela.
L’inquinamento atmosferico è, tra tutte le forme di inquinamento, la
più pericolosa per la salute e per l’ambiente. Si stima che ogni
anno in Italia almeno 40.000 persone muoiono a causa degli
inquinanti atmosferici [1]. A Napoli ogni anno sono circa
2.000. Eppure la maggioranza delle persone non sembra molto
preoccupata per questa forma di inquinamento e molti non vedono di
buon occhio gli interventi che tendono a ridurlo (limitazioni alla
circolazione di auto, moto e camion, aumento delle zone pedonali e
ciclabili, tassazione dei prodotti e delle attività in base
all'inquinamento prodotto ecc.).
Ci si preoccupa di più delle discariche di rifiuti,
dell’elettrosmog, della contaminazione dei prodotti ortofrutticoli
della Terra dei Fuochi (contaminazione ad oggi mai
riscontrata), ecc. I politici attenti più agli umori della gente che
al bene dei cittadini tralasciano questo problema e preferiscono
parlare d’altro.
Si sa che le notizie allarmistiche destano attenzione (è un meccanismo
istintivo per difendersi da possibili minacce) e quindi sono spesso
usate da giornalisti per avere audience e vendere di più, da persone
in cerca di notorietà o da persone e gruppi che vogliono “vendere il
loro prodotto” che allontana l’ipotetica minaccia. Cosi sentiamo
parlare di allarme immigrazione (quando l'Italia ha un decimo degli
stranieri di Germania e Gran Bretagna), di allarme criminalità (quando
la criminalità da molti anni è in calo), di allarme per i prodotti
della Terra dei Fuochi (quando le migliaia di controlli eseguiti non
hanno riscontrato nessuna contaminazione) ecc.
Nessun allarme viene invece lanciato per l’inquinamento atmosferico
(tranne quelli dell'Organizzazione Mondiale della Sanità,
dell'Associazione Italiana di Epidemiologia e di altri enti
scientifici. Perché?
Noi avanziamo alcune ipotesi:
1) l’argomento “non tira” perché i cittadini sono tra i
“colpevoli” (usando auto o moto, condizionatori d’aria
ecc.). Essere messi sul banco degli imputati non piace e certo non
può riscuotere fiducia e simpatia chi ci fa un così sgradevole
affronto. Per di più in Italia non è molto diffuso il
costume di riconoscere le proprie colpe e le proprie responsabilità.
Inoltre, riconoscere la gravità dell'inquinamento atmosferico
comporterebbe la necessità di cambiare le nostre abitudini (usare i
mezzi pubblici o i propri muscoli invece di auto e moto - con tutto
quello che ne consegue -, vestirsi seguendo più il clima che la moda,
ecc.): meglio cercare di non pensarci e continuare a fare ciò che ci
piace.
2) Il settore dell'auto (che non è costituito solo
dalle aziende automobilistiche ma anche dalle multinazionali del
petrolio, ldale aziende della gomma e dei pneumatici e da tutto il
settore legato alla costruzione e gestione di strade, autostrade,
ponti, trafori ecc) è tra i settori caratterizzanti l'assetto
economico delle società capitalistiche. Questo settore ha
plasmato la nostra visione del mondo e la nostra cultura: i bambini
giocano con le macchinine dalla più tenera età e per molti adulti la
macchina è ancora il loro giocattolo; nella testa di molti
politici ed elettori i posti di lavoro si creano se si costruiscono
autostrade, palazzi, auto, centri commerciali e il
progresso è simboleggiato da edifici progettati da archistar, veicoli
sfreccianti ad alta velocità, macchine che sostituiscono l'uomo in
quasi ogni sua attività.
3) In Italia la maggioranza delle testate giornalistiche è
fortemente condizionata dalle aziende che determinano l’inquinamento
atmosferico (soprattutto quelle legate all’auto): “La
Stampa” è legata al gruppo FIAT, Repubblica ed Espresso alla SOGEFI
(componenti di automobili) e alla Sorgenia (energia anche da carbone),
il Corriere della Sera alla FIAT e a Pirelli, Il Sole 24 Ore alla
Confidustria, Il Mattino al Gruppo Caltagirone (cemento, edilizia
ecc.).
Così molti cittadini sottostimano fortemente i pericoli dovuti
all’inquinamento atmosferico, hanno poche conoscenze su
quali sono le principali cause (molti pensano ancora che la principale
causa siano gli impianti industriali) e quali sono gli interventi
efficaci (molti ancora pensano che dotare le città di più parcheggi
migliori il traffico e l’inquinamento).
Malgrado tutto ciò molte città hanno preso importanti
provvedimenti per ridurre l'inquinamento atmosferico.
Schematicamente si possono individuare tre principali
strategie:
1) la strategia di Londra: ticket per circolare nel
centro cittadino (11 euro al giorno a Londra), destinando l'incasso al
trasporto pubblico, che così diventa frequente, veloce (3 volte pià
veloce di quello di Napoli) ed efficiente.
2) la strategia di Monaco di Baviera: scoraggiare
l'uso di auto e moto con un sistema di ztl (44 Kmq, 12 volte più che a
Napoli) e con alte tariffe dei parcheggi e posti auto, un sistema di
piste ciclabili che incentivi questo mezzo di trasporto, parcheggi di
interscambio alla periferia cittadina
3) la strategia di Parigi: una buona rete di
metropolitana, drastica riduzione di parcheggi e posti auto nelle zone
più frequentate, un sistema di bike-sharing in connessione con le
fermate delle metropolitane.
Da alcuni mesi anche Napoli si è dotata di un servizio di
bike-sharing. Poche sono le biciclette (solo 100, mentre a
Parigi, che però è molto più grande e popolosa di Napoli, sono 21.000)
e poche le “stazioni” (solo 10), il servizio è gratis per i primi 30
minuti (troppi, a nostro giudizio, a Parigi è gratis per i primi 10
minuti). Ma l'attivazione di questo servizio ha dimostrato che molti
napoletani sono disponibili a utilizzare questo mezzo di trasporto.
In media ogni giorno ci sono 400 utilizzi (dati di
marzo 2015, che è stato un mese molto piovoso). Un mezzo di trasporto
che fa doppiamente bene alla salute perché non inquina e ci fa fare
attività fisica, cosa che oltre il 90% dei napoletani non fa nella
quantità consigliata.
Per informazioni: www.bikesharingnapoli.it/it/
Fonti:
1)EEA European Environment Agency (2013). Le stime sono basate sul
rapporto dell’OMS “Health effects of transport related air
pollution, 2005” e quindi andrebbero ricalcolate sulla base delle
stime, più severe, degli studi più recenti (ESCAPE ecc.).
2) ISFORT
Qual è la ricetta della felicità? Secondo famosi spot della Coca Cola
la ricetta della felicità è sostituire l’acqua con la Coca Cola nei
pasti. E non è l’unica pubblicità che promette felicità se si compra
il proprio prodotto. Anzi, sono innumerevoli le pubblicità di tal
genere. Qualche esempio? “La felicità va sempre in Lambretta” (anni
'50), “Investire in felicità: prenotate oggi la vostra felicità con
una vacanza Club Med”, ”Barbie: la casa della felicità”, “Eau del
toilette Miss Dior Cherie il new look della felicità”, “American
Airlines: a Miami la felicità è non stop”, “Chicco ... di felicità”,
“Quante stelle ha la felicità?” (pubblicità di una crociera), “La SNAI
è come l’ormone della felicità” (sic!).
Insomma, la felicità è a portata di mano: basta mettere mano
al portafoglio e comprare il prodotto reclamizzato. Quindi
più soldi si hanno e più si è felici.
Ovviamente tali millanterie non hanno alcun fondamento,
non essendo suffragate da nessuna ricerca scientifica.
L’Istat, invece, ha condotto un’indagine sul volontariato, dalla quale
emerge che chi si impegna in attività gratuite a favore di
altri o della comunità è più felice (il 50% si dichiara
“soddisfatto” contro il 37% della popolazione), ha più
fiducia negli altri (35% contro il 21%) e nelle
istituzioni: (25% contro il 21%); è più ottimista
verso il futuro (30% contro il 24%). Inoltre i volontari affermano che
da quando hanno iniziato ad impegnarsi per gli altri si
sentono più soddisfatti (50%), hanno allargato le loro
relazioni sociali (42%), hanno cambiato il modo di vedere le cose
(28%), migliorato le loro capacità di relazionarsi agli altri (22%).
L’Istat ha scoperto quello che tutte le religioni e i saggi hanno
sempre affermato: che c’è più gioia a dare che a ricevere (figuriamoci
a comprare).
Fonte: Istat
L'economia non è un fine, ma un mezzo. Infatti
dovrebbe servire a garantire il soddisfacimento di quelle necessità
materiali senza le quali una vita umana piena difficilmente può
manifestarsi: nutrirsi, vestirsi, avere una casa, accedere
all'istruzione e alla cultura, tutelare la propria salute, liberarsi
dall'assillo di come domani soddisfare i propri bisogni. Quindi
compito primario dell'economia è creare le condizioni perché i diritti
umani (diritto alla vita, al cibo, ad una casa, alla libertà ecc.)
siano garantiti.
Nel nostro mondo la ragione economica è ormai egemone: “Fa
guadagnare?” “Fa risparmiare?” sono diventati i criteri ultimi per
decidere ciò che è bene e ciò che è male. Così l'economia
da mezzo diventa un fine, anzi, sembra essere ormai il fine ultimo
della nostra società e anche della vita di tanti uomini.
Paradossalmente, più la ragione economica diventa egemone e più
l'economia crea disastri, non libera gli uomini dal bisogno, non rende
effettivi i diritti umani anzi li mette in pericolo e scaraventa
intere fasce della popolazione nella precarietà e nel bisogno.
Un esempio concreto di questo trasformarsi dell'economia da mezzo a
fine, di questo predominio della ragione economia è il TTIP,
il trattato di libero commercio tra Europa e USA che la UE
potrebbe firmare tra pochi giorni, se i cittadini non faranno sentire
la loro voce.
Il trattato sottrae alla decisione dei Parlamenti e al
controllo dei cittadini importanti materie di interesse pubblico.
Col TTIP le regole, le caratteristiche e le priorità dell'area di
libero scambio non verranno determinate dai nostri Governi e sistemi
democratici, ma da organismi tecnici sovranazionali. Come si concilia
questo con la democrazia e il diritto a partecipare alle scelte?
Il trattato privilegia gli interessi delle multinazionali e
delle grandi aziende su quelli dei cittadini. Gli Stati
Uniti hanno una legislazione meno avanzata dell'Europa su diritti del
lavoratore, tutela della salute, diritto all'informazione, tutela
dell'ambiente, diritti umani (tra l'altro non hanno sottoscritto molti
trattati internazionali su tali materie). Ma il trattato renderebbe
inefficaci le legislazioni europee e nazionali che pongono limiti a
merci che non rispettano determinati requisiti che tutelano questi
diritti. Le imprese europee (soprattutto quelle alimentari)
rischierebbero di non riuscire a competere con quelle USA, così
l'Europa si troverebbe invasa da merci meno sicure, meno rispettose
dell'ambiente e dei diritti del consumatore e dei lavoratori. Insomma
più profitti (per le multinazionali), merci meno care per i
consumatori, ma meno diritti per i cittadini. Non è la
chiara dimostrazione che i criteri ultimi di scelta sono “Fa
guadagnare”, “Fa risparmiare”?
Grazie al TTIP le multinazionali potrebbero citare in giudizio
gli Stati che emanassero normative che ledessero i loro interessi
passati, presenti e futuri, chiedendo ingenti risarcimenti. Il
giudizio verrebbe affidato ad arbitri esperti di diritto commerciale,
che giudicheranno, quindi, privilegiando il punto di vista del
commercio e non quello della salute, dei diritti, dell'ambiente.
Questo meccanismo, già applicato in altri trattati, ha già avuto
conseguenze molto inquietanti, ne citiamo due:
1) nel 1988 la UE ha vietato l’importazione di carni bovine
trattate con certi ormoni della crescita cancerogeni. Per
questo il Tribunale delle dispute dell’Organizzazione mondiale del
commercio (WTO) ha obbligato la UE a pagare a USA e Canada oltre 250
milioni di dollari l’anno di sanzioni commerciali,
nonostante le evidenze scientifiche di cancerogenicità di questi
ormoni;
2) la Philip Morris ha citato in giudizio l'Uruguay perché
con la sua legislazione contro il fumo di sigaretta impedisce la
libera circolazione delle merci e lede gli interessi della
Philip Morris.
E' decisivo quindi invertire rotta e riportare l'economia al servizio
dell'uomo (di tutti gli uomini). E' urgente dire no al TTIP e
impedire che la UE approvi questo trattato. Per questo la
Marco Mascagna ha aderito alla giornata di mobilitazione contro il
TTIP del 18 aprile, indetta da un cartello di oltre mille
organizzazioni ambientaliste, umanitarie, sindacali, sociali. Per
questo ti invitiamo a firmare subito la petizione contro
il trattato di libero scambio tra Europa e USA (https://stop-ttip.org/firma)
e di far firmare quante più persone è possibile inviando
questo nostro appello a tutti i tuoi amici, conoscenti e contatti.
Ti invitiamo a firmare anche l'appello contro le pretese
della Philip Morris https://secure.avaaz.org/en/uruguay_vs_big_tobacco_rb/?bKlYyab&v=56987
Per maggiori informazioni: http://stop-ttip-italia.net,
www.greenpeace.org/italy/it
http://stop-ttip-italia.net/2015/04/15/18-aprile-stopttip-ecco-cosa-puoi-fare-tu/
Il Consiglio Regionale della Campania ha bocciato la legge sul Servizio Idrico Integrato presentata dalla Giunta Caldoro, che ha tentato di farla approvare l'ultimo giorno della consiliatura inserendola nel bilancio di previsione 2015/2017. La mobilitazione dei cittadini, l'opposizione di vari comuni (tra cui quello di Napoli), le divisioni nella maggioranza di destra hanno fatto fallire il blitz della Giunta Caldoro che avrebbe vanificato il risultato del referendum sull'acqua vinto con ampia maggioranza nel 2011.
Le disuguaglianze economiche in Italia sono ormai a livelli
altissimi. Spesso si dice che e' causa della crisi economica,
che ha aumentato il numero dei disoccupati e ridotto le entrate dello
Stato, che non ha piu' risorse sufficienti per sostenere le persone
povere e di basso reddito. Questa spiegazione sembra evidente ma, come
spesso avviene, cio' che sembra evidente non sempre trova conferma nei
fatti.
Forse la crisi economica contribuisce alla disuguaglianze,
ma queste sono andate aumentando da molto prima del 2008
e ha origine in vari fatti tra cui le scelte di politica tributaria.
Con le tasse lo Stato non solo si approvvigiona delle
risorse necessarie per svolgere i suoi compiti (pagare la sanita', la
scuola, l'universita', la ricerca scientifica, la difesa, la
conservazione del patrimonio culturale e ambientale ecc.), ma fa
si che le disuguaglianze economiche non siano troppo accentuate,
perche' cio' causa conflitti sociali, frena lo sviluppo economico e
crea situazioni indegne di un Paese civile. Con le tasse lo Stato
toglie piu' soldi a chi ne ha di piu' e meno a chi ne ha di meno. E'
il principio della progressivita' della tassazione,
che e' sancito anche nella nostra Costituzione.
Fare una piccola storia delle tasse negli ultimi 40 anni
(l'IRPEF, l'Imposta sulle Persone Fisiche e' nata nel 1974, da una
legge del 1973) e' quanto mai istruttivo per capire
se e' stato rispettato questo principio e giudicare l'operato dei
diversi governi.
1974. Quando e' nata l'IRPEF vi erano 32
diversi scaglioni di reddito ognuno con una propria
aliquota. Il primo comprendeva i redditi da 0 a 2
milioni di lire (corrispondenti a circa a 11,400 euro di oggi,
considerando il potere di acquisto) e li tassava con un'aliquota
del 10%. L'ultimo scaglione era quello sopra i 500
milioni di lire di reddito (corrispondente a circa 2
milioni e 850 mila euro) che veniva tassato con l'aliquota
del 82% (avete letto bene: l'82% del reddito sopra i 500
milioni se lo intascava lo Stato).
1975. L'aliquota per i redditi sopra i 500
milioni di lire viene ridotta al 72% (un
bel regalo per i super ricchi).
1976. Il primo scaglione e' portato a 3 milioni, l'ultimo a 550
milioni di lire, le aliquote restano le stesse.
1983. Gli scaglioni sono ridotti a 9.
Il primo comprende i redditi fino a 11 milioni di
lire (circa 16.800 euro di oggi) e viene tassato con un'aliquota del 18%
(quindi quelli a piu' basso reddito pagano quasi il doppio di quanto
pagavano 10 anni prima). L'ultimo scaglione comprende i redditi sopra
i 500 milioni (circa 763.000 euro di oggi) e viene tassato
per il 65% (altro regalo ai super ricchi).
1986. Il primo scaglione e' fino ai 6 milioni (pari a
6600 euro di oggi), tassato con l'aliquota del 12%. Un regalo
ai piu' poveri, ma un aggravio per chi guadagna da 6 a 11 milioni
(13.000 euro di oggi) che viene tassato del 22% e a chi
guadagna tra le attuali 13.000 e 16.800 euro che si trova a versare
non piu' il 18% ma il 27% del proprio reddito allo Stato. Per i ricchi
e benestanti invece un nuovo regalo: l'aliquota scende al 62%
per i redditi sopra i 600 milioni (660.000 euro)
1989. Gli scaglioni sono ridotti a 7.
Il primo e' sempre fino a 6 milioni (5600 euro di oggi), l'aliquota
10%. Nuovo grande regalo ai ricchi: l'aliquota scende al 50%
sopra i 300 milioni (546.000 euro).
Piccole modifiche nel 1990, 91 e 92.
1998. Gli scaglioni si riducono a 5,
il primo (redditi fino a 15 milioni, cioe' 9.700 euro di oggi) viene
tassato con l'aliquota del 18,5%. Se ai poveri si chiede di
piu' ai ricchi viene fatto un altro regalo riducendo l'aliquota
dell'ultimo scaglione (sopra i 135 milioni di lire, cioe'
87.000 euro) al 45,5%.
Piccola modifica nel 2001.
2002. Primo scaglione (fino a 10.329 euro) con aliquota del 18%; oltre
i 69.700 euro aliquota del 45% (cioe' un ulteriore regalo
ai ricchi).
2003. Il primo scaglione e' fino a
15000 euro con l'aliquota del 23% (quindi una
vera stangata sui poveri da parte del Governo Berlusconi).
L'ultimo scaglione (sopra i 70.000 euro) resta al 45%
2005. Gli scaglioni si riducono a 4. Il primo e' fino
a 26.000 euro (aliquota 23%). Viene fatto ancora un regalo ai
ricchi riducendo l'ultima aliquota (43%), per i redditi
sopra i 100.000 euro
2007. Si ritorna ai 5 scaglioni decidendo di
far pagare di piu' chi guadagna tra i 15.000 e 26.000 euro.
Infatti il primo scaglione (con aliquota 23%) e' fino a 15000 euro, il
secondo (da 15000 a 28000 euro) e' tassato col 27%.
I dati prima riportati illustrano chiaramente che dal 1974 ad
oggi le tasse per i ricchi sono diminuite sempre di piu', mentre si
sono presi sempre piu' soldi ai ceti bassi (soprattutto ai
mediobassi). Cio' e' ancora piu' evidente se si considerano anche le
deduzioni fiscali e le detrazioni. Considerando anche
queste (calcolando cioe' l'aliquota effettiva) risulta, per esempio,
che nel 2003 un lavoratore dipendente che
guadagnava tra 32.800 euro e 33.500 euro veniva tassato con
un'aliquota effettiva del 50,2%, mentre sopra i 70.000 euro del 45%.
Nel 2005 l'aliquota effettiva del secondo scaglione e' maggiore di
quella del terzo. Insomma varie volte e' successo che le persone con
redditi medio-bassi o medi sono stati tassati piu' dei benestanti e
dei ricchi.
Poi negli ultimi anni si sono ridotte le imposte di
successione per i grandi patrimoni, si sono ridotte
le tasse per chi affitta case e palazzi e sulle case di proprieta',
e' stata abolita l'IVA sui beni di lusso, per cui si
paga la medesima IVA per una pelliccia di ermellino, una fuoriserie,
un quaderno o una matita. Insomma la progressivita' delle imposte e'
andata sempre diminuendo (in taluni anni, anzi, ha pagato di piu' chi
aveva meno) e si e' operato un trasferimento di ricchezza dai
ceti di basso e medio-basso e medio reddito ai ceti medio alti, alti
e soprattutto ai ricchi e super ricchi.
Non e' tanto la crisi economica che ha creato le disuguaglianze, ma
piuttosto sono le disuguaglianze che hanno fatto precipitare l'Italia
da piu' di 20 anni in una perenne crisi economica.
Fonte: 1) Libro bianco sulla tassazione in Italia www.ssef.it/sites/ssef/files/Documenti/Rivista%20Tributi/Supplemento%201-%20Libro%20Bianco/Capitoli%201%20-%20I.pdf
2) ISTAT indici di conversione dei valori monetari storici www.ilsole24ore.com/fc?cmd=document&file=/art/SoleOnLine4/Economia%20e%20Lavoro/2009/01/indici-idtat.pdf?cmd=art
Gli italiani consumano meta' dell'intera produzione mondiale di grano
Kamut. Cos'e' il grano Kamut?
Si dice che e' una varieta' di grano antichissima,
nata da sementi trovate in una tomba egizia del 2.000 avanti Cristo.
Quindi questo grano non ha subito le trasformazioni
che sono avvenute nel corso del tempo per aumentare la produttivita'
(in particolare non deriva da grani modificati con la tecnica
dell'irradiamento e successiva selezione in uso dalla meta' del secolo
scorso). Questo grano avrebbe caratteristiche nutrizionali
del tutto migliori di altri grani e puo' essere
assunto anche da chi ha intolleranza al frumento.
Ma le cose stanno veramente cosi?
Innanzitutto il grano Kamut non e' una varieta' di grano ma un marchio
registrato (come dire Nutella o Buondi o Pavesini) dalla
Kamut International. Esso e' una varieta' di grano (grano
Khorasan) da tempo coltivato in varie parti del mondo e anche in
Italia. Quindi non e' vero che origina da pochi semi trovati
in una tomba egizia (d'altra parte dopo 4.000 anni
difficilmente germoglierebbero e sembra che il grano sia stato
coltivato in Egitto solo dopo il 500 avanti Cristo), era solo una
trovata pubblicitaria, fatta cadere appena il produttore americano,
titolare del marchio, ha iniziato a venderne in gran quantita'. E non
e' nemmeno vero che e' una varieta' di grano che si mangiava secoli
fa, per il semplice fatto che il grano e' una specie ad
alta variabilita'. Cioe', se si piantano 100.000 semi di grano e si
raccoglie 1.000.000 di semi prodotti, alcuni di questi saranno variati
nel loro patrimonio genetico dando luogo a nuove varieta'. Quindi se
ogni volta si semina una parte del raccolto nel giro di decenni, anche
se si e' partiti da una sola varieta' di grano, si avra' una miscela
di grani, alcuni dei quali possono avere caratteristiche anche molto
diverse dalla varieta' dalla quale sono originate (per questo sono
state create istituzioni, procedure, controlli per conservare e
garantire sementi selezionate e monovarieta').
Per quanto riguarda l'intolleranza al frumento, le ricerche
scientifiche, ad oggi, hanno dimostrato un solo tipo di intolleranza
al grano, la celiachia, dovuto all'intolleranza alle
proteine del frumento (in particolare alla gliadina). Il grano
Khorasan (e quindi anche il grano Kamut che e' una
miscela di grani originati dal Khorasan) sono grani piu'
proteici rispetto ad altre varieta' e con quantita'
maggiori di gliadina (quindi e' simile al grano duro). Eppure
molte persone mangiano farina di kamut convinti che e' l’ideale per
la loro "intolleranza al frumento" o per la loro "celiachia
minore" e giurano di sentirsi molto meglio (e quasi
certamente si sentono effettivamente meglio). Potenza della
suggestione.
Molti sono convinti che la farina di kamut e' piu' naturale e piu'
"ecologica" (infatti e' venduto soprattutto da negozi di "alimenti
biologici" o a Km 0). Essa e' coltivata solo con tecniche di
agricoltura biologica (cosi e' certificato dall'azienda produttrice).
Ma cosa c'e' di "ecologico", nel coltivare del grano negli
USA o in Canada e poi trasportarlo in
Belgio (l'azienda che lo distribuisce in Europa e' un'azienda Belga) e
da qui in Italia?
In ultimo 1 Kg di farina Kamut costa tra i 4,5 e gli 8 euro,
mentre 1 Kg di farina "normale" costa tra i 60 centesimi e 1 euro (3-4
euro per quella biologica).
Che ci insegna la storia della farina Kamut? Che e' quanto mai vera la
frase detta da un famoso pubblicitario: "Noi non
reclamizziamo prodotti, vendiamo illusioni, emozioni".
L'illusione di mangiare qualcosa di originario, di incontaminato, di
assolutamente naturale e, per questo, di non nocivo, salutare, buono.
La stessa illusione che fa pagare a caro prezzo della normalissima
acqua, convinti che "ti depura dentro" o una bibita alla taurina
perche' ti da' una "sferzata di energia" o una medicina a base di
corno di rinoceronte sicuri che garantisce potenza e fortezza.
L'industria alimentare (e purtroppo non e' la sola) gioca con
parole, come "naturale", "integrale", "originario", "energizzante",
"antico, "ecologico", "biologico", "sano", "salutare".
Parole che evocano emozioni e immagini positive e piacevoli,
soprattutto in persone che non amano i ritmi frenetici della nostra
societa', la distruzione della natura, i mille conflitti e insidie
presenti nella nostra societa' (certamente meno di quelli presenti
secoli fa), e che vorrebbero un mondo retto non dalle fredde e ferree
leggi della fisica, della chimica e della fisiologia, ma da un'armonia
finalizzata al bene dell'uomo.
Come abbiamo detto altre volte, le ricerche hanno dimostrato che la
nostra mente si fa facilmente ingannare, si convince che e' vero
quello che desidera sia tale, semplifica la complessita'
della realta' riducendola a categorie semplici e dicotomiche
(naturale/artificiale, fa bene/fa male ecc.), si fa
influenzare dalle emozioni, dai sensi e dalle convinzioni
del gruppo di appartenenza. Bisogna invece guardare la realta' con uno
sguardo laico e aperto, tenendo a bada i propri desideri ed emozioni,
accettare la complessita' del mondo e rigettare interpretazioni
semplici e dicotomiche. La cottura alla brace e' piu' antica e
"naturale" del forno a microonde, ma meno sicura per la salute. La
cicuta e' del tutto naturale ma velenosa, i formaggi sono un prodotto
biotecnologico ma non sono velenosi, il caminetto e' piu' antico di
una pompa di calore ma piu' inquinante. Con l'acqua ci puliamo le
mani, laviamo i panni e le stoviglie, ma non "depura dentro", il toro
e' un animale forte ma la taurina non ci da' una sferzata di energia,
i grani antichi non danno nessuna garanzia di essere migliori di
quelli recenti. Insomma se non vogliamo imbrogliarci e farci
imbrogliare dobbiamo abbandonare visioni infantili e
rassicuranti della realta', fare la fatica di affrontare la
complessita', non credere a tutto quello che ci viene detto o che
leggiamo, essere critici, utilizzare la ragione, cercare le
prove che smentiscano quanto si afferma (quanto affermiamo) e, solo se
non si trovano, ritenerlo vero (fino a prova contraria).
Gli F35 sono degli aerei da caccia che vari Paesi hanno deciso di
far fabbricare (USA, Gran Bretagna, Italia, Canada, Olanda, Turchia,
Norvegia e Danimarca). L'intenzione a partecipare al programma e'
avvenuta nel 1998, la decisione di acquistare 131, per una spesa di 13
miliardi di euro caccia e' avvenuta nel 2009. Tale programma ha subito
ricevuto critiche non solo da parte dei pacifisti, ma anche di esperti
di cose militari e di economisti. Nel corso degli anni la contrarieta'
all'acquisto dei caccia F35 in Italia (e negli altri Paesi
interessati) e' andata aumentando sempre piu', diventando estremamente
estesa e molto forte (come dimostrano i numerosi appelli,
manifestazioni, articoli ecc.). La crisi economica ha ancor piu'
accentuato questa contrarieta' (13 miliardi di euro
e' una banca di soldi, e' ci si chiede perche' spendere tanti soldi
quando si tagliano fondi alla sanita', all'assistenza sociale,
all'istruzione ecc., si tagliano gli stipendi e si aumentano le
tasse). Un numero sempre maggiore di politici hanno iniziato ad
esprimere la loro contrarieta' agli F35 (l'attuale Presidente del
Consiglio nel luglio 2012 disse: "Non capisco perche' buttare via cosi
una dozzina di miliardi per gli F35"). Il Governo nel 2012
decise di ridurre l'acquisto a 90 aerei. Successivamente
(settembre 2014) il Parlamento ha approvato una mozione che
vincola il Governo a tagliare del 50 per cento, da 13 a 6,5
miliardi, il finanziamento complessivo
del programma per impegnare il Governo a comprarne solo 45.
La decisione non e' piaciuta a tutti coloro che hanno interesse alla
costruzione di questi aerei (industriali interessati, banche,
militari, politici ecc.). Come fare per ritornare indietro? Facendo
leva sulla paura, ovviamente. La paura, infatti,
fa scattare il bisogno di sicurezza, non fa piu' ragionare
serenamente, offusca l'intelligenza, favorisce la delega a
chi promette di allontanare il pericolo e ridarci la tranquillita'.
Cosi si e' utilizzata la barbara uccisione di 21 egiziani cristiani in
Libia da parte di combattenti dell'ISIS e le dichiarazioni di un
fanatico ("Prima ci avete visti su una collina della Siria. Oggi siamo
a sud di Roma, in Libia"), per far temere un'invasione
dell'Italia da parte dell'esercito del Califfo (cosa
probabile come l'invasione degli Stati Uniti da parte dell'esercito
cubano). Si e' parlato di avanzata dell'ISIS facendo capire
che sta per conquistare la Libia (cosa anche essa molto
improbabile visto che gli esperti stimano che non vi siano piu' di
1000 miliziani dell'ISIS, un po' pochi per una tale impresa), alcuni
(tra cui il ministro della Difesa e degli Esteri) hanno iniziato a
parlare della necessita' di una guerra in Libia per
arrestare tale avanzata (una vera follia per gli esperti [1]), altri
hanno agitato il pericolo islamico (dimenticando che
gli islamici sono oltre un miliardo di persone, in stragrande
maggioranza persone del tutto pacifiche e ragionevoli, senza nessuna
velleita' di conquistare il mondo e nessuna voglia di fare la guerra)
ecc. ecc. In questo clima e' arrivata la dichiarazione della
Ministra della Difesa sulla scelta di comprare 90
F35: "Il numero di 90 e' stato stabilito dal precedente
Governo. Il programma prosegue secondo l'illustrazione data al
Parlamento". In realta' "l'illustrazione" data al Parlamento non ha
alcun valore "normativo". Al contrario la mozione approvata dal
parlamento nel settembre 2014 impegna il Governo.
La Marco Mascagna da molti anni promuove il compostaggio domestico e,
insieme ad altre associazioni, ha avuto vari incontri con
l'Amministrazione comunale presentando anche una sua articolata
proposta per incentivarlo.
Finalmente il Comune ha compiuto tutti gli atti ed e' ora possibile
per i compostatori domestici sia avere una compostiera gratis
sia avere uno sconto sulla TARI.
La compostiera viene data a chi, avendo un area scoperta di almeno 25
mq, si impegna a fare il compostaggio domestico degli scarti
vegetali o di tale origine (tovagliolini di carta, posa di
caffe', segatura ecc.), a utilizzare il compost prodotto e a
consentire ispezioni da parte del personale dell'ASIA.
Lo sconto sulla TARI viene dato a chi fa il
compostaggio domestico impegnandosi a non conferire piu'
all'ASIA rifiuti umidi, a partecipare all'incontro di
formazione (a meno che non si sia coltivatore diretto), a utilizzare
il compost prodotto e a consentire ispezioni da parte del personale a
cio' incaricato.
Per ulteriori informazioni www.comune.napoli.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/25992
Su compostaggio, biodigestione anaerobica e impianto di Scampia
bisogna avere una posizione non ideologica ne' strumentale (ne'
pregiudizialmente a favore ne' contro) ma vagliare le
questioni razionalmente e alla luce delle conoscenze scientifiche.
Dopo uno studio della letteratura scientifica sul tema e un'analisi
critica della situazione napoletana siamo arrivati a queste
conclusioni:
1) Se si compostano solo vegetali
con una dose esigua di quelli contenenti molecole semplici (cioe' di
vegetali zuccherini, come frutta, o ricchi di oli, come semi oleosi) il
compostaggio non genera quasi nessun problema (odori, gas
tossici ecc.).
Se pero' si composta la frazione umida della spazzatura (la
FORSU), che contiene anche scarti animali (residui di
carne, pesce) e rifiuti con maggiore presenza di molecole semplici,
allora il compostaggio produce cattivi odori e puo'
generare anche qualche sostanza tossica (amine ecc.). Per questo gli
impianti di compostaggio della frazione organica dei rifiuti solidi
urbani (FORSU) non dovrebbero stare nei centri urbani o vicino ad
abitazioni.
2) I digestori anaerobici sono
impianti che lavorano in assenza di ossigeno in modo che dalla
decomposizione della materia organica si produca metano, CO2
(in quantita' minore rispetto al compostaggio) e un biodigestato.
Essi scambiano pochissimo con l'esterno (sono "sigillati"), quindi non
emettono cattivi odori.
3) Le analisi degli impatti dell'intero ciclo di vita
dicono che la digestione anaerobica ha, rispetto al
compostaggio aerobico, un minore impatto globale sull'ambiente,
determinano meno gas serra, meno composti capaci di determinare piogge
acide e meno rischi per la salute umana (comunque bassi per entrambe
le tecnologie). Il costo di tali impianti e' pero' piu' alto.
4) La strategia migliore sembra quella di
accoppiare alla digestione anaerobica il compostaggio aerobico del
digestato. In questa maniera, infatti, gli impatti
della biodigestione e del compostaggio si riducono entrambi.
Inoltre il processo di compostaggio e' piu' rapido e quindi
si puo' ridurre il numero o la stazza degli impianti.
5) Napoli produce circa 200.000-220.000
tonnellate di rifiuti umidi ogni anno (di cui attualmente
solo 35.000 raccolte in maniera differenziata). E'
necessario e' urgente che si doti di impianti di trattamento di questi
(della FORSU) perche' portarli fuori citta' costa
(in media sui 140 euro a tonnellata) e ha un impatto
ambientale consistente per le emissioni dei camion, impatto
che aumenta quanto piu' lontano questi vanno (attualmente vanno ad
Este, Lodi, Modena, Scafati, Cosenza).
6) A Napoli le aree in cui si possono fare
tali impianti sono poche (Scampia, San Giovanni a Teduccio,
Ponticelli), a meno che non si voglia riscrivere il piano regolatore
(cosa che non ci auguriamo nell'attuale contesto).
7) Quindi o si costruiscono impianti che accoppiano
un digestore ad un impianto di compostaggio o si costruiscono impianti
che compostano solo vegetali con moderata presenza di frutta, semi
oleosi e altre sostanze ricche di zuccheri semplici, proteine o grassi
(quindi impianti che compostano solo potature, sfalci di giardinaggio
e rifiuti del mercato ortofrutticolo). Se si sceglie questa seconda
ipotesi, dei rifiuti umidi della spazzatura casalinga che ne facciamo?
Noi, quindi propendiamo per la costruzione di digestori
anaerobici accoppiati a compostatori aerobici (questo a
Napoli, in altri territori le scelte possono essere diverse).
8) Per quanto riguarda l'impianto proposto a
Scampia, si e' detto che avra' una capacita' di 20.000
tonnellate all'anno, che e' formato da piu' moduli, che prevede un
digestore anaerobico con recupero del metano e un impianto di
compostaggio aerobico posto in un capannone. Il gas prodotto non
verrebbe bruciato a Scampia. Quindi e' una tipologia
di impianto a bassissimo impatto. Non e' un grande
impianto, corrisponde a 55 tonnellate di rifiuti al giorno.
Poiche' i vari modelli di camion dei rifiuti, trasportano a pieno
carico da 5 a 18 tonnellate di rifiuti, ogni giorno
dovrebbero arrivare nell'impianto o 3 grossi camion a 11 piccoli
camion. Anche da questo punto di vista l'impatto e' minimo.
9) L'impatto sulla salute e sull'ambiente dell'impianto di
Scampia e' quindi sicuramente inferiore a quello del traffico
automobilistico in una qualsiasi strada trafficata di Napoli.
Ricordiamo, infatti, che l'inquinamento da auto, moto e camion e' un
cancerogeno certo (di I classe, secondo l'Organizzazione Mondiale
della Sanita') ed e' anche accertata la sua capacita' di determinare
bronchite, asma, enfisema e malattie cardiovascolari (infarto,
aterosclerosi ecc.). A Napoli il livello di polveri fini e
ultrafini e' superiore ai limiti di legge, con una media
annua di PM10 intorno ai 45 mcg/mc. Applicando le stime di rischio
indicate dall'OMS alla situazione napoletana si deduce che ogni
anno a Napoli muoiono circa 1500 persone a causa di tale
inquinamento. Ricordiamo anche che la principale fonte sono
le emissioni di moto, auto e camion,
seguite da quelle delle navi presenti nel porto). Ci stupiamo quindi
che si dedichi tanta attenzione all'impianto di Scampia (tanto da
minacciare barricate) e cosi poca all'inquinamento atmosferico. Anzi
molti di quelli che ora si ergono a difensori dell'ambiente e della
salute degli abitanti di Scampia sono gli stessi che si oppongono
agli interventi per ridurre l'inquinamento atmosferico
(riduzione della circolazione di moto e auto, interventi per favorire
la pedonalita' e ciclabilita' ecc.).
Fonti:
- Rigamonti, L, Grosso, M e Giugliano, M.: Life cycle assessment of
sub-units composing a MSW management system. Journal of Cleaner
Production, pp. 1-11, 2010.
- Khoo, H.H., Lim, T.Z. e Tan, R.B.H.: Food waste conversion options
in Singapore: Environmental impacts based on an LCA perspective.
Science of the Total Environment, 408, p. 1367-1373, 2010.
- Blengini G.A. Fantoni M.: Life cycle assessment di scenari
alternativi per il trattamento della FORSU, in XI Conferenza
Nazionale sul Compostaggio: Produzione di compost e biogas da
biomasse, Rimini, 2009
- Cherubini, F., Bargigli, S. e Ulgiati, S.: Life cycle assessment
(LCA) of waste management strategies: Landfilling, sorting plant and
incineration. Energy 34, 2116–2123, 2009.
- Valerio F. Il biometano: emissioni a confronto (www.federico-valerio.it/?page_id=75)
- Edelmann W Products, impacts and economy of anaerobic digestion of
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- ISPRA: X Rapporto Qualita' dell'ambiente urbano, 2014, www.isprambiente.gov.it/it/events/x-rapporto-ispra-201cqualita-dell2019ambiente-urbano201d-edizione-2014
- Beelen R et al.: Effects of long-term exposure to air pollution on
natural-cause mortality: an analysis of 22 European cohorts within
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- Raaschou-Nielsen O et al: Air pollution and lung cancer incidence
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1470-2045(13)70279, 2013.
- Krewski D, Jerrett M, Burnett RT, et al. Extended follow-up and
spatial analysis of the American Cancer Society study linking
particulate air pollution and mortality. Res Rep Health Eff Inst,
5–114, 2009.
Il 30 gennaio, anniversario della morte di Gandhi, e' la giornata
della nonviolenza. Oggi la nonviolenza non e' "di moda", oggi
piace l' "uomo forte" (nel senso di arrogante), l'uomo solo
al comando, la battuta tagliente e cattiva, l'attacco alla persona
piu' che alle idee. Il "dialogo" e' visto come un segno di
debolezza, una perdita di tempo, il "compromesso" come un
tradimento. Spacciare per verita' quel che non lo e', per certo cio'
che non lo e', mistificare la realta' e' diventato estremamente
comune, non sembra determinare scrupoli morali; se ancora ci sono,
possono essere acquietati convincendosi che si agisce a fin di bene,
che "il fine giustifica i mezzi". Poi ci sono quelli
che seminano odio e quelli che non pongono barriere alla germinazione
di tali semi; per certi versi l'avere un nemico rassicura:
loro sono il male, noi il bene; la realta' smette di essere complessa
e di esigere impegnativi sforzi di comprensione e di individuazione di
sottili e complesse strategie ed azioni. E ancora la violenza in
svariate forme (la guerra, il terrorismo, la tortura, l'emarginazione,
la discriminazione), le ingiustizie, le disuguaglianze. E la mancanza
di speranza, il cercare di far credere che questo e' il migliore dei
mondi possibili, la rassegnazione, il quieto vivere, la passivita'.
Per questo abbiamo pensato che poteva essere utile e
opportuno proporre alcuni pensieri di nonviolenti. Li
lasciamo alla vostra riflessione.
M. K. Gandhi
Tra il mezzo e il fine vi e' la stessa inviolabile relazione che
esiste tra il seme e l'albero
Per una persona non violenta tutto il mondo e' la sua famiglia
Dobbiamo diventare il cambiamento che vogliamo vedere
Serenita' e' quando cio' che dici, cio' che pensi, cio' che fai,
sono in perfetta armonia
La terra produce abbastanza per soddisfare i bisogni di ciascuno ma
non abbastanza per l'avidita' di ognuno
Un uomo e' ricco in proporzione alle cose di cui riesce a fare a
meno.
M. L. King
La vigliaccheria chiede: e' sicuro? L'opportunita' chiede: e'
conveniente? La vana gloria chiede: e' popolare? Ma la coscienza
chiede: e' giusto? Prima o poi arriva l'ora in cui bisogna prendere
una posizione che non e' ne' sicura, ne' conveniente, ne' popolare;
ma bisogna prenderla, perche' e' giusta
Non e' grave il clamore chiassoso dei violenti, bensi il silenzio
spaventoso delle persone oneste.
L'amore e' l'unica forza capace di trasformare un nemico in amico
Non e' forse la paura una delle maggiori cause della guerra? Noi
diciamo che la guerra e' conseguenza dell'odio, ma un attento esame
rivela questa sequenza: prima la paura, poi la guerra e infine un
odio piu' profondo.
Le nazioni hanno creduto che maggiori armamenti avrebbero eliminato
la paura, ma ahime', essi hanno prodotto una paura piu' grande.
K. A. Ghaffar Khan
Musulmano e' colui che non ferisce mai nessuno ne' con parole ne'
con azioni e lavora invece per il benessere e la felicita' delle
creature di Dio. La fede in Dio e' amore del proprio prossimo
Maulana Abul Kalam Azad
L'unita' del genere umano e' l'obiettivo principale della
religione. Il messaggio che ogni profeta ha trasmesso e' che
l'umanita' non e' in realta' che un unico popolo e una sola
comunita', e che non c'e' che un unico Dio per tutti, e che pertanto
gli uomini, insieme, dovrebbero servire Dio e vivere come i membri
di una famiglia. Questo e' il messaggio che trasmette ogni
religione. Ma stranamente i fedeli di ogni religione lo hanno
ignorato al punto che ogni Paese, ogni comunita' e ogni razza si e'
costituita in un gruppo separato ed ha elevato il "gruppismo" alla
condizione di religione
La verita' ha molteplici sfaccettature e il conflitto e l'odio
sorgono perche' gli individui rivendicano il monopolio della verita'
e della virtu'»
A. Capitini
La nonviolenza non puo' accettare la realta' come si realizza ora,
attraverso potenza e violenza e distruzione dei singoli, e percio'
non e' per la conservazione, ma per la trasformazione
Non si puo' dire di volere la pace e lasciare la societa' come e',
con i privilegi, i pregiudizi, lo sfruttamento l'intolleranza, il
potere in mano ai pochi.
D. Dolci
e' importante sapere che le parole non muovono le montagne, Il
lavoro, l'impegnativo lavoro muove le montagne.
N. Mandela
Nessuno nasce odiando i propri simili a causa della razza, della
religione o della classe alla quale appartengono. Gli uomini
imparano a odiare, e se possono imparare a odiare, possono anche
imparare ad amare, perche' l'amore, per il cuore umano, e' piu'
naturale dell'odio
Il perdono libera l'anima rimuove la paura. e' per questo che il
perdono e' un'arma potente
Il compromesso e' l'arte della leadership e i compromessi si fanno
con gli avvresari, non con gli amici
Coloro che affrontano i problemi con atteggiamento intollerante non
sono adatti alla lotta
Sapevo che l'oppressore era schiavo quanto l'oppresso, perche' chi
priva gli altri della liberta' e' prigioniero dell'odio, e' chiuso
dietro le sbarre del pregiudizio e della ristrettezza mentale.
L'oppressore e l'oppresso sono entrambi derubati della loro umanita'
Un vincitore e' un sognatore che non si e' mai arreso
L'ammontare della corruzione in Italia e'
di 60 miliardi l'anno (1). 60 miliardi che frenano la
realizzazione di opere e servizi (un'opera pubblica in Italia costa il
40% piu' del dovuto a causa della corruzione), fanno aumentare i costi
alle aziende e quindi i prezzi dei loro prodotti e servizi, distorcono
la concorrenza mettendo in difficolta' le aziende rispettose della
legge, tengono lontani dal nostro Paese gli investitori, non
incentivano le imprese nella ricerca e nell'innovazione, favoriscono
l'assunzione e le carriere di persone poco meritevoli e oneste,
determinano crisi economica e disoccupazione.
L'Italia e' il Paese con la maggiore corruzione in Europa
(nella UE l'ammontare e' di 120 miliardi, l'Italia da sola
contribuisce per il 50%) (1).
Numerose sono le indagini della magistratura su questo triste fenomeno
e grande l'attenzione di giornali e televisioni ma, malgrado tutto
cio', la corruzione imperversa.
E' piu' che evidente che la nostra normativa e' poco efficace.
D'altronde basta pensare che in Italia solo 156 persone sono
detenute per reati finanziari, mentre in Germania
sono 8.600 (2), e che lo Stato ha recuperato solo 309
milioni dei 60 miliardi di euro (lo 0,5%) (3).
Nel gennaio 2013 Libera e altre associazioni hanno lanciato la
campagna Riparte il Futuro, proponendo una
strategia in 7 punti, comprendente vari provvedimenti normativi.
I punti sono i seguenti:
1) Modifica del reato di voto di scambio,
estendendolo a qualsiasi scambio di utilita' e aumentando
considerevolmente le pene.
2) Certezza della pena. La principale cosa da fare
e' la riforma della prescrizione. In Italia
ogni anno circa 165.000 processi si chiudono con la prescrizione.
Si propone, quindi, di non conteggiare piu' i tempi del processo nel
calcolo della prescrizione, impedendo cosi che gli avvocati tirino a
lungo il processo per salvare l'imputato. Altri provvedimenti
richiesti sono gli incentivi per i "pentiti" che
aiutano a scoprire i colpevoli di reati corruttivi, l'aumento delle
pene per tutti i reati corruttivi (traffico di influenze, corruzione
ecc.), la confisca dei beni per garantire la
restituzione del maltolto, l'abolizione dei vitalizi ai politici e
dirigenti condannati.
3) Ricostruire la fiducia in chi rappresenta le istituzioni,
tramite una legge sul conflitto di interesse e l'istituzione
della figura dell'agente provocatore per testare
l'incorruttibilita' di politici e dirigenti.
4) No alla concorrenza sleale: reintrodurre il falso
in bilancio punendolo adeguatamente, norme chiare e pene
adeguate per riciclaggio e autoriciclaggio, semplificazione
amministrativa e controlli piu' efficaci per contrastare le
"scorciatoie corruttive".
5) Aumentare la trasparenza delle istituzioni, degli eletti,
dei partiti.
6) Particolare attenzione a quei settori dove piu' facilmente
si annida la corruzione: grandi opere
(partecipazione dei cittadini nella valutazione dell'opportunita' e
convenienza delle grandi opere, trasparenza sullo stato dei lavori,
tempi, costi, appalti e subappalti), sanita'
(criteri per le nomine, liste d'attesa, trasparenza per appalti), edilizia
(lotta all'abusivismo e demolizione delle costruzioni abusive;
valutazione dello stato economico, giuridico e qualitativo delle
imprese chiamate a lavorare per la Pubblica Amministrazione), ambiente
(introduzione nel codice penale dei reati ambientali).
7) Tutelare chi denuncia corruzione e illegalita':
norme che tutelino da possibili ritorsioni chi denuncia favoritismi e
comportamenti corruttivi; premi a chi permette il recupero di somme
sottratte al pubblico.
Di tutte queste proposte per le quali oltre 700.000 italiani hanno
messo la loro firma, solo due sono state approvate:
la modifica del reato di voto di scambio (ma la pena
e' stata ridotta a 4-10 anni invece dei 7-12 anni inizialmente
previsti) e la norma sull'autoriciclaggio (anche
questa in forma piu' blanda). Comunque due importanti passi. E di
tutto il resto? Ne facciamo una brevissima storia.
Nel marzo 2013, il senatore Grasso ha presentato una proposta
di legge che rispecchiava le proposte di Riparte il Futuro.
A giugno 2013 inizia la discussione in Commissione, che procede con
grande lentezza e forti attriti. Nel frattempo la Camera discute della
proposta di inserire alcuni reati ambientali nel codice penale e nel
febbraio 2014 approva tale modifica del Codice. La legge e' ancora al
Senato per la definitiva approvazione.
Anche la modifica del voto di scambio ha un proprio iter separato
arrivando all'approvazione definitiva nell'aprile 2014
Ai primi di maggio 2014 il testo della
legge Grasso finalmente approda in aula, ma molto
annacquato rispetto al testo originario.
Esplode lo scandalo Expo' e il Senato accelera l'iter dei
lavori (il 13 maggio viene approvata la discussione urgente
del provvedimento: emendamenti entro il 22 maggio, discussione dal 27
maggio, approvazione per i primi di giugno).
Il 18 maggio il Ministro della Giustizia dichiara che il
Governo sta pensando di varare un intervento urgente contro
il falso in bilancio e per aumentare i termini della prescrizione.
Tali dichiarazioni di fatto stoppano la discussione sulla proposta
Grasso (che viene rimandata al 10 giugno).
Il 3 giugno il Governo chiede di sospendere la discussione
sulla legge per avere un mese di tempo per varare una sua
proposta. Il Senato acconsente.
Il 30 giugno il Governo invece di una sua proposta "urgente"
(un decreto legge) licenzia un pro-memoria in 12 punti di
cose da fare sulla giustizia su cui apre una consultazione popolare di
2 mesi. Il pro-memoria e' il seguente:
"1) Giustizia civile: riduzione dei tempi. Un anno in primo grado 2)
Giustizia civile: dimezzamento dell'arretrato. 3) Corsia preferenziale
per le imprese e le famiglie 4) Csm: piu' carriera per merito e non
grazie alla ‘appartenenza' 5) Csm: chi giudica non nomina, chi nomina
non giudica; 6) Responsabilita' civile dei magistrati sul modello
europeo 7) Riforma del disciplinare delle magistrature speciali
(amministrativa e contabile); 8) Norme contro la criminalita'
economica (falso in bilancio, autoriciclaggio); 9) Accelerazione del
processo penale e riforma della prescrizione; 10) Intercettazioni
(diritto all'informazione e tutela della privacy) 11)
Informatizzazione integrale del sistema giudiziario 12)
Riqualificazione del personale amministrativo".
Riparte il Futuro lancia la petizione "Zero Scuse"
per il varo immediato della legge anticorruzione senza aspettare i
tempi lunghi della riforma complessiva della giustizia.
Settembre 2014, finisce la fase di
consultazione ma ne' la riforma della giustizia ne' la legge
anticorruzione vanno avanti. Grasso dichiara: "Mi chiedo
quali interessi blocchino la mia legge sull'anticorruzione".
2 dicembre scoppia lo scandalo "Mondo di mezzo" sulla corruzione e
sulla mafia a Roma.
9 dicembre Renzi annuncia un provvedimento urgente contro la
corruzione. Tutti si aspettano un decreto legge, ma in
realta' il Consiglio dei Ministri approva
alcune proposte da innestare nel disegno di legge sul processo
penale gia' approvato ad agosto 2014 dal Governo. Le
proposte sono solo queste: l'aumento di pena per il reato di
corruzione, la confisca dei beni per restituire il maltolto, la
modifica del patteggiamento in modo che possa avvenire solo se ci si
dichiara colpevoli e si restituisce il maltolto.
La delusione di Riparte il Futuro e' grande. Ciotti
il 15 dicembre dichiara "Ci sono delle forze che devono tutelare i
loro giochi, i loro interessi; invece per il contrasto
all'illegalita', alla mafia, alla corruzione, all'autoriciclaggio
sarebbe veramente necessaria una radicalita', un impegno non solo
nelle parole, ma nei fatti".
Il 15 dicembre viene approvata la sanatoria per il rientro dei
capitali detenuti all'estero, che all'articolo 3 introduzione nel
nostro ordinamento il reato di autoriciclaggio.
Il 7 gennaio 2015 il Senato riprende la discussione sulla
proposta Grasso.
Riparte il Futuro continua a raccogliere firme (www.riparteilfuturo.it).
1) OLAF (Ufficio Europeo per la Lotta Antifrode) rapporto 2013.
2) Institut de criminologie et de droit penal, rapporto 2013 (riportato su Corriere della Sera 27/1/2014)
3) Corte dei Conti. Rapporto 2013
La spesa militare mondiale nel 2013 e' stata di
1.423 miliardi di euro (quasi 4 miliardi di euro al giorno).
Lievemente meno dell'anno precedente (perche' gli Usa l'hanno ridotta
del 7,8%) ma circa il 40% in piu' di quella degli anni '90.
L'Italia e' al XI posto come spesa militare (27
miliardi di euro, 74 milioni al giorno), prima del Brasile e
dell'Australia. 414 sono stati i conflitti, di cui 20
con carattere di guerra [1].
In Italia circa 50.000 persone non hanno casa e vivono per
strada. In maggioranza sono stranieri, il 10% ha una
laurea, il 28% un lavoro che in media permette di guadagnare 345 euro
al mese [2]. Nel Paese piu' ricco del mondo, gli USA, sono 800.000
[3]. Il numero dei senzatetto e' in crescita in tutti i Paesi ricchi:
negli ultimi 5 anni a Milano sono aumentati del 70%.
Aumentano gli episodi di intolleranza e di violenza verso
questi poveri e le ordinanze che rendono piu' difficile la
vita a queste persone (sanzioni per l'accattonaggio o il dormire per
strada, sostituzione delle normali panchine con panchine dove e'
impossibile sdraiarsi ecc.). Aumenta anche il favore verso questi
provvedimenti e verso i partiti e i gruppi razzisti, xenofobi o che
promettono di "ripulire la citta' di zingari, senzatetto, accattoni".
Poveri e senzatetto si vergognano della loro situazione, la
vivono come una colpa e gran parte della popolazione li
disprezza, prova sentimenti di repulsione, di antipatia, di odio. Come
se l'essere povero fosse una scelta e non una condizione disgraziata
da cui e' quasi impossibile uscirne (chi assumerebbe un
senzatetto?).
Tra qualche giorno si festeggera' la nascita di Gesu'
di Nazareth. E lo faranno in tanti, quasi tutti in Italia e nei Paesi
occidentali. E cio' stride con la situazione descritta dai dati prima
indicati, perche' Gesu' fu un nonviolento, un
predicatore di pace e di fratellanza universale ("Amatevi gli uni gli
altri" Gv. 13,34, "Amate i vostri nemici, fate del bene a chi vi vuol
male" Lc 6,27); un povero, un senzatetto ("Le volpi
hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio
dell'uomo non ha dove posare il capo" Lc. 9,58); uno
straniero (figlio di Galilei - popolazione disprezzata dai
Giudei - nato in Giudea, una regione straniera); una persona che ha
sempre manifestato una scelta preferenziale per i poveri, gli
emarginati, gli esclusi, che ha affermato che essi sono i
prediletti da Dio ("Beati voi poveri" Lc 5,20); uno che ha gridato
"Guai ai ricchi" (Lc 5,24), che ha affermato "Vendete cio' che
avete e datelo ai poveri" (Lc 12,33), "E' piu' facile che
un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel Regno
di Dio" (Lc 18,25), "Nessun servo puo' servire a due padroni: Non
potete servire Dio e il denaro" (Lc 16,13); uno che ha affermato che
il criterio unico per salvarsi e piacere a Dio e' il nostro
comportamento verso chi e' nel bisogno "Ho avuto fame e mi
avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero
straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito" Mt.
25,35.
Come e' possibile che si possa festeggiare la nascita di un
simile personaggio, professarlo maestro, guida, salvatore, figlio di
Dio e poi fare il contrario di quello che lui ha detto e fatto?
Come e' possibile che la fratellanza, valore non solo cristiano ma
anche laico (fraternite', egalite', liberte'), possa essere cosi
negata nel nostro mondo?
Per fortuna nella Storia c'e' sempre stata una minoranza che
si e' battuta contro l'ingiustizia e la violenza, che non
si e' fatta sedurre dal denaro e dal potere, che ha praticato
concretamente la fratellanza, l'uguaglianza e la liberta'.
E' questa minoranza che ha reso il mondo migliore.
E' grazie a queste persone che la schiavitu' non e' piu' ammessa, che
la democrazia si e' affermata in quasi tutto il mondo, che le donne
hanno compiuto passi enormi di emancipazione, che sono state varate
normative per tutelare i lavoratori, per dare assistenza ai malati e
ai portatori di handicap, per aiutare chi e' in difficolta', per
difendere dall'inquinamento l'aria, l'acqua, il suolo, per mettere un
freno alla violenza e alla sopraffazione.
Noi ci sentiamo parte di questa minoranza. Crediamo che le nostre
piccole azioni e il nostro piccolo impegno non e' sterile
proprio perche' sono state sempre le minoranze attive a innescare e
realizzare processi di cambiamento. Festeggeremo con piacere
e con coerenza la nascita di quel nazareno povero e mite,
che tanto ha contribuito a cambiare in meglio il nostro mondo. E per
questo auguriamo a tutti un buon Natale.
Fonti: 1) SIPRI 2014; 2) ISTAT-Caritas 2012; 3)
National Alliance to end Homelessnes 2014
La maggioranza dei precari ce l'ha a morte con i garantiti, i
giovani con gli anziani, gli abitanti delle periferie degradate con
rom e immigrati. Politici, opinion leader, giornalisti senza scrupoli
soffiano per rinfocolare questi conflitti. A sentire alcuni di questi
il problema principale dell'Italia sono i rom, oppure gli immigrati o
i poveri che per riuscire a campare chiedono l'elemosina o chi dorme
per strada. Questo seminare zizzania, odio, violenza ultimamente ha
provocato episodi agghiaccianti: un senzatetto picchiato a
morte, tentativi di linciaggio di immigrati, rivolte
violente in alcuni quartieri. Questa rozza, cinica demagogia che
individua nel diverso, nell'emarginato il nemico della nazione e il
capro espiatorio dei nostri problemi e' una strategia gia' vista nella
Storia e che ha portato a tragedie immane (il genocidio degli ebrei,
degli zingari, degli omosessuali sotto il nazismo, il genocidio degli
armeni, ecc.). Forse per questo riesce a conquistare solo una parte
dei cittadini, spesso meno attrezzati culturalmente, ma non la
maggioranza.
Sembrano invece aver conquistato la maggioranza dei cittadini altri
fittizi conflitti, presunti nemici.
Spesso si sente parlare o si legge del conflitto tra la
generazione dei giovani e quella dei "padri" (chi sa
perche' "le madri" non compaiono). I primi che non riescono a trovare
lavoro o una casa a prezzi accessibili o un mutuo e i loro padri,
benestanti, privilegiati, spreconi. Ma e' così?
Che la maggioranza dei giovani ha serie difficolta' a trovare un
lavoro, una sicurezza economica, a progettare il proprio futuro, non
ci piove. Ma la colpa e' veramente dei loro padri? Come si fa
a mettere in una sola categoria sociale, quella dei "padri", i 5
milioni di pensionati con una pensione inferiore a 1000 euro al mese
(350.000 con un reddito inferiore a 500 euro, quasi 2 milioni che
percepiscono tra 500 e 750 euro mensili e oltre 2,5 milioni con una
pensione tra 750 e 1000 euro al mese) e i 108.000 pensionati
che percepiscono una pensione di oltre 8.000 euro al mese?
Come si fa a mettere nella stessa categoria i 12 milioni di
operai e impiegati con uno stipendio tra i 18.000 e 29.000 euro
lordi annui e i 28.000 "padri" che guadagnano oltre 300.000 euro
l'anno? Cosa hanno da spartire il giovane disoccupato
figlio di impiegato con i giovani figli di Berlusconi? Il giovane
precario col giovane "figlio di papa'", super-raccomandato e, per
questo, gia' ottimamente sistemato? Come pensare che stiano dalla
stessa parte?
No, nella nostra societa' non esiste un conflitto tra giovani e padri,
ma tra una gran parte dei giovani (precari, disoccupati, non garantiti
ecc.) e una piccola parte dei padri e giovani (ricchi di soldi e
privilegi e ben decisi a difenderli in ogni modo), tra una gran parte
dei padri (operai, impiegati, disoccupati, precari, pensionati,
artigiani, piccoli commercianti ecc.) e la medesima piccola parte dei
giovani e padri ricchi di soldi e privilegi.
Questi falsi schemi, queste mistificanti narrazioni della realta' sono
fatte ad arte per non cambiare le cose, per incanalare la
giusta rabbia delle tante vittime di questa societa' verso altre
vittime, lasciando i ricchi e i privilegiati nel loro mondo dorato. A
chi manca il necessario (un reddito per potere campare, un lavoro, una
casa, la possibilita' di progettare il futuro) viene voglia di
prendersela con qualcuno, con chi e' causa della sua situazione o con
chi potrebbe dare un significativo contributo per risolverla e non fa
niente, con chi dovrebbe cedere almeno un poco della sua ricchezza e
dei suoi privilegi. E sono tanti a cui manca il necessario, per cui la
situazione potrebbe diventare rivoluzionaria (non
necessariamente violenta ma rivoluzionaria nel senso di una lotta di
massa per cambiamenti significativi). Proprio per questo si
fa in modo che i poveri e i non garantiti si facciano guerra tra
loro, lasciando le cose come stanno.
Un esempio concreto e attuale di questa strategia e' contenuto nel
cosiddetto Jobs Act (la quarta riforma del mercato
del lavoro degli ultimi 17 anni). Sicuramente e' una cosa
buona che siano stati estesi alcuni diritti e tutele ai lavoratori
precari (il sussidio di disoccupazione, la maternita'
ecc.), ma lascia sconcertati che i soldi per garantire queste
tutele saranno prelevati dai lavoratori in cassa integrazione.
Infatti la nuova legge ha ridotto il numero di mesi a cui si ha
diritto della cassa integrazione e ha ridotto l'assegno (da circa 1200
euro al mese a 700 euro al mese dopo un numero di
mesi da stabilire).
Insomma con chi se la devono prendere i precari? A chi devono togliere
qualcosa? Ai lavoratori in cassa integrazione, ovviamente! Sono loro
il loro nemico, sono loro che devono cedere il di piu' che hanno, non
certo i grandi imprenditori, manager, dirigenti, super-pensionati,
grandi evasori. Non certo i 28.000 italiani che dichiarano oltre
300.000 euro l'anno o i 2,7 milioni di proprietari di auto di lusso.
La situazione richiede sacrifici. Ma i sacrifici li facciano i
poveri, che ci sono abituati, non certo i ricchi che non hanno
nemmeno idea di cosa significhi.
L'Asilo Sector Primero che raccoglie i bambini della baraccopoli
sorta sull'ex discarica di rifiuti, si regge sul nostro finanziamento
annuale. Per questo ti chiediamo di fare e raccogliere
donazioni per l'asilo, di diventare sostenitore di questa
bella realta' impegnandoti a versare ogni anno una quota, di proporci
strumenti per raccogliere fondi e impegnarti con noi. Per rispondere
alle richieste di Gerard e delle maestre dovremmo versare 10.000 euro
entro fine anno. Se tutti ci impegniamo ce la possiamo fare. Il
periodo natalizio ci puo' aiutare.
Ti proponiamo di regalare ai tuoi amici e conoscenti quote di
finanziamento dell'Asilo
Puoi regalare :
- quote di adozione dell'asilo (20, 50, 100 euro o
quella che tu ritieni opportuna). Versi la quota sul nostro conto
corrente e poi mandi un bigliettino di auguri (in allegato ce
ne e' uno preparato ad hoc) con una frase come: "Quest'anno
invece del panettone, che poi ti penti di aver mangiato perche' stai
sempre a dieta, ti regalo un pranzo per una settimana intera … ai
bambini dell'Asilo Sector Primero", oppure "So che ti piacciono i
libri, ma non hai sufficiente tempo di leggere, percio' quest'anno ti
regalo un intera fornitura di libri scolastici … ai bambini
dell'Asilo Sector Primero".
- il cd Una musica per … con musiche (canzoni,
musiche per piano e per orchestra) di Pio e Umberto Russo Krauss,
eseguite da Daniela del Monaco e Paolo Rescigno
(costo 12 euro). Alcuni brani sono ascoltabili su www.giardinodimarco.it
- il cd Laudate oppure Requiem con
musiche di Pio Russo Krauss (costo 5 euro, alcuni
brani ascoltabili sul sito dell'Associazione).
I cd li trovi presso le botteghe 'E Pappeci (Via Orsi 72 e Via
Monteleone 8 vicino Calata Trinita' Maggiore) o puoi chiederli con
una mail all'associazione.
- le nostre t-shirt con una vignetta piu' eloquente
di un trattato sul sottosviluppo. Le t-shirt (5 euro) puoi chiederle
inviando una mail a mail@giardinodimarco.it.
- il libro di poesie "Intanto tu parlami" di Francesco Rucco
(edizioni Marotta & Cafiero), 10 euro.
Le donazioni possono essere versate sul ccp. 36982627 oppure sul ccb
Banca Fideuram iban IT21G0329601601000064226269, ambedue intestando a
Associazione Marco Mascagna, Via Ribera 1 80128 Napoli e specificando
nella causale "Asilo del Salvador".
"Ci impegneremo a intensificare gli sforzi per sviluppare,
migliorare ed implementare la salute e la legislazione ambientale
e promuoveremo gli investimenti per promuovere delle tecnologie
sostenibili e rispettose dell'ambiente e della salute". Questo solenne
impegno e' stato sottoscritto da tutti i Paesi della UE 4 anni fa al
termine della Conferenza Intergovernativa su Ambiente e Salute.
Per concretizzare questo impegno un anno fa la Commissione
Europea ha approvato il Clean Air Policy Package (Pacchetto Aria),
un pacchetto di misure per ridurre l'inquinamento atmosferico, il piu'
grave problema ambientale che affligge l'Europa.
Il Pacchetto Aria comprende vari provvedimenti, che la UE deve
adottare:
finanziamenti per le politiche locali di contrasto
all'inquinamento atmosferico (ad es. piste ciclabili,
potenziamento dei mezzi pubblici, creazione di ztl e aree pedonali,
bike sharing ecc.)
finanziamenti per un migliore controllo della qualita'
dell'aria, nonche' per promuovere tecnologie innovative a
bassa emissione di inquinanti
possibilita' per i Paesi della UE di introdurre incentivi e
disincentivi economici per migliorare la qualita' dell'aria
e favorire le tecnologie a basse emissioni (ad esempio gravare di
tasse i veicoli piu' inquinanti, offrire sussidi per abbassare il
prezzo dei mezzi pubblici ecc.)
revisione dei limiti di qualita' dell'aria
limiti piu' rigorosi delle emissione massime dei veicoli a
motore, dei piccoli impianti industriali e delle caldaie.
Tutto bene, quindi? Si, se non fosse che pochi giorni fa la
nuova Commissione europea ha deciso che il Pacchetto Aria non
rientra nelle 10 priorita' della UE e che, quindi, la sua
concretizzazione puo' aspettare.
Si stima che l'adozione dei provvedimenti previsti nel pacchetto avrebbe
evitato entro il 2030 58.000 morti premature (di persone
sotto i 70 anni di eta') dovute all'inquinamento atmosferico e avrebbe
comportato un risparmio della spesa sanitaria tra i 40 e 140
miliardi di euro. Inoltre vi sarebbero stati altri miliardi
di euro risparmiati per minori danni agli edifici e
all'agricoltura.
Al contrario di altri problemi ambientali (rifiuti solidi, elettrosmog
ecc.) tutte le ricerche scientifiche sono concordi sulla pericolosita'
dell'inquinamento atmosferico, sulla sua capacita' di determinare
tumori, malattie cardiovascolari, malattie respiratorie. Gli ultimi
piu' accreditati studi stimano che solo in Italia ogni anno
circa 60.000 persone muoiono a causa dell'inquinamento atmosferico.
L'Organizzazione Mondiale della Sanita' classifica l'inquinamento
dell'aria come "cancerogeno accertato per l'uomo".
Varie ricerche dimostrano che i provvedimenti di restrizione dell'uso
dei veicoli (ztl, ticket per circolare ecc.) sono efficaci nel ridurre
l'inquinamento, come lo sono la produzione di veicoli o impianti meno
inquinanti.
Salvare la vita a 58.000 persone per la Commissione Europea non e' una
priorita'. Una decisione assurda e cinica, frutto, probabilmente, di
forti pressioni da parte delle aziende automobilistiche e del
petrolio.
22 associazioni mediche e ambientaliste italiane e numerosi
scienziati che studiano gli effetti dell'inquinamento
atmosferico hanno scritto un appello a Renzi,
perche', come presidente del Consiglio dell'Unione Europea, prenda
posizione contro la decisione della Commissione e si adoperi affinche'
il Pacchetto Aria rientri nelle priorita' della UE.
L'Asilo Sector Primero che raccoglie i bambini della baraccopoli
sorta sull'ex discarica di rifiuti, si regge sul nostro finanziamento
annuale. Per questo il 25 novembre abbiamo organizzato lo spettacolo
al Grenoble e ringraziamo tutti gli artisti – Daniela del Monaco,
Antonio Grande, Marco Zurzolo, Alfredo Rizzi, Daniela Mattera,
Sebastiano Cappiello, Antonella Ippolito, Clemi Regina, Valentina
Fusaro, Antonio Ruocco, Ivan Gira, Titti Pepi e Lino Fusco – e tutti
coloro che hanno contribuito alla buona riuscita dello spettacolo. Ma
per mandare avanti l'asilo per un intero anno abbiamo bisogno di molti
piu' fondi di quelli raccolti con lo spettacolo (circa 2000 euro). Per
questo ti chiediamo di fare e raccogliere donazioni per
l'asilo, di diventare sostenitore di questa bella realta'
impegnandoti a versare ogni anno una quota, di proporci strumenti per
raccogliere fondi e impegnarti con noi. Per rispondere alle richieste
di Gerard e delle maestre dovremmo versare 10.000 euro entro fine
anno. Se tutti ci impegniamo ce la possiamo fare. Il periodo
natalizio ci puo' aiutare.
Ti proponiamo di regalare ai tuoi amici e conoscenti quote di
finanziamento dell'Asilo
Puoi regalare :
- quote di adozione dell'asilo (20, 50, 100 euro o
quella che tu ritieni opportuna). Versi la quota sul nostro conto
corrente e poi mandi un bigliettino di auguri (in allegato ce
ne e' uno preparato ad hoc) con una frase come: "Quest'anno
invece del panettone, che poi ti penti di aver mangiato perche' stai
sempre a dieta, ti regalo un pranzo per una settimana intera … ai
bambini dell'Asilo Sector Primero", oppure "So che ti piacciono i
libri, ma non hai sufficiente tempo di leggere, percio' quest'anno ti
regalo un intera fornitura di libri scolastici … ai bambini
dell'Asilo Sector Primero".
- il cd Una musica per … con musiche (canzoni,
musiche per piano e per orchestra) di Pio e Umberto Russo Krauss,
eseguite da Daniela del Monaco e Paolo Rescigno (costo
12 euro). Alcuni brani sono ascoltabili su www.giardinodimarco.it
- il cd Laudate oppure Requiem
con musiche di Pio Russo Krauss (costo 5 euro, alcuni brani
ascoltabili sul sito dell'Associazione).
I cd li trovi presso le botteghe 'E Pappeci (Via Orsi 72 e Via
Monteleone 8 vicino Calata Trinita' Maggiore) o puoi chiederli con una
mail all'associazione.
- le nostre t-shirt con una vignetta piu' eloquente
di un trattato sul sottosviluppo. Le t-shirt (5 euro) puoi chiederle
inviando una mail a mail@giardinodimarco.it.
- il libro di poesie "Intanto tu parlami" di
Francesco Rucco (edizioni Marotta & Cafiero), 10 euro.
Le donazioni possono essere versate sul ccp. 36982627 oppure sul ccb
Banca Fideuram iban IT21G0329601601000064226269, ambedue intestando a
Associazione Marco Mascagna, Via Ribera 1 80128 Napoli e specificando
nella causale "Asilo del Salvador".
L'Italia è stata funestata negli ultimi giorni da alluvioni e frane,
come puntualmente succede appena si verificano piogge più abbondanti.
E, come succede da molti anni, i diversi enti si rimpallano
responsabilità, si promettono interventi risolutivi, si
stanziano soldi. Ma puntualmente ad una nuova
pioggia più abbondante si verificano
nuovamente alluvioni e frane. Perché?
Non dipende solo dal fatto che la conformazione geologica dell'Italia
favorisce frane e alluvioni. Come ha detto il presidente dei geologici
"la causa principale del dissesto idrogeologico è il consumo
di suolo", cioè coprire il suolo con case, strade,
capannoni, centri commerciali, parcheggi, ecc. L'impermeabilizzazione
del suolo fa sì che l'acqua delle precipitazioni subito arriva nei
torrenti e nei fiumi ingrossandoli oppure che arriva con troppa forza
sul suolo permeabile incidendolo e favorendo le frane.
Altra grave causa dei danni dovuti al maltempo è la presenza
di case, industrie, strade nelle aree golenali, cioè in
quelle zone circostanti il fiume che sono riempite dalle acque di
piena. Come ha detto il presidente dei geologi "Il Bisagno (il
torrente che ha esondato a Genova, ndr) si è semplicemente ripreso il
territorio che gli spettava".
Il consumo di suolo è in costante crescita in Italia, che ha
il primato in Europa per produzione e consumo di cemento: negli anni
'50 era del 3% all'anno, nel 2012
del 7%. E ciò malgrado l'incremento demografico si sia
quasi arrestato negli ultimi 20 anni.
Ogni secondo 8 metri quadri
di suolo vengono cementificati. Negli ultimi 3
anni sono stati cementificati 720 Kmq, un'area
pari all'estensione di Milano, Firenze, Bologna,
Napoli e Palermo messe insieme.
Ora ogni volta che c'è qualche alluvione o frana si parla di stanziare
soldi per la difesa del suolo, ma non si parla mai di fermare
l'impermeabilizzazione del suolo.
Anzi Comuni, Regioni e Stato fanno a gara ad aumentare il consumo di
suolo: i Comuni solitamente varando piani regolatori
in cui si prevedono sempre nuove case, insediamenti, strade
ecc.; le Regioni con leggi e delibere che incentivano nuove
costruzioni, centri commerciali, assi viari, parcheggi,
"valorizzazioni turistiche" ecc.; lo Stato finanziando grandi
e piccole opere, concedendo condoni, tagliano risorse agli enti che
tutelano il suolo e il paesaggio, varando leggi che permettono di
derogare alle norme di pianificazione urbanistica e di tutela
ambientale. Qualche esempio?
Il comune di Pordenone (52.000 abitanti) prevedeva la costruzione di
8,7 milioni di metri cubi di nuovi vani; quello di Asolo (9.000
abitanti) la costruzione di 700 villette in collina; la giunta
Alemanno la costruzione di 100 milioni di metri cubi di nuovi vani a
Roma; quella di Siracusa la costruzione di 501 ville in collina.
Il Piano territoriale della Lombardia, in questi giorni in
discussione, prevede l'urbanizzazione di 55.000 ettari, più di quelli
urbanizzati tra il 1999 e il 2012; la Regione Liguria il 20
luglio 2011 ha approvato una legge che riduce la distanza della
costruzione di edifici
dall'argine dei fiumi da 10 metri a soli 3 metri; il Veneto
ha deliberato la costruzione di un centro commerciale di 715.000 mq e
2 milioni di metri cubi; la Regione Campania nell'agosto 2014 ha
approvato una sanatoria dell'abusivismo edilizio.
Lo Stato in questi ultimi 20 anni ha varato due
condoni edilizi, il cosiddetto "Piano casa" di Berlusconi (ricordate?
Quello definito "Padroni in casa propria", che permetteva di aumentare
del 20-35% la cubatura delle case) e da pochi giorni il decreto
Sblocca Italia, che vara una deregulation in
materia urbanistica e consente che alcune opere
(superstrade, metanodotti, pozzi petroliferi, ecc.) possano
essere costruiti in deroga alla
normativa urbanistica, paesaggistica e di tutela del territorio.
Cadono così nel vuoto, non solo le proteste delle associazioni
ambientaliste e dei comitati di cittadini (sempre accusate di
"conservatorismo" e di volere impedire lo sviluppo economico), ma
anche i richiami dei geologi e dei tecnici del Ministero
dell'Ambiente: "Occorre investire sul patrimonio
edilizio esistente, incentivare il riuso dei suoli già
compromessi e la rigenerazione urbana, tutelare tutte le aree
non edificate e non impermeabilizzate, anche in ambito
urbano", "delocalizzare le civili abitazioni, gli edifici e le aziende
site in aree a irrisolvibile rischio idraulico e limitare gli
interventi strutturali laddove assolutamente necessario" [1].
Invece che si fa? Si stanziano nuovi soldi per costruire argini più
alti, briglie di cemento, muri di contenimento.
Ma, questi interventi, "se non eseguiti adeguatamente e sulla base di
attenti studi per valutarne l'impatto su scala di bacino, rischiano in
molti casi di accrescere la fragilità del territorio piuttosto che
migliorarne la condizione, e di trasformarsi in alibi per continuare a
edificare lungo i fiumi e in zone a rischio frana"[2].
Eppure in Parlamento giacciono da anni varie proposte di
legge contro il consumo di suolo.
Per fortuna il quadro non è tutto nero. Alcuni
comuni, infatti, hanno varato piani urbanistici che prevedono zero
consumo di suolo (anche il piano regolatore di Napoli
non prevede aree di nuova urbanizzazione, poiché i nuovi interventi
sono localizzati nelle aree industriali dismesse ad Est ed Ovest) e da
poco la Regione Toscana ha approvato una legge
urbanistica incentrata sul controllo drastico del consumo di suolo,
non consentendo ai comuni di prevedere nuove aree di espansione, e
finalizzando l'attività edilizia solo sulla riqualificazione, riuso,
recupero e messa in sicurezza della città esistente.
1) ISPRA - Ministero dell'Ambiente: Il consumo di suolo in Italia (www.isprambiente.gov.it/it/pubblicazioni/rapporti/il-consumo-di-suolo-in-italia)
2) Legambiente, Protezione Civile: Ecosistemi a Rischio. Monitoraggio
sulle attività delle amministrazioni comunali per la mitigazione del
rischio idrogeologico, anno 2011
Il 3 ottobre dello scorso anno 366 persone morirono a poche
miglia da Lampedusa. Quasi unanime fu lo sdegno. Il
Presidente Napolitano disse: "Provo vergogna e orrore; è necessario
rivedere le leggi anti-accoglienza". Letta parlò di "Immane tragedia",
Renzi dichiarò: "Bisogna cambiare la Bossi-Fini: non funziona e
alimenta le paure degli italiani".
Noi della Marco Mascagna scrivemmo: "Temiamo
che presto l'attenzione scemerà e tutto continuerà come
prima: la commozione di pochi giorni lascerà il posto al
cinismo di sempre. Lo temiamo perché sappiamo che negli
ultimi 20 anni 6.835 persone sono morte in mare cercando di
raggiungere l'Italia1. E la risposta a questa immane tragedia non è
stata quella dettata da solidarietà, fratellanza, rispetto dei diritti
umani, giustizia ma quella dell'egoismo e della demagogia".
Il Governo Letta non cambiò la Bossi-Fini, ma sotto le pressioni della
stampa, del mondo dei credenti (ricordate la visita del Papa a
Lampedusa e i suoi ripetuti interventi) e dell'opinione pubblica, varò
una nuova strategia - l'operazione Mare Nostrum -
cioè un pattugliamento del Canale di Sicilia per intercettare anche
fuori delle acque territoriali i barconi e così "garantire la
salvaguardia della vita in mare» e «assicurare
alla giustizia coloro che lucrano sul traffico illegale di migranti»
. Sulle navi di Mare Nostrum è presente anche personale degli uffici
immigrazione così da potere verificare chi ha diritto all'asilo o
all'accoglienza e chi no (cosa che l'Italia in precedenza non faceva,
contravvenendo a trattati, normative internazionali e perfino alla
Bossi-Fini).
Grazie a questa nuova strategia in un anno sono stati recuperati
circa 100 mila migranti (di cui 9 mila minorenni), sequestrate
3 "navi madre" (quelle che trasportano i migranti a una
certa distanza dalle coste per poi abbandonarli su barconi) e arrestati
oltre 500 scafisti (nel 2012 gli scafisti arrestati sono
stati 187 e, nei primi 9 mesi del 2013, 88) [2]. Non vi sono
state più tragedie come quella del 3 ottobre 2013, migliaia
di persone aventi diritto alla protezione sono stati accolti
dall'Italia, secondo le normative internazionali e
italiane.
Quindi la nuova strategia ha dato risultati nettamente migliori delle
precedenti.
Ebbene dal 1 novembre l'operazione Mare Nostrum non esiste
più. Il Governo ha deciso così. E ha deciso così perché dal
1 novembre è partita l' operazione europea "Triton",
un'operazione che ha come obiettivo "il controllo delle
frontiere europee" (quindi né il salvataggio di
vite umane né la lotta agli scafisti, come ha ribadito il
direttore dell'Agenzia Europea Frontex, titolare dell'operazione, che
ha anche auspicato che l'Italia continui l'operazione Mare Nostrum).
Il direttore ha precisato che i migranti recuperati nel Canale di
Sicilia nel corso di Triton "saranno portati in Italia, perché non
vale il principio della nazionalità dell'unità che compie il
salvataggio" e che "l'impegno dell'agenzia finisce nel momento dello
sbarco di queste persone sul suolo italiano".
L'Europa, cinicamente, non ha voluto sostenere economicamente Mare
Nostrum e il Governo italiano, cinicamente, ha pensato che la
commozione è ormai passata e che non vale più la pena darsi da fare
per salvare i migranti e arrestare i trafficanti.
Proteste sono venute da molte associazioni ed enti umanitari
(Caritas, Comunità di S. Egidio, Emergency, Federazione delle Chiese
Evangeliche, Fondazione Migrantes, Libera, ARCI, ACLI, Pontificio
Consiglio della Pastorale per i Migranti ecc.), che hanno definito
«irresponsabile», la decisione con cui l'Italia
"si sottrarrebbe al dovere che grava sulle istituzioni, come su ogni
singola persona, di trarre in salvo persone che si trovino in
pericolo di vita»: una tale decisione "significa condannare
migliaia di persone a una morte sicura".
Qualcuno ha sostenuto che Mare Nostrum è stato un incentivo
all'emigrazione. I dati sembrano contraddire questa tesi: i
trafficanti di migranti hanno avuto la vita molto più difficile con
l'operazione Mare Nostrum. Inoltre chi investe tutti i suoi miseri
averi, si indebita, percorre migliaia di chilometri tra mille
pericoli, mette a repentaglio la vita sua e dei suoi cari, perde ogni
identità e dignità pure di sfuggire alla guerra, a un regime
sanguinario, alla fame, mette anche in conto la possibilità di morire
durante il viaggio e, malgrado ciò, non desiste. Come ha detto un
esponente del volontariato "Pensare che abolendo il soccorso
in mare si disincentiva l'immigrazione è come pensare che abolendo
il soccorso stradale diminuiscono gli incidenti automobilistici".
La Federazione delle Chiese Evangeliche ha fatto notare che il
principale incentivo all'immigrazione sono le
politiche economiche dei Paesi Ricchi nei confronti di quelli Poveri
e il commercio delle armi: il primo causa della povertà e
il secondo delle guerre.
Il decreto Sblocca Italia purtroppo è diventato legge dello Stato
grazie all'ennesimo voto di fiducia (il 29° del Governo Renzi).
Purtroppo a nulla sono serviti gli appelli e le manifestazioni delle
associazioni ambientaliste (WWF, Legambiente, Italia Nostra,
Greenpeace, LIPU, FAI, Salviamo il Paesaggio ecc.) e di quelle
turistiche (es. il Touring Club Italia), il presidio a Piazza
Montecitorio di rappresentanti di centinaia di comitati di tutta
Italia, il parere contrario della Conferenza delle Regioni, il
documento delle Conferenze episcopali di Abruzzo e Molise (due delle
Regioni più tartassate dal decreto), gli appelli di intellettuali e
cittadini. A nulla sono servite anche le riserve espresse dalla Banca
d'Italia ("ripercussioni negative sui tempi e sui costi" della
realizzazione delle opere) e dall'Antitrust e dall'Autorità Nazionale
Anticorruzione. Nemmeno la procedura di infrazione contro l'art 5 del
decreto (proroga delle concessioni autostradali) aperta dall'Unione
Europea è servita a rivedere il testo.
Crediamo che sia utile ricordare i principali punti di questo decreto.
1) permette trivellazioni ed estrazioni petrolifere perfino
nel Golfo di Napoli e di Salerno, nei Parchi Nazionali, nelle
riserve naturali, nell'Adriatico. Invece di puntare sulle
energie rinnovabili e sostenibili, le energie del futuro, il Governo
punta su ipotetici giacimenti di petrolio che non saranno attivi prima
di 10 anni e che presto o tardi si esaurirannoe, per fare ciò, mette a
repentaglio il maggior bene dell'Italia: il paesaggio, il mare, la
natura;
2) permette che gasdotti, oleodotti, alcune
strade e tratte ferroviarie possano essere realizzati in deroga ad
ogni piano paesistico, urbanistico e di tutela
e alla valutazione di impatto ambientale;
3) incentiva la costruzione di nuovi inceneritori. In
Italia il 20% dei rifiuti è incenerito, una percentuale
perfettamente in linea con la media europea (22%).
Il 20% è una quota considerevole, tenendo conto che la frazione a più
alto valore energetico è pari a circa il 30% dei rifiuti e che questa
è formata soprattutto da plastica e cellulosa, che è più conveniente
ed ecologico riciclare. Oggi molti inceneritori del Nord
Europa sono sottoutilizzati perché non ci sono abbastanza rifiuti da
incenerire, perché raccolta differenziata e riciclaggio
sono aumentati sempre più. Anche in Italia è in corso un notevole
aumento della raccolta differenziata (nel 2006 eravamo al 26%, nel
2012 al 43%). Ma malgrado il trend crescente della raccolta
differenziata, malgrado l'esperienza degli altri Paesi europei e le
direttive della UE che stabiliscono che l'incenerimento deve essere
un'opzione residuale, il Governo vuole costruire nuovi inceneritori
anche contro la volontà di Regioni e Comuni;
4) non dedica neanche un rigo alla costruzione di impianti di
compostaggio, di cui l'Italia ha una enorme carenza;
5) per alcune opere permette di derogare al codice degli
appalti (sarà possibile usare la trattativa
privata per opere dell'importo di 5,2 milioni di euro!) e
alle norme sulle varianti in corso d'opera, spianando così la
strada alla corruzione, all'aumento spropositato dei costi e allo
spreco di denaro pubblico;
6) invece di rilanciare l'edilizia
orientandola verso il recupero dei centri storici, la riqualificazione
delle periferie, il risparmio energetico, il decreto la rilancia con
una sostanziale deregulation e con la possibilità
di aggirare le norme urbanistiche e di tutela del paesaggio,
dell'ambiente, dei beni culturali, della sicurezza grazie
anche all'istituto del silenzio-assenso. E' noto, infatti, che le
Sopraintendenze e gli uffici comunali non hanno sufficiente personale
per svolgere i loro compiti, per cui è molto difficile che possano
rispettare i termini; inoltre i funzionari non rischiano niente a
stare zitti;
7) permette per le nuove lottizzazioni di differire le opere
di urbanizzazione (scuole, strutture sociali e sanitarie, aree
verdi, attrezzature sportive, mercati ecc.), favorendo così la
costruzione di nuovi quartieri dormitorio e periferie degradate.
8) finanzia soprattutto il trasporto su gomma (il
doppio dei finanziamenti previsti per le ferrovie, che riguardano
soprattutto le TAV Napoli-Bari, Milano-Genova, Brescia-Padova,
Brennero). E non stanzia nemmeno un euro
per i trasporti ferroviari regionali (quelli più usati da
lavoratori e turisti);
8) permette la proroga delle concessioni autostradali in
scadenza e l'affidamento di nuovi lavori alle società già
assegnatarie. Ciò non solo è contrario ai principi della
concorrenza ma si configura come un regalo a determinati gruppi
economici fatto a spese dello Stato (per questo la UE ha aperto una
procedura di infrazione);
9) non è rispettosa delle norme della Costituzione sui beni
ambientali e culturali. La Corte costituzionale si è già
espressa 5 volte sulla inapplicabilità del silenzio-assenso
ai beni ambientali e culturali. Eppure il decreto del
Governo questo prevede. Come mai? Forse perché la Corte non si
pronuncerà prima di un paio di anni e nel frattempo ci si può
infischiare della tutela prevista dalla Costituzione;
10) non è rispettosa delle norme della
Costituzione sulla decretazione d'urgenza. I decreti legge
possono essere emanati solo se sussistono "motivi di
necessità e urgenza": in tutto il decreto non sono mai
esplicitati questi motivi e alcune delle norme previste nel decreto
entreranno in vigore a metà anno 2015. Inoltre, come la Corte
Costituzionale ha specificato, il contenuto dei decreti deve essere "specifico,
omogeneo e corrispondente al titolo". In questo
lunghissimo testo (296 pagine) si parla di tutto: di
strade, tratte ferroviarie, oleodotti, reti telematiche, inceneritori,
pozzi petroliferi, aeroporti, dissesto idrogeologico, cimiteri,
bonifiche, concessioni autostradali, digitalizzazione, burocrazia,
fitti di abitazioni, requisiti per fare l'autotrasportatore,
adempimenti antincendio nelle metropolitane, vendita di beni pubblici
e perfino di un quartiere di una città (Bagnoli). Un
guazzabuglio che non ha niente di "specifico e omogeneo e
corrispondente al titolo".
Ci chiediamo perché, malgrado tante voci autorevoli e tante
critiche precise e argomentate, sia stato approvato e trasformato in
legge un tale decreto.
Uno dei motivi principali è l'inerzia di tanti cittadini.
Una parte dei cittadini si disinteressa di cosa fanno
il Governo e il Parlamento. Molti di questi si indigneranno e
protesteranno quando tra Napoli e Capri staranno per costruire una
piattaforma petrolifera o quando metteranno un inutile
inceneritore vicino alla loro casa. Purtroppo questo tardivo impegno,
molto spesso sarà fallimentare, proprio perché i giochi ormai sono
fatti e bisognava attivarsi prima.
Un'altra parte dei cittadini è invece rimasta inerte perché dà più
importanza all'appartenenza ideologica che ai fatti. Se
questo decreto l'avesse varato il Governo Berlusconi si sarebbero
indignati e avrebbero protestato in molti modi, mentre si sta zitti e
muti se lo fa il Governo Renzi. Crediamo che la
partigianeria, da qualsiasi parte venga (destra, sinistra e centro),
non sia una bella cosa e sia uno dei principali motivi di gran parte
dei mali dell'Italia.
Raffaele Buonocore, 44 anni, sposato e padre di due figli, abitante a
Soccavo, faceva il muratore.
Lavorava per un'impresa edile caprese. L'impresa stava ristrutturando
una villa a Marina Piccola a Capri e Raffaele
Buonocore stava portando sulla spalla 40 Kg di
materiale di risulta. Un peso quasi doppio di quello ammesso dalla
normativa vigente (25 Kg). Il suo cuore non ha retto allo sforzo. Si è
accasciato, ha chiesto inutilmente aiuto e, mentre lo portavano
all'ospedale è morto.
Qualche giorno fa è terminato il processo. E' stato accertato che lavorava
a nero; che non era stato sottoposto a nessuna delle
periodiche visite mediche previste dalla legge per gli operai edili;
che era affetto da una malformazione cardiaca che rendeva estremamente
rischiosi gli sforzi eccessivi; che non avevano chiamato
subito il 118 perché era a nero e temevano grane.
E' stato accertato, quindi, che se Buonocore non fosse stato
un lavoratore a nero, non sarebbe morto. Se non
era a nero avrebbe passato una delle visite mediche periodiche
previste dalla legge e la sua malformazione cardiaca
sarebbe stata evidenziata; non avrebbe portato un carico di 40 Kg;
avrebbero chiamato immediatamente il 118, senza perdere minuti
preziosi. Per questo il giudice ha condannato il titolare
dell'impresa: 3 anni di carcere. Tre anni
di carcere che, con la condizionale e la buona condotta, in realtà si
ridurranno a 6 mesi.
A quanto è stato condannato il proprietario della Villa di
Capri che, per risparmiare qualche soldo dei molti che
possiede, ha ingaggiato l'impresa edile più economica, quella che non
paga i contributi ai suoi operai, né le visite mediche, che non usa
mezzi e procedure previste dalla legge per prevenire malattie e
infortuni? A niente. Si, nessuna condanna, nessuna pena.
Il minimo che si può dire è che c'è qualcosa che non va nelle nostre
leggi.
Dall'inizio di questo 2014 ad oggi risulta che 549 persone
sono morte sul lavoro, circa 2 al giorno. Il loro numero,
in realtà, è sensibilmente più alto, perché molte delle morti sul
lavoro sono fatte passare per incidenti o morti naturali. Ed è
soprattutto dove c'è lavoro nero che avvengono morti, infortuni e
malattie del lavoro. Ed è dove c'è lavoro nero che si
annida l'evasione fiscale più cospicua. L'Istat stima che
nel 2011 l'economia sommersa abbia prodotto 2.000 miliardi di euro
(circa il 12% del PIL). Duemila miliardi intascati senza
versare un euro al fisco e senza versare contributi all'INPS
(si stima che l'INPS abbia perso 30 miliardi di euro nel solo 2011).
E, ovviamente, sono le imprese sommerse che smaltiscono i
loro rifiuti illegalmente, inquinando terreni, falde e aria
e alimentando mafia e camorra; sono sempre le imprese
sommerse quelle che più inquinano (tanto nessuno sa della
loro esistenza), e sono loro che fanno concorrenza sleale alle imprese
oneste e rispettose delle leggi.
Insomma il lavoro nero, le imprese sommerse hanno enormi e
diversificati effetti negativi sull'economia, sulla salute, sulla
società, sull'ambiente, sulla qualità della vita dei lavoratori.
Eppure di questo problema si parla pochissimo. Non ne
parlano i nostri politici (tranne poche eccezioni), non se ne
interessa il Governo e il suo capo, che a chiacchiere afferma che
l'evasione fiscale è il più grande problema dell'Italia, ma poi
concentra tutto il suo impegno in tutt'altri campi. Così si continuerà
a punire con la medesima pena (3 anni) chi ruba qualcosa in
un supermercato (furto semplice pena da 6 mesi a 3 anni,
art. 624 CP) e chi causa la morte di un uomo. E
colui che ingaggia un'impresa continuerà a non avere alcun obbligo
di verificare se tutto e in regola o no e potrà dormire sogni
tranquilli anche se, indirettamente, il suo comportamento
ha determinato la morte di una persona.
Fonti: Osservatorio Indipendente di Bologna Morti sul Lavoro; Istat.
Circa 5 milioni di italiani
sono in situazione di povertà assoluta
(meno di 500 euro al mese al Nord e meno di 400 euro al mese al Sud)
[1]. Dalla parte opposta vi sono altri 5 milioni di
Italiani che sono tanto ricchi
da possedere metà della ricchezza del Paese.
Tra i più ricchi imprenditori (o eredi di imprenditori) e
supermanager.
Si potrebbe pensare che è sempre stato così, e invece no. E' stato
così per molti secoli, ma 30-40 anni fa le disuguaglianze erano molto
minori: nel 1970 un grande manager guadagnava 20 volte di più
di un operaio, oggi 220 volte di più.
Questi pochi dati da soli dipingono un quadro intollerabile sia dal
punto di vista etico che economico (le forti disuguaglianze sono un
freno allo sviluppo economico). Ma si potrebbe pensare che tra queste
situazioni estreme vi sia un'ampia fascia di persone che non è ricca
ma non ha problemi economici. E invece vi sono eccessive
disuguaglianze anche in questa fascia di popolazione. Lo si capisce
anche esaminando i redditi medi per professione [1]. Il reddito lordo
medio di un professionista è di 40.800 euro all'anno, quello di un
tecnico di 34.000 euro/anno, di un impiegato 28.500 euro/anno, di un operaio
specializzato 21.500 euro/anno,
di un lavoratore non specializzato di 18.300 euro/anno.
Questo spiega perché ormai molti operai e lavoratori non specializzati
faticano ad arrivare alla fine del mese e sono a rischio di cadere nel
vortice della povertà. Può bastare
infatti una malattia, un incidente, una disgrazia,
la separazione dal coniuge o la perdita del posto di lavoro per
finire in povertà o perdere tutto. Spesso
basta uno di questi accidenti e, per tirare avanti, si ha assoluta
necessità di un prestito, che le banche si guardano bene dal dare. Si
finisce così in mano ad usurai e, nel giro di mesi, massimo qualche
anno, si perde tutto andando ad ingrossare il numero dei senza tetto
(oltre 50.000 persone in Italia).
Un'altra disparità è tra i redditi dei lavoratori dipendenti e di
quelli autonomi. Questi ultimi dichiarano di guadagnare molto meno dei
primi. Davvero sono più poveri? Gli analisti concordano che ciò
dipende dal fatto che i lavoratori autonomi possono facilmente evadere
il fisco e non far risultare una buona parte dei loro
guadagni. Come credere infatti che un architetto libero
professionista guadagni in media solo 21.000 euro lorde all'anno,
che uno psicologo guadagni 19.000 euro/anno e un veterinario 17.000
euro/anno?
Come credere anche che solo 28.000 italiani dichiarano un reddito
superiore a 300.000 euro quando vi sono 2,7 milioni di auto
di lusso, 600.000 imbarcazioni (è bisogna considerare che
le imbarcazioni più costose non risultano, perché sono registrati in
stati esteri)?
Siamo il Paese europeo con la più alta
evasione fiscale. Le tasse non pagate (l'evasione ed
elusione fiscale) in Italia ammontano a 130 miliardi di
euro [2].
Una così alta evasione fiscale non è
una fatalità da accettare con rassegnazione ma la
conseguenza di scelte politiche: in Italia è facile evadere
le tasse, è difficile essere condannati e, se si viene condannati, le
pene sono lievi. Basti pensare che da noi solo 156 persone
sono detenute per reati finanziari, mentre in Germania sono 8.600
[3].
Di fronte a questa situazione non si può non indignarsi. Basterebbe
infatti una seria politica contro l'evasione e l'elusione
fiscale per risistemare i conti dello Stato e rilanciare
l'economia. Basterebbe levare un po' di soldi a chi ha di più
(spesso tanto di più) per darne a chi vive in povertà
o in ristrettezza e non solo si metterebbe in atto quel
principio di "fraternità" su cui gli Stati moderni dicono di fondarsi,
ma si realizzerebbe un serio intervento per uscire dalla crisi
economica.
In realtà in questi anni si è
fatto esattamente il contrario. Tra il 2000 e il
2013, il reddito di operai,
impiegati e tecnici è diminuito di 8.312 euro,
quello di imprenditori e professionisti è
aumentato di 3.142 euro [4].
Il blocco degli stipendi nel pubblico impiego
(anche di quelli che non arrivano a guadagnare 18.000 euro lorde
all'anno), varato dal Governo Berlusconi, prorogato da quello Monti e
che, secondo gli annunci del Ministro Madia e di Renzi, sarà prorogato
anche dall'attuale Governo, ha causato tra il 2010 e il 2012
una riduzione del 5,8% del potere di acquisto (1.600 euro
annui in meno, in media) [5].
Quindi in questi ultimi anni si sono tolti soldi, servizi,
diritti ai non abbienti e si è permesso che ricchi
e benestanti guadagnassero di più,
avessero nuove opportunità e nuovi diritti.
Se si propone di introdurre una tassazione dei grandi patrimoni subito
giornali e televisioni fanno articoli allarmati e enfatizzano le voci
di chi è contrario. Se si bloccano i salari o si tolgono servizi e
diritti la notizia o viene relegata in un articoletto che pochi
leggono o viene ben riportata ma con commenti che plaudono a tali
scelte nel nome della ragione economica e del benessere della nazione
("Bisogna fare qualche sacrificio"). Il fatto è che i ricchi
preferiscono che i sacrifici li facciano i poveri e non
abbienti. E quasi sempre ci riescono, anche perché
loro possiedono giornali e televisioni. I poveri, invece,
non posseggono giornali, né televisioni e nemmeno pubblicano articoli
di fondo e commenti. I poveri, come si dice a Napoli, "hanno solo gli
occhi per piangere". Così si realizza il detto "E' assai più rumoroso
il malumore di chi a colazione deve passare da tre a due brioche,
rispetto a quello di chi, alla mensa dei poveri, riceve un mestolo di
brodo in meno".
fonti: 1) ISTAT 2014; 2) Corte dei Conti Rapporto 2013; 3) Institut de criminologie et de droit pénal, rapporto 2013 (riportato su Corriere della Sera 27/1/2014; 4) Isrf Lab: Poveri Salari: rapporto sui salari, 2014; 5) Il Sole 24 Ore
"Fatta la legge trovato l'inganno" dice un vecchio proverbio. In
Italia non c'è bisogno di scovare tra le pieghe della legge gli
escamotage per fare il contrario di quello che dice. Spesso infatti si
fa la legge e poi se ne fa un'altra che dice che quella legge non vale
per alcuni o in alcune parti del Paese o in alcune situazioni.
Per esempio si è fatta una legge che ha deciso che
per il Consorzio Venezia Nuova tutta una serie di leggi non valevano
perché bisognava costruire il MOSE con urgenza. Poi
sappiamo come è andata a finire: il MOSE dopo 11 anni dall'inizio dei
lavori ancora non è terminato, invece di costare 3700
miliardi di lire (1,9 miliardi di euro) è
costato per il momento 5,3 miliardi di euro (di cui, si
stima, circa 1 miliardo per tangenti), l'utilità è dubbia e l'impatto
ambientale rilevante.
Altro esempio, sulla fine degli anni 2000 si è deciso l'abolizione dei CIP6 per l'incenerimento dei rifiuti (cioè smettere di considerare l'incenerimento dei rifiuti una forma di energia rinnovabile e quindi eliminare i finanziamenti a tale pratica non ecosostenibile) e subito dopo si è varata una norma per cui tale abolizione non valeva per la Campania.
Ora il Governo Renzi rilancia alla grande la politica delle deroghe e
dei commissari straordinari con pieni poteri (cio è che possono
derogare alle leggi). Il decreto Sblocca Italia,
infatti, permette di derogare al codice degli appalti
(sarà possibile usare la trattativa privata per opere dell'importo di
5,2 milioni di euro!), ai piani urbanistici e paesagistici,
alle norme sulle varianti in corso d'opera, alla valutazione di
impatto ambientale, al patto di stabilità. Non solo, per
molte opere (inceneritori, trivellazioni petrolifere, gasdotti,
depositi di gas, aeroporti ecc.) si potranno bypassare gli
enti locali,
L'effetto di tutte queste deroghe è facile prevederlo: corruzione e
aumento spropositato dei costi (grazie alle deroghe sugli appalti),
devastazione del paesaggio, maggiore inquinamento, aumento del consumo
di suolo e della cementificazione (per le deroghe alle normative
ambientali e urbanistiche), aumento delle proteste da parte delle
popolazioni locali espropriate della possibilità di far sentire in
maniera democratica le loro posizioni, ricorsi al TAR e alla Corte
Costituzionale che faranno aumentare i tempi di realizzazione delle
opere. Insomma un film già visto col MOSE, con la TAV in Val di Susa,
con l'Expò di Milano, col Commissariato ai Rifiuti della Campania, col
G8 alla Maddalena ecc..
Il decreto Sblocca Italia mostra inoltre una scarsissima
considerazione per l'ambiente e la questione ecologica e
persegue un modello di sviluppo vecchio, insostenibile e
diseconomico. Eccone i principali punti:
1) incentiva la ricerca petrolifera, l'estrazione di petrolio
e gas, la costruzione di gasdotti e di depositi di gas.
Mentre sempre più Paesi puntano sulle energie sostenibili e
ridimensionano l'uso dei combustibili fossili (perfino i petrolieri
Rockefeller hanno deciso di abbandonare il petrolio per lanciarsi
nelle energie rinnovabili) l'Italia decide ora di puntare sul petrolio
dimenticando che c'è una certa differenza tra il territorio italiano e
quello della penisola arabica o del Texas. Il decreto prevede che gasdotti
e oleodotti possono essere realizzati in deroga ad ogni piano
paesistico, urbanistico e di tutela; si incentiva la
ricerca e lo sfruttamento di petrolio e gas dappertutto, ma
soprattutto nel Mare Adriatico, nel Golfo di Napoli e di
Salerno (anche in deroga al limite delle 12 miglia
dalla costa!) e nella Val d'Agri.
Venezia, Rimini, il Conero e i Golfi campani sono noti a tutti. Forse
non tutti invece conoscono la Val d'Agri, una delle più belle valli
italiane (un lungo e frastagliato lago, boschi e campi coltivati,
paesi-presepe, montagne con cime frastagliate e guglie), cuore del
Parco Nazionale dell'Appennino Lucano, un patrimonio che ben
utilizzato potrebbe produrre ricchezza per tempi indefiniti e che
invece si vuole distruggere per fare cassa per qualche anno (alcune
immagini della Val d'Agri sono nel file allegato);
2) incentiva la costruzione di nuovi inceneritori. In
Italia il 20% dei rifiuti è incenerito, una percentuale
perfettamente in linea con la media europea (22%).
Il 20% è una quota considerevole, tenendo conto che la frazione a più
alto valore energetico è pari a circa il 30% dei rifiuti e che questa
è formata soprattutto da plastica e cellulosa, che è più conveniente
ed ecologico riciclare. Oggi molti inceneritori del Nord
Europa sono sottoutilizzati perché non ci sono abbastanza rifiuti da
incenerire, perché raccolta differenziata e riciclaggio
sono aumentati sempre più. Noi, ciechi all'esperienza di altri Paesi e
sordi alle direttive della UE, ci avviamo a costruire nuovi
inceneritori.
Il decreto incentiva gli inutili, costosi e obsoleti
inceneritori e non prevede niente per la costruzione di
impianti di compostaggio, di cui l'Italia ha una capacità
del 11% dei rifiuti totali prodotti, cioè meno di un quarto
di quella necessaria;
3) per quanto riguarda i trasporti finanzia
soprattutto il trasporto su gomma (il doppio dei
finanziamenti previsti per le ferrovie, che riguardano soprattutto le
TAV Napoli-Bari, Milano-Genova, Brescia-Padova, Brennero). Nemmeno
un euro è previsto per i trasporti ferroviari regionali (pendolari
e turisti si arrangino);
4) invece di rilanciare l'edilizia
orientandola verso il recupero dei centri storici, la riqualificazione
delle periferie, il risparmio energetico, il decreto la rilancia con
una sostanziale deregulation e con la possibilità
di aggirare le norme urbanistiche e di tutela del paesaggio,
dell'ambiente, dei beni culturali, della sicurezza grazie
anche all'istituto del silenzio assenso. E' noto, infatti, che le
Sopraintendenze e gli uffici comunali non hanno sufficiente personale
per svolgere i loro compiti, per cui è molto difficile che possano
rispettare i termini; inoltre i funzionari non rischiano niente a
stare zitti. Il decreto permette anche per le nuove
lottizzazioni di differire le opere di urbanizzazione, spianando
così la strada a nuovi quartieri dormitorio e periferie degradate.
Fonti: ISPRA, Rapporto rifiuti 2013.
La risposta sembra ovvia: “No”. Eppure i fatti ci dicono che tanti fanno proprio la scelta opposta: spendono 100 volte di più (circa 250 euro) per avere un prodotto meno sicuro, più scomodo e che inquina l’aria, il suolo, i fiumi e il mare. Potenza della pubblicità e dei luoghi comuni. Parliamo dell’acqua in bottiglia a confronto con quella del rubinetto. 1) Meno sicura. L’acqua in bottiglia è meno controllata di quella del rubinetto, inoltre la legge permette che possa contenere quantità maggiori di alcuni elementi, quali arsenico, manganese, ferro, fluoro. Questo perché il legislatore pensava ad un uso occasionale dell’acqua in bottiglia o per motivi particolari (ad esempio acqua ricca di ferro per gli anemici, o di calcare per chi ha bisogno di calcio o di fluoro per chi ne è carente ecc.). Una ricerca sulle acque italiane [1] ha evidenziato che pur essendo poche le acque con presenza di sostanze potenzialmente pericolose per la salute, questa evenienza è più frequente per le acque in bottiglia che per quelle del rubinetto. E ciò non dipende dal contenitore (plastica o vetro).
2) Più scomoda. La disponibilità di acqua corrente a casa è stato un grande progresso: non c’è più bisogno di andare al pozzo o alla fontana del paese. Eppure molti, più volte alla settimana, preferiscono recarsi in un negozio per procurarsi l’acqua da bere, portandola non sulla testa (metodo ergonomicamente accettabile, se si ha una buona tecnica), ma con le mani a braccia tese lungo il corpo (cosa poco salutare per carichi eccessivi e prolungati).
3) Inquinante. In Italia sono utilizzate ogni anno circa 6 miliardi di bottiglie da 1,5 litri, la cui produzione ha comportato il consumo di 450.000 tonnellate di petrolio e l’emissione di 1.200.000 tonnellate di CO2. Una buona parte di queste bottiglie sarà riciclata, ma un’altra buona parte finirà in qualche inceneritore o in una discarica o su una spiaggia, bosco, fiume, mare. Per trasportare i 12,4 milioni di tonnellate di acqua in bottiglia venduta annualmente in Italia sono occorsi migliaia di viaggi di TIR, camion, furgoncini che hanno dato un bel contributo all’inquinamento dell’aria. 4) Oltre cento volte più costosa. L’acqua del rubinetto costa in media 2 euro ogni 1000 litri enormemente meno di quella in bottiglia. Anche comprando l’acqua in bottiglia in confezioni economiche la spesa non è indifferente. Calcolando un consumo settimanale di circa 18 litri (2 confezioni di 6 bottiglie da 1,5 litri) si spendono circa 250 euro all’anno. Tra i molti primati negativi italiani abbiamo anche il primato del maggiore consumo di acqua in bottiglia: 192 litri/ab all’anno. Un’abitudine che determina un giro di affari di 2,3 miliardi di euro ed elevatissimi profitti alle aziende del settore (in gran parte multinazionali). Ancora oggi varie Regioni fanno pagare un canone di solo 1 euro per 1000 litri di acqua imbottigliata. Un vero regalo.
Per secoli il fine dell’uomo era raggiungere la virtù. La discussione era su quali fossero le virtù da conquistare: il coraggio? L’audacia? La fortezza? La saggezza? La temperanza? La mitezza? La pazienza? La prudenza? L’umiltà? Oggi le virtù non sono più di moda. Quanti sono disposti a rischiare non diciamo la vita, ma il quieto vivere o uno scatto di carriera per fare il proprio dovere, per amore della verità, per non chiudere gli occhi di fronte alla disonestà? Purtroppo pochi. La maggioranza delle persone non esercita questo coraggio, che viene invece giudicato stupidità (“Ma chi me lo fa fare!”, “Io mi faccio i fatti miei: mica sono scemo!”). La codardia è diventata per molti una regola di vita. Quanti sono quelli che ancora hanno come ideale la mitezza? A vedere la violenza e l’aggressività che tracima da tante pagine facebook, trasmissioni televisive, liste di discussione sembrano ben pochi. Norberto Bobbio notava che per secoli i testi di etica avevano come argomento principale le virtù, mentre oggi trattano soprattutto di scelte, norme, diritti e doveri. Perché le virtù si sono così eclissate? Vi invitiamo a cercare una risposta a questa domanda. Probabilmente le ragioni sono varie. Una crediamo sia questa: le virtù erano premio a se stesse e ciò oggi non basta. Chi progrediva nel coraggio, nella pazienza o nella mitezza riceveva la propria gratificazione dall’essere riuscito in questo impegno. Oggi viviamo nella società dell’apparire, della perenne connessione ad altri tramite mezzi che trasmettono la nostra immagine. In questo contesto la gratificazione non origina più dal nostro intimo ma dal giudizio degli altri, non più dal nostro essere ma dal nostro apparire. Si desidera essere “in”, appartenere al gruppo di quelli che contano.
Ecco allora che le persone hanno come loro fine non più il progredire nelle virtù, ma l’avere soldi, l’aver fatto carriera, l’avere raggiunto la notorietà, la fama. Alcuni si contentano di avere il vestito griffato o di andare nel bar alla moda, altri di avere l’auto o la moto potente, altri ancora si contentano solo se hanno la villa con piscina o lo yacht, ad alcuni basta un buon numero di contatti sulla propria pagina facebook, altri vogliono essere conosciuti nel proprio ambiente o apparire in tv, altri si contentano solo se sono tutti i giorni sui giornali. In ogni caso la propria riuscita dipende dalla considerazione che gli altri hanno di noi (tramite l’immagine che offriamo loro) e non dal nostro essere. Queste riflessioni ci sono venute in mente pensando a Marco Mascagna, alla sua mitezza, al suo coraggio, al suo disinteresse per il giudizio degli altri, alla sua sobrietà.
Lo rivediamo mentre prende la parola in un’affollata assemblea di pacifisti per sostenere una posizione del tutto minoritaria ma che riteneva vera e giusta; mentre ascolta con attenzione chi era d’accordo a costruire il parcheggio che avrebbe distrutto gran parte dei Giardinetti di Via Ruoppolo e cerca le parole più convincenti e più dolci per cambiare le loro convinzioni; uomo sandwich alla stazione della funicolare per chiedere una presa di posizione contro la guerra in Iraq da parte dei cittadini; mentre regala al Commissario di Polizia, che intervenne contro il sit-in ai Giardinetti, una pianta di fiori come segno che non si nutre nessuna avversione verso la sua persona ma solo contro gli interessi che egli difende. Marco voleva una società diversa, più giusta, meno violenta, più fraterna, più pacifica, più rispettosa dell’ambiente e sapeva che non la si poteva conseguire se si usavano mezzi in contraddizione con questi fini, perché, come diceva Gandhi, “Il fine è nei mezzi, come la pianta nel seme”.
Era convinto anche che lottare per una società migliore non poteva prescindere dal cercare di essere persone migliori, più virtuose. “Virtuose”: anche la parola oggi è così demodè. L’8 settembre del 1991 Marco ci ha lasciati, ma ancora oggi sono visibili i frutti del suo breve e quasi ignoto passaggio su questa terra. Noi della Marco Mascagna la pensiamo come lui e siamo sicuri che qualche piccolo ma significativo frutto lo lasceremo, grazie all’impegno e al sostegno, piccolo o grande, di tanti di voi.
Guerra, violenza, odio si nutrono l'un l'altro e generano solo morti, feriti, distruzione e sofferenza. Lo vediamo in Palestina, in Iraq, Afganistan, Ucraina, Sudan. Bisogna dire basta a questo intreccio malefico e improduttivo e alla retorica che lo riveste e l'alimenta. Questo è possibile se non si pretende il primo passo dall'altro (cosa che non è nel nostro potere) ma da se stessi (cosa che è pienamente nel nostro potere) e se si cerca di comprendere le ragioni e le paure dell'altro venendogli incontro. Un esempio luminoso dell'efficacia di un tale cambio di prospettiva è ciò che ha fatto Nelson Mandela e l'African National Congress in Sud Africa, Paese che tutti davano in una situazione di ingiustizia e di conflitto irrisolvibile e sull'orlo di un massacro apocalittico. E' necessario inoltre che gli altri soggetti non direttamente coinvolti nel conflitto non siano testimoni muti o complici, ma operatori di pace. Purtroppo non si può dire che l'Italia brilli in questo senso. Per esempio siamo il maggiore Paese Europeo esportatore d'armi verso Israele (per un valore di 470 milioni di euro nel solo 2012) [1]. Anche per questo abbiamo deciso di far parte del Comitato Promotore Nazionale per la Marcia per la Pace Perugia-Assisi, che si terrà domenica 19 ottobre.
1) Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e Difesa
Il Governo ha deciso di accelerare la costruzione di 4 inceneritori
in Campania (a Ponticelli, Salerno, Oliveto Citra e Pignataro
Maggiore) e 5 discariche (tra cui a Chiaiano e a Pozzuoli). Lo fa
tramite un decreto legge (il decreto "Sblocca-Italia"), che permette
la deroga di norme vigenti. Uno scenario troppe
volte già visto (quello della deroga e dei commissari con poteri
straordinari) e che ha portato quasi sempre a enormi sprechi di soldi,
corruzione, opere inutili (per citare alcuni il Mose di Venezia,
l'expò di Milano, la gestione dei rifiuti in Campania, le opere per il
G8 alla Maddalena, il tram veloce a Napoli ecc.).
Assurdo è anche accelerare l'attuazione di un Piano Regionale
Rifiuti (2012-2014) ormai in scadenza e superato dai fatti:
la produzione dei rifiuti è nettamente calata (di 200.000 tonnellate
in 2 anni mentre il piano la prevedeva in aumento), la raccolta
differenziata è aumentata oltre le previsioni (44% nel 2013), Salerno
è al 70% di raccolta differenziata (secondo gli ultimi dati relativi
al 2013). Nella migliore delle ipotesi questi 4 inceneritori
saranno pronti tra 3 anni e dovranno funzionare per almeno 30 anni:
cosa bruceranno? Ma la cosa più assurda è che si accelera
la costruzione di inceneritori e discariche e non si fa niente per
accelerare la costruzione degli impianti di compostaggio, impianti di
cui la Campania è estremamente carente e la cui carenza rende
diseconomica la raccolta differenziata dell'umido (il 35-40% dei
rifiuti prodotti). In Campania si bruciano ogni anno circa
600.000 tonnellate di rifiuti (cioè il 25% del totale dei
rifiuti prodotti e il 60% della frazione a buon rendimento energetico,
che comprende anche plastica e carta) e se ne compostano circa
75.000 (cioè circa lo 0,03% del totale e il 7% della frazione umida).
"E' la politica del fare" ha dichiarato il Capo del Governo. Ma "il
fare" acquista significato negativo o positivo a seconda a cosa si fa.
E, in questo caso, è del tutto negativo.
Se si leggono i giornali degli ultimi giorni abbondano titoli come
“Mortalità in aumento nella Terra dei fuochi” e “Terra dei fuochi:
allarme leucemie”. Saviano sulla prima
pagina di Repubblica afferma “Esiste un nesso tra
la devastazione di intere aree, i rifiuti intombati, le morti per
cancro e i bambini che nascono con malformazioni.
Lo dimostra l'aggiornamento allo studio epidemiologico Sentieri”
(dell’Istituto Superiore di Sanità ISS).
Ma le cose stanno veramente così? No. Se si legge il
rapporto dello studio SENTIERI (122 pagine) appare evidente. Ma anche
se si leggevano con attenzione le 3 pagine della nota per la stampa si
poteva capire che le cose non stavano così.
Nei primi righi della nota per la stampa si premette che “Le
caratteristiche metodologiche dello studio SENTIERI non consentono la
valutazione di nessi causali certi, permettono tuttavia di individuare
situazioni di possibile rilevanza sanitaria da approfondire con studi
mirati”. Quindi lo studio, al contrario di quello che dice
Saviano, non dimostra alcun nesso “tra devastazione di
intere aree, i rifiuti intombati, le morti per cancro e i bambini che
nascono con malformazioni”. Non lo dimostra e non può farlo perché è
uno studio epidemiologico trasversale (o geografico) e questo tipo di
studi non ha questa capacità (vedi il nostro documento “ABC per
orientarsi nei dati epidemiologici” http://www.giardinodimarco.it/documenti/2013/abc%20per%20capire%20l%27epidemiologia.pdf).
“Mortalità in aumento” in italiano significa che prima era più
bassa e ora è più alta. SENTIERI dice questo? No.
Infatti sempre nelle 3 paginette sta scritto che lo studio non fa
altro che confrontare i dati di una zona con quelli regionali o
nazionali (confronto tra aree geografiche e non nel tempo). E sta
anche scritto che “Per quanto riguarda la salute infantile
nella TdF non si osservano eccessi di mortalità” e non si
parla di aumento delle leucemie infantili.
Che cosa dice allora questo nuovo rapporto? Che nella zona della Terra
dei Fuochi (tra Napoli e Caserta) si muore di più e ci si ricovera di
più rispetto al resto della Campania e ci si ammala di più di alcuni
tumori rispetto all’Italia. Cioè quello che si sa da molti anni e che
è stato detto anche nella relazione dell’ISS del dicembre 2012. Le
conclusioni erano le seguenti:
- nella Terra dei fuochi si muore di più che in Italia ma
meno degli anni precedenti (“La descrizione del profilo di
salute della popolazione campana indica una situazione generalmente
sfavorevole rispetto al resto di Italia, tuttavia i tassi di mortalità
anche per cause specifiche sono in diminuzione”);
- tutti gli indici di salute sono peggiori e ciò fa pensare a
una pluralità di fattori causali diffusi (“Lo svantaggio è
presente da tempo e non risulta focalizzato su una singola patologia o
su un solo sottogruppo di popolazione, come ci si potrebbe attendere
da esposizioni ambientali limitate geograficamente”);
- fattori causali certi di questa situazione sono la bassa
partecipazione agli screening (mammografia, pap test e
sangue occulto nelle feci), gli stili di vita poco salutari e
una sanità più attenta a fare soldi che alla salute dei cittadini
(“Il registro tumori di Napoli si distingue per livelli di
sopravvivenza marcatamente inferiori, con un 40% di sopravvivenza a 5
anni nella popolazione maschile e 51% in quella femminile” [la media
italiana è rispettivamente 52% e 60%]. “I dati di sopravvivenza per i
tumori trovano riscontro nella scarsa adesione ai programmi di
screening, che per la Regione Campania è molto lontana dal dato medio
nazionale e dalla copertura desiderabile. Inoltre sul deficit di
sopravvivenza pesano notevolmente anche le difficoltà di accesso alle
strutture sanitarie di diagnosi e cura da parte delle fasce di
popolazioni più deboli e a rischio e l’enorme frazionamento dei
percorsi sanitari”. “Stili di vita e fattori di rischio
comportamentali connessi all’insorgenza della malattie croniche, quali
sedentarietà, eccesso ponderale e fumo sono significativamente più
frequenti nella popolazione residente in Campania che nel resto del
Paese. Non solo, le variazioni temporali osservate in Campania,
sembrano suggerire una tendenza all’aumento”);
- Tutto ciò non esclude un ruolo anche dei rifiuti
(“Si può affermare che non c’è nesso causale accertato tra
l’esposizione a siti di smaltimento di rifiuti e specifiche patologie,
ma potenziali implicazioni sulla salute non possono essere escluse”);
- Non c’è alcun aumento dei morti per tumore (“Non
viene confermato l’incremento di rischio di mortalità per tumori come
segnalato nei media”).
I dati (ISTAT, Istituto Superiore di Sanità e Registri Tumori) sono
chiari: nella Terra dei Fuochi non c’è alcun aumento della
mortalità generale (anzi è in diminuzione), né di
quella tumorale (in diminuzione per gli uomini, stazionaria per le
donne), né c’è un aumento dei tumori (in
diminuzione nei maschi, in lievissima salita per le donne).
Quindi questo rapporto non dice nulla di nuovo rispetto al rapporto
dell’Istituto Superiore di Sanità sulla Terra dei fuochi (2012).
Eppure quelli che più volte hanno attaccato duramente l’ISS
(per lo studio su discariche e salute1, per quello sulla diossina e
metalli nel sangue e nel latte di abitanti in zone critiche2, per la
relazione su tumori e salute nella Terra dei fuochi3, per gli studi
sulla presenza di tossici sulle verdure coltivate su terreni
contaminati4) ora la ritengono fonte autorevole e veritiera.
Anzi fonte definitiva (“L’ha detto l’ISS che esiste il
nesso tra devastazione ambientale e tumori, la questione è chiusa”).
Il criterio “se dici quello che io penso sei
autorevole, se dici il contrario (anche portando dati e
argomentazioni) sei disonesto e venduto” è un
pessimo criterio di giudizio ed è proprio dei
fanatici e nel corso della storia ha portato
all’inquisizione, al fascismo, al nazismo, allo stalinismo. Se invece
si ascoltano le posizioni dell’altro, se si esaminano i dati che
porta, se si soppesano criticamente (con quel minimo di preparazione
necessaria), se si chiedono chiarimenti e li si ascolta attentamente
non c’è alcun bisogno di avere un così rozzo e pericoloso criterio per
stabilire chi dice il vero e chi no. Gli antichi dicevano che la
ragione è un faro capace di guidarci efficacemente anche in situazioni
complicate. Il buio della ragione invece genera mostri:
uccide la convivenza civile, la democrazia e ci fa schiantare contro
gli scogli.
Il problema dei rifiuti tossici (e anche dei rifiuti urbani) è un
grave problema che deve essere risolto per molte ragioni (ambientali,
economiche, sanitarie, sociali ecc.). Lanciare allarmi che
non esistono, ingigantire danni, gridare “dagli
all’untore”, non serve a risolvere il problema,
serve solo ad alzare polveroni, a creare confusione, a terrorizzare le
popolazioni, a disorientare le persone. La paura impedisce di
ragionare lucidamente e crea le condizioni migliori per far
passare provvedimenti inutili o dannosi o utili solo a soggetti
senza scrupoli.
In ultimo due consigli:
1) consiglio per i lettori/ascoltatori/internettiani: prima
di prendere per buona un’informazione esaminiamola, soppesiamola
criticamente e verifichiamola;
2) consiglio per
giornalisti/commentatori/blogger/twittatori/facebookisti: prima di
scrivere su qualcosa esaminiamola con la dovuta attenzione, anche se
si tratta di leggere ben 3 pagine.
Note:
1) Fazzo L, De Santis M, Mitis F et al. Ecological studies of cancer
incidence in an area interested by dumping waste sites in Campania
(Italy). Ann Ist Super Sanita 2011
2) ISS: SEBIOREC Rapporto finale www.iss.it/binary/sebi/cont/SEBIOREC_Final_report_Dec_2010__human__rev_1.pdf
3) ISS: Relazione finale del Gruppo di Lavoro ex D.M. 24.07.2012 www.salute.gov.it/portale/documentazione/p6_2_2_1.jsp?lingua=italiano&id=1883
4) vedi www.beta.regione.campania.it/assets/documents/relazione-iss-ottobre-2013.pdf
e www.beta.regione.campania.it/it/news/salute-7054/area-vasta-di-giugliano-iss-composti-volatili-organici-assenti-dai-prodotti-agricoli.
Sia questi studi che quelli condotti dalle ASL, dall’Istituto
zooprofilattico, dall’Università Federico II, dall’ORSA, dalla Coop e
da Esselunga non hanno dimostrato nessuna contaminazione delle
“pesche, albicocche, pomodori, arance, mandarini, mandorle, mele
annurche, il latte di bufala” come dice Saviano, e nemmeno di altri
prodotti ortofrutticoli.
Tutti vogliono essere felici, ma purtroppo non tutti ci riescono.
Perché non si sono "impegnati"? Perché sono stati "sfortunati"? Perché
si sono "impegnati", ma con strategie o per strade "sbagliate"?
Questi problemi che una volta erano oggetto della filosofia, oggi sono
affrontati anche da studi scientifici di sociologia, psicologia
sociale, economia. I risultati di questi studi spesso confermano
convinzioni antiche, altre volte evidenziano che la situazione è
complessa e che certe massime sono vere ma in parte, giuste in alcuni
casi e false in altri.
Per esempio: "I soldi non danno la felicità" non è del tutto vero. I
poveri non sono mica tanto felici (la percentuale di
persone di basso reddito che si dichiarano più o meno felici è più
bassa rispetto a quella delle persone di reddito medio, e ciò è
dimostrato da numerose ricerche praticate in Paesi molto diversi tra
loro). All'aumentare del reddito aumenta la percentuale di persone che
si dichiara felice, ma con rendimenti via via decrescenti. Sopra una
certa soglia, l'aumento del reddito non fa più aumentare la felicità,
anzi, all'ulteriore crescere del reddito la felicità inizia a
diminuire sempre più ("paradosso di Easterlin",
dal nome dell'economista che tra i primi ha condotto questi studi).
Altri studi hanno cercato quali sono i fattori che favoriscono e quali
ostacolano la felicità. Due sembrano essere i principali - la
salute e le "relazioni umane non strumentali" - seguiti da
altri fattori "minori" (la cultura, la creatività,
il porsi degli obiettivi raggiungibili ecc.).
Secondo alcuni ricercatori il paradosso di Easterlin ha proprio in
questi fattori la sua spiegazione. Nei poveri un aumento del reddito
dà la possibilità non solo di soddisfare le esigenze primarie (e di
migliorare il proprio stato di salute) ma anche di curare meglio i
rapporti interpersonali. Nelle fasce di alto reddito, guadagnare di
più vuol dire avere molte "relazioni personali strumentali" e poche
"non strumentali", avere poco tempo libero per la famiglia, gli amici,
per leggere un libro, sentire una bella musica o vedere un film.
Nella nostra società continuamente e in mille modi (discorsi, film,
trasmissioni televisive, pubblicità ecc. ecc.) ci viene detto che
avere più soldi, un posizione lavorativa più alta, essere persone di
successo è ciò che è importante. E infatti la maggioranza degli uomini
dedica gran parte del proprio tempo, dei propri pensieri, delle
proprie energie a questo.
Dovremmo invece interessarci degli altri gratuitamente
(l'unica maniera perché gli altri gratuitamente si interessino di
noi), coltivare le amicizie (e ciò richiede inevitabilmente del
tempo), avere buone relazioni possibilmente con tutti
(dovremmo riscoprire l'enorme valore della gentilezza,
della comprensione del punto di vista dell'altro, dell'arte
della mediazione), prenderci cura del nostro corpo
per tenerlo per quanto possibile il più a lungo in buona salute, e poi
leggere, ascoltare musica, andare a teatro, vedere un film o
una mostra di quadri, godere dell'infinita bellezza della natura
(la bellezza delle montagne, del mare, di un bosco, di un chiaro di
luna, del tramonto o di un fiore).
Tutto questo dipende sicuramente da noi, ma la società nel suo insieme
può aiutarci o ostacolarci.
Una società con forti disuguaglianze (con persone
troppo ricche e altre povere) non favorisce la felicità
(tra l'altro in queste società l'insicurezza e la delinquenza
aumentano, e ciò ostacola la felicità); condizioni di lavoro
caratterizzate da precarietà, competizione, stress, turni,
poche ferie ecc. rendono molto difficile anche un minimo di
felicità; l'inquinamento, il degrado urbano, il traffico
caotico e congestionato danneggiano la salute, peggiorano la qualità
della vita, ci rubano il tempo; un sistema sanitario non
accessibile a tutti o inadeguato, uno scarso
impegno nella promozione dell'istruzione e della cultura,
un'inefficace tutela e promozione dei beni ambientali, artistici e
culturali sono tutti fattori che ostacolano il raggiungimento
della felicità per tante persone. Levare ai ricchi per dare
ai poveri significa operare per la felicità di entrambi e di tutti.
Avere meno soldi per l'ultimo ritrovato hi-tech, il capo di vestiario
firmato, la nuova moto o la nuova auto, il locale o la vacanza in ecc.
in cambio di servizi sanitari e sociali migliori, di più istruzione e
cultura, di maggiore tutela dell'ambiente, di migliore istruzione: il
contrario di quello che si è fatto dagli anni '80 in poi ( e che è tra
le cause anche dell'attuale crisi economica).
Perseguire la propria felicità con intelligenza e lottare per un mondo in cui sia più facile per tutti essere felici. Imparare l'arte delle felicità e il mestiere del cittadino impegnato.
Crediamo che siano in pochi a pensare che lavarsi sia una "seccatura
" e, comunque, nessuno pensa che è un buon motivo per non curare la
propria igiene. Eppure le cose non sono andate sempre così.
Dal medioevo fino alla seconda metà dell'ottocento,
non c'era l'abitudine di lavarsi.
Infatti i barbari, a differenza di romani e greci, non avevano questa
abitudine. Poi la morale cristiana non vedeva di buon occhio i bagni
pubblici (bagni privati erano cosa da ricchi) e i "saggi" dell'epoca
avevano sentenziato che lavarsi era inutile, anzi, poteva perfino
essere dannoso. Così per quasi 1500 anni ci si è lavati poco o niente
(il re sole narrava di avere fatto due soli bagni nella sua vita e di
non avere mai più voluto ripetere questa assurda esperienza, anzi, si
vantava di non avere mai più toccato acqua ma solo profumo e talco).
L'abitudine a lavarsi è piuttosto recente, dalla metà dell'ottocento,
ed è dovuta soprattutto alla scoperta che molte malattie sono
date da microbi, che possono essere eliminati,
efficacemente e semplicemente, lavandosi. Tale cambiamento di
abitudini non è stato repentino, né senza resistenze. C'è
sempre un buon numero di persone che si oppone a qualsiasi
cambiamento, che vede in ogni novità qualcosa di astruso, che pensa di
saperne sempre di più o di essere più furbo.
Oggi, se qualcuno non si lavasse verrebbe guardato
come un sozzone, e se si giustificasse dicendo che non ha
tempo, che è complicato, che non vale la pena applicarsi,
che è inutile, sarebbe giudicato un mentecatto, uno stupido,
un incivile.
Oggi sappiamo che buttare tutti i rifiuti insieme è qualcosa
che danneggia la salute, che deturpa l'ambiente,
che crea un danno economico rilevante, che favorisce che le
nostre città siano sporche e puzzolenti. Sappiamo che basterebbe che
tutti facessero scrupolosamente la raccolta differenziata per
risolvere tutti questi problemi. Poi, ringraziando il cielo, è una
cosa alla portata di tutti (basta avere un minimo di intelligenza). Eppure,
come abbiamo segnalato nel nostro ultimo messaggio, una
percentuale tra il 15% e il 40% delle persone non differenzia i
rifiuti o li differenzia per modo di dire. Le
scuse sono le stesse di quelli che non volevano lavarsi:
"non ho tempo ", "non voglio complicarmi la vita ", "non ne vale la
pena ", "è una scocciatura ", "è inutile", "e tu credi a quello che ti
dicono ...?! ". Pensiamo che tra non molto tempo tutti giudicheranno
queste persone come oggi giudichiamo quelli che facevano resistenza a
prendere la buona abitudine di lavarsi. Molti lo fanno già ora.
La Regione Campania ha pubblicato i dati ufficiali sulla
raccolta dei rifiuti in Campania (dati riguardanti il 2012)
[1]. Ne riportiamo alcuni (integrati con quelli del Ministero
dell'Ambiente, sempre relativi l'anno 2012) [2]:
Raccolta differenziata: Campania 42% provincia di
Napoli 36%, di Caserta 40%, d'Avellino 52%, di Salerno 55%, di
Benevento 62%. Il comune del napoletano con la percentuale più bassa
di raccolta differenziata è Giugliano (12%), con la più alta Bacoli
(80%).
Napoli è al 21% di RD, Caserta al 43%, Avellino al 56%, Benevento al
64%, Salerno al 69%.
Dal 2010 al 2012 la produzione di rifiuti in Campania si è
ridotta di 200.000 tonnellate (del 5% annuo).
In Campania si bruciano ogni anno circa 600.000 tonnellate di
rifiuti (cioè il 24% del totale dei
rifiuti prodotti) e se ne compostano (industrialmente) circa
35.000 (cioè circa lo 0,01% del totale e
il 3% della frazione umida). Il compostaggio domestico è pari a 56
tonnellate nella provincia di Napoli, tutte dovute al comune di
Anacapri.
La lettura di questi due rapporti ci offre lo spunto per alcune
considerazioni.
1) Non è vero che i campani sono "antropologicamente inadatti
alla raccolta differenziata", come qualche politico e
commentatore sia del Sud che del Nord aveva sentenziato. La
maggioranza dei campani e dei napoletani fa la raccolta differenziata
con costanza e attenzione se solo le si offre la possibilità di farla
(cioè se solo si organizza il cosiddetto "porta a porta" comprensivo
della raccolta della frazione umida). Lo dimostra in maniera eclatante
il Comune di Bacoli che è passato dall'8% di raccolta
differenziata all'80% in soli 2 anni, senza alcuna
mutazione genetica, ma solo perché si è organizzato un buon
porta a porta (o portone-portone). Se si vanno ad esaminare
i dati nazionali si vede che la raccolta differenziata della Campania
è pari a quella dell'Umbria, è superiore a quella della Toscana (40%)
e del Lazio (22%) e che Acerra (58.000 abitanti) e Portici (56.000
abitanti) sono rispettivamente al 65% e al 62% di raccolta
differenziata, mentre Cuneo (56.000 ab) è al 43%, Pavia (68.000 ab) al
34%, Imperia (42.000 ab) al 22%. Il problema principale non sono
quindi i comportamenti degli abitanti ma la capacità di mettere in
piedi una buona raccolta porta a porta (portone-portone), ben
comunicata e spiegata, ben organizzata, ben gestita.
2) Sia al Nord che a Sud c'è una parte dei cittadini che non
fa la raccolta differenziata anche se hanno a disposizione un buon
sistema di raccolta. Questa parte può essere stimata tra il
15 e il 40% della popolazione. Lo dimostrano questi fatti: a)
molto raramente la percentuale di raccolta differenziata
supera l'85%, b) spesso la
qualità del materiale raccolto non è ottimale, perché vi è
chi mette nel contenitore per multimateriale (plastica e metalli) cose
che non devono andarci o chi deposita la carta in buste di plastica o
chi getta il sacchetto dell'indifferenziato nel primo contenitore che
trova. Questa minoranza di cittadini crea un danno enorme a
loro e a tutta la collettività. Gli enti locali infatti
spendono non pochi soldi per organizzare la raccolta differenziata ma
ricavano entrate dalla "vendita" del materiale raccolto, corrispettivi
che sono stabiliti dall'Accordo ANCI-CONAI e che variano a seconda
della "purezza" del materiale consegnato. Per esempio per
ogni tonnellata di carta i riciclatori danno da 96,5 a 112 euro a
tonnellata, se però c'è tra l'1,5 e il 4% di
materiale estraneo (ad es. buste di plastica) il riciclatore dà il
75% della cifra prima indicata, e se ne contiene tra il 4%
e il 10% corrisponde il 50% della cifra prima indicata e se
ne contiene più del 10% non dà alcun corrispettivo [3]. E
la stessa cosa succede per gli altri rifiuti raccolti in maniera
differenziata. Quindi, se la raccolta differenziata si ferma a
percentuali basse (60-65%) e se la qualità del differenziato non è
buona, di fatto il sistema economicamente non riesce a reggersi se non
con un'alta tassa sui rifiuti, se invece si raggiungono percentuali di
RD superiori all'80% e con una buona purezza delle frazioni raccolte
la raccolta differenziata può anche essere in attivo. Quindi chi non
fa la raccolta differenziata o la fa male danneggia anche te: digli di
smettere.
3) C'è un'enorme carenza di impianti di compostaggio.
E' scandaloso che a tutt'oggi la Campania ha impianti per
circa 35.000 tonnellate/anno quando produce 1 milione di rifiuti
umidi all'anno. Questo è il nostro
principale problema. La mancanza di impianti costringe i comuni a
portare i rifiuti umidi raccolti in maniera differenziata fuori
regione con alti costi. La spiegazione perché Napoli ha una
raccolta differenziata del 21% e Salerno del 69% è soprattutto
perché Salerno ha un proprio impianto di compostaggio, che
le permette bassi costi del sistema di raccolta differenziata, mentre
Napoli no, e non ha quindi fondi sufficienti per estendere la raccolta
porta a porta all'intera città.
4) I fatti hanno dato ragione alle nostre critiche al Piano
Regionale Rifiuti Urbani. Il Piano per stabilire i
fabbisogni (al 2016) stimava una produzione di rifiuti stabile, mentre
è in continua discesa (noi stimavamo 300.000 tonnellate in meno e, al
2012, stiamo già a 200.000 tonnellate in meno); il Piano poneva il 50%
di raccolta differenziata come obiettivo da raggiungere nel 2016,
mentre già al 2012 la Campania è al 42% (è probabile che già oggi
stiamo al 50%); puntava tutto sugli inceneritori, mentre il vero
problema che rende difficile una corretta gestione dei rifiuti è
l'enorme carenza di impianti di compostaggio.
5) Possibile che solo Anacapri promuova il compostaggio
domestico? Possibile che nessuno dei piccoli comuni, dove è
certamente più facile fare il compostaggio domestico che non nelle
grandi città, abbia messo su un sistema per incentivarlo? A tale
proposito segnaliamo che la Marco Mascagna, insieme
ad alcune altre associazioni, ha preparato una proposta
dettagliata in tal senso che sarà presentata al Comune di Napoli tra
un paio di giorni. Il compostaggio domestico, infatti, non è solo un
sistema per ridurre i rifiuti, ma anche uno strumento per
sensibilizzare ed educare i cittadini. Farlo dà soddisfazioni e fa
risparmiare (non c'è più necessità di acquistare terriccio e si può
ridurre l'uso del concime).
Scarica il volantino con le istruzioni per fare il compost a casa
1) Regione Campania http://orr.regione.campania.it/osservatorio/front_office/Home
2) ISPRA www.isprambiente.gov.it/it/pubblicazioni/rapporti/rapporto-rifiuti-urbani-edizione-2013
3) www.conai.org/hpm00.asp?IdCanale=120
I dieci italiani più ricchi hanno in media un
patrimonio finanziario (escludendo cioè il valore degli immobili) di 7,5
miliardi di euro a testa. Gli altri 2000 italiani che
seguono nella classifica hanno in media un patrimonio (esclusi gli
immobili) di 85 milioni di euro ciascuno.
I 400.000 italiani più ricchi hanno un patrimonio
finanziario (esclusi gli immobili) medio pro capite di 300.000
euro. Si stima che il patrimonio immobiliare sia in media
pari a quello finanziario, per cui il patrimonio totale di queste
persone è circa il doppio delle cifre prima indicate.
In fondo alla graduatoria vi sono 9,5 milioni di italiani in povertà
relativa (per una famiglia di due persone ciò significa un reddito
inferiore a 950 euro mensili al Nord e di 750 euro al Sud) e in ultimo
i 4,8 milioni di persone in condizioni di povertà assoluta (reddito
per una famiglia di 2 persone inferiore a 500 euro al mese al Nord e
di 400 euro al Sud).
Dal 2008, inizio della crisi economica, ad oggi la
ricchezza dei primi 400.000 in graduatoria non è diminuita,
mentre sono peggiorate le condizioni dei soggetti in povertà
relativa e assoluta e di quella parte degli italiani che
non rientrano nella condizione di povertà ma che vi stanno vicini
(questo insieme è formato soprattutto da precari, operai, impiegati,
piccoli negozianti, artigiani).
Infatti le famiglie in povertà assoluta erano il 4,6% nel 2009, ora
sono il 6,8%, quelle in povertà relativa erano 10,8% ora sono il
12,7%; potremmo dire che in 4 anni 1,6 milioni di poveri
relativi sono diventati poveri assoluti e che 3
milioni di soggetti che non erano poveri sono diventati poveri
relativi.
Già da questi dati del CENSIS e ISTAT1 appare evidente che gli effetti
della crisi economica si sono riversati soprattutto sui poveri e sulle
fasce di popolazione a basso reddito, mentre i ricchi non sono stati
per nulla toccati. Poi c'è il taglio dei servizi sanitari, sociali,
d'istruzione, cultura ecc. che ha colpito ovviamente soprattutto chi
più se ne serviva e cioè i poveri e quella fascia di popolazione ad
essa contigua formata soprattutto da precari, operai, impiegati,
piccoli commercianti e artigiani.
In questi anni abbiamo sentito tante volte prediche di politici,
economisti e commentatori sulla necessità che tutti facciano sacrifici
per superare la crisi. Oggi i dati ci dicono che questi
sacrifici li hanno fatti i poveri, le fasce a basso reddito e una
parte del ceto medio. I ricchi non sono stati toccati.
E' risaputo che disuguaglianze troppo forti sono un freno allo
sviluppo economico e che la recessione in cui ci dibattiamo ha tra le
sue principali cause il forte calo dei consumi, anche essenziali,
dovuto al gran numero di famiglie in povertà o in difficoltà
economica.
Come ha detto Stiglitz, premio Nobel per l'economia2: "Non
c'è ripresa perché il 95% dei
guadagni finisce nelle tasche dell'1% a reddito più alto.
… ciò è il risultato di una cattiva politica economica e di
un'ancora peggiore politica sociale".
Robert Reich, docente all'università di Berkeley, ha invece
affermato3: "L'America ha dimenticato le tre lezioni di economia
più importanti che aveva imparato":
- la prima lezione è che se la gente comune non ha
salari decenti non può sostenere un processo di crescita. Sindacati
forti permettevano ai lavoratori di appropriarsi di una fetta decente
dei maggiori guadagni prodotti dal proprio lavoro;
- la seconda è che tra il 1946 e il 1974 l'economia
crebbe velocemente, perché la nazione stava creando la più grande
classe media della storia. Gli stipendi degli amministratori delegati
raramente superavano quaranta volte il salario medio di un operaio, e
stavano benissimo;
- la terza lezione è che una tassazione progressiva
sui redditi più alti serviva a finanziare gli investimenti pubblici
necessari per migliorare la produttività complessiva della nazione. E
in quegli anni la tassazione era molto alta (sotto Eisenhower l'ultimo
scaglione era tassato al 91%).
Continua Reich, si è permesso alle grandi aziende di far la guerra ai
sindacati, col risultato che il numero degli iscritti è sceso sotto il
7%. Si è lasciato andare a pezzi per mancanza di manutenzione il
nostro sistema di trasporto pubblico e si è lasciato che l'istruzione
pubblica si deteriorasse. In compenso si è lasciata libera la grande
finanza di scatenarsi alla ricerca del massimo profitto, col risultato
di creare un capitalismo da casinò.
La situazione italiana ed europea non sembra molto diversa.
Che fare?
Gli economisti hanno pareri diversi, ma ora anche molti di quelli di
destra riconoscono la necessità di interventi contro le disuguaglianze
e per distribuire la ricchezza. Gli economisti progressisti in questi
ultimi anni hanno proposto un pacchetto d'interventi per uscire dalla
crisi4:
1) tassa sui grandi patrimoni
2) tassa sulle transazioni finanziarie (tobin tax)
3) ridurre la tassazione sul lavoro e aumentare quella della
ricchezza (maggiore progressività fiscale) e delle
attività produttive a più alto impatto ambientale (tasse
ambientali)
4) lotta all'evasione e all'elusione
fiscale
5) creare nuova occupazione tramite un piano
di investimenti pubblici in istruzione, ricerca, transizione
ecologica del nostro modello di sviluppo, risparmio
energetico e fonti rinnovabili, valorizzazione del patrimonio
culturale e ambientale
6) aumento dei salari e delle pensioni minime
7) netta divisione tra banche commerciali e banche d'investimento.
In realtà quasi nulla di tutto questo è stato fatto.
In Italia se si fosse adottata una piccola
tassa patrimoniale (1%) rivolta solo ai 400.000 italiani più ricchi
(quelli con patrimonio superiore ai 600.000 euro) si
sarebbe potuto incassare 24 miliardi di euro. Oggi invece
ci troviamo ancora a parlare se c'è o no copertura (cioè 6 miliardi di
euro) per i famosi 80 euro mensili in busta paga per chi ha un reddito
netto mensile sotto i mille euro. Perché si fa pagare la
crisi ai poveri e al ceto medio? Perché oltre il 99% dei cittadini
non riesce a spuntarla su meno dell'1%? E'
l'ulteriore riprova di quanto asseriscono i nonviolenti ("I potenti
esercitano il loro dominio con la tacita collaborazione dei dominati")
e, se si, come avviene ciò?
Lasciamo le risposte alla vostra riflessione. Vogliamo solo concludere
con un ultimo pensiero. Già pensatori dell'antichità (per es. Epicuro)
sottolineavano che la povertà è un concetto relativo: una
persona povera non è solo chi possiede poco o niente e ha
un bassissimo reddito, ma anche chi vuole
sempre più denaro, chi gli manca sempre qualcosa, chi ha
bisogno infinitamente di più di quello che ha. E' questa una
vera patologia dell'avere, di cui sono affetti soprattutto
i ricchi. Una patologia che ha contagiato tantissime persone, che
permea ormai la nostra cultura e il nostro sistema economico.
Soddisfatti i bisogni essenziali, garantita una certa sicurezza
economica, l'ulteriore incremento della ricchezza diventa ininfluente
per la nostra felicità, anzi può essere anche d'ostacolo. Se poi
l'intera società è retta da questa patologia dell'avere si
genera un sistema patologico con enormi disuguaglianze, criminalità,
degrado.
Come dice Sam Aluko, economista nigeriano, "I poveri non possono
dormire, perché sono affamati, e i ricchi non possono dormire, perché
i poveri sono svegli e affamati". E' ora di cambiare.
1) CENSIS: www.censis.it; ISTAT
www.istat.it/it/files/2013/03/4_Benessere-economico.pdf
2) J. E. Stiglitz: New York Time 13/1/2014
3) R. Reich http://www.social-europe.eu/#ios
4) www.sbilanciamoci.it
Sui giornali e in televisione leggiamo spesso notizie totalmente o
parzialmente false (queste ultime forse sono le più pericolose) o
notizie vere ma fuorvianti o mistificanti. Se navighiamo su Internet
questo rischio aumenta enormemente, anche perché le notizie
fasulle si diffondono con enorme velocità. Se infatti metto
in rete che le sigarette contengono pericolosi cancerogeni, nessuno
penserà di girare questa notizia ad altri, perché la riterrà vecchia,
risaputa, poco interessante. Se invece qualcuno mette in rete che le
vaccinazioni possono causare l'autismo, molti si sentiranno in dovere
di girarla ai loro contatti, di linkarla, postarla ecc. perché la
riterranno nuova, poco conosciuta, di enorme interesse.
Prima di diffondere una notizia dobbiamo chiederci se è vera o
no altrimenti facciamo il gioco di chi l'ha "partorita"
(quasi sempre con scopi poco nobili, altre volte per ignoranza,
superficialità o idiozia) e possiamo diventare in buona fede
complici di vere e proprie truffe (non solo economiche).
La prima cosa da fare è verificare su un sito antibufale
se l'eclatante notizia non sia una bufala: tanti appelli medici o
politici, tanti avvertimenti contro minacce, tante denunce di
catastrofi ecologiche e notizie sbalorditive non sono altro che
notizie false create da burloni, perditempo o truffatori. Visitando un
sito antibufala si ha un vasto campionario di notizie false circolate
in rete in tutto il mondo: le onde dei cellulari che cuociono
i pop-corn (documentato da un video creato ad arte), i gatti
in bottiglia, le auto elettriche boicottate dai
petrolieri, la petizione contro la chiusura delle unità
antistupro, lo stratagemma per abbassare drasticamente il prezzo della
benzina, il Congresso brasiliano che ha deciso di distruggere il 50%
della foresta amazzonica ecc.
Ma circolano molte altre notizie non vere o mistificanti che è
difficile classificare come bufale ma che sono
ancora più gravi proprio per questo, perché non le
troviamo sui siti antibufale.
Ecco due esempi.
1) "Le vaccinazioni sono pericolose per la salute", "Le
vaccinazioni sono tra le cause dell'autismo".
La prima asserzione può essere considerata vera, infatti le
vaccinazioni comportano una certa dose di rischio, come
qualsiasi altra cosa (farmaci, attraversare la strada, guidare l'auto,
mangiare ecc.). Il problema allora è sapere quanto si rischia
a vaccinarsi e quanto si rischia a non vaccinarsi.
Su internet circola questa notizia: "Il vaccino esavalente
è pericoloso, il solo Infarix (uno dei vaccini esavalente presenti in
commercio) ha causato 550 reazioni gravi, di cui alcune
mortali". La notizia è vera, ma mistificante.
Non basta, infatti, sapere quante reazioni gravi ci sono state (il
numero assoluto), perché è necessario conoscere quante sono state le
dosi somministrate, e calcolare così il valore relativo (cioè la
percentuale di rischio). L'Infarix ha dato 550 reazioni gravi (in
tutto il mondo) su 24 milioni di dosi somministrate. Il
rischio quindi è di 1 su 43.636 dosi (lo 0,002%).
Quale è il vantaggio di vaccinarsi? Quello di diminuire drasticamente
(fin quasi allo zero) la possibilità di avere l'epatite B, il tetano,
la difterite, la pertosse, la poliomielite, le infezioni da Emofilo.
Se si pensa che in Italia vi sono circa 800.000 persone portatori del
virus dell'epatite B (l'1,5% della popolazione) e che quindi la
possibilità di contagiarsi non sono piccole e che in 1 caso
su 100 il contagio determina un'epatite fulminante (che in
1 caso su 2 porta alla morte) e che in 1 caso su 10 l'epatite B si
cronicizza, potendosi trasformare in cirrosi (15.000 morti
all'anno in Italia) o cancro al fegato (5.000
morti), appare evidente che i rischi legati alla
vaccinazione sono estremamente inferiori al rischio di non
vaccinarsi. Questo considerando solo l'epatite B e
l'Italia, poi c'è la pertosse, il tetano ecc. Prima della vaccinazione
antiepatite il 5,2 dei campani erano portatori del virus, ora siamo
all'1,5%, un bel vantaggio anche per tutti quelli che non si sono
vaccinati.
La seconda asserzione ("Le vaccinazioni sono tra le cause
dell'autismo") è falsa, perché le ricerche fatte
confrontando vaccinati e non vaccinati non hanno dimostrato nessun
aumento di tale patologia nei vaccinati. Questa notizia è stata messa
in giro da un medico inglese, che non avendo portato prove a riguardo
ed essendo stato sospettato di brogli, è stato radiato dalla
professione.
Questa informazione falsa continua a circolare da anni e, quel che è
particolarmente grave, in alcuni casi grazie anche a medici ignoranti,
che in Italia non rischiano gran che.
2) "Il vino rosso previene le malattie cardiovascolari
perché contiene il resveratrolo, un antiossidante.
Questo spiega perché i francesi, pur mangiando molti grassi saturi
(formaggi, uova ecc.) hanno una bassa incidenza di malattie
cardiovascolari, perché bevono vino rosso".
Questa notizia è circolata tantissimo non solo su internet ma anche
sui giornali e in televisione (affermata dall'esperto di turno). Quale
è la realtà?
La realtà è che è vero che il vino rosso contiene
resveratrolo, che è un antiossidante e che ha un'azione
contro le malattie cardiovascolari. E' anche vero che piccole
quantità di alcolici (mezzo bicchiere di vino al giorno) riduce un
poco il rischio di malattie cardiovascolari (ma questo
effetto svanisce se se ne beve un bicchiere al giorno). Il
cosiddetto "paradosso francese" (la minore incidenza di
malattie cardiovascolari nei francesi) è una trovata dei
produttori di vino per promuovere il loro prodotto. Si basa
su una cattiva applicazione del ragionamento deduttivo. Non si capisce
perché la ridotta incidenza di malattie cardiovascolari nei francesi
dovrebbe dipendere dal vino rosso e non dal consumare lumache o zuppa
di cipolle o, più probabilmente, dal fatto che i francesi insieme agli
spagnoli sono quelli che in Europa fanno più attività sportiva e,
sempre insieme agli spagnoli, quelli che usano di più i piedi per
spostarsi in città.
Inoltre bisognerebbe anche dire che il vino contiene alcol,
che è un cancerogeno accertato ed è tossico per il
fegato e il pancreas (anche a piccole dosi).
Quindi se vogliamo bere il vino, facciamolo (sempre senza esagerare),
ma perché è buono, perché è socializzante e riteniamo che non si può
vivere pensando solo alla salute fisica (c'è anche quella psichica e
quella sociale).
In un prossimo messaggio daremo qualche consiglio per riconoscere le
notizie false da quelle vere.
Fonti:
IOM – Institute of Medicine: Adverse Effects of Vaccines: Evidence and
Causality (2011)
Centers for Disease Control and Prevention (CDC) Vaccine Information
Statement
Istituto Superiore di Sanità: Vaccinazione
anti-morbillo-parotite-rosolia (Mpr) e autismo (2013)
ISTAT Atlante della mortalità
WHO: Global Status Report on Alcohol and Health 2011
In Europa la scarsa attività fisica è causa del 5-10% dei decessi determinando circa 600 mila morti all'anno e la perdita di 5,3 milioni di anni di vita in buona salute (1). In questo quadro gli italiani si collocano tra i meno attivi e i cittadini campani hanno la maglia nera tra gli italiani: il 70% degli adulti pratica meno di 150 minuti alla settimana di attività fisica moderata (cioè camminare a passo svelto, andare in bicicletta in piano ecc.) e meno di 60 minuti alla settimana di quella vigorosa (cioè salire le scale, andare in bici di corsa o in salita, ecc.) (2), cioè al di sotto del minimo raccomandato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Il 90% degli adolescenti e dei bambini fa meno di 60 minuti di attività fisica moderata o vigorosa al giorno, cioè al di sotto del minimo raccomandato dall'OMS (3). Le durate riportate concernono la quota minima, non l'ottimale, che secondo l'OMS è ben maggiore: almeno 45 minuti di attività fisica leggera al giorno e almeno 2 ore e 30 di attività fisica pesante alla settimana (4). Chi segue questi consigli ha il 15% in meno di probabilità di avere un tumore del colon, il 12% in meno di avere il cancro al seno, il 10% in meno di avere una malattia cardiovascolare un infarto o un ictus e vive in media 3 anni più di un sedentario (a parità di peso corporeo) (1).
Quando si parla di attività fisica subito si pensa al jogging o alla palestra, ma ben pochi hanno il tempo per andare tutti i giorni in palestra o a correre. Quindi che fare? Gran parte delle persone che fanno un'adeguata attività fisica ci riesce perché usa i piedi per spostarsi, cosa che in Italia fanno in pochi. La dimostrazione è nei recenti dati sulle modalità di spostamento nelle città europee (5). A Leon il 64% degli spostamenti superiori ai 500 metri avviene camminando, a Bilbao il 60%, a Tarragona e Losanna il 49%, a Barcellona il 46%, a Burgos il 45%, a Cordoba e Pamplona 43%, a Valencia 41%, a Nizza 40%, a Jena 39%, a Madrid e Malaga 38%, a Vilnius 36%, a Zurigo 35%, a Parigi, Oslo, Edimburgo, Marsiglia e Le Havre 34%, a Strasburgo 33%. E a Napoli? I dati più recenti per Napoli sono del 2001: solo il 13% degli spostamenti (sopra i 500 metri) avviene a piedi.
Da noi per ogni spostamento, grande, medio o piccolo che sia si usa l'auto o la moto. A Napoli infatti il 61% degli spostamenti sopra i 500 m avviene in auto e moto. A Bilbao invece sono solo l'11%, a Brno il 15%, Budapest il 20%, Basilea e Madrid 23%, Bucarest e Varsavia 24%, Tallin 26%, Burgos e Cracovia 28%, Copenaghen e San Sebastian 29%, Zurigo e New Castle 30%, Vienna 31%, Berna 32%, Francoforte SM e Berlino 34%, Monaco di B, Barcellona, Gotingen, Jena e Leicester 35%, Losanna 36%, Londra, Lipsia e Dusseldorf 40%, Francoforte 41%, Colonia 43%. L'unica citt à italiana che è a livello di queste città europee è Bolzano, col 35% degli spostamenti cittadini che avviene in auto o moto Nelle città italiane in media il 30% delle auto circolanti sta portando persone a distanze tra i 500m e i 3 Km, cioè percorribili a piedi in 5-35 minuti. Se queste persone decidessero di usare i piedi (o la bici) invece che auto e moto ne guadagnerebbero in salute grazie agi positivi effetti dell'attività fisica, inoltre non ci sarebbe più ingorghi, l'inquinamento si ridurrebbe quasi alla metà, gli autobus aumenterebbero la loro velocità (la velocità media dei bus a Napoli è di 5-7 Km/h, a Londra di 15-20 Km/h), potrebbero effettuare più corse di quante ne effettuano oggi, passerebbero più frequentemente, porterebbero più passeggeri nell'unità di tempo e quindi l'azienda venderebbe più biglietti, avendo più soldi per comprare autobus. Parafrasando un vecchio slogan: "Chi usa l'auto o la moto per piccoli spostamenti danneggia anche te. Digli di smettere".
OMS: The European Health Report
www.euro.who.int/__data/assets/pdf_file/0009/82386/E93103.pdf
www.epicentro.iss.it/passi/pdf2012/REPORT%20PASSI%20CAMPANIA%202010%20def.pdf
www.hbsc.unito.it/it/images/pdf/hbsc/report_campania_hbsc_2010.pdf
Si veda www.dors.it/pag.php?idcm=3336
ISFORT: "Quota 50% di spostamenti alternativi in città: un obiettivo possibile" (www.isfort.it)
In questi ultimi mesi le multinazionali produttrici di piante
geneticamente modificate (ogm) e i fautori di questa biotecnologia
sono ritornati alla carica cercando di far modificare le normative di
vari Paesi (e della UE) che contrastano la diffusione di tali
coltivazioni. Tra le loro argomentazioni c'è quella che gli ogm
possono dare un valido contributo alla lotta alla fame nel mondo (925
milioni di persone cronicamente sottonutrite, secondo dati
FAO).
Noi giudichiamo ipocrita, cinica e mistificante questa argomentazione.
Ipocrita perché tra le cause della fame c'è l'operato
di queste multinazionali (l'agricoltura monoculturale da esportazione,
la deforestazione, l'appropriazione dei semi delle piante originarie,
i brevetti dei loro semi, ecc.).
Cinica, perché si utilizza questa enorme disgrazia
che colpisce quasi un miliardo di esseri umani per aumentare ancor più
i propri profitti e la propria smisurata ricchezza.
Mistificante perché la fame non dipende per niente
dalla scarsa produttività agricola. L'attuale produzione alimentare
mondiale è più che sufficiente per nutrire tutti e la prova è che nel
mondo vi sono 300.000 obesi e 1,2 miliardi di persone in sovrappeso
e miliardi di tonnellate di cibo sono gettati ogni anno nella
spazzatura.
La fame è la conseguenza della povertà e delle enormi
disuguaglianze presenti nel mondo e nei singoli Paesi
(compresi quelli del Terzo Mondo). Nei Paesi ricchi, dove c’è
sovrabbondanza di alimenti, vivono 10 milioni di persone che
soffrono la fame. Non esiste nemmeno una scarsità globale
di risorse economiche, perché il mondo ha sufficiente ricchezza per
garantire una vita dignitosa a tutti. Anzi, la ricchezza mondiale è
andata sempre più aumentando (anche se con tassi di crescita più
contenuti negli ultimi anni e solo per l'anno 2008 con un tasso
negativo): il PIL mondiale nel 1990 era di 34.000 miliardi di
dollari, nel 2000 di 47.000, nel 2010 di di 62.000 e nel
2012 di 72.000. Il problema è che l’1% della
popolazione mondiale possiede il 40% della ricchezza (in Italia il
10% possiede il 50% della ricchezza nazionale). Per questo
esistono ancora fame e povertà, e ciò non è tollerabile dal punto di
vista etico e nemmeno dal punto di vista economico, perché è ormai
assodato che l’eccessiva disuguaglianza sociale è anche un freno alla
crescita economica (come dimostrano anche le vicende di questi ultimi
anni).
Purtroppo le disuguaglianze stanno aumentando, anche a causa
delle politiche economiche e sociali messe in atto per superare la
crisi economica (sic!), politiche con non
hanno sortito i grandi effetti promessi, ma che hanno accentuato ancor
più la distanza tra ricchi e poveri. Un recentissimo rapporto del
Worldwatch Institute sottolinea proprio questa situazione paradossale
riportando vari dati a riguardo. Tra questi ne riportiamo due:
1) la produttività del lavoro nelle economie avanzate negli ultimi 20
anni è aumentata il doppio dei salari medi
2) l'Indice di Sviluppo Umano (l'indicatore che “misura” la qualità
della vita basilare di una nazione) in vari Paesi sviluppati in questi
ultimi anni è andato peggiorando, tra questi l'Italia, che dal 18°
posto è passato al 21°.
Fonti: FAO 2012; FMI 2012; Worldwatch Institute: Vital Signal
Vi ricordate gli F35? I cacciabombardieri che l’Italia ha deciso di
comprare per un costo di circa 14 miliardi di euro? Per tacitare le
poche voci contrarie in Parlamento (e le moltissime nel Paese) e
sostenere la sua scelta di acquistare 90 F35 (invece dei 131
inizialmente previsti) il Ministro della Difesa del Governo Monti (il
ministro Di Paola) nel 2012 aveva dichiarato che bisognava acquistare
gli F35 perché ciò significava creare 10.000 posti di lavoro e non
pagare penali pesantissime previste in caso di fuoriuscita
dall’accordo. Ora sono passati quasi 2 anni, l’Italia ha già speso 3,4
miliardi di euro e si calcola che siano stati“creati” 600 posti di
lavoro. Per i prossimi anni le stime vanno dai circa 600 (stime di
Analisi Difesa) ai 2.500 (stime di Finmeccanica-Alenia) e questo
spendendo gli altri 11 miliardi previsti. Inoltre il Canada è uscito
da questa avventura e l’Olanda ha ridotto la sua quota a 37 caccia
(invece degli 85 previsti) e nessuno dei due Paesi ha pagato
qualsivoglia penale. Insomma, con asserzioni che si sono dimostrate
del tutto false, si sono ingannati il Parlamento e i cittadini e ci si
è imbarcati in un pessimo affare in un periodo di grave crisi
economica, nella quale le priorità dovrebbero essere ben altre (in
primis fare qualcosa di concreto per i 5 milioni di italiani in
situazione di povertà assoluta).
Col costo di un solo bombardiere F35 si poteva dare un assegno sociale
di 500 euro per un anno a 25.000 persone in stato di povertà assoluta,
oppure mettere in sicurezza 135 scuole, costruire 400 nuovi asili,
comprare 21 treni per pendolari, retribuire 5.400 ricercatori per un
anno, accogliere“dignitosamente” 10.500 richiedenti asilo, consentire
a 20.500 ragazzi di adempiere al “sacro dovere di difendere la
patria”, sancito dalla Costituzione, attraverso l’istituto del
Servizio Civile Nazionale, che negli anni ha però visto una
progressiva erosione dei fondi a disposizione.
Fonte: Rapporto della Campagna “Caccia F35. La verità oltre l’opacità”
Nell’ultimo messaggio vi abbiamo invitato a firmare la petizione contro il decreto che, per accelerare le bonifiche, prevedeva di fatto un condono per gli inquinatori e la possibilità che queste non fossero più a spese di chi ha inquinato. Grazie ad una grande mobilitazione si è riusciti a far modificato l’articolo in questione del decreto 145/13 (decreto “Destinazione Italia”). Si sono aggiunte due precisazioni: 1) La bonifica è a carico di chi ha inquinato e il pubblico può finanziare solo la successiva fase di reindustrializzazione; 2) La revoca degli oneri avviene solo dopo l’avvenuta certificazione pubblica che l’area è stata bonificata. In realtà il testo risultante da quest’ultima modifica è confuso e ambiguo e sembra comunque concedere un condono. Il testo infatti è il seguente “L’attuazione da parte dei soggetti interessati degli impegni di messa in sicurezza, bonifica, monitoraggio, controllo e relativa gestione, e di riparazione, individuati dall’accordo di programma esclude per tali soggetti ogni altro obbligo di bonifica e riparazione ambientale e fa venir meno l’onere reale per tutti i fatti antecedenti all’accordo medesimo. La revoca dell’onere reale per tutti i fatti antecedenti all’accordo di programma previsto dalle misure volte a favorire la realizzazione delle bonifiche dei siti di interesse nazionale è subordinata, nel caso di soggetto interessato responsabile della contaminazione, al rilascio della certificazione dell’avvenuta bonifica e messa in sicurezza”. Si teme quindi che se qualcuno ha un danno per gli effetti dell’inquinamento dopo che la bonifica è stata effettuata (cosa molto probabile perché un tumore può insorgere anche 20-30 anni dopo essere stati esposti agli inquinanti) l’inquinatore non sia più tenuto a risarcirlo.
Si stima che l'ammontare della corruzione in Italia è di 60
miliardi l'anno (1). 60 miliardi che frenano la
realizzazione di opere e servizi pubblici (si stima che un'opera
pubblica in Italia costi in media 40% più del dovuto a causa della
corruzione), fanno aumentare i costi alle aziende e quindi i prezzi
dei loro prodotti e servizi, mettono in difficoltà le aziende serie e
rispettose della legge e favoriscono quelle con prodotti più scadenti
o più costosi, tengono lontani dal nostro Paese investitori seri, non
incentivano le imprese nella ricerca e nell'innovazione, favoriscono
l'assunzione e le carriere di persone poco meritevoli e oneste.
L'Italia è il Paese con la maggiore corruzione in Europa
(l'ammontare nella UE è di 120 miliardi, l'Italia da sola contribuisce
per il 50%) (1).
La corruzione scoperta ammonta a 1,4 miliardi nel 2012 e lo
Stato ha recuperato solo 309 milioni (lo 0,5%
dell'ammontare della corruzione) (2).
Le tasse non pagate (l'evasione ed elusione fiscale)
in Italia ammontano a 130 miliardi di euro
(2). Di questi il fisco ha recuperato solo 12,5 miliardi
e solo 156 persone sono detenute per reati finanziari (in
Germania sono 8.600, quasi pari ai detenuti per droga, che
da noi sono 15.500) (3).
180 miliardi di euro sono una cifra enorme. Se solo si riuscisse a
ridurla di un terzo (recuperando cioè 60 miliardi all'anno) avremmo
risolto i problemi economici in cui da tanti anni ci dibattiamo.
Circa 5 milioni di italiani sono in situazione di povertà
assoluta (meno di 500 euro al mese al Nord e meno di 400
euro al mese al Sud) (4).
Il 10% degli italiani possiede il 50% della ricchezza
nazionale (4). E in questo 10% c'è la maggiore quota di
grandi evasori fiscali.
L'inquinamento atmosferico determina 60.000 morti all'anno in
Italia e le cause si conoscono da tempo (la principale sono
le emissioni di auto, moto e camion, poi il riscaldamento e le
industrie) (5).
Ogni secondo 8 mq di suolo vengono consumati da case
e capannoni (in buona parte abusivi), centri commerciali, strade,
parcheggi, cave, discariche, favorendo il dissesto idrogeologico,
l'inquinamento del suolo e delle acque, il traffico veicolare,
dissipando quel grande patrimonio dell'Italia e dell'umanità che è il
paesaggio italiano (6).
Una qualsiasi persona di buon senso di fronte a questi dati saprebbe
quali dovrebbero essere le priorità per il Governo italiano:
- lotta alla corruzione, tramite una legge
facilmente applicabile e con pene dure per il falso in bilancio,
corruzione, riciclaggio-autoriciclaggio, voto di scambio, abuso
d'ufficio, prevedendo anche l'aumento dei termini della prescrizione,
la confisca dei beni e sconti di pena per chi collabora con l'autorità
giudiziaria;
- lotta all'evasione ed elusione fiscale, prevedendo
il carcere per i grandi evasori ed elusori e aumentando i controlli e
i controlli incrociati e la tracciabilità;
- distribuzione della ricchezza, aumentando la
progressività delle imposte (tasse più leggere a chi guadagna meno e
più pesanti a chi guadagna di più), introducendo tasse patrimoniali
(in Italia una delle pochissime tasse patrimoniali che avevamo l'ICI,
poi IMU, è stata in gran parte), tassando adeguatamente le rendite
finanziarie, prevedendo sostegni al reddito per le fasce povere della
popolazione;
- incentivi al trasporto collettivo e su ferro,
contrasto all'uso eccessivo di auto, moto e camion, promozione della
ciclabilità e pedonabilità, cancellazione di progetti di nuove
autostrade, superstrade, ponte sullo Stretto, ecc.
- legge contro il consumo di suolo, programmazione
territoriale e urbanistica che tenga conto dei limiti dell'ambiente e
della tutela del paesaggio, lotta all'abusivismo edilizio,
internalizzazione delle diseconomie dovute alla costruzione di centri
commerciali e di servizio.
Purtroppo sia questo Governo sia quelli che l'hanno preceduto
hanno avuto ben altre priorità. Per cercare di rimettere i
conti a posto hanno racimolato qualche centinaio di milioni di euro
tagliando i già esigui fondi alle politiche sociali, alla ricerca
scientifica, alla cultura e qualche miliardo di euro tagliando i fondi
per la sanità, i trasporti, l'ambiente. Per mesi si è impegnato il
Parlamento e il Paese a discutere dell'IMU, di pasticciate riforme
della Costituzione, di ulteriori diminuzioni delle garanzie dei
lavoratori. Varie volte sono stati approvati provvedimenti di segno
del tutto opposto a questi grandi problemi del Paese (abolizione del
falso in bilancio, riduzione della prescrizione, sanatorie fiscali,
aumento delle imposizioni indirette, incentivi all'acquisto di auto e
moto, incentivi agli autotrasportatori, finanziamento di nuove
superstrade e autostrade, possibilità di costruire nuovi vani in
deroga ai piani urbanistici, sanatoria dell'abusivismo edilizio,
provvedimenti che rendono più difficile se non quasi impossibile
abbattere le costruzioni abusive ecc.).
Giornali e televisioni hanno dedicato enorme spazio alle
dichiarazioni di questo e quell'altro politico, alle beghe
tra correnti, alla contaminazione dei prodotti agricoli campani
(contaminazione mai riscontrata da tutte le molte analisi eseguite) e
dell'acqua di Napoli (che continua ad essere meglio di quella in
bottiglia), ai vari fatti di cronaca nera, rosa e sportiva e ai poveri
automobilisti tartassati ecc. ecc.
Qualcuno ha letto su qualche giornale delle nuove stime dei morti
dovuti all'inquinamento atmosferico? Oppure delle manovre per
vanificare totalmente la legge contro il consumo di suolo in
discussione in Parlamento? Perché solo 375.000 italiani hanno
firmato l'appello per la legge contro la corruzione? Forse
perché gli altri 50 milioni di italiani sono contrari o pigri o,
invece, perché molti mezzi di informazione non hanno informato
adeguatamente su questa iniziativa?
Con grande fatica il Senato ha approvato la modifica del reato
di voto di scambio (l'art. 416ter) proposta da Riparte il
Futuro. Ora è necessario che anche la Camera faccia lo stesso.
Se non lo hai fatto firma anche tu l'appello su
www.riparteilfuturo.it.
Varie ricerche scientifiche hanno evidenziato che anche persone di
istruzione universitaria commettono errori grossolani di logica, fanno
affermazioni avventate e danno giudizi errati. Sembra che la nostra
mente “è pigra”, invece di fare lo sforzo di ragionare, di farsi
obiezioni, di mettere in dubbio ciò che appare evidente tende a
credere alle apparenze, a dare maggiore importanza ai sensi, alle
opinioni comuni. Questi meccanismi sono spesso utilizzati ad arte da
persone e gruppi per diffondere convinzioni e opinioni, suscitare
paure o speranze immotivate (si veda il caso Stamina, la presunta
contaminazione dei prodotti ortofrutticoli campani, la supposta
emergenza criminalità dovuta agli extracomunitari, le inesistenti armi
di distruzione di massa dell’Iraq).
La nostra mente non solo si fa fuorviare dalle immagini, dai sensi,
dalle opinioni comuni, ma tende anche ad usare schemi interpretativi
lineari, semplici che vanno bene per approcciare tantissimi problemi
che ogni giorno ci troviamo ad affrontare (tipo “Se sento puzza di
bruciato devo spegnere il fuoco?”), ma che sono del tutto inadeguati
per affrontare la complessità (quindi i problemi ambientali, sociali,
ecc.).
In allegato trovi un piccolo test e un file con le risposte. Puoi
anche utilizzare il test come un gioco da fare con gli amici. Può
servire a metterci un poco in discussione, ad essere più umili, ad
esprimere con più prudenza giudizi, ad essere meno sicuri di quel che
crediamo, a stimolarci ad essere più critici, più razionali e logici.
Siamo convinti che tutto ciò è particolarmente utile oggi nella nostra
società.
Errata corrige. Ci scusiamo di avervi sottoposto, senza volere, ad un ulteriore prova di intelligenza (quella di scoprire che la domanda e la risposta 2 contenevano un errore) e vi alleghiamo i file corretti.
Test: come ragiona la nostra mente
Il "decreto Terra dei fuochi" prevede un investimento di 50
milioni per screening sanitari sulla popolazione dell'area
("screening gratuiti", come ha sottolineato il Ministro della Salute).
Tanti plaudono a questa decisione, in particolare i giornali e i
cittadini delle aree interessate. Ma è veramente una buona
scelta? I cittadini ne ricaveranno beneficio? Esaminiamo
questa decisione alla luce delle conoscenze scientifiche sugli
screening.
Lo screening è un intervento rivolto a soggetti "sani" (privi cioè di
qualsiasi sintomo o segno della malattia in questione) per scoprire
una determinata malattia in una fase precoce, in maniera tale che la
si possa facilmente sconfiggere con un’opportuna terapia.
La medicina preventiva (e il buon senso) ci dicono che gli
screening vanno fatti solo se:
1) esiste un trattamento di provata efficacia per
curare la malattia che lo screening scopre
2) i test hanno una buona specificità e sensibilità,
cioè danno pochi "falsi positivi" (quando il test indica la presenza
di un tumore che invece non c'è) e "falsi negativi" (quando il test
indica l'assenza di un tumore che, invece, è presente)
3) è alta la probabilità che il test dica il vero
(in medicina viene chiamato "valore predittivo" e dipende dalla
specificità e sensibilità e dalla percentuale di soggetti asintomatici
portatori della malattia)
4) il test è innocuo o ha un rischio estremamente
basso di causare danni alla salute
5) i disagi di chi si sottopone allo screening devono essere
lievi e non sproporzionati rispetto ai probabili benefici
6) il costo non deve essere eccessivo rispetto ai
benefici attesi (e quindi bisogna che la maggioranza delle persone
partecipi allo screening, così da avere un rapporto "costo per persona
salvata" non troppo alto).
Attualmente gli screening oncologici che hanno evidente
dimostrazione di efficacia e di accettabile rapporto
effetti positivi/effetti negativi sono solo 3 (mammografia
per il cancro della mammella, pap-test per quello
del collo dell'utero, ricerca del sangue occulto nelle feci
per il cancro del colon-retto). La visita dermatologica periodica per
il melanoma e la vista odontoiatrica per il cancro della bocca sono
altri due screening con buona dimostrazione di efficacia e
accettabilità.
In tutto il mondo civile gli unici screening oncologici messi in
pratica sono questi. L'Italia da oltre 10 anni ha deciso che
in tutte le ASL devono essere organizzati i 3 screening di evidente
efficacia e accettabilità, che, come tutti gli interventi
preventivi di dimostrata efficacia, sono totalmente
gratuiti.
Le industrie farmaceutiche e biotecnologiche hanno provato a far
approvare altri screening (TAC del torace per il cancro del polmone,
PSA per quello della prostata, gastroscopia per il tumore dello
stomaco), ma, mancando i 6 presupposti prima indicati, non hanno avuto
successo.
La Campania è estremamente indietro sui 3 screening di provata
efficacia: alcune ASL (tra cui quella di Napoli) ancora non
hanno attivato quello del colon-retto, l'organizzazione di
altri screening è molto carente (in Campania solo il 44% delle
donne ha fatto una mammografia negli ultimi 2 anni, nel Nord Italia
l'81%; in Campania solo il 15% delle persone ha fatto la
ricerca del sangue occulto nelle feci negli ultimi 2 anni, nel Nord
Italia il 54%) [1], in alcune realtà il percorso assistenziale per i
positivi non è in linea con le raccomandazioni scientifiche. Tutto
questo ha effetti estremamente negativi sulla popolazione: mentre
al Nord il 42% dei tumori mammari è diagnosticato al primo stadio
(T1N0M0), in Campania sono solo il 28% [2], e
ciò per le donne della Campania significa maggiore probabilità di
morte, interventi chirurgici devastanti, chemioterapia più
aggressiva.
Non si sa ancora quale screening specifico per i cittadini della Terra
dei Fuochi si vuole organizzare con questi 50 milioni. Nelle casse
della Regione e delle ASL vi sono già non pochi fondi specificamente
destinati ai 3 screening sicuramente efficaci (fondi che in parte da
anni giacciono inutilizzati). Su alcuni giornali e su Internet si fa
capire che lo screening che si vorrebbe o dovrebbe (sic!) attuare sui
poveri cittadini della Terra dei fuochi consisterebbe nella ricerca
dei contaminati derivati dai fuochi e dallo sversamento dei rifiuti
(quindi cercando metalli pesanti e tossici organici nel sangue o nei
capelli). Ebbene quando si trova una persona positiva ai
metalli o a qualche altra sostanza che si fa? Lo si lascia
nella sua angoscia senza fare niente? Lo si sottopone a TAC,
gastroscopie, colonscopie, analisi di laboratorio con tutti i fastidi
e rischi legati a questi accertamenti (tra cui anche il cancro e la
possibilità di risultati falsamente positivi)? Gli si dice "Non ti
preoccupare perché questa sostanza che abbiamo trovato non significa
che avrai un cancro"?
Un tale screening quindi serve solo a far guadagnare le
industrie farmaceutiche e bioteconologiche o i laboratori
tossicologici, ma ha solo effetti negativi per i cittadini.
Gli abitanti della Terra dei fuochi, dopo l'aria inquinata, le
discariche di rifiuti tossici, la paura procurata da notizie in gran
parte false (che hanno danneggiato anche tanti agricoltori,
fruttivendoli, ristoratori di quella zona), non meritano di essere
ulteriormente presi in giro e danneggiati. Non si può tollerare che si
sprechino 50 milioni quando si chiedono sacrifici agli italiani e si
lesinano risorse a interventi sanitari di provata efficacia.
1) www.osservatorionazionalescreening.it/sites/default/files/allegati/EPv36i6s1.pdf
2) www.eurocare.it/
Sui danni alla salute determinati dall'inquinamento atmosferico c'è
ormai un'enorme mole di ricerche scientifiche, tra cui studi
epidemiologici di coorte, cioè quelli più affidabili per dimostrare un
nesso di casualità e che permettono di calcolare anche in "rischio
relativo" (cioè di quanto aumenta il rischio se si è esposti al
fattore in esame) e il "rischio attribuibile" (cioè quante persone
affette da una data patologia sono da attribuire al fattore in esame).
Tutte queste ricerche sono concordi nell'evidenziare l'effetto
negativo dell'inquinamento atmosferico sulla salute. Ormai non
si ha più alcun dubbio che l'inquinamento
atmosferico è tra le cause dei tumori dell'apparato respiratorio e
della vescica, dell'asma, della bronchite cronica e dell'enfisema,
dell'aterosclerosi e dell'ischemia cardiaca e ci sono
molte probabilità che possa essere tra le cause anche di altre
malattie (embolia profonda, cancri in altre sedi, ecc.).
L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha inserito tra i cancerogeni
di prima classe (quelli certi per l'uomo) il gas di scarico dei motori
diesel e l'inquinamento atmosferico.
Le ultime grandi ricerche (per esempio lo studio europeo ESCAPE che ha
riguardato 370.000 persone) hanno evidenziato che per ogni
aumento di 10 mcg di PM2,5 (le polveri ultrafini) il rischio di
avere un tumore polmonare aumenta del 36% e che per ogni
aumento di 10 mcg di PM10 il rischio aumenta del 22% (1). Sulla base
di tale studio sono state anche riviste le stime del numero di morti
che l'inquinamento atmosferico determina in Italia: 60.000 morti
all'anno (le precedenti stime erano 40.000 morti) (2). Quindi anche le
nostre stime di 1.500 morti all'anno a Napoli (stime basate sui valori
medi annuali forniti dall'ARPAC e sui dati dei precedenti studi
epidemiologici) devono essere ricalcolate e innalzate.
Di fronte a questi dati ci chiediamo: perché è così forte la
preoccupazione per i danni alla salute derivati dallo smaltimento
illecito dei rifiuti (danni che l'OMS definisce "probabili"
e non "certi", come per l'inquinamento atmosferico, e sicuramente
molto inferiori visto che non sono pochi gli studi che non riescono a
rilevarli) ed è così debole la preoccupazione per
l'inquinamento atmosferico?
Avanziamo alcune ipotesi, tutte dipendenti dal fatto che l'inquinamento
atmosferico è causato soprattutto da auto, moto e camion (sono
responsabili del 78% del benzene, del 40% dei composti
organici volatili, del 30% del PM10, del 67% del CO) (3).
1) Gli organi di informazione non sono disponibili a sollevare
con enfasi il problema dell'inquinamento atmosferico perché
troppo legati ai gruppi economici legati all'industria
automobilistica, del cemento, della grande distribuzione e perché i
cittadini vedono con favore le denunce di danni da loro subiti da
parte di soggetti terzi (politici, malavita, industriali ecc.), ma con
fastidio le denunce di situazioni che hanno anche loro tra i
responsabili e che chiedono anche ai cittadini cambiamenti e impegni
precisi.
2) Dietro il trasporto su gomma non c'è la camorra,
trafficanti senza scrupoli, piccole aziende del sommerso, ma il
cuore dell'economia italiana e mondiale. Sollevare il
problema dei danni alla salute e all'ambiente determinati dal
trasporto su gomma significa mettersi contro una delle più potenti
lobby mondiali e rischia di aprire il dibattito sulla bontà del nostro
sistema economico e del nostro modello di sviluppo.
3) Le persone hanno resistenza a prendere consapevolezza
perché ciò determinerebbe una dissonanza con valori, convinzioni,
opinioni abitudini radicate. Percepire come sarebbe
ragionevole (in base ai dati scientifici che abbiamo) i rischi
connessi all'inquinamento atmosferico dovrebbe conseguentemente
portare a utilizzare meno auto e moto e più i mezzi pubblici e le
nostre gambe (il 30% degli spostamenti in auto coprono distanze tra i
700 metri e i 3 Km, percorribili a piedi in 5-35 minuti (4)), a
cambiare opinione sugli interventi di limitazione della circolazione
(ztl, aree pedonali, ticket per circolare ecc.), a non vedere più
nell'auto e nella moto un "oggetto del desiderio" o uno "status
symbol".
4) La diffusione dell'uso di auto e moto contrasta il processo
di percezione del rischio. Gli psicologi sociali ci dicono
che la percezione del rischio dipende da vari fattori, tra cui la conferma
sociale (se vediamo che altre persone sono molto
preoccupate per qualcosa ci preoccupiamo anche noi e viceversa) e la novità
(ci allarmiamo di più per rischi nuovi che per i vecchi, ai quali ci
abituiamo fino a dimenticarcene). Poiché la maggioranza delle persone
da tanto tempo usa auto e moto, senza preoccuparsi granché
dell'inquinamento, per i meccanismi prima detti (conferma sociale e
assenza di novità) è resa difficile una presa di coscienza adeguata
del rischio.
Ci piacerebbe che i cittadini non si preoccupassero più del dovuto per
alcune cose e meno del dovuto per altre. Soprattutto vorremmo che si
impegnassero per rendere il nostro mondo migliore, per ridurre
malattie e sofferenze, per avere un ambiente meno inquinato, città più
vivibili, ecc. mettendo al centro del proprio interesse soprattutto
chi è più svantaggiato della popolazione.
La manifestazione del 16 novembre contro lo smaltimento illecito dei
rifiuti e per una loro corretta gestione è stato un bel momento.
Vedere in piazza 50.000 persone fa ben sperare. Purtroppo alle
manifestazioni per il rilancio del trasporto pubblico e per interventi
di mobilità sostenibile non si è mai arrivati oltre qualche centinaio
di persone. Un’adeguata presa di coscienza dell’impatto ambientale e
sanitario di auto, moto e camion probabilmente è il presupposto per
poterci salvare dall’inquinamento atmosferico.
1) Pedersen et Al: Ambient air pollution and low birthweight: a
European cohort study (ESCAPE), Lancet, 1, 9, 2013
2) EEA European Environment Agency, 2013
3) ISPRA Ministero dell'Ambiente 2010 (anno di riferimento 2008)
4) ISFORT 2011
Abbiamo versato i 10.000 euro che avevamo promesso all'Asilo Sector
Primero di San Salvador. Non abbiamo ancora i dati del nostro conto
postale e quindi non sappiamo se siamo riusciti a raccogliere l'intera
cifra. Anche in caso negativo dovremmo esserci abbastanza vicini e
quindi abbiamo deciso di onorare lo stesso gli impegni. Ringraziamo
tutti quelli che hanno collaborato.
Ti ricordiamo che sul nostro sito puoi trovare le informazioni su
questo nostro progetto e che ogni periodo dell'anno è buono per fare
una donazione. Se vuoi semplificare la vita a te e a
noi puoi chiedere alla tua banca di attivare l'addebito automatico
(RID), così ogni anno, nel mese che preferisci, la tua
banca provvederà automaticamente a versarci quanto da te deciso.
Le donazioni possono essere versate sul ccp. 36982627
oppure sul ccb Banca Fideuram iban
IT21G0329601601000064226269, ambedue intestando a
Associazione Marco Mascagna, Via Ribera 1 80128 Napoli e specificando
nella causale "Asilo del Salvador".
Vorrei un giorno morire felice dopo aver vissuto una vita che
vale: siamo sulla terra per poco, bisogna vivere con degli obiettivi
e un sorriso.
Elisabeth Jacobsen
E' noto da tempo che diffondere insicurezza e paura è uno
strumento nelle mani del potere per legittimarsi e
legittimare le proprie azioni, ridurre le garanzie costituzionali e
spostare l'attenzione dell'opinione pubblica da temi più pressanti e
scomodi. La Lega, Berlusconi, Bush ne hanno fatto ampio uso. La
strategia della paura è usata anche per vendere prodotti
(si pensi alle armi negli USA o a pubblicità tipo "I nemici
dell'igiene sono dappertutto"), giornali (per es.
l'Espresso con "Bevi Napoli e poi muori"), idee (ad
esempio il razzismo e la xenofobia).
L'aspettativa di vita negli ultimi decenni è aumentata sensibilmente
(nel 1960 era di 65 anni per i maschi e 71 per le donne, nel 1990 di
73 e 80, oggi è di 80 anni per i maschi e 84,5 per le donne), gli
omicidi si sono ridotti di due terzi (3,4 omicidi ogni 100.000
abitanti nel 1991 a 0,9 nel 2011): eppure siamo sempre più spaventati
e insicuri.
Negli ultimi mesi sembra che questa campagna del terrore si sia
rivolta soprattutto contro la Campania: rifiuti tossici dappertutto,
verdure contaminate, alimenti inquinati, acqua avvelenata, tumori in
aumento. Qual' è la verità? In sintesi è questa:
1) In Campania è stata smaltita illegalmente una grande
quantità di rifiuti pericolosi, in gran parte provenienti
dal Nord Italia. Questi rifiuti non sono però sparsi sull'intero
territorio, ma per lo più concentrati su un limitato numero
di aree (in particolare discariche autorizzate, come la
Resit di Giugliano, per cui il boss Bidognetti è stato condannato a 20
anni)1.
2) In Campania e nelle province di Napoli e Caserta non c'è
alcun aumento della mortalità generale né per quella per
tumori, anzi, la mortalità tumorale è in diminuzione. Le
diagnosi di tumore sono in diminuzione nei maschi
e in lieve aumento nelle donne. L'aspettativa di
vita è in aumento in tutta Italia e anche in Campania e
nelle province di Napoli e Caserta. I tumori infantili sono in aumento
in Italia e non vi sono differenze statisticamente significative tra
le varie regioni2.
3) Le analisi di vari enti (ASL, ORSA, ARPAC, Università, ISS, ABC)
non hanno mostrato alcun problema per le acque
dell'acquedotto di Napoli e per i prodotti ortofrutticoli3.
Questo non significa che bisogna disinteressarsi del problema dei
rifiuti (pericolosi e non). Tutt'altro. Sono oltre 20 anni che ce ne
interessiamo e nel 2006 siamo stati, con la Rete Lilliput, tra i
fondatori del Comitato Allarme Rifiuti Tossici. Crediamo solo che non
sia etico dire cose non vere e siamo preoccupati perché la
paura impedisce di ragionare lucidamente. Inoltre sappiamo che
spesso chi la suscita lo fa per motivi molto poco nobili.
Noi vorremmo che la gente lottasse per una corretta gestione dei
rifiuti (tossici e non), contro l'inquinamento, contro la camorra e la
corruzione non perché sovrastima il rischio di avere un tumore o vede
minacce in ogni cosa che la circonda, ma perché vuole una società più
giusta e più equa, perché considera tutti come fratelli, anche chi ha
la sfortuna di abitare vicino ad una discarica abusiva, perché ha
rispetto per le generazioni future, perché conosce il valore del
patrimonio naturale e non sopporta che venga dilapidato per il miope
interesse di pochi o per insipienza, perché sa che le risorse
economiche non sono infinite (tutt'altro!) e che quindi vanno
utilizzate per il bene comune e con oculatezza.
1) Legambiente Rapporto Ecomafie 2013; Regione Campania: Piano
regionale bonifiche siti inquinati, 2012.
2) ISTAT; Ass. It Registri Tumori 2013.
3) Più enti analizzano acqua ed alimenti ed hanno l'obbligo di
lanciare l'allerta nel caso si riscontrino situazioni potenzialmente
pericolose. In aggiunta a questo sistema di sorveglianza nell'ultimo
anno sono state fatte anche campagne di analisi straordinarie che non
hanno riscontrato alcuna situazione di allarme (si veda www.beta.regione.campania.it/it/news/speciali/salute-dp35/area-vasta-di-giugliano-analisi-iss-sui-metalli-pesanti-nelle-produzioni-agricole,
si veda anche il documento dell'Ordine degli Agronomi http://tecnici24.ilsole24ore.com/art/sicurezza/2013-12-18/agronomi-terra-fuochi-basta-151516.php).
Siamo ancora troppo distanti dai 10.000 euro che Gerard e le
maestre ci chiedono per mandare avanti l'asilo per un intero anno.
Per questo ti chiediamo di raccogliere donazioni, di
diventare sostenitore di questa bella realtà impegnandoti a
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fondi e di impegnarti con noi. Se tutti ci impegniamo ce la
possiamo fare. Il periodo natalizio ci può aiutare. Puoi regalare:
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ritieni opportuna).Se vuoi semplificare la vita a te e a noi puoi
chiedere alla tua banca di attivare l'addebito automatico
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minilibro su Marco Mascagna o un piccolo oggetto di artigianato fatto
dalla Comunità di San Salvador.
- il cd Una musica per ... con musiche (canzoni,
musiche per piano e per orchestra) di Pio e Umberto Russo Krauss,
eseguite da Daniela del Monaco e Paolo Rescigno,
costa 12 euro, che vanno tutti all'asilo e puoi trovarlo presso le
botteghe 'E Pappeci (Via Orsi 72 e Via Monteleone 8) o chiederlo con
una mail all'associazione o il cd Laudate di Pio
Russo Krauss. Alcuni brani di entrambi i dischi sono ascoltabili sul
sito della Marco Mascagna (nella sezione il Sud del Mondo)
- le nostre t-shirt (bianche oppure nere)con una
vignetta più eloquente di un trattato sul sottosviluppo. Le t-shirt
puoi trovarle alla bottega di ManiTese (Piazza Cavour vicino alla
stazione della linea 1) oppure chiederle inviando una mail a
mail@giardinodimarco.it.
Le donazioni possono essere versate sul ccp. 36982627
oppure sul ccb Banca Fideuram iban
IT21G0329601601000064226269, ambedue intestando a
Associazione Marco Mascagna, Via Ribera 1 80128 Napoli e specificando
nella causale "Asilo del Salvador".
L'INPS eroga pensioni di anzianità a 16,8 milioni di italiani. Tra
questi 130.000 persone ricevono una pensione inferiore a 250 euro
mensili, 226.000 persone tra 250 e 500 euro mensili, 1.895.000 tra 500
e 750 euro mensili, 1.352.000 tra 750 e 1000 euro mensili e 1.450.000
pensionati tra 1000 e 1250 euro mensili (lorde). Quindi 5
milioni di anziani hanno una pensione netta in un range compreso tra
250 e circa 1000 euro al mese; al di sotto o vicina alla
soglia di povertà assoluta. In Italia i senzatetto sono
60.000: in grandissima maggioranza adulti che hanno perso
il lavoro e anziani.
Di contro vi sono 166.000 pensionati INPS con pensioni tra 5.000 e
8.000 euro (lordi) e 109.000 pensionati (INPS e non
INPS) con pensioni superiori agli 8.000 euro al mese,
nonché 6 milioni di italiani (il 10% della
popolazione totale) che possiedono il 50% della ricchezza
totale presente in Italia.
Sui giornali e nelle tv si sente parlare spesso di conflitto
generazionale, di padri che tolgono il posto ai figli, di adulti
garantiti contro giovani precari, mentre raramente si parla di
conflitto tra ricchi e poveri. Parlare di ricchi e poveri
sembra demodé, fa venire in mente immagini di fine
Ottocento, vecchi concetti come quelli di lotta di classe. Ora siamo
nel terzo millennio ed è più moderno raccontare le disuguaglianze
economiche e sociali esistenti come originate da un conflitto
generazionale. Così i giovani sanno con chi devono prendersela: con
gli adulti e i pensionati. Ma cosa hanno in comune i 5 milioni di
pensionati con meno di 1000 euro al mese e i 109.000 con oltre 8.000
euro al mese (13 miliardi di euro l'anno)?
Sarà forse poco di moda e poco glamour ma preferiamo ancora parlare di
conflitto tra ricchi e poveri e ci sembra una grande mistificazione
indirizzare la rabbia delle giovani generazioni sugli adulti in genere
invece che sulle enormi e scandalose disuguaglianze economiche. Le
guerre tra poveri sono sempre state uno strumento dei ricchi per
mantenere lo statu quo e per impedire che i poveri riescano
ad ottenere una redistribuzione della ricchezza. Loro non
hanno paura di essere demodé.
Fonte: ISTAT (i dati si riferiscono al 2011) e INPS (dati del bilancio
sociale)
Il numero dei poveri in Italia è considerevole e va aumentando di
anno in anno. L'Istat distingue due tipi di poveri: quelli in povertà
relativa, cioè le persone che, rispetto al tenore di vita
medio degli italiani, stanno sotto un determinato livello, e quelli in
povertà assoluta, cioè che non riescono ad avere una
condizione di vita "minimamente accettabile". I poveri assoluti non
hanno soldi sufficienti per riuscire a comprare beni e servizi
essenziali. L'Istat oggi considera in povertà assoluta quelle famiglie
di 2 persone che hanno meno di circa 950 euro al mese da spendere, se
del Nord Italia, o meno di circa 750 euro, se del Sud Italia.
Le famiglie in povertà assoluta erano il 4,6% nel 2010, il
5,2% nel 2011 (3,4 milioni di persone), il 6,8% nel 2012 (4,4
milioni di persone).
Contemporaneamente è andata aumentando la ricchezza dei ricchi (metà
della ricchezza totale è nelle mani del 10% degli italiani), tanto che
abbiamo l'indice di Gini, l'indice delle disuguaglianza di
reddito superiore a tutti gli altri Paesi europei
(esclusa la Gran Bretagna): 0,34 (anno 2011). Tale situazione non è
solo eticamente scandalosa, ma anche un importante fattore di
recessione economica, una delle cause della delinquenza,
dell'insicurezza, del degrado urbano ecc.
Per tali motivi negli ultimi tempi si è molto parlato di interventi
per affrontare tale situazione (reddito minimo per i poveri,
patrimoniale per i ceti abbienti ecc.).
Ma la finanziaria varata dal Governo e in via di approvazione sembra
considerare i poveri e le disuguaglianza economiche l'ultimo dei
problemi italiani. L'Alleanza contro le Povertà in Italia, una rete di
associazioni presieduta dall'economista della Cattolica Cristiano
Gori, aveva proposto di stanziare 900 milioni di euro per introdurre
in Italia il SIA (sostegno all'inclusione attiva) presente in molti
Paesi europei, il Governo ha stanziato solo 40 milioni di
euro (in realtà servirà per la nuova social card). Inoltre,
malgrado le promesse, ha tagliato nuovamente la spesa
sanitaria (di 1,15 miliardi nel biennio 2015-16) e ciò si
ripercuoterà soprattutto sui più poveri.
Qualcuno potrebbe dire che non ci sono soldi, ma, se è così, come
mai si è abolita l'IMU, una tassa che grava soprattutto sui ceti più
abbienti, rinunciando a 4 miliardi di euro? Perché non
abolirla solo per i proprietari di piccole case e con un reddito
basso? Perché continuiamo a spendere per la Difesa più della media dei
Paesi UE? Perché si taglia la sanità pubblica e si regalano
400 milioni di euro in 10 anni per i policlinici privati?
La risposta forse è nel fatto che i poveri non hanno grande
importanza per vincere le elezioni: infatti dal punto di
vista elettorale, valgono meno di un benestante. Gli studiosi
dell'astensionismo ci dicono che gran parte dei "non votanti cronici"
(circa il 10% in Italia) appartengono a fasce di popolazione povere e
emarginate e che alle ultime elezioni circa il 50% delle persone di
basso reddito non è andato a votare (l'astensione totale è stata del
25%). Non solo, le persone benestanti e soprattutto quelle ricche,
rispetto ai poveri, hanno molti più strumenti per influenzare altri
elettori.
Che fare dunque? Bisogna essere fattivamente solidale
con i poveri e rappresentare i loro bisogni a chi ci governa e
amministra. Quindi, nel giudicare l'operato del Governo e dei nostri
amministratori, nonché per le nostre scelte politiche, dovremmo sempre
avere come criterio guida i bisogni e gli interessi dei poveri e degli
ultimi e dovremmo cercare di convincere quante più persone a fare
altrettanto.
Molti spettatori e tutti molto contenti per lo spettacolo al
Grenoble per l'asilo Sector Primero. Un grande grazie a tutti gli
artisti: a Daniela del Monaco e Antonio Grande, a Daniele Mattera, a
Titti Pepi, Lino Fusco, Pino Orizzonte, Franco Prisco, a Marisa
Portolano e Paolo Rescigno, ai Cantori di Posillipo e a tutti coloro
che hanno contribuito alla buona riuscita dello spettacolo. Abbiamo
raccolto tra biglietti e donazioni 3.000 euro, non è poco per uno
spettacolo di beneficenza, altri fondi sono entrati con l'iniziativa
"Dai un taglio alla povertà" e con donazioni di soci e simpatizzanti,
ma siamo ancora troppo distanti dai 10.000 euro che Gerard e
le maestre ci chiedono per mandare avanti l'asilo per un intero anno.
Per questo ti chiediamo di raccogliere donazioni, di
diventare sostenitore di questa bella realtà impegnandoti a
versare ogni anno una quota, di proporci strumenti per raccogliere
fondi e di impegnarti con noi. Se tutti ci impegniamo ce la
possiamo fare. Il periodo natalizio ci può aiutare. Puoi regalare:
- quote di adozione dell'asilo (quella che tu
ritieni opportuna).Se vuoi semplificare la vita a te e a noi puoi
chiedere alla tua banca di attivare l'addebito automatico
(RID), così ogni anno, nel mese che preferisci, la tua
banca provvederà automaticamente a versarci quanto da te deciso. Se
vuoi accompagnare questo regalo con un gadget ti possiamo dare il
minilibro su Marco Mascagna o un piccolo oggetto di artigianato fatto
dalla Comunità di San Salvador.
- il cd Una musica per ... con musiche (canzoni,
musiche per piano e per orchestra) di Pio e Umberto Russo Krauss,
eseguite da Daniela del Monaco e Paolo Rescigno,
costa 12 euro, che vanno tutti all'asilo e puoi trovarlo presso le
botteghe 'E Pappeci (Via Orsi 72 e Via Monteleone 8) o chiederlo con
una mail all'associazione o il cd Laudate di Pio
Russo Krauss. Alcuni brani di entrambi i dischi sono ascoltabili sul
sito della Marco Mascagna (nella sezione il Sud del Mondo)
- le nostre t-shirt (bianche oppure nere)con una
vignetta più eloquente di un trattato sul sottosviluppo. Le t-shirt
puoi trovarle alla bottega di ManiTese (Piazza Cavour vicino alla
stazione della linea 1) oppure chiederle inviando una mail a
mail@giardinodimarco.it.
Le donazioni possono essere versate sul ccp. 36982627
oppure sul ccb Banca Fideuram iban
IT21G0329601601000064226269, ambedue intestando a
Associazione Marco Mascagna, Via Ribera 1 80128 Napoli e specificando
nella causale "Asilo del Salvador".
Abbiamo letto il servizio "Bevi Napoli e poi muori"
dell'Espresso e ci siamo chiesti come abbia potuto
avere tanto successo ("Uno dei numeri più venduti", secondo le
dichiarazioni del direttore) e spaventare tante persone. Vi
riportiamo alcuni dei brani del servizio che reputiamo più comici:
"La mozzarella è pericolosa perché è fatta
con latte non pastorizzato". Gli americani
forse non sanno che la mozzarella si lavora a caldo (60° C) e poi
viene messa in acqua salata a 90° C. Altro che pastorizzazione.
"La campagna di test realizzata in Campania è
senza precedenti nella storia. Si è dovuto inventare un
metodo scientifico su misura per le condizioni del nostro Paese".
Peccato che l'Espresso non spieghi quale è questo nuovo metodo
scientifico inventato ad hoc dai militari americani. Noi ricordiamo
che esistono procedure di campionamento, tecniche di prelievo e metodi
di analisi condivisi scientificamente a livello internazionale e che
le normative UE stabiliscono puntualmente quali metodi devono essere
utilizzati per la ricerca degli inquinanti.
"Acqua non idonea all'irrigazione perché contenente
nitrati e nitriti". Nitrati e nitriti (insieme a
fosforo e potassio) sono i principali elementi necessari alle piante
per crescere e fruttificare, quindi se l'acqua per irrigare i campi li
contiene è una vera fortuna, perché così si può fare a meno di concimi
e fertilizzanti.
Il "DIBROMO-CLORO-PROPANO
(a cui sono ricondotti l'80% dei rischi di tumore)".
Il linguaggio non è molto scientifico. Forse si vuole affermare che
l'80% dei tumori è causato dal dibromocloroetano? Se è così, sono
rivoluzionate tutte le attuali conoscenze sul cancro. Sarebbe troppo
bello che l'80% dei tumori dipendesse da una sola singola sostanza:
basterebbe eliminarla e avremmo l'80% dei tumori in meno.
"Acroleina (a cui sono ricondotti il 90% dei
rischi non tumorali)".
Si, c'è scritto proprio così! Ora sapete che se avete l'artrosi,
l'asma, il reflusso esofageo, se fate un incidente automobilistico o
cadete per le scale la colpa nel 90% dei casi è dell'acroleina.
"Il 92 per cento dei pozzi privati che riforniscono
le case costituiscono un rischio inaccettabile per la salute".
Se poi si legge meglio si capisce che si tratta di analisi fatte su 65
case che hanno il rubinetto d'acqua connesso ad un pozzo scavato sulla
loro proprietà. Non si dice se il pozzo pesca nella falda superficiale
o in quella profonda, sulla base di quali parametri il rischio è
inaccettabile e se quest'acqua è l'unica presente a casa (potrebbe
anche servire solo per lavare per terra o innaffiare le piante).
Il "consolato americano di
Piazza Garibaldi". Come
tutti sanno è dall'altra parte della città.
"I valori sono alti ma nei limiti di legge".
I limiti di legge europei per l'acqua potabile sono stabiliti sulla
base di raccomandazioni dell'Organizzazione Mondiale della Sanità e
con fattore di protezione solitamente 100 (ovvero le concentrazioni
delle sostanze pericolose sono stabilite in modo che, bevendo 2-3
litri di acqua al giorno, la dose assorbita sia almeno 100 volte
inferiore a quella tossica).
"Tra tanti dati inquietanti, spunta un incubo che
finora non si era mai materializzato: l'uranio. Gli esami lo
individuano in quantità alte ma sotto la soglia di pericolo".
Mai materializzato? Ma se è noto che nelle zone vulcaniche si trovano
tracce di uranio.
"Esce acqua pericolosa dal 57 per cento dei rubinetti
esaminati nel centro di Napoli e dal 16 per cento a Bagnoli. Come è
possibile che pure la rete idrica pubblica sia inquinata? Gli
americani esaminano le 14 sorgenti che alimentano le città, tutte in
ottime condizioni. Le tubature però sono vecchie, con manutenzione e
controlli carenti. E scoprono che l'acqua
dei pozzi clandestini riesce a entrare nelle condotte urbane,
soprattutto in provincia". Cosa si intende per acqua
pericolosa? Con "i valori alti ma nei limiti di
legge"? Boh! Comunque l'acquedotto è a pressione
positiva proprio per impedire che qualcosa vi possa entrare dentro (se
non ci credete provate a fare un foro in una tubatura e vedete che bel
zampillo ne viene fuori). Certo in alcune situazioni, soprattutto
quando bisogna riparare qualche tubo e interrompere momentaneamente il
flusso d'acqua, si possono avere dei momenti di bassa pressione tale
da determinare la possibilità di un reflusso (solitamente momentaneo
ed è per questo che si consiglia di far scorrere per alcuni minuti
l'acqua quando si verifica un'interruzione dell'erogazione), ma ci
sembra oltremodo improbabile che l'acqua di pochi pozzi privati
situati a Marcianise o a Gricignano riesca a determinare un
inquinamento nell'acqua che esce dai rubinetti del centro di Napoli e
di Bagnoli.
Consiglio finale dei militari americani e dell'Espresso:
"Bevete acqua minerale".
Cioè un acqua che è meno controllata dell'acqua
di rubinetto (controllata tutti i giorni in più punti anche
dalla ASL), che può avere valori di alcune sostanze superiori
a quelle dell'acqua di rubinetto (perché
il legislatore pensava che la prescrivesse il medico e non la si
bevesse tutti i giorni) e che è contenuta in bottiglie di
plastica. I 6 miliardi di bottiglie di plastica
in cui è contenuta l'acqua minerale bevuta dagli italiani che fine
fanno? Buona parte finisce negli inceneritori e si trasformano in
diossina, composti organici volatili, polveri fini. Non ci sembra un
buon consiglio. Meglio bere acqua di rubinetto.
Spesso sentiamo dire che, prima di acquistare un prodotto, bisogna
leggere l'etichetta. Ed è sicuramente una giusta indicazione. Ma il
problema è: come capirci qualcosa di quel che c'è scritto?
Allora vogliamo dare alcune brevi consigli.
Senza colesterolo. Questa indicazione è quasi del tutto irrilevante,
perché l'eccesso di colesterolo nel sangue (ipercolesterolemia)
dipende in minima parte da quanto colesterolo si assume con la dieta.
Per tenere basso il colesterolo (soprattutto l'LDL-colesterolo, il
cosiddetto colesterolo cattivo) e prevenire le malattie
cardiovascolari bisogna ridurre il consumo di grassi saturi e fare
attività fisica.
Grassi vegetali. Questa dizione, che tranquillizza i più, non
significa che quel prodotto contiene olio extravergine di oliva, ma
indica quasi con certezza la presenza di olio di cocco o di palma,
cioè oli che contengono altissime percentuali di grassi saturi (tra il
48 e l'85%, più del burro che al massimo ne contiene il 50%), cioè
proprio quei grassi che favoriscono l'arteriosclerosi.
Marmellate con oltre il 50% di zucchero. Secondo la legge italiana gli
ingredienti devono essere indicati secondo l'ordine di quantità.
Quindi una buona marmellata avrà come primo ingrediente la frutta
utilizzata. Però le industrie, per trarre in inganno i consumatori più
accorti, hanno trovato un escamotage: invece di utilizzare solo
zucchero (saccarosio), utilizzano contemporaneamente vari tipi di
sostanze zuccherine (saccarosio, glucosio, sciroppo di glucosio,
melassa, succo d'uva concentrato, succo di mela ecc.), così che al
primo posto negli ingredienti c'è sicuramente la frutta, ma questa è
meno del 50%.
Margarine senza grassi idrogenati e con pochi grassi saturi. Le
margarine una volta erano prodotte saturizzando gli oli di semi
(quindi erano ricche di grassi saturi e trans, ambedue favorenti le
malattie cardiovascolari). Ma oggi ci sono quelle senza grassi trans
(grassi idrogenati) e con pochi grassi saturi: come è possibile?
Semplice! Grazie ad un emulsionante si fa sciogliere un olio (di semi)
nell'acqua, poi si mette un addensante che rende tutto più solido e
gelatinoso e la margarina è pronta . Grande trovata delle industrie
per vendere olio di semi ed acqua al prezzo del burro o poco meno.
Snack leggeri. Alcuni snack (es. Kinder Bueno) sono pubblicizzati come
"leggeri", poco calorici e ingrassanti (vi ricordate lo spot "Mica mi
vuoi tutta ciccia e brufoli?"). Questa è una mezza verità, perché
questi snack sono leggeri solo perché pesano poco, ma se si va a
vedere le calorie per 100 g di prodotto si scopre che sono molto
calorici (per esempio il Kinder Bueno ha 571 calorie ogni 100g, più di
un cornetto o brioche alla crema che ne ha sui 400 Cal ogni 100 g).
Se vuoi sapere velocemente come sono gli snack che preferisci dal
punto di vista nutrizionale e conoscere quelli più accettabili,
consulta lo Snackometro (www.aslnapoli1centro.it/documents/420534/447092/Snackometro.pdf)
Su Sbilanciamoci (www.sbilanciamoci.it), il sito degli economisti
critici, sono state pubblicate le proposte per una diversa legge di
stabilità. Qui ne riportiamo una sintesi.
Il nostro paese ha perso 7 punti percentuali di reddito prodotto dal
2008, ed altri 2 circa ne perderà quest´anno, per un totale di 9 punti
percentuali. La disoccupazione è pari a 6 milioni di persone,
conteggiando cassaintegrati e anche chi è fuori dal mercato del lavoro
perché scoraggiato e senza speranza di trovarlo. Aggiungendo il mondo
del precariato si arriva a 9 milioni di persone. Questa è l´area
della sofferenza. Una legge di stabilità per la
crescita è quindi improcrastinabile.
Il Patto di stabilità "rafforzato" impone all´Italia di ridurre il
debito su Pil al 60% in venti anni con manovre draconiane sul bilancio
pubblico per realizzare 45 miliardi all´anno di riduzione del debito.
Questo percorso va rivisto perché l´economia non è in grado di
sostenerlo, comporterebbe 20 anni di continua depressione, per cui occorre
rinegoziare in Europa i tempi di rientro dal debito.
A) Sul terreno delle risorse da reperire si propongono almeno
sei aree su cui intervenire.
1) Innalzare le aliquote sulle rendite finanziarie.
L'attuale sistema di tassazione frena la produzione del reddito, il
lavoro e l'impresa, mentre favorisce le attività finanziarie, tassate
con aliquote più che dimezzate rispetto al reddito d´impresa e da
lavoro. Quindi occorre un innalzamento immediato dal 20% al
22% e che porti poi questa aliquota nel triennio
al 25-30% cioè su livelli europei. Questo intervento
consentirebbe di acquisire risorse per almeno 2,5 miliardi
nel primo anno e tendente a 10 nel triennio. Gli interventi
previsti nella legge di stabilità che costituiscono un ulteriore aiuto
al sistema bancario ed assicurativo, detrazioni fiscali per oltre 1
miliardo di euro, non possono invece essere confermati, recuperando
così altre risorse.
2) Implementare le tasse ambientali. L´Italia è
fanalino di coda in ambito internazionale, ed in ambito europeo ha
peggiorato la sua posizione relativa. L´introduzione di tassazioni su
CO2 (carbon tax su settori non coperti da
certificati di emissione), su emissioni regionali e locali, sui
rifiuti in discarica, su risorse naturali (oneri di estrazione,
escavazione, ecc.), potrebbero far recuperare risorse per almeno 5-10
miliardi di euro nel triennio.
3) Tassa sui patrimoni immobiliari. Invece di
introdurre una Service Tax "pasticciata", bisogna
distinguere con nettezza imposte sul patrimonio edilizio, da quelle
necessarie alla erogazione dei servizi locali, queste sì distribuite
sugli utenti. L´imposta patrimoniale sulle abitazioni deve prevedere franchigie
per le prime case con valori catastali bassi, ed
aliquote progressive per le altre abitazioni, e per le
seconde e terze case, ed oltre. Queste risorse consentirebbero di
alleggerire ulteriormente i vincoli imposti dal patto di stabilità
locale per le amministrazioni virtuose.
4) Riforma della pubblica amministrazione. Non è
possibile che si prosegua con i blocchi alla contrattazione, del
turn-over e con i tagli lineari. Occorre certo ridurre costi ed
inefficienze della Pubblica amministrazione e realizzare un´efficace spending
review, di cui molto si discetta ma poco si pratica, che
incida anche sulla normativa a fini di semplificazione. L´efficienza
della Pubblica amministrazione deve essere una delle priorità della
legge triennale, perché non è consentito che essa freni le iniziative
di crescita, mentre le dovrebbe supportare. Ad essa deve concorrere
anche un sistematico e convinto intervento di coordinamento,
ammodernamento, semplificazione, dialogo e trasparenza nella Pubblica
amministrazione.
5) Riduzione delle spese per gli armamenti di difesa,
con l´azzeramento di impegni su cui il Parlamento italiano si è
peraltro già espresso. Altre risorse, almeno 5 miliardi,
possono così essere liberate nel triennio e destinate alla crescita.
6) Prelievo sulle pensioni d'oro. Le pensioni d'oro
(> 8.000 euro lordi) sono circa 109.000 per un costo complessivo di
circa 13 mld annui. Invece delle limitazioni alle rivalutazioni
all´inflazione delle pensioni sino a 3.000 euro lordi mensili, si
dovrebbe intervenire con molto maggior vigore sulle pensioni molto
elevate, che invece vengono colpite in modo irrisorio recuperando solo
61 milioni di euro nel triennio.
B) Sul terreno delle spese sono quattro le aree da
privilegiare.
1) Significativa riduzione del cuneo fiscale (già dal
primo anno almeno il doppio di quanto previsto). Occorre inoltre che
la riduzione sia tale da esercitare il maggior effetto positivo sui
consumi e sulla domanda interna, e quindi deve privilegiare la
crescita delle retribuzioni delle fasce di reddito più basse,
che hanno propensioni al consumo più elevate, concentrando su di esse
le risorse disponibili.
2) Adottare politiche urgenti nel campo energetico, dei
trasporti locali, della logistica, dell´assetto idrogeologico, della
sicurezza ambientale. In tal modo si favorirebbe l´uscita
dalla depressione e la crescita.
3) Puntare sull'innovazione e l'istruzione. In questo
ambito la Legge di stabilità del Governo è gravemente assente.
Occorrono più risorse per scuola ed università, formazione
professionale e per l´inserimento dei giovani nel mondo del lavoro e
dell´impresa. Le imprese devono essere indotte ad intraprendere più
investimenti in innovazione tecnologica e di prodotto, nella qualità,
nell´economia digitale e nell'economia verde, nell´organizzazione del
lavoro orientata alle buone pratiche lavorative. A tal fine
un piano di sostegno economico alle imprese virtuose, traendo esempio
anche dai molteplici modelli praticati all'estero, deve essere avviato
dall´operatore pubblico.
4) Affrontare le crescenti diseguaglianze e la crescita delle
situazioni di povertà. Un intervento sul reddito minimo
garantito deve essere avviato nel triennio, a fini sperimentali fin
dal primo anno. In Europa, numerosi Paesi hanno introdotto
legislazioni di garanzia di reddito, muovendosi lungo le
Raccomandazioni della Commissione Europea.
In Italia, a differenza degli altri Paesi civili, si è usi a derogare
alle leggi, cioè c’è sempre la possibilità che la legge si applichi in
una situazione e non in un’altra, per qualcuno e non per qualcun
altro, in un momento ma non in un altro. Noi in Campania ne abbiamo
fatto le spese con i commissariati ai rifiuti e alle bonifiche, che
potevano derogare a innumerevoli leggi (il decreto rifiuti 2008 del
Governo Berlusconi permetteva di derogare a ben 47 leggi!) e che non
hanno risolto un bel niente ma hanno spesso creato ulteriori gravi
problemi (discariche collocate in zone di tutela idrica, paesaggistica
o naturalistica, consulenze profumatamente pagate e di nessuna o
scarsa utilità, assunzione di lavoratori inutili o inutilizzati,
infiltrazioni camorristiche, clientelismi, ecc.).
Ma ora l’Italia ha deciso di superare se stessa: derogare alla
Costituzione. L’art. 138 della Carta stabilisce le modalità con le
quali può essere modificata la Costituzione, modalità che hanno il
fine di garantire un’ampia discussione sia nel Parlamento che nel
Paese (a tal fine sono previsti più votazioni con un adeguato
intervallo di tempo tra l’una e l’altra) e una larga condivisione
sulle modifiche da introdurre, nonché di evitare che le modifiche
siano legate a situazioni o a maggioranze contigenti. Il Parlamento
sta approvando1 una legge costituzionale che permette di derogare
all’art. 138 per modificare varie parti della Costituzione (tra cui
quelle riguardanti Capo dello Stato, Governo, Parlamento, Regioni,
Province, Comuni e argomenti connessi, quindi quasi tutto).
Quello che soprattutto ci preoccupa è la scarsa attenzione che la stampa (e quindi anche i cittadini) dedicano a questo argomento. Inoltre ci chiediamo: un Parlamento eletto con una legge elettorale che tutti ora reputano pessima (il porcellum) e quindi composto da persone non scelte personalmente dagli elettori e che non rappresentano nelle reali proporzioni le posizioni presenti nel Paese (a causa del premio di maggioranza e degli sbarramenti2) può mettere mano alla Costituzione, cioè al patto che fonda uno Stato? Se “le Costituzioni sono uno strumento che i popoli si danno nei momenti di saggezza per i momenti di follia”, questo forse non è il momento più adatto per modificarla e, soprattutto, non questo Parlamento e non con procedure straordinarie.
1) La legge è già stata approvata col solo voto contrario del M5S e
di SEL: per il suo varo definitivo manca una sola votazione
(probabilmente a dicembre).
2) Il porcellum assegna oltre la metà dei seggi della Camera al
partito o coalizione che ha preso anche solo un voto in più del
secondo più votato. Le assemblee costituenti sono invece elette col
proporzionale, perché non devono garantire la governabilità ma
rispecchiare - nelle dovute proporzioni - tutte le posizioni
presenti nel Paese.
Per ulteriori informazioni: www.comitatidossetti.it,
www.costituzioneviamaestra.it.
Negli ultimi tempi si sentono e si leggono affermazioni molto
contrastanti sulla situazione epidemiologica della Campania: aumento
drammatico dei tumori, aumento della mortalità, tumori più aggressivi
in Campania, allarme sanitario, epidemia di tumori, nessun aumento dei
tumori, mortalità in diminuzione, l'aumento dei tumori dipende dagli
stili di vita, no, dalle discariche e via polemizzando.
Per comprendere quali di queste affermazioni sono vere e quali no,
quali sono parzialmente vere e quali sono espedienti per creare
polemiche (spesso utili per vendere maggiori copie del giornale o
avere visibilità mediatica), ti alleghiamo un documento con
vari dati sulla situazione epidemiologica della Campania e
dell'Italia e alcune considerazioni sulla querelle "stili
di vita/rifiuti". Vi consigliamo di leggere tutti i dati perché la
situazione epidemiologica di un territorio non può mai essere
illustrata con un solo dato, ma necessita di un insieme di dati,
nonché del confronto con la situazione pregressa e con quella di altri
territori.
Ti segnaliamo anche il nostro documento "ABC
per orientarsi nei dati epidemiologici", che
puoi trovare sul nostro sito
Della spesa totale per la sanità l'Italia destina solo lo
0,5% per la prevenzione, collocandosi all'ultimo posto tra i 25
Paesi dell'Unione Europea. Solo Cipro e la Lituania
spendono meno dell'1%. La media europea è il 3% (1).
Se si considera che l'alimentazione scorretta, il fumo di tabacco e la
scarsa attività fisica (il 90% degli italiani fa una inadeguata
attività fisica) determinano oltre il 50% dei tumori e delle malattie
cardiovascolari e che lo screening del colon-retto raggiunge solo l'8%
dei soggetti al Sud Italia (il 78% al Nord) e quello mammografico il
38% (al nord 89%) (2), si comprende quali conseguenze nefaste sulla
salute degli italiani determina tale scelta. Per di più è anche una
scelta estremamente diseconomica. Da tempo si sa che prevenire una
malattia costa molto meno che curarla: la prevenzione, quindi, fa
risparmiare soldi (alcuni studi evidenziano che per ogni
milione speso in programmi di educazione sanitaria si ha un
risparmio della spesa sanitaria triplo dopo 3 anni (3).
Quindi, invece di levare fondi alla sanità (la spesa sanitaria
dell'Italia e tra le più basse in Europa), determinando un
peggioramento della salute e delle condizioni economiche delle fasce
di popolazione a basso reddito, si dovrebbe investire di più in
prevenzione, perché ciò determinerebbe non solo meno malattie, morti e
sofferenze, ma anche una riduzione dei costi sanitari e, quindi, la
possibilità di offrire una migliore sanità a tutti o di ridurre
ulteriormente la spesa senza conseguenze negative per la salute.
Purtroppo la stragrande maggioranza dei cittadini non è consapevole di
tutto ciò, per cui non protesta per la mancanza dello screening o di
programmi di educazione sanitaria, ma perché lo Stato non passa
terapie di nessuna efficacia o perché chiude qualche piccolo
ospedale/presidio (spesso con un'attività così ridotta da non dare
sufficienti garanzie di qualità per la salute dei pazienti e con un
rapporto benefici/costi estremamente basso).
1)OCSE-Eurostat 2013 (i dati si riferiscono all'anno 2010); 2) Epidemiologia e Prevenzione n° 36/2012 (i dati si riferiscono al ; 3) New England Journal of Medicine, 329/1993
La tragedia di Lampedusa ha riacceso l'attenzione
sull'immigrazione irregolare e sulle conseguenze delle politiche
dell'Italia e dell'Europa in questo settore. Temiamo però
che presto l'attenzione scemerà e tutto continuerà come prima: la
commozione di pochi giorni lascerà il posto al cinismo di sempre.
Lo temiamo perché sappiamo che negli ultimi 20 anni 6.835 persone sono
morte in mare cercando di raggiungere l'Italia1. E la risposta a
questa immane tragedia non è stata quella dettata da solidarietà,
fratellanza, rispetto dei diritti umani, giustizia ma quella
dell'egoismo e della demagogia, che hanno portato a provvedimenti di
poca o nessuna efficacia, dispendiosi e, soprattutto, indegni di un
Paese civile.
Per chi investe tutti i suoi miseri averi, si indebita, percorre
migliaia di chilometri tra mille pericoli, mette a repentaglio la vita
sua e dei suoi cari, perde ogni identità e dignità pure di sfuggire
alla fame, alla guerra, a un regime sanguinario, quale deterrenza può
avere l'introduzione del reato di clandestinità o i respingimenti in
mare? Infatti il numero dei migranti nel Canale di Sicilia è aumentato
(certamente anche a causa della rivoluzione in Tunisia e della guerra
in Libia), ed è aumentato anche il numero di morti in mare
(2000 nel solo anno 2011)(1).
Per di più la nostra politica contro “gli sbarchi” ha portato a non
dare sostegno a quelle persone perseguitate per le loro idee o per la
loro azione politica, o che fuggono da guerre e da regimi dispotici.
Persone che avremmo dovuto accogliere e proteggere come ci impone il
Trattato di Ginevra e quello relativo ai diritti dei minori,
sottoscritti dall'Italia. L'ONU stima che circa un terzo
delle persone respinte dall'Italia sono persone che avevano diritto
d'asilo in forza di quei trattati firmati dall'Italia (2).
Quale fine hanno fatto nessuno lo sa. In ultimo il peso per le casse
dello Stato: le politiche anti-immigrazione dell'Italia costano
centinaia di milioni di euro all'anno (144 milioni per i CIE, 20
milioni per i rispedimenti nei Paesi d'origine, 60 milioni per i
controlli costieri ecc.) (3), più di quanto si spende per le politiche
sociali.
Insomma provvedimenti che determinano migliaia di morti, che non
rispettano i trattati firmati, che hanno un enorme costo economico e
anche una scarsissima efficacia nel ridurre i flussi migratori. Ma
provvedimenti che fanno guadagnare voti perché placano la paura
dell'invasione agitata ad arte da alcuni partiti e politici.
1) Fortress Europe; 2) citato in Human Rights Watch: rapporto 2010; 3) Rapporto La spesa pubblica per il contrasto dell'immigrazione irregolare www.lunaria.org
Metà
della ricchezza totale è nelle mani del 10% della popolazione, mentre il restante 90% deve dividersi il 50%
del residuo. Questi dati non si riferiscono al Salvador o ad un
altro Paese sottosviluppato, si riferiscono all'Italia. Ciò spiega
perché siamo al secondo posto come disuguaglianze economiche in
Europa.
In
Economia le disuguaglianze di reddito (oppure di ricchezza, se si
considerano anche i beni patrimoniali) sono espresse con l'Indice di
Gini (indice 0,00 se tutti hanno il medesimo reddito oppure
ricchezza, indice 1,00 se l’intero reddito o ricchezza del Paese è
nelle mani di un'unica persona).
L'Italia
ha un indice Gini relativo al reddito di 0,34 (anno 2011),
superiore a tutti gli altri Paesi europei
(esclusa la Gran Bretagna), notevolmente superiore ai Paesi
scandinavi (IG 0,25) e a Francia, Germania, Belgio, Austria che
hanno valori inferiori a 0,30.
Negli
ultimi 20 anni in Italia le disuguaglianze sono aumentate
enormemente: siamo passati, infatti, da un IG di 0,27 del 1992
allo 0,34 del 2012.
Se
si considera la ricchezza totale (cioè anche i beni patrimoniali)
le disuguaglianze sono ancora maggiori: l'Italia, infatti, ha un
indice di Gini relativo alla ricchezza di 0,63.
Ciò
non è solo preoccupante dal punto di vista etico e sociale, ma anche
dal punto di vista economico perché le disuguaglianze economiche
accentuate sono un freno allo sviluppo e un importante fattore di
peggioramento della qualità della vita dell'intera popolazione.
Secondo
gli ultimi dati Istat 4,8 milioni di persone sono in condizioni
di povertà assoluta e 9,5 milioni in povertà relativa (per una
famiglia di due persone ciò significa un reddito inferiore a 990
euro mensili). Le famiglie in povertà assoluta erano il 4,6% nel
2009, il 5,2% nel 2011 e ora sono il 6,8%. Mentre una parte
della popolazione italiana scivola verso la povertà aumenta la
ricchezza dei ricchi, infatti la ricchezza netta pro capite è andata
sempre aumentando, anche in questi anni di crisi economica.
Ci
chiediamo: ma i nostri governanti leggono i rapporti dell'Istat? Che
si aspetta a intraprendere efficaci politiche di redistribuzione
della ricchezza? Perché da noi non esiste una patrimoniale come
nella maggioranza dei Paesi civili? Perché si tagliano i fondi alle
politiche sociali (cioè ai poveri e svantaggiati) e si regalano 4
miliardi ai proprietari di case (il costo dell'abolizione dell'IMU)?
Probabilmente
tra i motivi per cui tutto ciò non avviene c'è il fatto che la
maggioranza degli italiani ignora questi dati, non ha consapevolezza
della gravità delle disuguaglianze e dei nefasti effetti che ne
conseguono, è più interessata ad altro (ad es. se Berlusconi rimarrà
senatore, se l'IMU sarà effettivamente abolita – anzi sostituita con
una tassa sui servizi - cosa ha fatto o detto Belen o qualche altra
diva ecc. ) e ciò è determinato anche e sopratutto dai mezzi di
informazione, che quasi sempre sono di proprietà di quella esigua
minoranza di superricchi che non hanno evidentemente alcun interesse
a che i cittadini prendano consapevolezza di questa situazione.
Che
fare dunque? Non fidarsi di
quello che dicono giornali e tv ma approfondire i problemi con
spirito critico, informare quante più persone è possibile, dare una
mano a quelle realtà che si battono per una società più giusta ed
equa (per esempio la Marco Mascagna), essere fattivamente solidali
con i poveri, gli ultimi, le vittime di questa società. Nel
giudicare l'operato del Governo e dei nostri amministratori, nonché
per le nostre scelte politiche dovremmo sempre avere come criterio
guida i bisogni e gli interessi di questi soggetti più svantaggiati.
Fonti: Istat (quasi tutti i dati sono tratti da www.istat.it/it/files/2013/03/4_Benessere-economico.pdf), Eurostat 2012.
Felice Pignataro, l'artista, il maestro dei bambini delle baracche,
la sveglia delle coscienze sopite (fondatore e anima del GRIDAS Gruppo
Risveglio dal Sonno), l'instancabile militante per un mondo migliore,
l'ambientalista, il pacifista, il nonviolento, l'autore di oltre 200
murales, morto nel 2004, finalmente è stato omaggiato dalla sua città
di adozione. Il Comune di Napoli ha deciso infatti di dedicargli la
stazione di Piscinola del metrò (FELImetrò) che ora raccoglie una
bella documentazione della sua produzione artistica.
Ricordiamo che mentre si spendevano cifre esorbitanti per pagare
artisti e consulenti per le installazioni delle stazioni di
Vanvitelli, 4 Giornate, S. Rosa, Museo e Dante, si permetteva che
andassero alla malora o si distruggevano murales e mosaici di Felice
(il mural "Il treno dei guai" di Via Cintia, dedicato a Marco
Mascagna, veniva in parte abbattuto per fare posto ad un distributore
di benzina!). Per questo la scelta di dedicare la stazione di Scampia
a Felice (con una spesa irrisoria: i soli costi delle gigantografie e
dei pannelli, perché né la famiglia di Felice né il GRIDAS hanno
voluto alcun compenso per i diritti d'autore) è un doveroso
risarcimento a questo nostro grande concittadino. Meglio tardi che
mai!
Queste le parole di papa Francesco per lanciare la giornata di
digiuno per la pace in Siria (a Napoli ci sarà un presidio sul sagrato
del duomo alle 16.30 di sabato 7). Il vescovo di Roma ha continuato
invitando a «non chiudersi nei propri interessi, ma intraprendere con
coraggio e decisione la via dell'incontro e del negoziato, superando
la cieca contrapposizione». Parole che condividiamo anche per la
vicenda siriana.
La situazione in Siria è quanto mai aggrovigliata, cercheremo
di illustrarla sinteticamente e divedere cosa ognuno di noi può
fare.
Nella primavera 2011 sono iniziate grandi
manifestazioni pacifiche, coinvolgenti cittadini di tutte
le confessioni religiose e di tutte le etnie, nelle quali si chiedeva
democrazia, libertà, giustizia sociale.
Dopo mesi di tale rivolta pacifica sono iniziate le azioni di gruppi
terroristici sunniti (alcuni finanziati dallo stesso regime di Asad
per dividere gli oppositori, riavere l'appoggio di sciti, cristiani e
drusi e potere scatenare una violenta repressione) e poi jiadisti,
sciti, filogovernativi, di ex ufficiali e soldati dell'esercito.
Ognuno di questi gruppi ha i propri finanziatori: Qatar, Arabia
Saudita, Iran, Turchia, Emirati Arabi, Giordania, Al Qaeda ecc. Uno
studio ha censito 213 brigate armate operanti nel Paese, spesso in
guerra tra loro.
Si è passati così da un'iniziale rivoluzione pacifica ad una guerra
civile dove ai massacri e alle efferatezze dell'esercito
corrispondevano i massacri e le efferatezze dei gruppi armati. Tutto
ciò ha portato all'eclissarsi dell'opposizione pacifica (molti leader
e militanti sono stati arrestati, sono fuggiti all’estero o sono
ritornati nell'anonimato), ad un'escalation del numero di profughi
(250.000 all'estero dall'autunno 2011 all'autunno 2012, 2 milioni
all'estero e 5 milioni all'interno del Paese nell'ultimo anno, con un
forte incremento dopo le minacce USA di attacco), allo scatenarsi di
odi religiosi ed etnici.
Invece di operare per una pacificazione dell'area e per gli interessi
delle popolazioni, Russia, USA, Israele, Europa hanno badato
solo ai propri interessi con uno sguardo miope e cinico. La
Russia ha sostenuto in tutti i modi Asad suo alleato, gli USA e parte
dei Paesi europei hanno cercato di sfruttare la rivoluzione civile per
spostare la Siria dall'influenza di Mosca a quella propria, Israele ha
preferito il "sicuro" dittatore Asad all'incerta opposizione civile e
armata (posizione condivisa da altri Paesi europei). Tanti hanno
lucrato vendendo armi (le stesse armi chimiche di Asad secondo
giornali inglesi sono di produzione inglese).
Le vicende siriane confermano che la strada per la pace e i diritti
dei popoli non si persegue con interventi militari, ma con una
politica che dia la priorità a questi obiettivi e non a miopi
interessi di parte e che contempli un deciso rafforzamento dell'azione
dell'ONU (si pensi che la spesa per armamenti di un singolo
giorno è di 4,6 milioni di dollari, cioè quasi il doppio del
bilancio annuo dell'ONU).
Che cosa ciascuno di noi può fare è ben sintetizzato in un documento
del movimento nonviolento: "Esprimere la nostra contrarietà
ad ogni guerra, lottare per il disarmo e
la riduzione delle spese militari globali e
nazionali, per il sostegno alle campagne contro il commercio delle
armi, per la promozione dei Corpi civili di pace
come forze di intervento preventivo nei conflitti, per la difesa
civile non armata e nonviolenta attraverso la formazione di
giovani volontari civili, per sviluppare politiche culturali
ed educative fondate sulla nonviolenza, per incalzare i
nostri governi ad operarsi per la riforma e il rilancio delle
Nazioni Unite che possano operare davvero con una legale e
democratica polizia internazionale, come superamento degli eserciti,
per il rispetto del diritto e la difesa degli aggrediti".
Noi aggiungiamo anche non fidarsi di quello che dicono
giornali e tv ma approfondire i problemi con spirito
critico, informare quante più persone è possibile, dare
una mano a quelle realtà aggregative che si battono per la pace e
per una società più giusta, avere uno stile di
vita sobrio, essere fattivamente solidali con i
poveri, gli ultimi, i profughi, le vittime di violenze e ingiustizie.
Fare cioè quello che Marco Mascagna faceva fino all'8 settembre del
1991, quando un'auto troppo veloce lo investì sulla Domiziana. E'
quello che da 22 anni anche noi della Marco Mascagna cerchiamo di
fare. Saremo tanto più efficaci quante più persone ci
sosterranno e ci daranno una mano.
Fonti: Limes (n.2/13), ONU.
Consigliamo di leggere l'intervista del settembre 2012 a Paolo
dell'Oglio, il gesuita scomparso in Siria (www.perlapace.it/?id_article=8510)
In Italia vi sono 400.000 lavoratori stagionali in nero, quasi sempre
pagati a cottimo, un tot per ogni cassa raccolta (2-2,5 euro a cassone
per i pomodori). Il cottimo ti costringe a ritmi massacranti: ogni
minuto perso per tirare il fiato, raddrizzare la schiena, asciugarsi
il sudore sono soldi in meno nella paga giornaliera. Si lavora dalle
10 alle 16 ore al giorno per guadagnare da 20 a 50 euro. Il guadagno
dipende oltre che dalle ore lavorate e dall'intensità di lavoro anche
dal prodotto raccolto (arance, fragole, asparagi ecc.) e dell'avidità
del padrone e del caporale. In prevalenza sono immigrati senza
permesso di soggiorno o con permesso scaduto, quindi senza diritti,
senza assicurazione sul lavoro, senza previdenza. Questo esercito di
lavoratori in nero, sfruttati come schiavi, permette di presentare sul
mercato frutta e verdura a prezzi molto contenuti, facendo così
concorrenza sleale ai produttori onesti, soprattutto ai coltivatori
diretti. Un'economia che è criminale già in sé e che spesso è
controllata o gestita dalle grandi organizzazioni criminali. Un
fenomeno diffuso non solo al Sud Italia ma anche nel Lazio, in
Lombardia, in Emilia, nella Provincia di Bolzano. Le cause (oltre
l'avidità e l'assenza di scrupoli di padroni e caporali)? Eccone
qualcuna: il reato di caporalato è stato istituito solo a fine 2011,
troppo complesse sono le procedure che permettono ad un lavoratore
straniero di lavorare in Italia, troppo pochi sono i permessi di
soggiorno concessi ai migranti, troppo alta la tassazione sul lavoro,
troppi intermediari tra produttore e consumatore, troppo pochi i
controlli, troppo poco interesse da parte dei politici e dell'opinione
pubblica su questo tema.
Fonte: FLAI-CGIL 2013
Alcune precisazioni sulle ztl
Alcuni ci hanno posto alcune obiezioni su quanto dicevamo sulla ztl.
Li ringraziamo e riportiamo le loro obiezioni con le nostre risposte.
1° obiezione: "E' vero che il crollo della Riviera di
Chiaia e la Coppa America hanno creato una situazione estremamente
critica ma proprio per questo andava aperta via Caracciolo".
Stante i lavori della Coppa America, si potevano aprire solo due
corsie di Via Caracciolo e questo ha pensato di fare l'Assessora
Donati, ma il Prefetto, a nostro parere giustamente, ha detto che con
la Riviera di Chiaia bloccata e i lavori della Coppa America bisognava
lasciare queste corsie riservate ai veicoli di emergenza (polizia,
autoambulanze ecc.) e dei lavori (nonché taxi e handicap).
2° obiezione: "Vanno bene le ztl, ma queste devono
andare di pari passo con l'attuazione del Piano della Rete Stradale".
Il Piano della rete stradale, varato nel 2000, è parte del piano dei
trasporti (del 1997) e ad esso subordinato. Questo piano prevede la
realizzazione dei seguenti interventi: costruzione delle linee ferrate
Dazio-Coroglio-Flegrei, Soccavo-S.Angelo-Flegrei, ex LTR,
Dante-Municipio-Garibaldi, Scampia-Secondigliano-Areoporto-Garibaldi,
funicolari Museo-Capodimonte e Fuorigrotta-Posillipo; 27 km di nuovi
assi, di cui 10 km di infrastrutture autostradali e 17 km di nuove
strade ordinarie; adeguamento di 23 Km di autostrade urbane e 8 km di
demolizioni. Sono passati 16 anni dal Piano trasporti e tranne la
demolizione della sopraelevata di Corso Novara, gli svincoli dell'asse
mediano e l'apertura delle stazioni Diaz e Bovio della linea 1 non si
è realizzato altro. Se si volesse aspettare la realizzazione di tutte
quelle opere pensiamo che le ztl le vedranno i nostri nipoti
3° obiezione: "Va bene le ztl, ma ci vorrebbero più
mezzi pubblici".
Su questa obiezione siamo totalmente d'accordo. Purtroppo lo Stato
(Governo Berlusconi) ha tagliato di circa il 30% i finanziamenti ai
trasporti pubblici, per cui è difficile in questi ultimi tempi
investire nel settore. Per fortuna un emendamento alla finanziaria ha
spostato risorse dal Ponte sullo Stretto al trasporto locale e ora
dovrebbero venire un poco più di risorse. Va detto che, a paragone di
altre nazioni, il trasporto pubblico locale in Italia è molto
inefficiente per cattiva gestione, evasione e lentezza dei mezzi
pubblici. Le ztl sono uno strumento per aumentare la velocità di
autobus, tram e filobus. Negli orari di attività, a Napoli gli autobus
viaggiano a 5-7 Km/h a Londra 15-20/Kmh. Ciò significa che gli
autobus, oltre ad offrire un servizio scadente, possono portare un
terzo dei passeggeri degli autobus londinesi (incassando la terza
parte di quanto si incassa a Londra).
4° obiezione: "Bisognerebbe prima costruire parcheggi
sul perimetro delle ztl".
La scelta di costruire parcheggi vicino alle ztl oggi non è più
seguita dagli urbanisti esperti di traffico (Winkler ecc.) e da molte
città, perché i parcheggi sono per definizione degli attrattori di
auto e quindi favoriscono il traffico. Monaco di Baviera, per esempio,
che ha 44 Kmq di zone a traffico limitato (senza contare che l'intera
città non è percorribile da mezzi inquinanti) non ha di regola
parcheggi vicino alle ztl. I parcheggi sono alla periferia della città
vicino a svincoli autostradali e stazioni di linee su ferro.
5° obiezione: "Vanno bene le ztl ma devono essere
frutto di programmazione, ascolto dei cittadini e aggiustamenti in
itinere".
Anche su ciò siamo d'accordo, ma non crediamo che sia un'accusa da
fare all'Assessorato della Donati. L'Assessora Donati ha organizzato
vari incontri pubblici e consulte, invitando per mail associazioni
(anche la Marco Mascagna) e gruppi di interesse e pubblicando l'invito
sulla pagina web e sulla news-letter del Comune. Appena insediatasi ci
ha illustrato le sue idee sulla mobilità e la strategia che voleva
seguire. I progetti di ztl sono stati illustrati (a noi e a tutti gli
interessati) e discussi sia quando erano un progetto di massima che in
fase più avanzata; tutti hanno potuto parlare e presentare documenti,
tutti sono stati ascoltati. Tutte le ztl sono state varate prima in
maniera provvisoria e solo dopo vari mesi di verifiche e aggiustamenti
in via definitiva. Una tale prassi partecipativa l'abbiamo vista solo
nella prima Giunta Bassolino. Ovviamente l'Assessora Donati ha sempre
ribadito che le scelte di fondo non erano in discussione per coerenza
con quanto promesso in campagna elettorale da De Magistris e, quindi,
per rispetto della volontà popolare.
6° obiezione: "E' difficile fare delle ztl se non si
riesce a comunicare con i cittadini".
Questa obiezione ce la siamo fatta da soli. Le associazioni
ambientaliste hanno inviato 4 comunicati stampa e solo Il Mattino ne
ha pubblicato uno, abbiamo fatto una manifestazione alla conferenza
stampa di Energy-Med e solo Il Mattino le ha dedicato due righi.
Nessun giornale ha riportato i dati delle ricerche di Confcommercio e
Confindustria che indicano che a Napoli il commercio nel Centro
Storico è molto meno in crisi che in altre città e che le
presenze turistiche sono aumentate del 10,5% nel 20121.
Nessuna testata giornalistica ha riportato che Napoli ha
migliorato di 6 posizioni la sua situazione del traffico2.
Leggendo i giornali sembra che a Napoli si sia
pedonalizzata tutta la città, mentre andava detto che si sono
portate le ztl a soli 3 Kmq e che Firenze ne ha 4
Km (e ha poco circa un terzo degli abitanti di Napoli), e
Monaco 44 Kmq2 (e ha 1,3 milioni di abitanti)3.
I giornali non hanno mai informato i cittadini che
l'inquinamento atmosferico di Napoli provoca ogni anno
1500 morti, 28.000 accessi al pronto soccorso per crisi di
asma, 24.500 bronchiti acute nei bambini4. Il
trasporto su gomma è di gran lunga la principale causa. E'
responsabile del 78% del benzene (causa di leucemie
infantili), del 40% dei composti organici volatili, del 30% delle
polveri fini, del 67% del CO5. Purtroppo le ricerche possono dirci
ormai con piccolo margine di errore quante persone muoiono e si
ammalano di inquinamento ma non riescono a dirci se una determinata
persona è morta o ha l'asma per l'inquinamento o un'altra causa. Se lo
si potesse sapere ci sarebbe un presidio fisso sotto il Comune di
migliaia e migliaia di malati e loro familiari e forse allora i
giornali sarebbero pieni di articoli con dati e storie commoventi. Ma
non sarebbe giusto parlarne anche ora?
Per tutto questo ti invitiamo a diffondere queste informazioni
e a firmare la nostra petizione a favore delle ztl su questo sito www.activism.com/it_IT/petizione/il-comune-di-napoli-non-torni-indietro-si-alle-ztl/43291
1) Confesercenti-Anama 2013 e Osservatorio Associazione italiana
Confindustria Alberghi (riportato da Il Sole 24 Ore 2/4/2013).
2) TomTom Congestion Index 2012
3) ISFORT 2011
4) Kunzli et al, Lancet 2000
5) ISPRA Ministero dell'Ambiente 2010 (anno di riferimento 2008)
"I medici pietosi rendono le piaghe cancrenose". I proverbi, si dice,
sono la saggezza dei popoli. E in questo proverbio c'è molta saggezza
e lungimiranza, perché a nessuno piace soffrire, ma talvolta evitare
sofferenze, dolori e disagi è la cosa peggiore che si può fare.
Ci rendiamo conto che le ztl comportano disagi a gruppi di cittadini,
ma è proprio la politica di immobilismo seguita dalle precedenti
amministrazioni per non perdere facili consensi che ha portato ad una
situazione insostenibile ed oggi non è possibile uscirne con
interventi indolori.
Napoli ha 58 auto ogni 100 abitanti1, quasi il doppio
delle principali città europee (Barcellona 38, Monaco 35,
Londra 31, Berlino 292), e il 30% degli
spostamenti in auto copre distanze tra 1 e 3 Km
(percorribili a piedi tra i 10 e i 30 minuti) 3. Se non si aggredisce
tale situazione si avranno sempre traffico e inquinamento, autobus e
tram viaggeranno come lumache svolgendo un servizio pessimo a costi
proibitivi. La velocità media dei bus a Napoli è di 5-7 Km/h,
a Londra di 15-20 Km/h, e questa differenza è dovuta al
fatto che Londra ha una ztl di 25 Kmq con ticket per
circolare di 11 euro al giorno: quindi un autobus
a Napoli rende 4 volte meno che a Londra sia come trasporto
passeggeri che come biglietti venduti.
Purtroppo la sfortuna ci ha messo anche del suo: proprio un paio di
giorni dopo che si è ratificato l'accordo per la Coppa America a Via
Caracciolo, alla Riviera di Chiaia crolla un palazzo con conseguente
interdizione al traffico di questa strada e aumento a dismisura dei
disagi. Rimandare o fare da qualche altra parte la Coppa America non
si può perché gli organizzatori pretendono il rispetto del contratto;
annullarla significa pagare penali salatissime, aver speso soldi senza
avere nessuna entrata, dare un colpo gravissimo ad alberghi,
ristoranti, commercio e perdere ogni credibilità a livello mondiale.
Quindi, finché non terminerà la Coppa America, non ci sono
alternative. Questo lo sanno benissimo i politici che
chiedono di annullare la Coppa America e i commercianti che vogliono
che si apra la Riviera di Chiaia e via Caracciolo. Perché allora si
agitano tanto? Per abbattere l'avversario politico (siamo ormai
abituati alla demagogia e alla perdita di ogni senso etico), per
cogliere l'occasione per ritornare alla situazione di immobilismo
delle giunte Iervolino e, ancor prima, di Centro, giunte che hanno
fatto si che a Napoli si debbano contare ogni anno 1500
morti, 24.000 bronchiti acute nei bambini e 28.000 accessi al pronto
soccorso per asma per l'inquinamento atmosferico4.
Come sempre si danno informazioni false per sostenere le proprie
posizioni.
Per esempio, si dice che il traffico è peggiorato in tutta la città
dopo le ztl. Eppure da poco è uscito il rapporto sulla congestione
nelle città e si scopre che Napoli nel 2012 è
migliorata di 6 posizioni nella classifica5. Si dice che le
ztl hanno messo in crisi il commercio eppure una ricerca proprio della
Confcommercio6 evidenzia che la crisi colpisce soprattutto Roma e
Torino e poi Napoli (e non sono state istituite nuove ztl a Roma e le
nuove limitazioni del traffico a Torino riguardano solo i diesel più
inquinanti). Sempre la Confcommercio dà la classifica dei
centri storici con la maggiore percentuale di negozi chiusi (sfitti):
Cagliari, Rovigo, Catania, Palermo. Napoli non è
assolutamente tra le prime. Quindi la crisi del
commercio non dipende dalle ztl ma dalla crisi economica e
le ztl anzi possono essere un intervento di sostegno.
D'altra parte che le ztl danneggiano il commercio lo si diceva anche
quando si sono pedonalizzate Via Scarlatti, Via Chiaia, Piazza
Plebiscito, Piazza del Gesù, Via Benedetto Croce, Via Toledo. Il tempo
ha dimostrato che non era per niente vero e oggi i commercianti di
queste zone protesterebbero se si decidesse di aprirle nuovamente al
traffico.
Disinformare è anche censurare i comunicati di
Legambiente, WWF, Italia Nostra, Marco Mascagna, Cicloverdi, Mamme
Antismog, Associazione Culturale Pediatri, Pediatri per un Mondo
Possibile, come hanno fatto Repubblica, Corriere, Roma, RAI (unica
eccezione Il Mattino). Oppure non pubblicare le lettere di
chi è a favore delle ztl o far comparire appena si apre la
pagina di Napoli di Repubblica online un messaggio di un avvocato che
invita a ricorrere contro le ztl con sicura vittoria (ovviamente senza
alcun avviso di messaggio pubblicitario e senza dire che un primo
ricorso è stato perso).
Noi pensiamo che il diritto alla salute è inderogabile (come afferma
la Costituzione), che il bene di tutta la collettività viene prima di
quello di minoranze rumorose, che bisogna garantire il diritto alla
mobilità ma anche e soprattutto di chi non ha un'auto o una moto o non
vuole usarle per non avvelenare l'aria, che le questioni vanno
affrontate ragionando e dicendo le cose come stanno.
Tra le cose da dire ai cittadini c'è questa: che ridurre il
numero di auto e moto circolanti è un esigenza inderogabile, perché
una città con 58 auto, 14 motocicli e 5 ciclomotori ogni 100
abitanti sarà inevitabilmente una città invivibile, dove autobus e
tram non possono funzionare ed essere economicamente non
fallimentari. Le città europee questo l'hanno capito già 20
anni fa e hanno seguito varie strategie: ampie ztl (es.
Monaco), ticket per circolare (es. Londra), drastica riduzione di
parcheggi in città (es. Parigi). L'Assessora Donati sembra
aver scelto la prima strategia: se le persone e i politici che
protestano preferiscono le altre strategie lo dicano apertamente, quello
che non si può più tollerare è illudere i cittadini che sia meglio
non fare niente o che esistano soluzioni indolori.
Per questo ti invitiamo a firmare la petizione online su questo sito www.activism.com/it_IT/petizione/il-comune-di-napoli-non-torni-indietro-si-alle-ztl/43291
Alleghiamo anche un volantino del Comitato pro ztl
1) Ministero dei Trasporti 2012
2) Eurostat 2012
3) ISFORT 2011
4) Kunzli et al, Lancet 2000
5) TomTom Congestion Index 2012
6) Confesercenti-Anama 2013
In allegato trovate la nuova edizione aggiornata dell'opuscolo "I costi ambientali, sanitari ed economici del nostro modello di mobilità" .
Leggetelo con attenzione e diffondetelo
Il commissario UE all'Ambiente, Janez Potocnick, sulla gestione dei rifiuti in Italia ha dichiarato: "Non ci saranno più soldi per le discariche, ma saremo più che felici di cofinanziare strutture per il riciclo, che aiuteranno ad andare nella direzione che stiamo promuovendo oggi (…) E' veramente una questione di organizzazione e volontà.
E' vero che il nostro sistema sanitario fa acqua da tutte le parti
come spesso si legge dai giornali?
Se prendiamo l'aspettativa di vita alla nascita come indicatore del
“sistema salute” (intendendo con questo termine non solo il sistema
sanitario, ma tutti i fattori che influenzano la salute dei cittadini
di una nazione) dobbiamo gioire, perché siamo al primo posto tra i
Paesi europei (82 anni), seguiti da Francia, Spagna, Svezia, Svizzera,
Islanda (81 anni), Germania, Norvegia, Gran Bretagna, Irlanda, Belgio,
Lussemburgo, Grecia (80 anni), Finlandia, Danimarca, Portogallo (79
anni), Slovenia e Repubblica Ceca (77 anni), fino ad arrivare ai 69
anni dell'Ucraina.
L'Italia è anche uno dei Paesi che spende di meno per la Sanità (l'8%
del PIL), pari alla Svezia, poco più della Spagna (7,7%) e molto meno
di Francia (9,5%) e Germania (10,3%). Il nostro sistema ha altri due
vantaggi: copre tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro
condizione lavorativa e dal loro reddito, e non prevede “anticipi di
spesa” (in altri Paesi i farmaci o le analisi prima si pagano e poi si
chiede il rimborso al sistema sanitario).
Guardiamo ora qual'è l'aspettativa di vita nelle varie regioni
italiane. Purtroppo la Campania è all'ultimo posto (77 anni per i
maschi e 83 per le femmine), seguita da Sicilia, Valle d'Aosta,
Piemonte, mentre le Marche e la Toscana sono ai primi posti.
I fattori principali che determinano la salute sono le abitudini di
vita (fumo, alcol, alimentazione, attività fisica, droghe, ecc.), le
condizioni sociali (lavoro, reddito, reti parentali-amicali, servizi
sociali ecc.), l'ambiente (inquinamento, casa, trasporti ecc.), il
sistema sanitario, i fattori genetici.
Per esempio, secondo il Center for Desease Control degli USA, la
mortalità per tumori dipende per il 37% dallo stile di vita, per il
24% dall'ambiente e da fattori sociali, per il 24% da fattori genetici
e per il 10% dalla “sanità”; le malattie cardiovascolari dipendono per
il 54% dallo stile di vita, per il 9% dall'ambiente e da fattori
sociali, per il 25% da fattori genetici e per il 12% dalla “sanità”.
La situazione in Italia, che in tutti questi fattori ha una situazione
migliore, non dovrebbe essere molto diversa da quella degli USA.
Quindi se investissimo ingenti risorse in ambulatori, ospedali,
accertamenti diagnostici, farmaci ecc. per rendere la diagnosi, cura e
riabilitazione pressoché perfetta ridurremmo la mortalità per tumore
solo del 10% e quella delle malattie cardiovascolari solo del 12 %.
Una prima considerazione che allora possiamo trarre è che poiché gli
stili di vita e l'ambiente (sia fisico che sociale) sono i principali
determinanti delle due più importanti patologie oggi presenti ci si
dovrebbe impegnare molto di più su questi due fronti:
educazione-promozione della salute e lotta
all'inquinamento-miglioramento del tessuto sociale.
Per quanto riguarda il primo punto ciò significa essenzialmente
attività di educazione sanitaria programmate in maniera puntuale e
condotte capillarmente su tutto il territorio da personale qualificato
e norme che scoraggino comportamenti nocivi e che promuovano
comportamenti salutari (divieto di pubblicizzazione di alimenti non
salubri nelle fasce orarie protette, etichettatura che segnali i
rischi del consumo di determinati alimenti e sostanze, tasse su
alimenti particolarmente non salutari e benefit per la promozione di
alimenti salutari ecc.). Da questo punto di vista siamo messi molto
male: in Italia (ma non diversa è la situazione degli altri Paesi) non
esistono scuole di specializzazione in educazione-promozione della
salute, tale materia è pressoché assente nei curricola universitari
per la preparazione di medici, psicologi e sociologi, meno dell'1% di
tutte le risorse per la sanità sono dedicate a queste attività.
La conseguenza di tutto ciò è dipinta da un'indagine commissionata dal
Ministero della Salute: su 339 progetti di promozione della corretta
alimentazione e dell'attività fisica condotte dalle ASL solo 6
seguivano le indicazioni della letteratura scientifica sugli
interventi efficaci!
Se una tale proporzione (6/339) avesse riguardato gli interventi
chirurgici invece che quelli di educazione sanitaria, che cosa sarebbe
successo? Avremmo avuto le prime pagine dei giornali e una mezza
sollevazione popolare. Questa pessima situazione sul lato
dell'educazione-promozione della salute è conseguenza perciò anche
dell'attenzione dei cittadini a questi temi (attenzione molto scarsa)
e delle loro richieste: per i chirurghi si pretende adeguata
preparazione e aderenza alle indicazioni della ricerca scientifica,
per i pochi che si interessano di promozione della salute basta la
buona volontà e il dilettantismo. Se si chiude un ospedale, un
poliambulatorio o un pronto soccorso, anche poco utilizzati o
inefficienti, non mancano mai le proteste di cittadini ed enti locali;
se non si attuano progetti di promozione della salute, se si chiudono
le poche strutture esistenti o si smantellano le poche attività che si
svolgono non interessa a nessuno.
E' soprattutto da questo punto di vista che il nostro sistema
sanitario è oltremodo scadente.
Fonti: CIA World Factbook 2012, US-CCD 1985, Ministero della Salute-Dors 2010
Quante volte abbiamo sentito politici, economisti, opinion leader
dire "In Italia i lavoratori dipendenti sono troppo protetti"? Quante
volte abbiamo letto sui giornali "Le imprese non assumono perché è
troppo difficile licenziare"? Quante volte parlando con amici e
conoscenti abbiamo sentito affermare con sicurezza "Bisognerebbe avere
la possibilità di licenziare chi è lavativo come fanno gli altri Paesi
europei"? O ancora "Abbiamo troppi lavoratori del pubblico impiego",
"Bisogna ridurre gli impiegati pubblici". Ebbene queste affermazioni
sono vere o no? E' vero che i nostri lavoratori dipendenti sono così
protetti e che abbiamo tanti statali, regionali, comunali?
Ecco i dati:
Indice di protezione dei lavoratori dipendenti a tempo indeterminato dal licenziamento individuale (=0= nessuna protezione, 6= totale protezione) anno 2008 (2009 per Francia e Portogallo). Fonte Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico www.oecd.org/employment |
|
Portogallo |
3,51 |
Repubblica Ceca |
3,00 |
Slovenia |
2,98 |
Germania |
2,85 |
Olanda |
2,73 |
Svezia |
2,72 |
Lussemburgo |
2,68 |
Francia |
2,6 |
Slovacchia |
2,45 |
Spagna |
2,38 |
Fillandia |
2,38 |
Grecia |
2,28 |
Estonia |
2,27 |
Austria |
2,19 |
Polonia |
2,01 |
Belgio |
1,94 |
Ungheria |
1,82 |
Italia |
1,69 |
Irlanda |
1,57 |
Danimarca |
1,53 |
Regno Unito |
1,17 |
Come si vede l'Italia tra i Paesi europei è ai primi posti per
facilità di licenziare i dipendenti a tempo indeterminato (di quelli a
tempo determinato, le tante forme di precariato, è inutile parlarne).
A differenza di altri Paesi (es. Danimarca) non abbiamo però un
sistema efficace di tutela dei disoccupati (reddito di cittadinanza,
sussidi di disoccupazione ecc.), per cui la condizione dei lavoratori
è molto più precaria e fragile.
Anche l'affermazione che abbiamo troppi dipendenti pubblici è
destituita di fondamento. Nel 2008 (ultimo dato disponibile) in Italia
c'erano 5.7 dipendenti pubblici ogni 100 abitanti; in Francia erano
7.8, in Spagna 6.4, negli USA 7.1, nel Regno Unito 9.11
e in Germania 5.6 nel 2011 (se però includiamo anche le imprese di
proprietà pubblica la Germania sale a 7.1 contro 6.1 per l'Italia).
Anche come percentuale di lavoratori dipendenti occupati nei servizi
pubblici (elettricità, gas e acqua; trasporti pubblici; poste e
telecomunicazioni; servizi per l'impiego; tutti i livelli della
pubblica amministrazione; educazione e ricerca; assistenza sanitaria e
sociale) l'Italia è agli ultimi posti.
Percentuale di dipendenti occupati nei servizi pubblici sul totale degli occupati. Fonte European Center of Employers and Enterprise (UE) 2010 |
|
Danimarca |
40 |
Belgio |
40 |
Svezia |
40 |
Olanda |
40 |
Francia |
37 |
Fillandia |
35 |
Regno Unito |
34 |
Germania |
32 |
Ungheria |
30,5 |
Austria |
28 |
Repubblica Ceca |
27 |
Slovacchia |
27 |
Lussemburgo |
27 |
Irlanda |
26 |
Polonia |
26 |
Estonia |
26 |
Grecia |
26 |
Slovenia |
26 |
Italia |
25 |
Portogallo |
24 |
Spagna |
23 |
Possiamo dire quindi che in Italia c'è una carenza di lavoratori del
pubblico impiego e dei pubblici servizi e ciò spesso è un grande
spreco. Infatti, se si è costruita una costosa metropolitana e poi
non si assumono macchinisti per far passare con frequenza i treni è
uno spreco. Se si ha un enorme patrimonio culturale, storico e
artistico ma non lo si può offrire alla fruizione perché non c'è
personale è uno spreco.
Certo esistono anche uffici dove si lavora poco o si produce beni di
scarsa utilità. Certo esistono anche dipendenti scansafatiche e
lavativi. Ma la soluzione non è ridurre ancor più il personale del
pubblico impiego e dei servizi o ripetere luoghi comuni privi di
fondamento per guadagnare il consenso di persone purtroppo poco
informate (e oggi essere informati è particolarmente difficile).
Perché Napoli ha 58 auto ogni 100 abitanti (e 14 motocicli,
5 ciclomotori, 4 veicoli commerciali) e Barcellona ne ha 38, Monaco
35, Londra 31, Berlino 29, Parigi 261? Perché
a Napoli vi sono 4.700 auto per Kmq (la più alta
densità veicolare d´Italia), mentre a Monaco 1550, a Londra 1600, a
Berlino 1150?
La risposta che tutti danno è che queste città, a differenza di
Napoli, hanno fitte reti di metropolitane e mezzi pubblici che
funzionano. Infatti Londra ha 416 Km di metropolitana, Parigi 215,
Berlino 145, Barcellona 112, Monaco 86 e Napoli solo 32.
Ma le cose stanno veramente così? Innanzitutto i dati devono essere
rapportati alla popolazione e all´estensione del territorio. La
siderale distanza tra Napoli e Londra si riduce drasticamente se
consideriamo che Londra ha circa 8.170.000 abitanti ed un´estensione
di 1.570 Kmq, mentre Napoli ha solo 960.000 abitanti ed un´estensione
di 117 Kmq. Londra, quindi, offre 51m di metropolitana ogni 100
abitanti e Napoli 33m; addirittura Londra ha solo 265m di
metropolitana per Kmq e Napoli 271.
La differenza tra la metropolitana di Napoli e quella di Londra o di
Parigi è nella frequenza dei treni: a
Napoli tra i 5 e i 15 minuti, a Londra e Parigi tra 1 e 5 minuti.
Questo rende molto più appetibile muoversi con il metrò e moltiplica
per 5 la capacità di trasporto delle linee.
Ma la differenza più marcata tra Napoli (e in genere le città
italiane) e quelle europee non sta nemmeno in questo e neppure nel
numero di autobus per abitante o per Kmq. La vera differenza
abissale tra Italia ed Europa sta nel numero di persone che usano i
piedi per muoversi. Come si vede nella tabella l´uso dei
mezzi pubblici tra Italia Germania e Francia è uguale, ed è uguale
anche tra Berlino, Parigi e Napoli. La differenza eclatante è nell´uso
dell´auto e in quello dei muscoli: nell´intorpidimento fisico e
mentale della maggioranza degli italiani che non sa assolutamente rinunciare
all´auto e mettere in moto i muscoli.
Ripartizione % degli spostamenti urbani (piedi tragitti superiori ai 5 min) (ISTAT, Mobility Panel Germany, CERTU, EPOMM) |
||||
|
piedi |
bici |
mezzi pubblici |
Auto e moto |
Italia (2011) |
12 |
3 |
10 |
75 |
Germania (2011) |
22 |
15 |
10 |
53 |
Francia (2010) |
29 |
3 |
10 |
58 |
Napoli (2001) |
13 |
0 |
26 |
61 |
Londra (2008) |
20 |
2 |
41 |
37 |
Berlino (2008) |
30 |
13 |
26 |
31 |
Parigi (2010) |
61 |
3 |
27 |
9 |
Monaco (2008) |
28 |
14 |
21 |
37 |
Barcellona (2006) |
43 |
0 |
36 |
26 |
Eppure per piccole distanze, percorribili in 5-30 minuti, andare
a piedi è la scelta più ragionevole: fa bene alla
salute (i medici consigliano di camminare 1 ora a passo
svelto tutti i giorni), non costa niente, si è certi dell´orario
di arrivo (non si hanno problemi di traffico, parcheggio o
attesa alle fermate), il tempo impiegato è pressoché identico
a quello speso se si fossero utilizzati l´auto o un mezzo pubblico.
Ebbene in Italia il 30% degli spostamenti dei giorni feriali
riguarda distanze inferiori a 3Km, cioè percorribili in
5-30 minuti. Un altro 23% degli spostamenti riguarda distanze tra 3 e
5 Km (percorribili in 30-60 minuti a piedi e in 7-20 minuti in bici)2.
Se gli italiani facessero questa scelta di buon senso
scomparirebbe il traffico, gli autobus sarebbero più frequenti e
veloci perché non si bloccherebbero nel traffico, vi
sarebbe un netto miglioramento dell´inquinamento
atmosferico e acustico e, quindi, una riduzione di tumori, malattie
cardiovascolari, asma, bronchite cronica, cefalea ecc. La
città sarebbe più vivibile e più sicura.
Eppure in Italia non si parla mai di questo, non si fanno campagne per
invitare a camminare a piedi (quanti medici ricordano ai loro
assistiti di camminare almeno un´ora al giorno a passo svelto?), si
guarda spesso con sufficienza e fastidio alle piste ciclabili, alle
ztl, alle pedonalizzazioni e si fa credere che la soluzione
all´inquinamento atmosferico è nell´auto elettrica. Ma se si continua
ad avere 81 veicoli ogni 100 abitanti avremo inevitabilmente traffico,
code, perdite di tempo, stress, spazi urbani totalmente occupati da
auto, ecc., qualsiasi tecnologia questi veicoli utilizzeranno, fosse
anche l´energia solare (la figura sulla pagina facebook della
Marco Mascagna è illuminante ...).
Dobbiamo quindi prendere atto di questa scomoda verità: la causa
principale del traffico e dell´inquinamento nelle nostre città siamo
noi. Diamoci una mossa.
1) Ministero dei Trasporti 2012 e Eurostat 2012
2) ISFORT 2011
Una parte dei napoletani (probabilmente la minoranza, stando ad alcuni sondaggi) ritiene che l´Amministrazione comunale stia esagerando con le ztl. Da un confronto con le altre città italiane appare una realtà diversa (i dati di Napoli comprendono anche le ztl istituite nel 2012).
Ztl (zone a traffico limitato
7giorni/7 almeno 8 ore) in alcune città italiane |
|||
città |
Kmq |
m/1000ab |
m/Kmq |
Napoli |
3 |
3,1 |
25,6 |
Bologna |
4 |
10,4 |
28,6 |
Firenze |
4,2 |
11,1 |
41,2 |
Roma |
4,2 |
1,5 |
3,3 |
Milano |
8,2 |
6,1 |
67,8 |
"Aumento dei tumori a causa di ...", "Un nuovo farmaco guarisce da ....", "I tumori si prevengono con ...". Giornali, televisione, siti e pagine facebook sono pieni di notizie di questo genere. Come capire se quanto si afferma è vero o no? Leggi il documento allegato "ABC per orientarsi nei dati epidemiologici", che ti fornisce informazioni e criteri per distinguere le notizie vere da quelle false.
La Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti ha depositato la relazione finale. Nelle conclusioni si afferma che "E’ evidente che il sistema risulta essere stato programmato per far funzionare una macchina capace senz'altro di produrre profitti, ma destinata a non risolvere i problemi, dal momento che il raggiungimento dello scopo costituirebbe evidentemente motivo per far cessare ogni possibili spunto di guadagno riguardo al ciclo dei rifiuti". Noi e altri eravamo giunti alle medesime conclusioni molti anni fa. Purtroppo questa macchina capace solo di produrre profitti a pochi a spese dell’intera collettività è tutt’ora in piedi e la lentezza nella costruzione degli impianti di compostaggio e nell’avvio generalizzato della raccolta porta a porta dimostra che ha intenzione di stare ancora in piedi.
Due recenti questioni hanno riproposto il tema del conflitto tra le
ragioni dell'economia e quelle dell'ambiente e della salute: il caso
ILVA di Taranto e il controllo dell'inquinamento da auto e moto nei
centri urbani.
Nel primo caso abbiamo sentito politici, sindacalisti e commentatori
dire che per difendere la salute e l'ambiente non si può sospendere
l'attività di una fabbrica, perché ciò causerebbe un danno economico
talmente grave che avrebbe sulla collettività conseguenze peggiori di
quelle determinate dall'inquinamento.
Nel secondo caso il Governo Berlusconi (siamo nel 2009) ha sostenuto
davanti alla Corte Europea di non aver potuto rispettare i limiti di
inquinamento nei centri urbani perché "il rispetto dei valori limite
avrebbe implicato l'adozione di misure drastiche sul piano economico e
sociale, nonché la violazione di diritti e libertà fondamentali
(libera circolazione delle merci e delle persone, l'iniziativa
economica privata)".
Ambedue queste argomentazioni non stanno in piedi e sono mistificanti.
Infatti le ragioni della salute e dell'ambiente sono tutt'uno con
quelle dell'interesse economico della collettività. Lo dimostrano vari
studi. L'ultimo è quello dell'Agenzia Europea per l'Ambiente (EEA)1
che ha stimato il danno economico derivante dall'inquinamento da
grandi impianti inquinanti (industrie, centrali elettriche ecc.): il
costo per la collettività europea è tra i 100 e i 170 miliardi di euro
all'anno. Il rapporto analizza anche l'ILVA di Taranto e stima un
danno economico tra i 330 e i 578 milioni di euro all'anno. Questa
cifra è di gran lunga superiore a quella che l'azienda versa in
stipendi: 270 milioni l'anno (di cui 220 milioni a dipendenti della
zona di Taranto). Anche considerando l'indotto i soldi versati
dall'azienda alla "collettività" sembrano essere significativamente
sotto il danno economico che la collettività riceve.
Anche nel caso dell'inquinamento delle aree urbane l'argomentazione
con cui ci si difende per non avere preso provvedimenti di limitazione
del trasporto su gomma non regge: e infatti la Corte Europea ha
rigettato il ricorso dell'Italia, che ora rischia un'ennesima multa.
L'inquinamento dovuto al trasporto su gomma, infatti, determina un
danno economico ingente (in Italia circa 7 miliardi e 300 milioni di
euro all'anno2). Quindi non c'è nessun conflitto tra interesse
economico e salvaguardia dell'ambiente e della salute, anzi si
risparmierebbero un sacco di soldi se si prendessero provvedimenti per
ridurre l'inquinamento atmosferico. Il conflitto quindi non è tra le
ragioni dell'economia e quelle della salute e dell'ambiente ma tra gli
interessi economici di pochi (industriali, investitori ecc.) e
interessi della collettività (economici, di salute, di qualità della
vita).
E' sconcertate poi che il Governo italiano sostenga che non sono stati
presi provvedimenti contro l'inquinamento da trasporti nei centri
urbani per non violare "diritti e libertà fondamentali". Nella nostra
Costituzione il diritto alla salute è inderogabile e, quindi, viene
prima della "libera circolazione delle merci e delle persone e
dell'iniziativa economica privata" (quest'ultima, nella nostra
Costituzione, è subordinata all'interesse collettivo). Inoltre
l'ultimo Governo Berlusconi ha ridotto drasticamente i finanziamenti
al trasporto pubblico locale e i trasferimenti agli enti locali
(Comuni, Province, Regioni), mettendo in grave crisi il trasporto
pubblico, l'unico che realmente garantisce il diritto alla libera
circolazione di tutti, anche di chi non possiede un auto.
Per abbassare l'inquinamento atmosferico nei centri urbani è ormai
assodato che bisogna limitare e scoraggiare la circolazione di auto e
moto (i mezzi di trasporto più inquinanti per passeggero trasportato),
potenziare il trasporto pubblico (che ha anche il pregio di occupare
poco spazio), favorire la pedonalità e la ciclabilità (rendendo al
contempo più facile la pratica dell'attività fisica quotidiana, così
carente in Italia e causa di gravi malattie). Tutti provvedimenti che
costano molto poco rispetto al danno economico prodotto dal trasporto
privato, ma che richiedono capacità di governo, cioè capacità di
perseguire il bene collettivo anche a costo di scontrarsi con forti
gruppi di potere e con pochi ma agguerriti cittadini, abbandonando il
facile populismo e l' immobilismo per intraprendere invece un'azione
di informazione corretta, di confronto, che faccia comprendere la
necessità del cambiamento, perché la situazione attuale non è più
sostenibile dal punto di vista della salute, dell'ambiente e
dell'economia (cioè dell'interesse economico di tutti e non di pochi).
1) EEA: Revealing the costs of air pollution from industrial
facilities in Europe.
2) AdT: I costi ambientali e sociali della mobilità in Italia. Quinto
Rapporto, 2005.
I dati sugli stipendi pagati dall'ILVA sono tratti dal Rapporto
Ambiente e Sicurezza dell'ILVA, 2010.
Si ringrazia il Gruppo Pediatri per un Mondo Possibile
dell'Associazione Culturale Pediatri per averci segnalato il rapporto
EEA e il Rapporto Ambiente e Sicurezza dell'ILVA con i dati sugli
stipendi pagati.
Dal mese di novembre vi abbiamo chiesto ripetutamente di sostenere il nostro asilo Sector Primero di San Salvador, perché i soldi raccolti nei primi 10 mesi dell'anno erano stati pochi e rischiavamo seriamente di non potere rispettare l'impegno preso con le maestre di San Salvador. Eravamo piuttosto scoraggiati e poco speranzosi e invece ... Abbiamo avuto parecchie donazioni piccole e meno piccole che, insieme ad un ulteriore piccolo sforzo di chi ha adottato da anni l'asilo, ci ha fatto raggiungere anche quest'anno la cifra promessa. Ringraziamo calorosamente tutti quelli che in varie maniere si sono impegnati. Ora abbiamo dodici mesi davanti, speriamo di non ridurci agli ultimi mesi e di risparmiarci batticuori. Contiamo su di voi.
Auguriamo a tutti un felice Natale e un buon 2013 con questa poesia
di Henry van Dike (USA 1852-1933)
Siete disposti a dimenticare quel che avete fatto per gli Altri
e a ricordare quel che gli altri hanno fatto per Voi?
A ignorare quel che il mondo vi deve
e a pensare a ciò che voi dovete al mondo?
A mettere i vostri diritti in fondo al quadro,
i vostri doveri nel mezzo
e la possibilità di fare un pò di più del vostro
dovere in primo piano?
Ad accorgervi che i vostri simili esistono come voi,
e a cercare di guardare dietro i volti per vedere il cuore ?
A capire che probabilmente la sola ragione
della vostra esistenza non è
ciò che voi avrete dalla Vita,
ma ciò che darete alla Vita?
A non lamentarvi per come va l’universo
e a cercare intorno a voi
un luogo in cui potrete seminare
qualche granello di Felicità?
Siete disposti a fare queste cose
sia pure per un giorno solo?
Allora per voi Natale durerà per tutto l’anno.
Ti chiediamo di pensare ai bambini del Salvador quando devi
scegliere che regalo fare ai tuoi cari. Puoi infatti regalare:
- il cd Una musica per ... con musiche (canzoni, musiche per piano e
per orchestra) di Pio e Umberto Russo Krauss, eseguite da Daniela del
Monaco e Paolo Rescigno, costa 12 euro, che vanno tutti all'asilo e
puoi trovarlo presso le botteghe 'E Pappeci (Via Orsi 72 e Via
Monteleone 8 vicino Calata Trinità Maggiore) o chiederlo con una mail
all'associazione. Alcuni brani sono ascoltabili sul sito della Marco
Mascagna (nella sezione il Sud del Mondo)
- le nostre t-shirt con la vignetta "Tutto inutile! Qualunque cosa si
faccia per loro non sanno decollare dal sottosviluppo". Le t-shirt
costano 10 euro e puoi trovarle a Mani Tese (Piazza Cavour, uscita
linea 1 del metrò) o chiederle inviando una mail a
mail@giardinodimarco.it.
- quote di adozione dell'asilo (quella che tu ritieni opportuna)
versandola sul ccp. 36982627 oppure sul ccb Banca Fideuram iban
IT21G0329601601000064226269, ambedue intestando a Associazione Marco
Mascagna, Via Ribera 1 80128 Napoli e specificando nella causale
"Asilo del Salvador" oppure consegnandola all’escursione di domenica
23 dicembre.
Una fabbrica indonesiana collegata all’azienda italiana IMAP (quella del marchio Original Marines) ha licenziato 42 lavoratori rei di avere costituito un sindacato per far valere i loro diritti (in particolare contro orari di lavoro massacranti e licenziamenti per indiscriminati). La campagna Abiti Puliti e la CGIL chiedono di firmare urgentemente un appello all’IMAP perché faccia reintegrare i lavoratori licenziati, cessino i licenziamenti indiscriminati, si riveda l’orario di lavoro e firmiil protocollo sulla Libertà di Associazione sindacale, già siglato da altre aziende. Per firmare www.raccontiamoilloroincubo.abitipuliti.org
A fine luglio 2012 il Ministero dei Trasporti ha pubblicato il Conto
Nazionale Trasporti. I dati purtroppo sono davvero preoccupanti,
perché, purtroppo, continua ad aumentare il numero dei veicoli
circolanti.
In Italia , paese con 61 milioni di abitanti,
circolano 51 milioni di veicoli (37 milioni di autovetture, 5 milioni
di autocarri, 9 milioni di motocicli/ciclomotori): 84
veicoli a motore ogni 100 abitanti, 62 auto
ogni 100 abitanti. Una situazione anomala in Europa: in
Germania, Francia e Inghilterra le auto circolanti sono 50 ogni 100
abitanti e la media europea è 47. Il tasso di
motorizzazione italiana è pari solo a quello degli USA, che hanno però
un numero di veicoli circolanti per Kmq molto basso, mentre in Italia
è altissimo (al 2° posto nel mondo) .
A Napoli circolano circa 60 auto ogni 100 abitanti, a Parigi
45, a Barcellona 41, a Londra e a Berlino 32 .
Questa situazione spiega perché delle 30 città europee con il maggiore
inquinamento atmosferico 17 sono italiane, con Torino, Brescia e
Milano tra i primi posti.
Dal 1990 le emissioni di CO2 del settore dei trasporti sono aumentate
del 26%,rispetto a un trend complessivo di incremento nel
nostro Paese del 9%.
Il 92% del traffico passeggeri (passeggeri-Km) avviene su
strada e solo il 5,7% col treno (in Francia è il 10% in Germania il
9%). Il traffico merci (tonnellate-Km) su treno è solo l?8%,
anch'esso in ulteriore discesa.
Ovviamente in Italia il trasporto pubblico è molto più
inefficiente di altri Paesi. Il rapporto trasporto
pubblico/trasporto privato lo dimostra: a Roma è
28%/72%, a Londra 50%/50% , Parigi 64%/36%, Berlino
66%/44%,Barcellona 67%/32%.
Ci sarebbe bisogno di una profonda modifica della politica dei
trasporti e del territorio per cercare di avvicinarci alla situazione
degli altri Paesi europei: investimenti nel trasporto pubblico e in
quello su ferro invece che in autostrade, passanti, bretelle;
eliminare finanziamenti e bonus al trasporto merci su gomma;
provvedimenti che contrastino l'urbanizzazione diffusa, i centri
commerciali, il pendolarismo; una politica del trasporto urbano che
scoraggi l'uso dell'auto e favorisca la pedonalità, la ciclabilità e
il trasporto pubblico; campagne educative per convincere le persone a
camminare a piedi (in Italia il 30% degli spostamenti in auto coprono
distanze inferiori a 3 Km, cioè percorribili in meno di 35 minuti a
piedi).
Fonti: Ministero dei Trasporti e Isfort (per i raffronti
internazionali).
Per coprire le spese di un anno dell'Asilo di San Salvador abbiamo
bisogno di altri fondi oltre quelli fin qui raccolti (poco pi ù di
4000 euro). Per questo ti chiediamo di fare e raccogliere donazioni
per l'asilo, di diventare sostenitore di questa bella realtà
impegnandoti a versare ogni anno una quota, di proporci strumenti per
raccogliere fondi e impegnarti con noi. Per rispondere alle richieste
di Gerard e delle maestre dovremmo versare 10.000 euro entro fine
anno. Se tutti ci impegniamo ce la possiamo fare. Il periodo natalizio
ci può aiutare. Ti chiediamo di pensare ai bambini del Salvador quando
devi scegliere che regalo fare ai tuoi cari. Puoi infatti regalare:
- quote di adozione dell'asilo (quella che tu ritieni opportuna)
- il cd Una musica per ... con musiche (canzoni, musiche per piano e
per orchestra) di Pio e Umberto Russo Krauss, eseguite da Daniela del
Monaco e Paolo Rescigno, costa 12 euro, che vanno tutti all'asilo e
puoi trovarlo presso le botteghe 'E Pappeci (Via Orsi 72 e Via
Monteleone 8 vicino Calata Trinità Maggiore) o chiederlo con una mail
all'associazione. Alcuni brani sono ascoltabili sul sito della Marco
Mascagna (nella sezione il Sud del Mondo)
- le nostre t-shirtcon la vignetta "Tutto inutile! Qualunque cosa si
faccia per loro non sanno decollare dal sottosviluppo". Le t-shirt
costano 10 euro e puoi trovarle a Mani Tese (Piazza Cavour, uscita
linea 1 del metrò) o chiederle inviando una mail a mail@giardinodimarco.it.
Le donazioni possono essere versate sul ccp. 36982627 oppure sul ccb
Banca Fideuram iban IT21G0329601601000064226269, ambedue intestando a
Associazione Marco Mascagna, Via Ribera 1 80128 Napoli e specificando
nella causale "Asilo del Salvador".
Molti spettatori e tutti molto contenti per lo spettacolo al
Grenoble per l'asilo Sector Primero. Un grande grazie a tutti gli
artisti - al MinimoEnsemble (Daniela del Monaco e Antonio Grande), a
Teatronoi (Titti Pepi, Lino Fusco, Pino Orizzonte, Franco Prisco), a
Daniele Mattera, ai Finti-Illimani, ad Antonella Ippolito, a Carla
Orbinati e Valentina Piccolo, ai Beatlejuice – e a tutti coloro che
hanno contribuito alla buona riuscita dello spettacolo. Abbiamo
raccolto tra biglietti e donazioni 3.500 euro, non è poco
per uno spettacolo di beneficenza, ma purtroppo è ancora poco per
mandare avanti l'asilo per un intero anno. Per questo ti chiediamo di
fare e raccogliere donazioni per l'asilo, di diventare sostenitore di
questa bella realtà impegnandoti a versare ogni anno una quota, di
proporci strumenti per raccogliere fondi e impegnarti con noi. Per
rispondere alle richieste di Gerard e delle maestre dovremmo versare
10.000 euro entro fine anno. Se tutti ci
impegniamo ce la possiamo fare. Il periodo natalizio ci può aiutare.
Puoi regalare :
- quote di adozione dell'asilo (quella che tu
ritieni opportuna)
- il cd Una musica per … con musiche (canzoni,
musiche per piano e per orchestra) di Pio e Umberto Russo Krauss,
eseguite da Daniela del Monaco e Paolo Rescigno,
costa 12 euro, che vanno tutti all'asilo e puoi trovarlo presso le
botteghe 'E Pappeci (Via Orsi 72 e Via Monteleone 8 vicino Calata
Trinità Maggiore) o chiederlo con una mail all'associazione. Alcuni
brani sono ascoltabili sul sito della Marco Mascagna (nella sezione il
Sud del Mondo)
- le nostre t-shirt con una vignetta più eloquente
di un trattato sul sottosviluppo (vedi allegato). Le
t-shirt puoi chiederle inviando una mail a mail@giardinodimarco.it.
Le donazioni possono essere versate sul ccp. 36982627
oppure sul ccb Banca Fideuram iban
IT21G0329601601000064226269, ambedue intestando a
Associazione Marco Mascagna, Via Ribera 1 80128 Napoli e specificando
nella causale "Asilo del Salvador".
La Corte dei Conti ha aperto un procedimento contro la Giunta di un comune ligure (Recco) perché non ha organizzato una sufficiente raccolta differenziata dei rifiuti (era il 12% nel 2006 e il 22% nel 2011 invece del 35% e 60% imposto dalla legge). La Corte ritiene che la Giunta ha determinato un danno erariale perché ha omesso di assumere qualsivoglia iniziativa atta a ricondurre la gestione dei rifiuti nell'ambito della legge e non ha intrapreso azioni nei confronti della società di gestione dei rifiuti che, in violazione del contratto, non ha rispettato i limiti minimi di legge di raccolta differenziata. Se condannati sindaco e assessori dovranno pagare una somma totale di circa 1 milione di euro.
Da un po’ di tempo l’industria alimentare pubblicizza alimenti con
scritte come “senza colesterolo”. Questo perché l’ipercolesterolemia è
una condizione molto comune e anche perché è conoscenza diffusa che il
colesterolo basso fa bene alla salute. Quest’ultima convinzione è
sicuramente vera se si riferisce all’LDL-colesterolo (il cosiddetto
colesterolo cattivo) ma non se si riferisce all’HDL-colesterolo (il
colesterolo buono). In realtà questi messaggi dell’industria
alimentare sono mistificanti perché il livello di colesterolo
nel sangue dipende molto poco da quanto colesterolo assumiamo con i
cibi. Dipende invece molto di più da quanti grassi
saturi mangiamo e da quanto attività fisica facciamo.
Quindi non è tanto importante sapere se un cibo ha poco o molto
colesterolo ma sapere quanti grassi saturi ha.
Altra mistificazione dell’industria alimentare è pubblicizzare i
prodotti come “vegetale”, “solo vegetale”, facendo credere che ciò
significa con meno grassi o con grassi che non fanno male. Ma anche
questo non è assolutamente vero. I grassi saturi (quelli che
fanno aumentare il colesterolo e favoriscono l'aterosclerosi) sono
presenti soprattutto nell'olio di palma e di cocco e nelle margarine
solide (prodotti di origine vegetale) e poi nel burro, nello strutto,
nei formaggi, nelle carni (prodotti di origine animale). Va anche
detto che tra i grassi insaturi bisogna preferire quelli ricchi di
grassi monoinsaturi, che hanno una buona resistenza al calore. Qualche
dato ci aiuta ad orientarci meglio:
Le industrie alimentari tendono ad usare olio di palma e di cocco
perché costano poco e perché i grassi saturi irrancidiscono solo dopo
molto tempo (quindi è possibile mettere una data di scadenza lontana).
Quando su una confezione si legge “grassi vegetali”, “oli
vegetali”, significa che quell’alimento contiene olio di palma e/o
olio di cocco, cioè i prodotti con la maggiore percentuale
di grassi saturi. E spesso questi grassi sono presenti (talvolta in
abbondanza) in alimenti che sulla confezione riportano scritto in
bella evidenza “senza colesterolo”, “solo vegetale”.
L'ultima trovata dell'industria sono le nuove margarine
semisolide a bassissimo contenuto di grassi saturi e prive
di grassi trans (altra categoria di grassi dannosa per la salute). Ma
come sono composte queste margarine? Semplice, sono composte
da acqua, olio di semi, un emulsionante (cioè una sostanza
che riesce a far sciogliere l'acqua nel grasso) e un
addensante. In pratica olio di semi e acqua, entrambi
venduti ad un prezzo superiore all'olio di semi e all'acqua. Una vera
trovata geniale … per fare soldi sulla disinformazione dei
consumatori.
% di grassi saturi % di grassi monoinsaturi % di grassi polinsaturi |
olio di oliva 12 80 8 |
olio di arachide 18 56 26 |
olio di mais 16 27 57 |
margarina semisolida 26 31 18 |
margarina solida 64 30 6 |
olio di cocco 90 7 3 |
olio di palma 48 39 13 |
burro 49 24 3 |
Le industrie alimentari tendono ad usare olio di palma e di cocco
perché costano poco e perché i grassi saturi irrancidiscono solo dopo
molto tempo (quindi è possibile mettere una data di scadenza lontana).
Quando su una confezione si legge “grassi vegetali”, “oli
vegetali”, significa che quell’alimento contiene olio di palma e/o
olio di cocco, cioè i prodotti con la maggiore percentuale
di grassi saturi. E spesso questi grassi sono presenti (talvolta in
abbondanza) in alimenti che sulla confezione riportano scritto in
bella evidenza “senza colesterolo”, “solo vegetale”.
L'ultima trovata dell'industria sono le nuove margarine
semisolide a bassissimo contenuto di grassi saturi e prive
di grassi trans (altra categoria di grassi dannosa per la salute). Ma
come sono composte queste margarine? Semplice, sono composte
da acqua, olio di semi, un emulsionante (cioè una sostanza
che riesce a far sciogliere l'acqua nel grasso) e un
addensante. In pratica olio di semi e acqua, entrambi
venduti ad un prezzo superiore all'olio di semi e all'acqua. Una vera
trovata geniale … per fare soldi sulla disinformazione dei
consumatori.
L'inquinamento atmosferico a Napoli si è ridotto in maniera
significativa nel 2011 e nel 2012. Le 9 centraline ARPAC davano in
totale 563 superamenti del limite di legge delle polveri fini (PM10)
nel 2010, 326 nell'anno 2011 e 190 nei primi 10 mesi del 2012. Poiché
le ricerche evidenziano che per ogni aumento di 10 mcg/mc di PM10 si
ha un aumento di rischio di morte del 4-6%, di tumori al polmone
dell'8-14%, di episodi di bronchite in età pediatrica del 30-34%. Ciò
significa aver salvato la vita a decine di persone e aver evitato
centinaia di ricoveri per malattie polmonari e cardiache. Le cause di
tale riduzione delle polveri fini sono quasi certamente l'istituzione
delle zone a traffico limitato (ztl) e la lieve diminuzione dell'uso
dell'auto dovuta alla crisi economica.
Fonte. ARPA Campania www.arpacampania.it/Aria.asp
e Kunzli et Al. Lancet 200
Uno spettacolo particolarmente gradevole e per noi di grande
importanza per raccogliere i fondi che rendono possibile questa realtà
che da oltre 20 anni permette a circa 25 bambini del Sector Primero
(l'ex discarica di rifiuti di San Salvador, dove ora sorge una
baraccopoli) di frequentare per un anno l'asilo fondato dal nostro
amico Padre Gerard Poeter, e di ricevere anche colazione, merenda e
pranzo.
Si esibiranno MinimoEnsemble (Daniela del Monaco, voce, Antonio
Grande, chitarra), Teatronoi (Santina Pepi, Lino Fusco, Pino
Orizzonte, Franco Prisco), Daniele Mattera (attore), Finti-Illimani,
Antonella Ippolito (attrice), Duo pianistico Carla Orbinati e
Valentina Piccolo, The Beatlejuice.
Quindi musica (canzoni napoletane, musica andina, la famosa
rapsodia ungherese di Liszt, le intramontabili canzoni dei Beatles)
poi le esilaranti piece napoletane di Teatro-noi e
un monologo di Daniele Mattera da Lo Cunto de li
cunti e altre “sorprese”. Insomma una serata molto piacevole con
artisti di grande livello.
Ti chiediamo di non mancare venerdì
9 novembre alle ore 19.30 alla sala dell’Istituto Grenoble,
in Via Crispi 86, di impegnarti a far venire quante più persone è
possibile, di affiggere la locandina e distribuire i
volantini allegati, di inviare
mail e sms ai tuoi amici e conoscenti ecc. ecc.
I biglietti (15 euro) sono in vendita presso le botteghe
di 'E Pappeci (via Orsi e Calata Trinità Maggiore), la
bottega di Mani Tese (Piazza Cavour) o possono
essere richiesti all'Associazione (inviare una mail o telefonare a Pio
0815600885). E' possibile acquistare i biglietti anche prima
dello spettacolo dalle ore 18.30.
Scarica la lettera di Carolina, una delle maestre della Comunità di San Salvador
Il Governo questa estate ha approvato il decreto sulla revisione
della spesa, che stabilisce una riduzione dell’acquisto dei
cacciabombardieri F35 da 131 a 90 veicoli (costo previsto
sui 7,2 miliardi di dollari, invece dei 10,5 iniziali). Una cifra
comunque enorme, soprattutto in questi tempi di austerità e di tagli
ai servizi essenziali.
Ma che veniamo a sapere oggi dal generale De Bertolis? Che la
cifra di 80 milioni a veicolo, da lui dichiarata nell’audizione alla
Commissione Difesa del febbraio 2012, è ora lievitata a più del
doppio. Ma, il generale o non sa bene la matematica o ci
nasconde ancora qualcosa, perché dichiara che il modello “nudo”
(“recurrent fly-away cost”), non accessoriato, costa 127 milioni di
dollari (il 60% in più) mentre quello completo costa poco più di 137
milioni di dollari (il 70%). Quindi, stando a questi prezzi il costo
dovrebbe essere del 70% in più (12,5 miliardi di dollari). Perché il
generale De Bertolis afferma “il costo di questi primi JSF italiani in
realtà sarà più del doppio”?. In ogni caso il Governo non ha per
niente tagliato la spesa, ma la ha aumentata di minimo 2,5 miliardi di
dollari (il 20% in più). Si tagliano i trasporti, la sanità, la
scuola, le politiche sociali, la ricerca, la tutela del patrimonio
artistico e naturale, ma si aumenta la spesa per armi (e per di più
comprando cacciabombardieri che sono armi soprattutto di attacco). Con
12,5 miliardi di dollari quanti edifici pubblici e privati
potrebbero essere resi antisismici e a basso dispendio energetico?
Quanti nuovi posti di lavoro potrebbero essere creati e in attività
che migliorano la qualità della vita?
Fonte: www.analisidifesa.it/2012/10/f-35-road-map-a-ostacoli
e www.famigliacristiana.it
L'ISTAT ha pubblicato un'indagine sui senzatetto, intervistando
persone che si rivolgono alle mense dei poveri e ai dormitori
pubblici. Per tali motivi, quindi, è probabile che i dati riportati
sottostimano la situazione, soprattutto al Sud.
Secondo questa indagine sono 47.700 i senza dimora in Italia.
L’incidenza sul totale dei residenti risulta più elevata nel
Nord-Ovest, dove le persone senza dimora corrispondono a circa lo
0,35% della popolazione residente, seguono il Nord-Est con lo 0,27%,
il Centro con lo 0,20%, le Isole (0,21%) e il Sud (0,10%).
Il 28% delle persone senza dimora dichiara di lavorare: si tratta in
gran parte di occupazioni a termine, poco sicure o saltuarie (24,5%);
i lavori sono a bassa qualifica nel settore dei servizi (il 9% delle
persone senza dimora lavora come facchino, trasportatore, addetto al
carico/scarico merci o alla raccolta dei rifiuti, giardiniere,
lavapiatti, ecc.), nell’edilizia (il 4% lavora come manovale,
muratore, operaio edile, ecc.), nei diversi settori produttivi (il 3%
come bracciante, falegname, fabbro, fornaio, ecc.) e in quello delle
pulizie (il 4%).
Tra le persone senza dimora, ben il 62% ha perso un lavoro stabile a
seguito di un licenziamento e/o chiusura dell’azienda, per il
fallimento di una propria attività (il 14,3%) o per motivi di salute
(il 7,6%). Tra le persone che hanno perso un lavoro stabile, la
maggioranza non lavora (55,3%) e il 44,8% ha un lavoro a termine, poco
sicuro o saltuario.
Quanti sono invece i ricchi in Italia? Difficile dirlo. Infatti, dalle
dichiarazioni dei redditi risulta che solo 394 mila persone hanno
redditi superiori a 100 mila euro (meno dell’1% dei contribuenti) e
solo il 13% dei contribuenti dichiara redditi oltre i 35 mila euro.
Tali dati più che evidenziare la poca ricchezza degli italiani
dimostrano l'enorme evasione fiscale. Infatti, indagini sociologiche
ad hoc evidenziano che 730 mila cittadini dispongono di un patrimonio
personale netto, senza contare la casa, superiore ai 500 mila euro e
250 mila persone hanno un patrimonio (casa esclusa) superiore al
milione di euro. Il 10% delle famiglie italiane possiede il 45% della
ricchezza prodotta.
Una situazione da Paese sottosviluppato, causa di crisi economica,
conflitti sociali, delinquenza, degrado. Una buona politica economica
dovrebbe affrontare soprattutto questa situazione.
Merendine e snack sono spesso molto calorici, ricchi di grassi saturi (quelli che favoriscono il colesterolo e l'aterosclerosi), talvolta con grassi trans (che favoriscono l'aterosclerosi), per di più sono anche abbastanza costosi, per cui i medici consigliano di mangiarne il meno possibile. Poiché però succede che la maggioranza delle persone ne mangia non raramente e poiché i bambini le chiedono e i genitori li accontentano, sarebbe bene sapere quale sono quelli nutrizionalmente più accettabili e quelli che conviene evitare. Per questo motivo il Settore Educazione Sanitaria – Servizio Comunicazione Pubblica Sanitaria dell'ASL Napoli 1 Centro ha preparato uno snackometro, dove sono riportati i valori nutrizionali di oltre 300 snack e quali di questi valori sono accettabili (colore verde), quali da guardare con sospetto (colore giallo) e quali da evitare (colore rosso), indicando infine un giudizio globale con relativo punteggio e colore.
In allegato trovi lo snackometro e le istruzioni che spiegano i criteri utilizzati e come utilizzarlo.
La FAO ci ricorda che nel mondo vi sono 925 milioni di persone che
soffrono la fame (cronicamente sottonutrite), 578 milioni in Asia, 276
in Africa, 53 milioni in America Latina e 10 milioni nei Paesi ricchi.
Spesso si pensa che questo sia un problema di scarsità di risorse
economiche o agroalimentari, ma non è assolutamente vero. Infatti il
mondo è sempre più ricco (il PIL mondiale nel 2010 è stato
di 63.000 miliardi di dollari, nel 2000 era di 47.000 miliardi e nel
1990 di 34.000 miliardi) e la produzione alimentare è più che
sufficiente per nutrire tutti (nel mondo vi sono 300.000 obesi e 1,2
miliardi di persone in sovrappeso). Quindi non c’è un problema di
scarsità. Il vero problema sono le disuguaglianze economiche. L’1%
della popolazione mondiale possiede il 40% della ricchezza.
Per questo esistono ancora fame e povertà, e ciò non è tollerabile dal
punto di vista etico.
Numerosi studi indicano che l’eccessiva disuguaglianza sociale è anche
un freno alla crescita economica.
Osservando come si distribuisce l’indice di Gini (l’indice che misura
la disuguaglianza economica), si vede che i Paesi che hanno tale
indice più basso crescono di più e che, all’aumentare o al diminuire
nel tempo delle disuguaglianze, diminuisce o aumenta la crescita
economica. Secondo questi studi i valori ottimali per garantire una
buona crescita economica sono tra 0,2 e 0,3 (valori che si riscontrano
nei Paesi Scandinavi, in Germania, Olanda, Canada, Australia e, per
quanto riguarda l'Italia, in regioni come il Nordest (indice di Gini
2,8, mentre l'indice medio italiano è di 3,1 e quello del Sud Italia è
di 0,32).
Poiché sentiamo sempre dire che bisogna rilanciare l’economia,
crescere di più, produrre di più, levare gli ostacoli allo sviluppo
economico, perché non iniziare con una seria politica di lotta alle
disuguaglianze sociali e di redistribuzione del reddito? I nostri
professori che ci governano, che dovrebbero conoscere questi studi,
che fanno?
Inoltre, poiché la crescita economica (l’aumento del PIL) può avvenire
tanto se si producono e consumano cose immateriali che cose materiali,
tanto se si piantano alberi che se si abbattono, vorremmo sapere come
si vuole aumentare la crescita economica. Non bisogna infatti
dimenticare che la nostra società vive dentro un pianeta finito, che
ha risorse e capacità di depurazione limitate, e già oggi abbiamo
ampiamente superato la “capacità di carico” del nostro pianeta (l’impronta
ecologica media mondiale è di 2,7, quando quella per non superare la
capacità di carico è inferiore a 1,8). Quindi bisognerebbe
ridurre le produzioni a più alto impatto ecologico (es. armi, prodotti
usa e getta, aerei e automobili, aeroporti e autostrade ecc.) e
incrementare quelle a impatto pressoché nullo (la produzione artistica
e culturale, il turismo sostenibile, l’agricoltura biologica ecc.) e
quelle a basso impatto (i prodotti di lunga durata e totalmente
riciclabili, il trasporto collettivo, la ricerca scientifica ecc.).
Fonti: FAO 2010; FMI 2011; EU Silc 2011, ISTAT 2012
Il ministro Passera ha presentato il nuovo piano aeroporti, un piano
che prevede 32 scali di importanza strategica e che quindi mantiene in
vita e sostiene aeroporti come quelli di Pescara e Ancona (attualmente
10 voli al giorno), Perugia (480 passeggeri al giorno), Treviso (a 30
Km da Venezia e 98 da Trieste), Montichiari (a 40 Km da Verona) e poi
ancora Bergamo, Bolzano, Cuneo, Salerno.
Per quanto riguarda Malpensa si prevedono 46 milioni di
passeggeri per il 2030 una stima che molti considerano
spropositata e che ricorda vecchie stime poi dimostratesi totalmente
sbagliate (nel 1972 si prevedevano 40 milioni di passeggeri nel 2000,
la realtà e che ora siamo a 17 milioni e che l’anno
che è andato meglio ha raggiunto circa i 27 milioni). Gli aeroporti
italiani hanno circa 80 milioni di euro di passivo all’anno.
Fonte: sbilanciamoci.info
Il 18 settembre CNR e ANEA hanno organizzato una giornata dedicata
ai veicoli elettrici. Siamo andati anche noi e ci siamo confermati che
sono antiecologici e per nulla convenienti.
Ecco alcuni dei modelli presentati (le notizie su
durata e costo delle batterie le hanno comunicate solo dopo nostra
specifica domanda).
- Scooterino elettrico ZEM, con due “piccole
batterie” (peso di ciascuna batteria 10 Kg), così “che se ne può
staccare una e portarla a casa anche se si abita al V piano”. Prezzo
dello scooter 4.300 euro. Costo di ciascuna batteria 800 euro. Le
batterie, in situazioni ottimali, vanno cambiate ogni 40.000 Km.
- Twizy 45 Renault: quadriciclo biposto, guidabile
anche a 14 anni, al modico prezzo di 6.900 euro batteria esclusa
(questa costa circa 100 euro al mese e dopo 3 anni va cambiata e non
siamo riusciti a sapere quanto costerà dopo i 3 anni)
- Twizy 80 idem ma più potente (8 kW), prezzo 9.300
euro, batterie escluse
- ZOE Renault, utilitaria del costo di 21.650 euro
(batterie escluse, non sappiamo il costo dell’affitto e cosa avverrà
quando, dopo 3 anni, si cambierà la batteria), in condizioni ottimali
ha un’autonomia di 210 Km, si ricarica in 8 ore.
- Citroen C0, utilitaria del costo di 28.300 euro,
ricaricabile a casa in 12 ore.
- autoambulanza, con 60Km di autonomia, Ducato con 150 Km di autonomia
e Fiorino con 140 Km di autonomia, tutte del costo triplo rispetto
all’analogo modello a benzina o diesel.
Tutte le batterie sono a metalli tossici e nocivi
(litio e piombo). Alla domanda di un partecipante sui problemi legati
allo smaltimento la direttrice del CNR ha risposto che se si vogliono
dare risposte ora a questo problema non vi sarà alcun sviluppo; quando
ci saranno tante batterie da smaltire allora si deve porre il
problema.
Qualcuno può avvertire Monti, che ha inserito nel Decreto Sviluppo
incentivi all’auto elettrica? Qualcuno può avvertire il Sindaco De
Magistris, il presidente della Commissione Mobilità e l’Assessore
Donati, che hanno ipotizzato l’acquisto di veicoli elettrici?
Poiché i soldi per i trasporti sono pochissimi crediamo che non devono
essere sperperati nei veicoli elettrici, ma investiti per incrementare
il trasporto pubblico.
Diffondi queste informazioni (in allegato trovi un nostro volantino sul tema)
Vi ricordate Furore, il bellissimo romanzo di Steinbeck, tradotto in
immagini da John Ford. Si racconta la storia di una famiglia che
lascia la propria terra, troppo povera e arida, per andare in
California, dove, secondo quanto appreso da un volantino, c’è lavoro e
ricchezza per tutti. La realtà sarà ben diversa, una condizione di
quasi schiavitù: l’intera giornata a raccogliere frutta e ortaggi,
senza un attimo di tregua, per una paga ridicola che viene ridata al
padrone per comprare qualcosa da mangiare e un posto dove dormire,
botte o licenziamento a chi cerca di ribellarsi.
Questa storia si ripete oggi nelle nostre campagne.
La CGIL ci ricorda che sono 80.000 gli immigrati che raccolgono
pomodori, pesche e angurie per le nostre tavole, e la maggioranza vive
in una vera e propria situazione di schiavitù, analoga a quella
descritta in Furore. Per questo CGIL, FLAI e INCA hanno dato vita al
progetto nazionale «Gli invisibili delle campagne di raccolta».
Verranno utilizzati camper con personale esperto (sindacalisti,
avvocati, medici, operatori sociali) per raggiungere questi lavoratori
e portare loro assistenza. L’anno scorso la mobilitazione di
sindacati, associazioni e cittadini è riuscita a introdurre nel codice
penale il reato di capolarato (punibile con 5-12 anni di carcere,
mentre prima era sanzionato con una semplice contravvenzione), ora,
con questa iniziativa (partita ai primi di luglio), si cerca di far
uscire dalla condizione di schiavitù questi lavoratori, rendendo
effettivamente operante la nuova norma.
Il sottosegretario all’Economia Gianfranco Paolillo ha dichiarato che
non sarà aumentato il prezzo delle sigarette perché “abbiamo sfiorato
la soglia critica di 5 euro del pacchetto di sigarette superata la
quale ci sarebbe una forte caduta dei consumi e del
settore”. Ed ha ragione perché vari studi dimostrano che l’aumento del
prezzo riduce il consumo di sigarette e ciò sopratutto negli
adolescenti.
Ma la riduzione del fumo del tabacco non dovrebbe essere un obiettivo
del Governo?
Il tabacco causa in Italia ogni anno 80.000 morti,
chi fuma ha 10 volte più probabilità di un non
fumatore di avere un cancro al polmone o un’ulcera
gastrica e 15 volte più probabilità di soffrire di bronchite cronica,
i figli di fumatori hanno il 70% di probabilità in più di soffrire di
asma e bronchite. Un Governo dovrebbe tutelare la salute dei cittadini
o quello dell’industria del tabacco?
E non vale nemmeno il discorso che ognuno è libero di avere i
comportamenti che crede e che lo Stato non deve intromettersi nelle
scelte personali, perché il fumo determina una dipendenza fisica (da
nicotina) e psicologica (l’Organizzazione Mondiale della Sanità la
classifica tra le tossicodipendenze) e, quindi, non è una scelta
totalmente libera. Il 70% dei fumatori, infatti, dichiara che vorrebbe
smettere ma non ci riesce, il 40% afferma che nell’ultimo anno ha
compiuto almeno un tentativo di smettere rimanendo almeno un giorno
senza fumare, ma di questo 40% (4,5 milioni di persone) solo il 9% è
riuscito a smettere di fumare (non fuma da più di 6 mesi). Dove è poi
la liberta dei non fumatori esposti al fumo passivo? Si stima che ogni
anno in Italia il fumo passivo determina la morte di 1000 persone.
La ragione vera è che la lobby del tabacco è molto potente e
agguerrita. Finanzia Nomisma,
che ogni anno pubblica un rapporto su “La filiera del tabacco in
Italia”, il Censis, che ha pubblicato un rapporto
sugli italiani e il tabacco, l’Università LUISS e la
fondazione Visentini, che, guarda caso, hanno
pubblicato uno studio sui danni economici derivanti dall’aumento delle
tasse sulle sigarette, l’Istituto Leoni che ha
pubblicato un rapporto nel quale si afferma che il tabacco ha molti
benefici economici tra cui quello determinato dalla mortalità
prematura e dalla conseguente minore spesa per le pensioni (sic!).
La lobby del tabacco afferma che il settore fa entrare nelle
casse dello Stato 13,7 miliardi di euro l’anno e non
perdono occasione per sottolineare questo dato (anche al nostro
sottosegretario l’avranno detto molte volte). Ma la lobby del tabacco
si guarda bene da far conoscere i risultati del rapporto dell’OMS che
stima per il nostro Paese un danno economico di circa 30
miliardi di euro l’anno, calcolando il costo delle cure per
le malattie determinate dal fumo, dalle assenze per malattie e dal
danno economico per le morti precoci. Ma il costo economico
del fumo è ben maggiore, perché bisognerebbe considerare
anche gli incendi di boschi e coltivi, gli incendi ai margini di
autostrade, strade e linee ferrate, gli incendi delle abitazioni e gli
incidenti domestici determinati dal fumo, gli incidenti d’auto per
accendersi la sigaretta o spegnerla, la necessità di maggiore pulizia
per gli ambienti chiusi ed aperti data la presenza delle cicche e del
fumo che impregna pareti, arredi e utensili. Ma anche calcolando tutto
questo ci si potrebbe chiedere come quantizzare il danno economico
delle molte sofferenze che hanno dovuto sopportare i malati e i loro
cari?
Con una lobby così potente meglio limitarsi a qualche sporadica
campagna, a piccoli progetti di educazione sanitaria, a sponsorizzare
campagne come “Noi non dobbiamo fumare” promossa dai tabaccai e dal
Movimento Genitori e che usa metodologie che non sono dimostrate
efficaci dalla ricerca scientifica, a varare leggi che tutelano i
fumatori passivi (in fin dei conti sono il 75% degli elettori), tanto
poi i controlli sono minimi e tutto è lasciato ai rapporti personali
tra fumatori e non fumatori. Insomma fare vedere che si è impegnati
contro il fumo (ora l’Italia ha firmato anche un trattato
internazionale per contrastare il tabagismo), fare qualcosa
ma, dio mio, senza che si determini una caduta dei consumi, perché
questa sì sarebbe una tragedia: si lederebbero potenti interessi
economici e non conviene. Quindi, secondo il nostro
sottosegretario (criticato solo da chi si interessa di prevenzione)
gli interessi economici di una piccolissima parte dei cittadini
valgono molto di più che la tutela della salute della maggioranza
della popolazione.
Ovviamente di tutto questo se ne parla pochissimo sui giornali, sarà
un caso?
Fonti: D’Argenio P: Le basi delle politiche contro il tabacco, una
bibliografia ragionata www.janusonline.it/news/dallindustria-del-tabacco-troppe-interferenze-alle-politiche-antifumo
Merendine e snack sono spesso molto calorici, ricchi di grassi saturi (quelli che favoriscono il colesterolo e l'aterosclerosi), talvolta con grassi trans (che favoriscono l'aterosclerosi), per di più sono anche abbastanza costosi, per cui i medici consigliano di mangiarne il meno possibile. Poiché però succede che la maggioranza delle persone ne mangia non raramente e poiché i bambini le chiedono e i genitori li accontentano, sarebbe bene sapere quale sono quelli nutrizionalmente più accettabili e quelli che conviene evitare. Per questo motivo il Settore Educazione Sanitaria dell'ASL Napoli 1 Centro ha preparato uno snackometro, dove sono riportati i valori nutrizionali di molti snack e quali di questi valori sono accettabili (colore verde), quali da guardare con sospetto (colore giallo) e quali da evitare (colore rosso), indicando infine un giudizio globale con relativo punteggio e colore. Sul nostro sito (nella sezione news) ed in allegato è presente l’ultima versione, ampliata (sono ormai 358 gli snack esaminati) e resa più facilmente leggibile.
Lo snackometro e le istruzioni che spiegano i criteri utilizzati e come utilizzarlo.
La Marco Mascagna è sempre attiva sulla questione rifiuti (grazie
soprattutto al nostro socio Andrea Somma). In questi ultimi mesi ci
siamo impegnati nella diffusione del compostaggio domestico,
coinvolgendo varie scuole, che ora stanno compostando i rifiuti
organici, collaborando all'iniziativa dell'ANEA per la diffusione di
questa pratica (circa 100 persone si sono impegnate a fare il compost
a casa). Collaboriamo anche alla campagna “Compostiamoci bene” del
CORERI (il Coordinamento rifiuti della Campania).
Stiamo anche cercando di capire perché si ritarda tanto nella costruzione
di impianti di compostaggio, la cui carenza è il principale
nodo da sciogiere per risolvere la questione rifiuti. La sola
Provincia di Napoli invia ogni anno 152.000 tonnelatte di umido fuori
regione con un costo di circa 20 milioni di euro. Più aumenta la
percentuale di raccolta differenziata ell'umido e più si spende. Se ci
fossero impianti di compostaggio non solo si risparmierebbe tali
somme, ma si ricaverebbero anche gli utili della vendita del compost.
La mancanza di impianti di compostaggio è attualmente il principale
freno all'aumento della raccolta differenziata. Per tale motivo
abbiamo tenuto incontri con amministratori ed esperti e abbiamo
scritto una lettera alle autorità competenti per
avere spiegazioni e per metterli in mora (la lettera è in
allegato).
Abbiamo lanciato una campagna contro l'abbandono dei rifiuti
e le mini-discariche. A tal proposito ti chiediamo
di stampare il cartello allegato, affiggerlo nei posti dove si
abbandonano rifiuti e poi informaci se hai ottenuto
risultati.
In ultimo, con altri gruppi e comitati stiamo cercando di creare un Coordinamento
nazionale (il 16 giugno alle ore 10.30, si terrà un'assemblea a
Roma, all'Università La Sapienza).
La Repubblica ha preso posizione contro la ztl del lungomare, cosa strana per un giornale. Ma questo è niente. Se si va sul sito online dell'edizione di Napoli, prima che si carichi la home compare un avviso che dice che un certo avvocato sta raccogliendo le adesioni per un'azione legale contro il Comune per modificare la ztl. Sembra un'inserzione pubblicitaria, ma niente lo segnala. Inoltre in un pezzo sul bilancio di un anno della Giunta De Magistris si afferma che “La perentorietà con cui la nuova Ztl di Chiaia viene calata, sic et simpliciter, sulla vita cittadina in un periodo segnato dalla crisi e falcidiato dal peggioramento dei trasporti pubblici provoca il boomerang di un primo, diffuso scontento”. Ma tale affermazione non è vera, perché lo stesso sondaggio presente sul giornale online dimostra che la maggioranza dei napoletani è favorevole alla ztl del lungomare. Forse per questo motivo il sondaggio online è stato “oscurato” (ora se si prova a vedere i dati, un messaggio avvisa che c'è un errore e che la pagina non è più disponibile).
Come sapete la nostra associazione si batte con impegno per la
mobilità sostenibile, per avere aria più pulita e, quindi, meno morti
e malati a causa dell'inquinamento atmosferico (ogni anno a Napoli
muoiono oltre 1.500 persone per questo problema), per rendere la città
più vivibile, per consumare meno risorse non rinnovabili, per il
diritto alla mobilità non solo per chi ha un’auto o una moto. A tal
fine abbiamo organizzato petizioni, manifestazioni, incontrato molte
volte assessori e presidenti delle agenzie di trasporto. Lo Stato, la
Regione, la Provincia e il Comune potrebbero e dovrebbero fare molto
per impedire tale strage di vite umane e per garantire una mobilità
sostenibile. Ma anche ciascuno di noi potrebbe e dovrebbe fare
qualcosa: usare meno auto e moto e più le proprie gambe e i mezzi
pubblici (camminare fa anche bene alla salute), ma anche guidare più
piano, in modo più prudente e rispettare il codice della strada. Ogni
anno a causa di incidenti stradali 300.000 persone rimangono ferite e
10.000 invalide gravi.
Questo bollettino di guerra potrebbe essere evitato se solo si
guidasse con prudenza, rispettando i limiti di velocità, evitando
sorpassi azzardati, non parlando al telefonino, non fumando,
allacciando sempre le cinture o mettendosi sempre il casco e non
mettendosi alla guida se si sono bevuti alcolici o si è stanchi. Cioè
rispettando la legge e il buon senso. Invece è così frequente vedere
madri con il bambino in braccio in auto, guidatori o passeggeri senza
cintura, auto che non rispettano i limiti di velocità o le distanze di
sicurezza. Vogliamo allora dare qualche dato per aiutare a riflettere
su queste brutte e pericolosissime abitudini.
Quando una mamma tiene il bambino in braccio nel posto
anteriore un incidente a 30 Km all’ora può già essere mortale per il
bimbo. Infatti una persona di 65 Kg senza cintura in un
incidente a 30Km/h viene proiettata in avanti con una pressione di 2
tonnellate e schiaccerà il bambino sul cruscotto. Se ha la cintura
dovrà esercitare una forza pari a quella per sollevare 200 Kg per non
farsi scappare un bambino di 10 Kg dalle braccia.
In città il 40% degli incidenti sono scontri frontali e il 20% contro
un ostacolo fisso, i più pericolosi.
La massima efficacia delle cinture di sicurezza è quando l'auto va tra
i 10 e i 110 Km/h, col massimo a 50 Km/h. Un
incidente frontale a questa velocità è come
precipitare da 10 metri, per questo la cintura riduce di 10
volte il rischio di morte.
50 Km/h equivalgono a 14 metri al secondo e 100Km/h a
28 m/s. Poiché per accorgersi del pericolo, decidere di frenare e far
arrestare l’auto occorre ben più di un secondo, non conviene correre e
tallonare l'auto che ci precede, due delle principali cause di
incidente grave.
Andare veloce e guidare in maniera grintosa fa consumare molta
più benzina e inquina molto di più. La resistenza
dell'aria, infatti, aumenta con il quadrato della velocità, per
questo, mentre per velocità inferiori a 30-35 km/h si può non tener
conto del lavoro necessario per vincerla, al di sopra di tali valori
essa grava sul consumo di carburante in misura sempre più rilevante al
crescere della velocità stessa. Un'automobile che viaggia a una
velocità costante di 60 Km/h per ogni ora consumerà
oltre 1,5 litri di benzina per vincere la
resistenza dell'aria. Se viaggia a 90 Km/h,
per ogni ora il consumo di benzina per vincere la resistenza dell'aria
è di 5,6 litri, se va a 120 Km/h è
di circa 10 litri e così via. E analogamente
aumentano le emissioni inquinanti prodotte. Una guida
grintosa con frequenti frenate e accelerazioni consuma in media il
10% in più di carburante (e inquina poco più del 10%).
Partecipa alla campagna della Marco Mascagna contro l’abbandono dei rifiuti e le mini-discariche. Stampa il cartello allegato e affiggilo nei posti dove si abbandonano rifiuti e poi informaci se hai ottenuto risultati.
Preleva il cartello da stampare
In questi giorni è acceso il dibattito sulle zone a traffico limitato (ztl). Sembra che la maggioranza dei commercianti li vogliano ma non dove hanno il loro negozio; i residenti al contrario solo se la loro abitazione ricade nella zona mentre diventano nettamente contrari se abitano nelle strade limitrofe. Insomma sembra che le diverse posizioni risentano troppo di una visione troppo egocentrica, troppo particolaristica. Bisognerebbe invece pensare innanzitutto al bene collettivo e poi cercare di pensare anche agli interessi particolari. Purtroppo non esistono provvedimenti che hanno solo vantaggi: tutti hanno i loro effetti collaterali e purtroppo vantaggi e svantaggi non si distribuiscono uniformemente sui cittadini. La questione da affrontare allora è se le ztl portano o no vantaggi generali.
Esistono delle ricerche scientifiche su questo tema anche se
purtroppo non numerose. Esse evidenziano questo:
1) le piccole pedonalizzazioni e ztl aumentano il traffico nelle
zone limitrofe e non portano benefici sulla qualità dell'aria e sul
numero di auto circolanti;
2) le ztl ampie o il pagamento di un ticket per circolare in ampie
zone della città riducono il numero totale delle auto circolanti,
aumentano di poco il traffico nelle zone limitrofe, migliorano la
qualità dell'aria con benefici sulla salute non solo per i residenti
nella zona interdetta. Una rassegna degli studi pubblicata su
Epidemiologia e Prevenzione (la più autorevole rivista di
epidemiologia italiana) stima intorno ai 200 anni di vita in buona
salute guadagnati ogni 100.000 abitanti.
Sulla base di questi studi condividiamo la strategia di fondo della
nuova Amministrazione che sta cercando di creare un sistema di ztl
(centro antico, Chiaia-lungomare, e successivamente Vomero, Via
Epomeo, Fuorigrotta) e che, malgrado i tagli consistenti dello Stato e
della Regione al trasporto pubblico, è riuscita a offrire più
trasporto pubblico (es. C55, C57, funicolari). In questa maniera si
dovrebbe ottenere una riduzione del numero complessivo di auto
circolanti (a Napoli vi sono 58 automobili ogni 100 abitanti, mentre
Parigi ne ha 45 auto, Barcellona 41, Londra e Berlino 32) e un
miglioramento della qualità dell'aria e quindi benefici non solo per
chi abita nelle ztl ma per tutti i cittadini.
Liberando ampie zone della città dal traffico e riducendo il numero
complessivo di auto è prevedibile che gli autobus aumentino la loro
velocità di esercizio, aumentando così la frequenza alle fermate e la
capacità di trasporto (n di posti/Km/die) e potendo assicurare orari
definiti di passaggio alle fermate.
Un problema particolarmente grave è quello del trasporto
extracittadino (Cumana, Circumvesuviana, Trenitalia). L'offerta di
trasporto è diminuita e la qualità è scadente, malgrado abbiamo una
rete ferroviaria di tutto rispetto. Se ci fossero più treni, una
maggiore frequenza e orari più estesi, vi sarebbero molte meno auto a
Napoli e in tutta la Regione, con grandi benefici sull'inquinamento,
la salute e il diritto alla mobilità anche per chi non ha l'auto.
Quello che assolutamente non può essere tollerata è l'inerzia, non
prendere alcun provvedimento per non scontentare nessuno: ricordiamoci
che ogni anno circa 1.500 persone muoiono nella nostra città a causa
dell'inquinamento atmosferico che ha le sue principali sorgenti nel
traffico e nei fumi delle navi del porto di Napoli. Non fare niente è
un'omissione criminale.
Fonte: Epidemiologia e Prevenzione 3/2009
Da anni sentiamo dire da politici, giornalisti, opinion leader che i
lavoratori dipendenti italiani sono tra i più protetti d'Europa, che
l'impossibilità di licenziare i dipendenti a tempo indeterminato è la
causa principale della creazione di un esercito di lavoratori precari.
Ma è vero?
L'OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) ha
elaborato un indice (indice di protezione contro i licenziamenti) che
dà una misura del grado di facilità di poter licenziare (0 massima
possibilità di licenziare, 6 minima possibilità di licenziare).
Questi sono i dati dell'OCSE relativi ai licenziamenti individuali dei
lavoratori dipendenti a tempo indeterminato:
Gran Bretagna: 1,2
Danimarca: 1,5
Irlanda: 1,6
Italia: 1,6
Ungheria: 1,8
Belgio: 1,9
Polonia: 2
Austria: 2,2
Norvegia: 2,2
Grecia: 2,3
Fillandia 2,4
Spagna: 2,4
Francia: 2,5
Svezia: 2,7
Olanda: 2,7
Germania: 2,8
Slovenia: 3,0
Portogallo: 3,5
L'Italia è quindi uno dei Paesi dove è più facile licenziare un
lavoratore dipendente a tempo indeterminato, esattamente il contrario
di quanto innumerevoli volte abbiamo letto sui giornali e sentito in
Tv e radio. Ma quando si afferma un fatto non si dovrebbero portare le
prove o citare la fonte? Quando un giornalista dà informazioni false
non dovrebbe essere sanzionato dall'Ordine dei giornalisti e se,
agisce con dolo, condannato penalmente?
Ti chiediamo come sempre di aiutarci a diffondere informazioni
corrette, diffondendo questa notizia in tutti i modi che pensi
opportuni.
Fonte: OCSE: Indicators on Employment Protection (2010)
L'ultimo rapporto della Campagna internazionale per la messa al bando
delle armi nucleari (ICAN) riporta le banche che finanziano o
detengono pacchetti azionari di industrie coinvolte nella produzione
di armi nucleari. Tra queste molti istituti bancari italiani: al primo
posto Intesa Sanpaolo e UniCredit, seguite da Banca Leonardo, dalla
Monte dei Paschi di Siena, da Banca Popolare di Milano, Banca Popolare
di Sondrio, Banca Popolare Emilia Romagna, Banca Popolare di Vicenza,
Credito Emiliano, Banco Popolare, Gruppo Carige, Mediobanca e UBI
Banca.
Tra le banche non italiane fanno la parte da leone la Bank of America,
BNP, Allianz, Deutsche Bank, Credit Suisse, Royal Bank of Scotland.
Ogni anno si spendono nel mondo 104.9 miliardi di dollari per
armamenti nucleari.
La rete disarmo invita i clienti delle banche prima elencate a inviare
una lettera di protesta alla propria banca, minacciando di ritirare i
propri risparmi. Un fac simile di lettera è in allegato.
(fonti: www.disarmo.org, www.dontbankonthebomb.com)
“La scure che il presidente Monti ha calato, con chirurgica
precisione, su lavoratori e pensionati, con altri è stata più
leggera. I sacrifici non sono stati equamente ripartiti. E
non tutti sono stati chiamati a partecipare, secondo la propria
capacità contributiva. Quando il Paese chiede uno sforzo
straordinario, per non precipitare nel burrone, non si può ignorare
che il 10 per cento delle famiglie italiane possiede il 50 per cento
della ricchezza nazionale. I soldi si vanno a prendere dove ci sono.
Non si toglie il pane di bocca a chi fatica ad arrivare a fine mese.
Ma c’è un settore che, quanto a sacrifici, è stato graziato dalla
scure di Monti. E non si capisce perché. È quello militare. Eppure, di
cose da mettere in ordine ce ne sarebbero tante. A cominciare dai
bilanci, di sempre più difficile lettura. Si sa, comunque,
che complessivamente nel 2012 l’Italia spenderà per la difesa 23
miliardi di euro. Con un esercito dove abbondano, a
dismisura, i comandanti: 467 generali per un esercito di 190 mila
militari. Un’enormità. Negli Stati Uniti di generali ne hanno 900, ma
per Forze armate di un milione e mezzo di soldati.
E' convinzione comune che l'auto elettrica è ecologica. Ma questa è
una mistificazione delle industrie automobilistiche per cercare di
convincere le amministrazioni e aziende pubbliche ad acquistarle (i
privati, più attenti al soldo, capiscono presto che si tratta solo di
un pessimo affare) e recuperare un poco dei molti soldi spesi in 50
anni di ricerca sull'auto elettrica.
Vediamo perché non sono ecologiche.
1) Sono una fonte di rifiuti tossici. Circa ogni
40.000 Km bisogna cambiare le batterie, che sono un rifiuto del peso
di svariate decine di chili, ricco di metalli pesanti, acidi e altre
sostanze tossiche. Se tutte le auto in circolazione in Italia fossero
elettriche si dovrebbero smaltire milioni di batterie ogni anno,
peggiorando in maniera tragica il già grave problema dello smaltimento
dei rifiuti speciali.
2) Non usano in maniera efficiente l'energia. Per
caricare le batterie bisogna produrre energia elettrica e trasportarla
ai punti di ricarica. Per il secondo principio della termodinamica ad
ogni utilizzazione dell'energia una parte non irrilevante di energia
viene dispersa sotto forma di calore, diminuendo quindi l'efficienza
energetica del sistema. Poiché in Italia gran parte dell'energia è di
origine fossile (metano, olio combustibile ecc.) si danno queste
trasformazioni/utilizzazioni di energia: metano (energia chimica) ?
calore (energia termica) ? trasformazione dell'acqua in vapore ?
movimento della turbina (energia cinetica) ? produzione di elettricità
(energia elettrica) ? trasporto dell'elettricità mediante fili (con
dispersione di elettricità) ? caricamento della batteria ?
trasformazione dell'energia elettrica della batteria in energia
cinetica dell'auto. Il rendimento di questo sistema termodinamico è
bassissimo inferiore al 5% (95% di energia dispersa è meno del 5%
utilizzata). Per questo l'elettricità andrebbe riservata agli usi
elettrici obbligati (illuminazione, refrigerazione ecc.) o a trasporti
a più alta efficienza e maggiormente ecosostenibili come il trasporto
su ferro.
Perché sono una truffa
Costano molto di più delle altre e il costo in più è dovuto al costo
della batteria che dopo circa 40.000 Km va cambiata. Quindi il costo
reale di un auto elettrica (supposta una vita di 12 anni) è 2,5 volte
il prezzo di acquisto, con pagamento di 2 quote al momento
dell'acquisto e di una quota ogni 4 anni. L'esperienza del Comune di
Napoli e di tante altre amministrazioni cadute in questa truffa
dovrebbe insegnare. Il Comune di Napoli comprò un certo numero di auto
elettriche e dopo pochi anni si è trovato davanti all'interrogativo se
spendere una cifra consistente per cambiare le batterie di queste auto
o rottamarle. La scelta che ha fatto è stata rottamarle, perché a
conti fatti più conveniente.
Per una mobilità sostenibile meglio investire nei mezzi
elettrici o in altro?
Le aziende che costruiscono auto e autobus elettrici chiedono
incentivi per far decollare una tecnologia che affermano ecologica, ma
che non è tale e che non decolla perché ha grossi problemi tecnici ed
economici.
Se si considera che in Italia circolano 35 milioni di autovetture
(oltre a 4 milioni di autocarri e 9 milioni di veicoli a due ruote).
Per avere un minimo effetto sull’inquinamento dell’aria delle nostre
città bisognerebbe convertire almeno il 10% dei mezzi. Ciò significa
dare incentivi per 3,5 milioni di auto (o un po’ meno, considerando un
effetto traino degli incentivi stessi). Il costo per lo Stato di una
tale operazione si aggirerebbe sui 15 miliardi di euro.
Una cifra enorme che forse potrebbe essere spesa per qualcosa di più
utile. Con questa cifra si potrebbero costruire 215 Km di
metropolitana (14 linee 1 del metrò napoletano), oppure 1500
Km di linee tranviarie in corsia protetta, oppure comprare
120.000 autobus o regalare a tutti gli
abitanti delle 20 città più popolose d'Italia l'abbonamento a tutti
i mezzi pubblici per 10 anni. Questi provvedimenti
avrebbero un effetto sulla vivibilità e sulla qualità dell’aria ben
maggiore. Spostare quote di passeggeri dal trasporto privato a quello
pubblico riduce il traffico e le emissioni inquinanti (un autobus
inquina, per passeggero trasportato, molto meno di un'auto, perché,
pur inquinando di più come veicolo, trasporta in media 15-20 persone,
mentre l’auto solo 1,2 persone).
Vi sono molti documenti del Ministero dell’Ambiente che, partendo da
ricerche italiane e straniere, affermano che l’intervento più utile
contro l’inquinamento atmosferico nei centri urbani è spostare quote
di passeggeri dal trasporto privato a quello pubblico (cioè
incentivare il trasporto pubblico e disincentivare quello privato) e
promuovere pedonalità e ciclabilità.
Questi provvedimenti, per di più, favorirebbero soprattutto i ceti
poveri e le classi medie, cioè quelle che più hanno pagato e stanno
pagando la crisi economica.
In questi giorni è di attualità il tema dei rapporti tra impresa e
lavoratori e dei diritti degli uni e degli altri. Noi vogliamo dare il
nostro contributo al dibattito con un'informazione e un brano di Don
Milani. L'informazione è stata data anche da vari giornali, ma,
secondo noi, senza il giusto rilievo ed è questa: sui primi 1000 ex
dipendenti FIAT assunti dalla nuova Fiat di Pomigliano non c'è nessuno
iscritto alla CGIL. La domanda che sorge spontanea è “non c'è il
rischio che rendendo più facili i licenziamenti individuali le imprese
finiranno per sbarazzarsi dei dipendenti iscritti ai sindacati più
combattivi?
Il brano di Don Milani è una sintesi della famosa lettera a Don Piero,
riportata in Esperienze pastorali. La lettera descrive quale era la
situazione dei lavoratori negli anni 50, quando non esisteva lo
statuto dei lavoratori e l'art. 18. Certo la situazione degli operai
in generale oggi è molto meglio di quella degli anni 50, ma anche il
profitto dei padroni e gli stipendi dei manager sono molto migliori di
quelli degli anni 50. Anzi in proporzione i secondi sono aumentati più
dei primi. Non è il caso allora di puntare di più su una più equa
distribuzione della ricchezza e su costringere le imprese a
reinvestire una maggior parte degli utili?
Leggi "Estratti dalla Lettera a Don Piero, di Don Lorenzo Milani"
Questa è la tesi di vari economisti. Come dice Abdrea Baranes: “Una
montagna di debiti è servita a drogare i consumi per mostrare una
ricchezza economica e una crescita inesistenti, perché nella realtà le
persone erano sempre più impoverite dal progressivo trasferimento
delle ricchezze verso il mondo finanziario. Per riassumere, la finanza
è stata il mezzo per mantenere alta la domanda di consumi, e nello
stesso momento è stata un fine, garantendo tassi di profitti sempre
più elevati ai grandi capitali. Le due cose sono strettamente legate:
di fatto il 5% più ricco della popolazione diventa sempre più ricco e
utilizza il surplus di reddito che non viene consumato per erogare
prestiti al 95% della popolazione. Detta in maniera ancora più
semplice, la finanza prestava ai cittadini, con i dovuti interessi, i
soldi che le aveva sottratto”.
Qualche dato per riflettere:
- in Italia, nell’ultimo ventennio dello scorso secolo 120
miliardi di euro sono passati dai lavoratori ai profitti.
In altre parole, i lavoratori e i cittadini si sono trovati
progressivamente più poveri, mentre le imprese immettevano sul mercato
sempre più prodotti.
- negli Stati Uniti, negli anni Settanta, l’1% più ricco
della popolazione deteneva il 9% dei redditi, mentre nel 2007 la
quota era salita al 23,5%, esattamente la stessa
percentuale del 1928, alla vigilia della Grande Depressione. La
ricchezza del 5% più ricco della popolazione è passata dal 22% del
1983 al 34% del 2007 così come è passata dal 24% del 1920 al 34% del
1928.
(dati tratti da Manifesto degli economisti sgomenti. Capire e superare la crisi, Minimum fax www.sbilanciamoci.it).
spesso nei nostri messaggi abbiamo trattato di fattori che attentano
alla nostra salute quali l’inquinamento atmosferico, i rifiuti, i
pesticidi ecc. Oggi vogliamo soffermarci invece non su qualcosa di
esterno a noi, ma su un nostro comportamento che ha un’importantissima
influenza sulla salute e sull’ambiente: l’attività fisica.
La maggioranza delle persone svolge un'attività motoria del tutto
inadeguata. Il 90% degli adulti e dei bambini e l’85% degli
adolescenti non svolge un'attività fisica adeguata. Spesso nemmeno chi
frequenta un centro sportivo svolge un’attività fisica adeguata, visto
che in media meno della metà del tempo è impegnato nell’attività
sportiva.
I bambini sono diventati tra i soggetti più sedentari: il 16% sta per
almeno 5 ore al giorno a vedere la TV o la playstation, il 38% per
almeno 3 ore al giorno. Durante queste ore spesso mangiucchia,
sicuramente ingurgita un numero impressionante di spot pubblicitari
(se vedesse per sole 2 ore al giorno Italia 1 nella fascia oraria
15-18 assisterebbe a 35.500 spot, di cui 5.500 dedicati a prodotti
alimentari).
Un’attività fisica adeguata a cosa corrisponde?
Per gli adulti corrisponde a:
Per bambini e ragazzi:
Numerose ricerche indicano che è preferibile un’attività fisica
quotidiana (anche frazionata) ad un’attività fisica di pari durata ma
concentrata in pochi giorni della settimana. Quindi meglio camminare
10 minuti a piedi 6 volte al giorno che stare un’ora sul tapis rulant.
Una quotidiana e adeguata attività fisica è di grande importanza,
perché il nostro organismo è programmato geneticamente per fare lunghe
camminate, per correre, per arrampicarsi, per lottare e per molte
altre attività motorie, perché per milioni di anni sono stati gli
strumenti indispensabili per procacciarsi il cibo, fuggire dai
predatori, difendersi dalle intemperie e dalle avversità. Si è così
selezionato un patrimonio genetico funzionale ad una frequente e anche
intensa attività motoria. Per questo motivo un’insufficiente attività
fisica è tra le cause di numerosissime patologie: obesità,
arteriosclerosi, diabete, infarto, ictus, cancro del colon,
colecistopatie, osteoporosi, lombaggine ecc. Un’adeguata attività
fisica, invece, rafforza i muscoli, i tendini e le ossa, aumenta la
capacità respiratoria, tiene pulite le arterie, fa normalizzare la
pressione arteriosa e la glicemia, migliora l’umore e aiuta a dormire
meglio (grazie all’incremento della produzione di endorfine).
L'attività motoria svolge anche un'importantissima funzione nello
sviluppo cognitivo, affettivo e sociale di bambini e ragazzi.
Fare più moto aiuta anche l’ambiente. Basta pensare che il 30% degli
spostamenti in auto copre distanze inferiori a 3 Km (quindi
percorribili in 35 minuti a piedi). Provate a immaginare Napoli col
30% di auto in meno: niente più traffico, aria più pulita, meno
chiasso. Oppure pensate all’energia elettrica risparmiata se il 90%
degli italiani che fa poca attività fisica decidesse di non usare più
l’ascensore ma le scale, o a come ci sarebbe meno bisogno del
riscaldamento (e quindi minore consumo di metano e gasolio e
conseguente minore inquinamento) se non si fosse sedentari per più di
1 ora (come i medici consigliano).
Insomma facciamo più moto, soprattutto usando meno l'auto, camminando
di più, andando in bici, correndo, facendo una bella escursione
all’aria aperta. E' tutta salute. Una raccomandazione per genitori e
nonni: no dire mai ai bambini “Non correre”, “Non sudare che ti poi ti
ammali”. Un'attività fisica adeguata fa sudare.
(Dati del Ministero della Salute studio PASSI, OKkio alla salute, HBSC
e, per gli spot, Società Italiana di Pediatria).
Una bella notizia: la Giunta Comunale ha
sospeso 12 parcheggi voluti dal Commissario Straordinario
ai Parcheggi, tra cui quello di Piazza degli Artisti-De
Bustis-Camaino, perché ha rilevato “problemi di
cantierizzazione, di localizzazione e di utilità, dato che alcuni
possono essere considerati grandi parcheggi attrattori e di
speculazione e non contribuiscono a risolvere il problema per i
residenti”.
La Marco Mascagna con altre circa 20 associazioni, si era fermamente
opposta a tali parcheggi e, in particolare a quello di Piazza
Artisti-De Bustis-Camaino, un parcheggio di circa 950 posti (700 per
residenti), che avrebbe comportato il trasferimento per vari anni del
mercatino nel Parco Mascagna.
Ora dobbiamo impegnarci ancora di più per far realizzare
quegli interventi che possono dare giuste risposte ai bisogni della
popolazione.
Ogni giorno decine di migliaia di auto entrano ed escono dal Vomero,
oltre 600.000 dalla nostra città.
A Napoli vi sono 58 automobili, 14 motocicli e 4
veicoli commerciali ogni 100 abitanti: 76 veicoli ogni 100
abitanti (non contando ciclomotori e camion). Questo enorme
numero di veicoli (Parigi ha 45 auto per 100 abitanti, Barcellona 41,
Londra e Berlino 32, Zurigo 20) e questo enorme accesso di auto nella
nostra città e nel nostro quartiere sono la principale causa del
traffico automobilistico, della difficoltà per i residenti di
posteggiare l'auto, dell'aria inquinata (nel solo mese di gennaio 2012
vi sono avuti 6 superamenti del limite massimo di polveri fini, quando
il limite di legge è di massimo 35 superamenti in un anno), del rumore
(76 db di giorno quando il limite massimo di legge è 60 dB e 73 db di
notte quando il limite massimo è 50 dB).
Più che costruire parcheggi al centro bisogna allora istituire zone a
traffico limitato e migliorare il trasporto pubblico. Al Vomero ciò è
particolarmente facile perché è servito da 3 funicolari e da 3
stazioni della metropolitana; funicolari e metropolitane che sono a
loro volta collegate con linee ferrate (la Cumana, la Circumflegrea,
la linea 2 del metrò, la linea-Piscinola-Aversa) e con parcheggi di
interscambio (Piscinola. Frullone e Colli Aminei, che è direttamente
collegato alla tangenziale).
Una zona a traffico limitato e il potenziamento dei trasporti pubblici
permettono ai non vomeresi di potere accedere facilmente al Vomero e
di poter usufruire dei suoi servizi senza stress e ai vomeresi di
vivere in un quartiere non inquinato, non perennemente congestionato
di auto e di non dover pagare decine e decine di migliaia di euro per
parcheggiare la propria auto.
Dopo questo successo sui parcheggi dobbiamo riuscire a realizzare
questi altri obiettivi: un'ampia ztl al Vomero, corse più
frequenti di metrò e autobus, indicazione precisa degli orari di
partenza e passaggio degli autobus.
(Dati tratti da ISPRA-Ministero dell'Ambiente: Rapporto sulla qualità
dell'Ambiente urbano 2010, nonché da Eurostat, ARPAC, Comune di
Napoli).
Una buona notizia: la raccolta differenziata in
Campania sta aumentando sempre più. Nel 2007 era il 13%, nel 2008 il
19%, nel 2009 il 29%, nel 2010 il 39,5%. Ciò dimostra che non è vero
che i napoletani sono “antropologicamente incapaci di fare la raccolta
differenziata”, come sostenevano tanti politici, giornalisti, opinion
leader ecc. Ciò dimostra anche che la scelta del piano regionale di un
fabbisogno di inceneritori per 1.531.000 tonnellate (pari al 59% della
produzione di rifiuti) non è assolutamente realistica. Perché prima
del 2015-2016 gli inceneritori non entreranno in funzione e, se nel
2010 si era al 39,5 % di raccolta differenziata, nel 2016 si sarà
almeno al 70-75% e quindi ci sarà molto poco da bruciare.
Una brutta notizia: il Piano Rifiuti Regionale è
stato approvato praticamente senza modifiche.
Una notizia buona e brutta. La UE ha sospeso la multa
all'Italia per la cattiva gestione dei rifiuti in Campania e ha dato 5
mesi di tempo per dimostrare che si è cambiata strada. La Ue è
disponibile anche a scongelare i fondi a favore
della Campania, a patto che vengano spesi soprattutto per la raccolta
differenziata, il riciclo, la riduzione di rifiuti e anche per gli
inceneritori.
Queste le notizie.
Cosa fare ora per cercare di far attuare una corretta gestione
dei rifiuti in Campania?
I soldi che i riciclatori danno ai Comuni (o alle loro società come
l'ASIA) dipendono dalla qualità del materiale raccolto. Per esempio se
la carta raccolta contiene meno dell'1,5% di impurità (plastica ecc.)
il Comune (l'ASIA nel nostro caso) incasserà 90 euro a tonnellata, se
ne contiene tra 1,5 e 4% riceverà 67 euro a tonnellata, se più del 4%
solo 45 euro; se il vetro raccolto ha meno dell'1% di
materiale estraneo il Comune incassa 37 euro a tonnellata, se ne
contiene più del 5% incassa solo 0,5 euro a tonnellata.
Quindi, solo se la raccolta differenziata è di qualità risulta
sostenibile economicamente così da consntire una riduzione nel
pagamento della TARSU da parte dei cittadini.
Da quanto detto si capisce l'importanza dell'impegno personale
(fare la raccolta differenziata, farla scrupolosamente, informare
amici, parenti e conoscenti e convincerli a fare altrettanto, fare il
compostaggio domestico, ecc.) ma anche della corretta azione
da parte delle istituzioni preposte (la Provincia che deve
realizzare gli impianti di compostaggio; la Regione che deve
indirrizzare, finanziare e facilitare la raccolta differenziata, il
compostaggio, il riciclaggio, la riduzione dei rifiuti, invece di
focalizzarsi tanto sugli inceneritori; il Comune ecc.). Noi della
Marco Mascagna, come sempre, saremo impegnati su ambedue i fronti:
informando i cittadini, cercando di promuovere comportamenti
ecologicamente corretti, ma anche tallonando le istituzioni perché i
rifiuti siano gestiti in maniera ecologicamente corretta. Ma lo
potremo fare solo se ci sarà l'impegno di soci e simpatizzanti.
Sono ore decisive queste per la questione rifiuti in
Campania. Lunedì 16 alle ore 10 il Consiglio Regionale
discuterà il nuovo piano rifiuti che prevede in sintesi nessuna
riduzione dei rifiuti, un fabbisogno di inceneritori per il 56% dei
rifiuti prodotti, discariche per 503.000 tonnellate/anno.
E' interessante illustrarne l'iter e i rilievi critici, che non sono
venuti solo dalle associazioni ambientaliste e dai comitati, ma anche
dal Ministero dell'Ambiente, dall'ARPAC, dalla Confindustria, dalla
CGIL, da alcune Province (es. Benevento), Comuni ecc. Rilievi su
alcuni punti pressocché unanimi, ma che non sono riusciti a
modificarli.
L'iter del piano: a pensar male si va all'Infermo ma spesso ci
si azzecca.
La prima bozza di piano viene presentata il 17 giugno 2011 ed entro 60
giorni si possono presentare osservazioni e proposte di modifica da
parte di associazioni, enti cittadini. Malgrado la calura estiva e le
ferie sono presentati oltre 600 osservazioni (la Marco Mascagna ne
presenta 18).
Il 27 dicembre, di nuovo in clima vacanziero, sono pubblicate la
sintesi delle osservazioni e delle relative risposte
dell'Amministrazione regionale (documento di ben 814 pagine), più il
nuovo piano (altre 300 pagine) e svariate altre centinaia di pagine di
allegati. Tutte questo corposo tomo dovrebbe essere studiato dai
consiglieri regionali entro l'11 gennaio per poterne discutere in
Commissione Ambiente e presentare i relativi emendamenti. L'assessore
Romano voleva che andasse a votazione in Consiglio il 13 gennaio. Poi
si è concordato per lunedì 16 gennaio. Si cerca di far credere che
bisogna fare in gran fretta perché altrimenti l'Europa ci comminerà la
multa. Ma questo è falso perché l'ultimatum dell'europa scade il 15
gennaio e riguarda il Governo Italiano e non la Regione. Lo ammetterà
lo stesso assessore Romano nella riunione della Commissione Ambiente
il 13 gennaio.
E' forte il sospetto che si è scelto il periodo natalizio e si è data
una gran fretta per blindare il piano, impedire un esame serio da
parte dei Consiglieri regionali, delle associazioni ed enti che hanno
presentato osservazioni, della stampa, della società civile.
Noi siamo riusciti a studiarci tutte queste pagine, notando fatti
sorprendenti e rilevanti incongruenze.
I fatti sorprendenti e le incongruenze del piano.
Il fatto che ci ha sorpreso è che CGIL e Confindustria, Comitati
rifiuti e Ministero dell'Ambiente, Associazioni ambientaliste e Comuni
e Province, tutti si sono trovati d'accordo su alcuni punti.
Esaminiamo questi punti e le maggiori incongruienze del piano:
Se questi rilievi fossero stati accolti nel piano (quindi se si pianificava il 65% di raccolta differenziata, impianti di separazione secco umido e riduzione della produzione di rifiuti anche solo del 10%) il fabbisogno di incenerimento sarebbe stato di 605.000 T/anno, invece di 1.531.000 e quello di discariche lievemente maggiore (558.000T/anno invece di 503.000 T/anno). Se però si contemplano anche impianti di trattamento dello scarto della raccolta differenziata tipo Vedelago, il fabbisogno di discarica si riduce a 470.000T/anno e quello di inceneritori sotto il 450.000 T/anno.
Proposte sul piano delle entrate:
Maggiore tassazione dei capitali scudati. Sui
capitali scudati non è stata pagata l'IVA, che essendo una tassa
comunitaria non può essere condonata unilateralmente dall'Italia. Si
propone pertanto un contributo del 15% sui capitali scudati. Si
otterrebbero 15 miliardi di euro.
Tassa patrimoniale. Si propone una tassa patrimoniale
dello 0,5% sui patrimoni oltre i 500.000 euro, con
alcune correzioni di carattere progressivo (possibile grazie alla
registrazione dei beni sulla dichiarazione dei redditi) sul prelievo.
Entrate previste 10miliardi e 500 milioni di euro.
Progressività della tassazione. Si propone di
introdurre un'aliquota del 49% per i redditi sopra i 200.000
euro. Entrate previste 1 miliardo di euro
Tassare le rendite. Oggi gli interessi sui depositi
bancari sono tassati al 27%, mentre gli interessi sulle obbligazioni,
plusvalenze e rendimenti delle gestioni individuali e collettive al
12,5%. Si propone una tassazione uniforme al 23%,
allineata così a quella dei Paesi europei per evitare fughe di
capitali all'estero. Con tale provvedimento si otterrebero 2
miliardi di euro.
Basta software a pagamento. Obbligo di adottare
software libero in tutte le pubbliche amministrazioni. Risparmio
totale previsto 1 miliardo di euro.
Riduzione dei programmi d'arma. Si chiede di non
firmare il contratto per la produzione dei 131 cacciabombardieri Joint
Strike Fighter e la cancellazione dei finanziamenti previsti per il
2012 per la produzione dei 4 sommergibili Fremm, dei cacciabombardieri
F35 e delle due fregate “Orizzonte”. Risparmio previsto: 783
milioni di euro per il solo 2012.
Aumentare le tasse sulla pubblicità. Aumentare del
5% la tassazione sugli utili pubblicitari per contenere l'invadenza
della pubblicità e recuperare 500 milioni di euro.
Cancellazione dei finanziamenti alla scuola privata. Risparmio
700 milioni di euro.
Cancellare il finanziamento di 400 milioni all'autotrasporto
merci.
Inoltre: aumento della tassa sul porto
d'armi, sui canoni di concessione delle acque
minerali, tassa sull'emissione di CO2,
tassazione sui diritti televisivi dello sport-spettacolo ecc.
Entrate previste 800 milioni di euro.
Misure per lo sviluppo (per un nuovo modello di sviluppo)
1 miliardo per il trasporto su rotaia (merci, e passeggeri
pendolari)
1 miliardo per la difesa del suolo
1 miliardo per l'edilizia scolastica
1 miliardo per l'avvio di 3000 asili nido
400 milioni per incentivi, agevolazioni e crediti per
promuovere la piccola imprenditoria.
Agevolazioni per l'uso efficiente dell'energia e il risparmio
energetico.
Programma di piccole opere. Di fronte ai faraonici
programmi di “grandi opere” che producono ingente spesa pubblica,
scarsi benefici sociali e danni ambientali per il territorio (e
business per poche imprese), si propone invece un programma di
“piccole opere” per il Mezzogiorno che riguardi interventi integrati,
sociali, ambientali, urbanistici (sistemazione della rete idrica
locale, recupero urbanistico dei piccoli centri, risanamento
ambientale di coste e aree montane ecc.). Si propone a questo scopo di
chiedere la piena attuazione del Piano delle opere medio-piccole
deciso in Cipe il 6 novembre 2009 che prevede dal 2010 al 2013 la
spesa nel triennio 413 milioni, a cui si chiede di aggiungere uno
stanziamento di 500 milioni, da finanziare stornando la cifra
corrispondente dagli stanziamenti previsti per le infrastrutture
strategiche.
Lotta alla disoccupazione e alla precarietà. Oggi,
il 29% dei giovani è disoccupato e tra chi lavora il 50% ha un
rapporto di lavoro precario. Si propone un intervento per limitare la
precarietà attraverso: a) la concessione di credito di imposta fino a
3.000 euro l’anno per l’assunzione dopo due anni di rapporti di lavoro
parasubordinati.
E inoltre: ricerca, diritto allo studio, lotta
all'emarginazione, diritto alla salute ecc.
Il testo completo del Rapporto 2012 Controfinanziaria di Sbilanciamoci
è scaricabile dal sito www.sbilanciamoci.info
Le questioni economiche da molti giorni sono l'argomento al centro
dell'attenzione di politici, stampa, cittadini. Rispetto ad altri
tempi, dove al centro dell'attenzione erano i lavavetri e gli
accattoni (anzi, non loro, ma il presupposto fastidio da loro recato
alla popolazione italiana), gli islamici che minacciavano la nostra
civiltà cristiana, l'urgente necessità di rendere quasi impossibili le
intercettazioni telefoniche per le indagini giudiziarie, l'altrettanta
urgente necessità di abbreviare la prescizione dei processi ecc., si è
fatto un significativo passo avanti. Ora parliamo di problemi reali,
si discute anche animatamente ma non ci si divide più tra chi è per il
voto in condotta e chi no, chi per il grembiule per tutti gli studenti
e chi solo per quelli delle elementari.
Purtroppo vi sono altri problemi, altrettanto reali e drammatici, che
però non sono al centro dell'attenzione. Tra questi quello ambientale.
Se si pensa che la concentrazione della CO2 nell'aria è
aumentata del 36% degli ultimi 250 anni (del 10% dal 1960 ad oggi) e
che quella del metano addirittura del
148%, raggiungendo le più alte concentrazioni degli ultimi 650.000
anni, si puo comprendere l'affermazione di alcuni
scienziati: “Stiamo compiendo il più grande esperimento mai compiuto
al mondo: cambiare significativamente l'atmosfera del nostro pianeta.
Quali saranno le conseguenze, non lo sappiamo ancora, ma sappiamo che
questa volta le cavie siamo noi”.
Alcune di queste conseguenze sono state ipotizzate già da molti anni:
aumento dei fenomeni climatici estremi (alluvioni, siccità, uragani,
ecc.), scioglimento dei ghiacci polari (in particolare del Polo Nord)
e dei ghiacciai terrestri, diffusione di specie animali e vegetali in
nuove aree geografiche, aumento del livello del mare ecc. Ipotesi che,
purtroppo, sono diventate realtà. Altre sono più recenti e, tra
queste, preoccupa soprattutto la possibile alterazione delle
correnti del Golfo e del Labrador, che potrebbe determinare
innumerevoli effetti, tra cui una drastica riduzione della temperatura
in tutta l'Europa non mediterranea.
L'Organizzazione Mondiale della Sanità in vari rapporti ha richiamato
l'attenzione sugli innumerevoli effetti sulla salute di questi
cambiamenti. Ora un recente rapporto OMS e APAT (www.apat.gov.it/site/_files/reportAPATOMS.pdf)
esamina la situazione italiana e le prospettive sono davvero
preoccupanti (aumento della mortalità negli anziani per i periodi di
calura, aumento di malattie infettive come leishmaniosi, rickettsiosi,
encefaliti ecc., aumento di morti e feriti per alluvioni, aumento
dell'asma ecc.), con stime di mortalità difficili da definire, ma che
potrebbero essere di decine di migliaia di morti all'anno.
Mentre si chiedono sacrifici ai cittadini (alla maggioranza dei
cittadini), mentre si prendono provvedimenti urgenti e dolorosi per
rassicurare i mercati e ridurre il debito degli Stati, ci si
disinteressa di questo grave problema.
La Conferenza internazionale sui cambiamenti climatici di
Durban, dopo giorni di discussione, non ha preso alcun
provvedimento, ma ha solo deciso di darsi 4 anni di tempo per
concordare un trattato che stabilirà degli obiettivi vincolanti da
raggiungere per il 2020. E tutto ciò perché il nostro sistema
economico potrebbe non sopportare i provvedimenti per tutelare il
pianeta Terra, l'unico in cui possiamo vivere. Sarebbe invece bene che
proprio adesso che gli argomenti economici sono all'ordine del giorno,
ci fossero anche quelli ecologici, perché un'economia che non
tiene conto dei vincoli ecologici non solo causa enormi danni
all'ambiente e, quindi, all'uomo, ma non può non entrare in crisi
prima o poi. Nascondere i problemi sotto il tappeto è una
pessima strategia. Non vorremmo che tra qualche anno un nuovo ministro
ci dicesse che siamo sul Titanic e che abbiamo ballato mentre la nave
(ecologica ed economica) affondava.
In allegato trovi il file Dove lo butto, per sapere in quale contenitore mettere i vari tipi di rifiuto, e un elenco di esercizi commerciali e prodotti per ridurre la produzione di rifiuti (detersivi e alimenti alla spina, beni in materiale riciclato, prodotti riutilizzabili ecc.)
Scarica il file "Dove lo butto"
Scarica l' elenco di esercizi commerciali e prodotti per ridurre la produzione di rifiuti
Lo spettacolo per raccogliere fondi per l'asilo Sector Primero è stato un successo: la partecipazione nutrita, gli spettatori entusiasti. Un grazie a tutti gli artisti Daniela del Monaco (anche direttrice artistica dello spettacolo), Mirella Giordano, Salvatore Murru e Massimo Tomei, Massimiliano Sacchi, Roberto Melisi; la compagnia Teatronoi (Titti Pepi, Lino Fusco, Pino Orizzonte, Franco Prisco); Paolo Rescigno e Marisa Portolano; Daniele Mattera; i Finti-Illimani, e a tutti coloro che si sono impegnati diffondendo la notizia, vendendo i biglietti ecc.
Comunichiamo ai fan che il video dello spettacolo non esiste (scusateci, non siamo attrezzati).
Cioè di oggetti, cose, spesso inutili o superflue, talvolta non
desiderate e poco gradite e poi, soprattutto in questo periodo di
crisi ... Ma fare e ricevere regali è qualcosa di molto bello se è un
pezzettino di noi che ci scambiamo, un segno di attenzione per
l’altro, un modo per dire chi siamo e che pensiamo dell'altro. Ma oggi
i regali raramente sono questo, mentre spesso sono un dovere, una
scocciatura, l’ennesima cosa da fare freneticamente, l’ennesimo
contributo da dare alla società dei consumi e degli sprechi, che
consuma risorse e produce rifiuti oltre i limiti delle capacità del
pianeta, mentre 2 miliardi di persone non hanno nemmeno il necessario
per vivere?.
Noi dell’Associazione “Marco Mascagna” ti invitiamo a fare regali
diversi dalla massa e a proporre un altro modo di fare regali. Ti
proponiamo:
Venerdì 25 novembre ore 19.15-21.15, presso l'Istituto
Grenoble, in Via Crispi, si terrà lo Spettacolo
per raccogliere fondi per l'Asilo Sector Primero del Salvador.
Lo spettacolo sarà, come ogni anno, molto gradevole e utile per i
nostri amici di San Salvador.
Si esibiranno Daniela del Monaco (contralto), Mirella Giordano,
Salvatore Murru e Massimo Tomei (piano), Massimiliano
Sacchi (clarinetto), Roberto Melisi (chitarra);
la compagnia Teatronoi (Titti Pepi, Lino Fusco, Pino Orizzonte,
Franco Prisco); Paolo Rescigno (piano) e Marisa Portolano (voce);
Daniele Mattera (attore); i Finti-Illimani.
Musica classica, leggera d’autore, etnica, tanghi, piece teatrali
divertenti e che invitano alla riflessione.
Ti chiediamo di non mancare e
di impegnarti a far venire quante più persone è possibile. I
biglietti (euro 15) sono già in vendita presso E Pappeci (Via Orsi
72 e Via Monteleone 8) e ManiTese (Piazza Cavour). Per avere i
biglietti da vendere ad amici e conoscenti chiedere all’associazione
(0815600885, mail@giardinodimarco.it).
Ti alleghiamo un volantino per meglio diffondere la notizia.
Contributo percentuale di varie categorie al gettito IRPEF nel 1993 e
nel 2007: anno 1993: dipendenti 56%, pensionati 20%, imprenditori il
13%, professionisti il 8%; anno 2007: dipendenti 52%, pensionati il
27%, imprenditori il 5%, professionisti il 4. Quindi nel corso degli
anno imprenditori e professionisti hanno ridotto il loro contributo al
gettito IRPEF
Stima della percentuale di ricchezza posseduta da dipendenti e
pensionati (anno2009): 25-30%. Quindi i dipendenti e pensionati pure
possedendo solo il 25-30% della ricchezza contribuiscono al gettito
IRPEF per il 79%, quindi le altre categorie pagano meno tasse
(evasione ecc.).
Reddito medio lordo di alcune categorie secondo le dichiarazioni dei
reddititi (anno 2007): farmacisti 126.000 euro, avvocati 49.000 euro,
dentisti 45.000 euro, gioiellieri e orologiai 15.800, meccanici
15.400, tassisti 13.600 e parrucchieri e barbieri 10.400, dirigenti
privati e pubblici con 105.500 euro.
Merendine e snack sono spesso molto calorici, ricchi di grassi saturi (quelli che favoriscono il colesterolo e l'aterosclerosi), talvolta con grassi trans (che favoriscono l'aterosclerosi), per di più sono anche abbastanza costosi, per cui i medici consigliano di mangiarne il meno possibile. Poiché però succede che la maggioranza delle persone ne mangia non raramente e poiché i bambini le chiedono e i genitori li accontentano, sarebbe bene sapere quale sono quelli nutrizionalmente più accettabili e quelli che conviene evitare. Per questo motivo il Settore Educazione Sanitaria – Servizio Comunicazione Pubblica Sanitaria dell'ASL Napoli 1 Centro ha preparato uno snackometro, dove sono riportati i valori nutrizionali di oltre 300 snack e quali di questi valori sono accettabili (colore verde), quali da guardare con sospetto (colore giallo) e quali da evitare (colore rosso), indicando infine un giudizio globale con relativo punteggio e colore.
In allegato trovi lo snackometro e le istruzioni che spiegano i criteri utilizzati e come utilizzarlo.
L'Italia è, dopo la Romania, il Paese della UE con la maggiore
povertà infantile (n° di minori poveri/tot minori), seguono Polonia,
Grecia, Spagna. L?Italia è anche uno dei Paesi che spende meno per le
politiche sociali (4,9% del PIL, la Spagna il 6%, Germania 10,5%,
Francia il 12%), per la sanità (7% del PIL, Spagna 6,5%, Germania
10,5, Francia 12%), per le politiche del lavoro (1% del PIL, Spagna
2%, Francia 2,3%, Germania 2,4%). E? invece uno di quelli che spende
di più per la difesa (2% del PIL, Spagna 1,2%, Germania 1,3%, Francia
2,4%). Nel corso degli ultimi 15 anni si è verificato un notevole
aumento della diseguaglianza economica: i ricchi sono diventati più
ricchi, i poveri sono aumentati di numero e sono diventati ancora più
poveri. E' utile avere presente questi dati, sopratutto oggi che
l?Italia è in grave crisi economica e bisogna decidere dove tagliare e
da chi pretendere sacrifici.
(fonti: ISTAT, Eurostat, SIPRI
Simbolicamente quel giorno, definito da molti "overshoot day", è come
se l'umanità avesse consumato tutte le risorse naturali che la Terra
ci ha offerto per tutto il 2011. È così, da quel momento di fine
settembre fino alla fine dell'anno, noi attingeremo dalle riserve
accantonate per i nostri figli per poter continuare a dare ossigeno al
nostro insensato modello di sviluppo.
Questo è l'unico debito, o meglio l'unico default, realmente
importante oggi. Perchè non tocca i destini delle grandi banche che
hanno scelto di giocare alla roulette con la finanza internazionale,
ma le basi stesse della nostra convivenza civile e della stessa
sostenibilità degli ecosistemi.
Di questo debito, come di quello finanziario, ci sono chiare
responsabilità. Così come ci sono evidenti connivenze con la creazione
della crisi e la sua gestione. Sono oramai in molti tra studiosi e
giornalisti che vedono la gestione delle crisi economiche e
finanziarie, e il loro modo di comunicarle e farle percepire, come una
nuova occasione per le poche élite di redistribuire al contrario la
ricchezza.
Perché il momento che stiamo vivendo oggi è il punto di arrivo di un
percorso molto più lungo, che inizia nelle intenzioni più di 60 anni
fa ma si vede applicato nella pratica solo alla fine degli anni '70.
E' quella che, con un termine un po' fuori moda potremmo definire
"lotta di classe all'incontrario", fatta di strategie e politiche in
cui le élite economiche e finanziarie, con la connivenza e la
facilitazione di Governi anche autorevoli, hanno permesso una netta
redistribuzione di risorse dalla maggioranza più povera alla minoranza
più ricca. Nel corso degli ultimi venti anni la maggior parte
dell'incremento di produttività, e quindi di ricchezza, è finito in
profitti piuttosto che in salari e la forbice tra i due si è
ulteriormente allargata. Un flusso di denaro immenso e continuo, che
ha risalito la corrente come i salmoni che, invece di cadere nella
bocca di un orso, sono stati dirottati nei grandi fondi di
investimento, nella speculazione finanziaria ed immobiliare se non in
veri e propri paradisi fiscali.
Il grande gioco della roulette della finanza aveva giocatori
e croupier consapevoli dell'insostenibilità di quel casinò. Il
problema è che il disastro che ne è seguito vuole essere messo sulle
spalle dei soliti noti e le misure di austerità in Grecia, come quelle
in arrivo in Italia, dimostrano una lotta per la difesa dei propri
privilegi che ha dello scandaloso.
C'è un mondo che ha parlato per anni di condizioni di lavoro eque, di
trasparenza di filiera, di prezzo equo. Il commercio equo ma ancor più
le economie solidali hanno provato a costruire qualcosa di diverso, a
dargli gambe economicamente, a proporre l'alternativa. Un approccio
necessario ma oramai non più sufficiente.
Viene chiesto ad ognuno di noi un passo avanti deciso nel nostro
essere cittadini responsabili, che non si può ridurre più oramai al
semplice acquisto "buono, pulito e giusto".
Siamo alle porte di un evento importante. Il 15 ottobre
milioni di persone scenderanno in piazza per opporsi a questo
modello di sviluppo e a questa crisi. Da Madrid a New York,
fino a Roma e a Bruxelles quel momento vorrà essere qualcosa di più di
un semplice rituale di piazza, è il punto di arrivo di un lavoro di
cucitura di relazioni tra movimenti ed organizzazioni, con l'obiettivo
di mettere in campo forze ed intelligenze per costruire un'opposizione
sociale all'altezza del momento che stiamo vivendo.
Le economie solidali hanno una grande opportunità, quella di
riconsolidare rapporti e collaborazioni, di ritornare ad essere
soggetto sociale capace di unire proposta concreta e reale con la
pratica del conflitto. E' un tema non risolto, ancora aperto. Ma che
coinvolge direttamente ognuno di noi, perchè il rischio è che finita
questa crisi noi e soprattutto i nostri figli ci troveremo a vivere in
una società ancora più diseguale, conflittuale ed insostenibile di
come l'abbiamo conosciuta.
Alberto Zoratti
(Da Altreconomia)
La crisi economica non è certo un argomento poco trattato da giornali, radio e tv. Ma, come sempre, si è dato molto spazio ad alcune analisi e proposte di intervento e molto meno ad altre. Riteniamo, invece, che l’ascolto delle diverse posizioni sia sempre saggio, ma lo è ancora di più quando ci si trova di fronte a problemi complessi e di enorme gravità, come appunto l’attuale crisi economica. Per questa ragione abbiamo deciso di presentarvi alcune analisi e proposte di intervento che hanno avuto poco spazio sui media. In allegato trovate i seguenti documenti:
La manifestazione “Marco Mascagna 20 anni dopo” è andata molto bene:
eravamo in tanti, sia dell'associazione sia di esterni (compresi
Consiglieri Comunali e della Municipalità), le mostre sono state molto
apprezzate e molti ci hanno lasciato la loro mail per essere informati
delle nostre iniziative. Ovviamente il tema più dibattuto è stato
l'ipotesi di parcheggio sotterraneo a Piazza degli Artisti, Via De
Bustis, Via Camaino (e contemporaneo spostamento del mercatino nel
Parco Mascagna per circa 2 anni), parcheggio da noi (e da oltre 20
associazioni vomeresi) decisamente avversato. I cittadini con cui
abbiamo parlato erano tutti indignati per questa ipotesi, e ci hanno
promesso un impegno fattivo.
Insomma una giornata che sarebbe piaciuta molto a Marco Mascagna. Un
grazie a tutti quelli che hanno collaborato.
Sulla
nostra pagina facebook si possono vedere alcune foto
dell'evento.
Mercoledì 21 per la Settimana della mobilità sostenibile,
staremo nuovamente al Parco Mascagna. Ci saremo dalle 16.30
alle 20.30 con la mostra sulla vicenda dei Giardinetti e quella sulla
mobilità sostenibile e con il nostro materiale informativo. Chi può
dare una mano ce lo segnalasse indicando anche da che ora a che ora.
La bottega del commercio equo e solidale E Pappeci sta attraversando
un periodo di grave difficoltà economica e organizzativa. In
particolare c'è bisogno di persone volenterose disponibili a fare
qualche turno settimanale in bottega (le botteghe sono in Via Orsi, al
Vomero, e in Via Monteleone, vicino piazza del Gesù) o a impegnarsi
nelle attività educative, culturali, nella raccolta fondi ecc, nonché
di sostenitori economici e di nuovi soci.
Per contatti tel. 081/5521934, mail amministrazione@epappeci.it,
oppure rivolgerso direttamente alle botteghe (Via Orsi 72, Vico
Monteleone 8)
Giovedì 8 settembre, anniversario della morte di Marco
Mascagna, dalle ore 16.30 alle 21.30, si terrà nel parco a lui
intitolato (Via
Ruoppolo) un'iniziativa dell'Associazione Marco Mascagna per
ricordarlo, per ricordare la lotta dei cittadini del Vomero-Arenella
per la mobilità sostenibile e per difendere i Giardinetti di Via
Ruoppolo (lotta che purtroppo si è riaperta con il ventilato progetto
di parcheggio da 946 posti sotto Piazza degli Artisti-Via de Bustis e
il trasferimento del mercatino nel Parco Mascagna), per far conoscere
l'associazione e le sue molte iniziative, per passare una piacevole
giornata insieme.
Ci saranno una mostra di foto e documenti su "La lotta nonviolenta per
difendere i Giardinetti e per la mobilità sostenibile", nonché mostre
su "I costi del nostro modello di mobilità", "L'impronta ecologica".
Saranno presenti oltre stand dell'Associazione.
Saranno realizzati i seguenti eventi:
- Laboratorio di pittura creativa per i bambini
- "A noi non ce la danno a bere": incontro-animazione su perché è
meglio bere acqua del rubinetto
- Compostaggio domestico: illustrazione pratica di come utilizzare i
rifiuti per produrre concime
- "Ginnastica a tutte le età": incontro di ginnastica dolce per
anziani e non (ore 18.30)
- Musica con i Finti Illimani, il Minimo Ensemble (Daniela del Monaco,
voce, e Antonio Grande, chitarra) e i Beatlejuice (dalle ore 19.30 in
poi).
Grazie anche al lavoro del nostro socio Andrea Somma abbiamo steso
le nostre osservazioni (ben 16 pagine) al Piano Rifiuti della Regione
(saranno presentate ufficialmente ai primi di agosto). Osservazioni
molto critiche perché il piano è tutto incentrato sugli inceneritori
(attivi tra 3 anni secondo la Regione) e su discariche (per i prossimi
3 anni soprattutto ma anche dopo), mentre il riciclaggio è marginale
(si stima a regime una percentuale di solo il 20%).
Positivo invece il giudizio generale sul progetto di ztl al Centro
antico di Napoli, ma abbiamo avanzato critiche alla previsione di
parcheggi e alla possibilità di accesso per le moto “pulite” (sic).
Abbiamo suggerito alcuni interventi a costo zero per favorire l'uso
dei mezzi pubblici e garantire l'accesso agli utenti del Policlinico
della SUN e i diritti dei disabili.
Il 7 luglio abbiamo avuto un incontro con gli assessori alla
Mobilità e all'Urbanistica.
Gli assessori ci hanno illustrato le loro linee programmatiche:
promozione della pedonalità (ztl, aree pedonali ecc.), realizzazione
di parcheggi di interscambio alla periferia della città, potenziamento
del trasporto pubblico (pur con le difficoltà dovute al taglio del 40%
dei finanziamenti statali ai trasporti e con i tagli al bilancio
comunale). Ci hanno confermato che tutti i progetti di parcheggio non
cantierati sono stati bloccati per poterli esaminare e decidere se
rientrano nei criteri di utilità e sostenibilità.
Noi abbiamo illustrato le nostre proposte (vedi documento
allegato), soffermandoci soprattutto sugli obiettivi
strategici da perseguire: la tutela della salute, la qualità
dell'ambiente, la vivibilità, la necessità di garantire la mobilità
anche a chi non ha la patente o non possiede un mezzo di trasporto
privato, la necessità quindi di ridurre la densità automobilistica
(circa 60 auto ogni 100 abitanti, il doppio di Parigi e Londra)
incentivando l'uso dei trasporti pubblici e disincentivando al
contempo quello dei trasporti privati, nonché su alcune nostre
proposte (in particolare quelle riguardanti i parcheggi e sopratutto
quello di Piazza degli Artisti).
Gli assessori ci hanno fatto una buona impressione, per competenza
(sono esperti nelle loro materie, al contrario di altri precedenti
assessori che non riuscivano nemmeno a capire di cosa parlassimo) e
disponibilità all'ascolto e al confronto (l'incontro è durato circa 2
ore e 30 ed è stato un vero dialogo). Ci hanno assicurato che
cercheranno fortemente la partecipazione dei cittadini e il confronto
con le associazioni.
Compostare scarti di verdure, frutta, posa di caffè è facilissimo,
occupa pochissimo tempo e spazio, non produce cattivi odori o insetti,
non costa quasi niente ed è anche divertente e utile (si ha gratis
terra di ottima qualità per le proprie piante e per quelle di amici e
conoscenti). Lasciare la frazione umida nel sacchetto della spazzatura
determina invece gravi problemi, perché è quella che genera cattivi
odori, proliferazione di insetti, percolato. Se poi, come in questi
giorni, staziona sui nostri marciapiedi dà i problemi che tutti
vediamo e odoriamo. Se 1% delle famiglie napoletano compostasse i
propri rifiuti organici vi sarebbero ogni anno 1.800 tonnellate di
spazzatura in meno.
In allegato trovi il nostro volantino su come fare il compost a casa
(invialo ai tuoi contatti e distribuiscilo ai tuoi amici e
conoscenti). Poiché alcuni ci hanno segnalato che non riescono ad
utilizzare tutto il compost che producono, se ti farebbe piacere
averne (ovviamente gratis) scrivici.
scarica il volantino su come fare il compost a casa
La Marco Mascagna ed altre associazioni (Ronda del Cuore, Comunità di S. Egidio, Amici di Strada Cicloverdi ecc.) hanno presentato una richiesta al Sindaco per attivare le fontanine esistenti ed installarne di nuove. Le fontanine sono una necessità, soprattutto d'estate, per i senza fissa dimora e sono molto utili per ridurre l'acquisto di acqua in bottiglia.
Gli amici della Marco Mascagna sanno bene perché in Campania da 20
anni è una perenne emergenza rifiuti e sanno bene anche cosa si
dovrebbe fare per avere una corretta gestione dei rifiuti. Ne abbiamo
scritto tante volte (vedi il nostro opuscolo "I
rifiuti: perché esiste un problema rifiuti e cosa si puó fare per
risolverlo" e i numerosi documenti prodotti scaricabili dal sito
www.giardinodimarco.it) e
da venti anni siamo impegnati su questo argomento (qualcuno si ricorda
ancora delle nostre giornate di raccolta differenziata a Piazza degli
Artisti nei primi anni novanta?).
La nuova Amministrazione Comunale ha affermato che vuole voltare
pagina col vecchio modo di gestire i rifiuti, funzionale ad arricchire
gruppi di potere anche malavitoso. Purtroppo non è e non sarà facile
scardinare un sistema e crearne un altro, soprattutto quando questo
lede grossi interessi. E purtroppo mettere in piedi un nuovo sistema
non si fa nell'arco dei giorni o delle settimane.
In questa fase abbiamo pensato di dare il nostro contributo nei
seguenti modi:
rilanciare la nostra proposta ai cittadini di compostare a casa almeno
parte della frazione umida della loro spazzatura. Compostare scarti di
verdure, frutta, posa di caffè è facilissimo, occupa pochissimo tempo
e spazio, non produce cattivi odori o insetti ed è anche divertente e
utile (si ha gratis terra di ottima qualità per le proprie piante).
Lasciare la frazione umida nel sacchetto della spazzatura determina
invece gravi problemi, perché è quella che genera cattivi odori,
proliferazione di insetti, percolato. Se poi, come in questi giorni,
staziona sui nostri marciapiedi dà i problemi che tutti vediamo e
odoriamo.
Informare i cittadini sul caso Campania e sulla corretta gestione dei
rifiuti e, anche, in particolare, sulle nuove ordinanze sindacali
presentare nostre osservazioni al Piano Regionale Rifiuti (abbiamo
circa 50 giorni di tempo per farlo). Per legge la Regione dovrà
considerarle e motivare perché sono state accolte o rigettate
continuare la nostra opera di esame critico di quanto vanno facendo
Governo, Regione, Provincia, Comune.
Se sei disponibile a dare una mano per i punti informativi che
vogliamo organizzare inviaci una mail con le tue disponibilità. In
allegato trovi il nostro volantino su come fare il compost a casa
(invialo ai tuoi contatti e distribuiscilo ai tuoi amici e
conoscenti).
Scarica il volantino su come fare il compost a casa
E' ritornata di attualità la TAV in Val di Susa, opera che la
stragrande maggioranza dei politici e dei commentatori politici
ritiene indispensabile e fondamentale per l'Italia. Ma cosa ne dicono
gli esperti?
Riportiamo in allegato due articoli, uno, uscito sul Sole 24 Ore, del
prof. Perrotti (docente di Economia alla Bocconi) e un altro della
Voce.info, un autorevole giornale economico. Posizioni interessanti,
ma di cui purtroppo si parla pochissimo.
E' stato pubblicato il bando di gara per l'inceneritore di Napoli
Est, dal quale appare chiaro la vera ragione di questo impianto. Il
bando prevede infatti:
1) un costo base di 386 milioni a carico della ditta costruttrice per
costruire l'impianto
2) la devoluzione alla ditta costruttrice di tutte le somme incassate
nei primi 20 anni di esercizio (tariffa di smaltimento, vendita di
energia elettrica, CIP6 ecc.). Il bando indica le seguenti cifre base:
93 euro, pagati con i proventi della TARSU, per ogni tonnellata
bruciata (ad Acerra si pagano 53 euro); 224 euro per ogni MW prodotto
nei primi 8 anni e 70 euro per ogni MW per i successivi 12 anni per la
vendita di energia elettrica. In totale 1.793 milioni di euro in 20
anni. Il costo di esercizio è di circa 30 milioni l'anno, quindi il
guadagno sarà di circa 1.200 milioni di euro a fronte di un
investimento di 386 milioni.
3) la garanzia di conferire almeno 450.000 tonnellate di spazzatura
anno.
4) la possibilità ai soli soggetti privati di partecipare alla gara
(l'ASIA quindi è esclusa).
Quindi appare chiaro che l'azienda che vincerà l'appalto non avrà
alcun rischio di impresa e guadagnerà quasi il triplo di quanto ha
investito. E tutte le somme che guadagnerà derivano dal pubblico (la
TARSU, le sovratasse sull'energia elettrica ecc.).
Per capirci, se un barista vince il bando per gestire un piccolo bar
in una scuola non gli viene garantito che ogni anno saranno comprati
in ogni caso almeno x panini e y bibite, né gli viene garantito che
saranno comprati ad un prezzo superiore del 50% a quello di mercato
per i primi 8 anni, né gli si dà un bonus di tot euro per ogni caffè
venduto e nemmeno gli viene garantito tutto ciò con i soldi dei
genitori degli studenti. Il barista che vince il bando per gestire un
bar nella scuola rischia i propri soldi, gli potrà andare bene o male,
se i ragazzi decideranno di mangiare della salubre frutta portata da
casa invece di patatine e merendine o si adeguerà o fallirà. Invece
chi costruisce l'inceneritore a Napoli Est non rischia niente, è
sicuro che guadagnerà almeno 2 volte e mezzo quanto investe, e i
napoletani non potranno scegliere di gestire i rifiuti in maniera più
salubre perché in ogni caso devono fornire almeno 450.000 tonnellate
di rifiuti all'anno.
Abbiamo la possibilità di impedire il ritorno al nucleare, di dare
un segnale forte contro la privatizzazione dei beni comuni, di
riaffermare che la legge deve essere uguale per tutti.
In particolare sul nucleare vogliamo ricordare che l’Italia non
ha attualmente nessun deficit di energia e che se non si
costruisse nessuna centrale, se non venisse installato nessuna pala
eolica o alcun pannello solare e il consumi di energia aumentassero ai
tassi pre crisi economica si avrebbe un deficit di energia solo nel
2020.
L’Italia importa una discreta quantità di energia elettrica dalla
Francia (fino anche al 25% di notte). Ma visto che abbiamo una così
ampia disponibilità di energia elettrica perché l’importiamo? Perché
in Francia la produzione di energia elettrica avviene soprattutto
tramite centrali nucleari, che non possono essere accese e spente a
seconda se c’è più o meno richiesta. Quindi di notte in Francia c’è un
eccesso di produzione di energia elettrica che se non ceduta
determinerebbe un sovraccarico della rete elettrica che potrebbe
determinare gravi inconvenienti. La Francia allora la vende sottocosto
ai Paesi confinanti, tra cui l’Italia. Di notte,
quando la produzione di energia elettrica costa di più, l'Italia
riduce fortemente la produzione di energia elettrica e l'acquista a
basso costo dalla Francia che non può fare altrettanto. Di
giorno succede il contrario e l'Italia, che come abbiamo
visto ha un notevole surplus di potenza installata, esporta energia
elettrica in Francia, che, proprio per il massiccio ricorso
all'energia nucleare, ha un sistema di produzione di energia elettrica
poco flessibile. (fonte: Terna: Dati statistici sull’energia elettrica
in Italia).
Inoltre:
dopo quasi 6o anni di uso energetico del nucleare ancora non si è trovato un modo per smaltire i rifiuti nucleari.
se anche si trovasse un modo, noi italiani, che non sappiamo smaltire i rifiuti urbani, sapremo smaltire in maniera sicura, trasparente, affidabile quelli nucleari?
è giusto prendere scelte che mettono in pericolo le generazioni future per decine di migliaia di anni?
l'incidente di Cernobil e di Fukushima non dovrebbero insegnarci che bisogna smettere di credersi onnipotenti e di fare come Topolino apprendista stregone?
l'Italia ha sole, salti d'acqua, fiumi, zone ad attività geotermica inoltre spreca energia nella rete di distribuzione, nei trasporti, nelle case, perché non impegnarsi con serieta nell'uso efficiente ed appropriato dell'energia, nel risparmio energetico, nelle energie rinnovabili e pulite, nella conversione ad una società ecosostenibile e più giusta (la sobrietà felice)?
L'energia nucleare costa più di altre fontidi energia: 63 euro nucleare, 55 euro gas (Commissione Europea 2008), 64,6 per il nucleare, 50 per il gas (MIT 2009).
Sul nostro sito trovi altri dati sul nucleare e sul problema energetico.
Il Parlamento presto discuterà di due proposte di legge per
incentivare le auto elettriche. La prima (primo firmatario A. Ghiglia
del PdL) prevede 5 mila euro di incentivo per l'acquisto di auto
elettriche, sgravi fiscali e obbligo di prevedere colonnine di
ricarica nelle opere di urbanizzazione. La seconda (primo firmatario
A. Lulli del PD), 5.500 euro di incentivo per l'acquisto (rottamando
un'auto vecchia), esenzione della tassa di possesso e un finanziamento
di 50 milioni ai comuni per far installare colonnine di ricarica.
Addetti al settore prevedono che per la fine dell'anno il Parlamento
potrebbe legiferare in tal senso.
Una legge a favore dell'ambiente? Così viene presentata, ma, se si
approfondisce un poco la questione, la realtà sembra un'altra.
Innanzitutto le auto elettriche costano molto (l'utilitaria Citroen
C-Zero 36.000 euro) e, con tutti gli incentivi statali, sono alla
portata solo delle classi agiate, anche perché le batterie dopo circa
40.000 Km devono essere sostituite e il loro costo è circa il 50% del
costo dell’auto. Gli incentivi sarebbero, quindi, un trasferimento di
risorse ai ceti benestanti: un provvedimento poco equo.
Si potrebbe pensare: utile per combattere l’inquinamento? Si, ma a che
prezzo?
In Italia circolano 35 milioni di autovetture (oltre a 4 milioni di
autocarri e 9 milioni di veicoli a due ruote). Per avere un minimo
effetto sull’inquinamento dell’aria delle nostre città bisognerebbe
convertire almeno il 10% delle auto. Ciò significa dare incentivi per
3,5 milioni di auto (o un po’ meno, considerando un effetto traino
degli incentivi stessi). Il costo per lo Stato di una tale operazione
si aggirerebbe sui 15 miliardi di euro. Una cifra
enorme che forse potrebbe essere spesa per qualcosa di più utile. Con
questa cifra si potrebbero costruire 215 Km di metropolitana
(14 linee 1 del nostro metrò), oppure 1500 Km di linee
tranviarie in corsia protetta, oppure comprare 120.000
autobus o regalare a tutti gli abitanti delle 20
città più popolose d'Italia l'abbonamento a tutti i mezzi pubblici
per 10 anni. Questi provvedimenti avrebbero un effetto
sulla vivibilità e sulla qualità dell’aria ben maggiore. Spostare
quote di passeggeri dal trasporto privato a quello pubblico riduce il
traffico e le emissioni inquinanti (un autobus inquina, per passeggero
trasportato, molto meno di un'auto, perché, pur inquinando di più come
veicolo, trasporta in media 15-20 persone, mentre l’auto solo 1,2
persone).
Queste cose il Governo dovrebbe saperle, perché vi sono molti
documenti del Ministero dell’Ambiente che, partendo da ricerche
italiane e straniere, affermano che l’intervento più utile contro
l’inquinamento atmosferico nei centri urbani è spostare quote di
passeggeri dal trasporto privato a quello pubblico (cioè incentivare
il trasporto pubblico e disincentivare quello privato).
Inoltre questi provvedimenti favorirebbero soprattutto i ceti poveri e
le classi medie, cioè quelle che più hanno pagato e stanno pagando la
crisi economica.
Insomma gli incentivi all'acquisto di auto elettriche sono in
realtà finanziamenti all’industria dell’auto, ai ricchi e ai
benestanti.
Un mito da sfatare è quello che le auto elettriche sono
“ecologiche”. Esse infatti sono una fonte di rifiuti
tossici (come abbiamo detto ogni 40.000 Km bisogna cambiare
le batterie, che sono un rifiuto del peso di svariate decine di chili,
ricco di metalli pesanti, acidi e altre sostanze tossiche). Se tutte
le auto in circolazione in Italia fossero elettriche si dovrebbero
smaltire milioni di batterie ogni anno. Le auto elettriche hanno senso
solo in un sistema di trasporti basato sul netto predominio del mezzo
pubblico e della bicicletta. Se lo si vuole costruire bisogna partire
da una seria politica di incentivo del trasporto pubblico (mezzi
pubblici frequenti, comodi, precisi, affidabili, capillarmente diffusi
e funzionanti a tutte le ore del giorno e fino a notte inoltrata) e di
disincentivo del trasporto privato (aree a traffico limitato, zone
pedonali, fasce orarie a traffico limitato, internalizzazione dei
costi esterni dell’auto, che in Italia ammontano a circa 90 miliardi
all’anno). Una politica che vari Paesi europei hanno già intrapreso da
anni, ma che i nostri governanti e amministratori non vogliono
intraprendere per incultura, per sudditanza ai poteri forti, per
incapacità o ... anche peggio.
Nell'ultimo messaggio vi avevamo dato alcune caratteristiche del
progetto di parcheggio a Piazza degli Artisti. Ora abbiamo avuto la
scheda tecnica del Comune che mostra un progetto ancora peggiore. Il
parcheggio è di 4 piani sotterranei a piazza degli Artisti, 3 a via De
Bustis e 2 a via Tino di Camaino. Non è da 700 posti, ma da 946 posti;
Via Tino di Camaino non viene pedonalizzata.
Al Vomero sono in costruzione o in progetto, oltre a questo di Piazza
degli Artisti, parcheggi a Via De Ruggiero, Altamura, Winspeare, Muzi,
Pansini, Piazza Leonardo, Verdinois, Imperatrice, Paisiello, Da
Salerno, Durante. La speculazione edilizia, dopo avere riempito di
cemento quasi tutto il suolo di Napoli ora prende d'assalto il
sottosuolo, per di più pubblico e dato gratis a privati.
Per fortuna associazioni e cittadini si stanno mobilitando e
sono in preparazione iìvarie iniziative. Se sei interessato inviaci
una mail.
Si ipotizza la costruzione di un megaparcheggio di 3 piani
sotterranei per 700 posti auto di cui 200 a pagamento orario (“di
destinazione”) e 500 box per residenti entro ben 2 Km dal parcheggio
(cioè a 30 minuti a piedi dallo stesso!), con possibilità di
acquistare anche 2 box e di subaffittarli. Per tutto il periodo di
costruzione, il mercatino di Via De Bustis (175 stand)
verrebbe trasferito nella zona del Parco Mascagna. In
cambio la promessa di eliminare circa 200 posti auto in superficie, di
pedonalizzare via T. di Camaino e di ricostruire lo stabile del
mercatino. Insomma un intervento contrario alle indicazioni della
moderna urbanistica che considerano i parcheggi (tranne quelli di
interscambio alla periferia delle città) causa di traffico (sono
attrattori di veicoli) e di eccessiva densità automobilistica. Un
intervento che utilizza la difficoltà di trovare parcheggio e le
carenze dell'amministrazione comunale per guadagnare consenso ad un
intervento di speculazione edilizia. Così, dopo avere riempito di
cemento quasi tutti gli spazi in superficie, ora la speculazione
edilizia vuole riempire di cemento il sottosuolo. Sottosuolo pubblico
ceduto gratis a privati che realizzano lucrosi guadagni perché “il
mattone è un investimento sicuro”. In un'area di meno di 2 Kmq sono in
costruzione, in progetto o costruiti i seguenti parcheggi Via Pigna,
Via Omodeo, Via De Ruggiero, Via Paisiello, Via A Da Salerno, Piazza
degli Artisti-Via De Bustis-Via Tino da Camaino, Piazza Arenella, Via
Verdinois, Largo Celebrano, Piazza Leonardo. Tutti parcheggi sopra i
100 posti (700 quello di Piazza degli Artisti, 200 largo Celebrano,
160 piazza Arenella e piazza Leonardo ecc.). Si regala ai
privati il suolo pubblico per favorire l'auto e si aumentano le
tariffe dei mezzi pubblici, diminuendo la frequenza delle corse e
l'orario di esercizio dei mezzi pubblici. Tutto il
contrario di quello che hanno fatto e continuano a fare città come
Zurigo, Monaco, Parigi, Londra, Copenaghen. Napoli ha il triplo delle
auto per abitante di Zurigo e Copenaghen, il doppio di Monaco, Parigi,
Londra. E non è un caso. Nelle città europee si investe nel trasporto
pubblico (a Monaco, città di 1 milione di abitanti come Napoli, ci
sono 16 linee di metropolitana con corse anche ogni 2 minuti e orari
di esercizio di 18-24 ore al giorno, nonché autobus precisi come
orologi). Nelle città europee circolare con l'auto può comportare un
ticket di 12 euro al giorno (così avviene a Londra), parcheggiare
costa 4 euro l'ora (a Copenaghen), i residenti devono costruire il
proprio parcheggi sul terreno di loro proprietà o pagando un fitto
all'amministrazione.
Noi non vogliamo essere più schiavi dell'auto (e di chi ci lucra
sopra), non possiamo più tollerare di sacrificare 2.000 vite ogni anno
a questo dio (tanti sono i morti dovuti all'inquinamento atmosferico
in un anno a Napoli), vogliamo spostarci comodamente, puntualmente,
velocemente tramite mezzi pubblici funzionanti a tutte le ore del
giorno, vogliamo poter camminare in sicurezza e tranquillità, vogliamo
aree verdi (e per aree verdi non intendiamo lande desolate con qualche
striminzita aiuola, ma giardini, boschetti, alberi, cespugli
rigogliosi), non vogliamo più frane e voragini quasi ad ogni pioggia
un poco più abbondante. Non vogliamo un sogno. Vogliamo quello che ci
spetta, che sta scritto in tanti documenti, piani, leggi europee,
nazionali, comunali (nel Piano della mobilità, che è norma
vigente, sta scritto che si privilegia la pedonalità e la
ciclabilità, poi il trasporto pubblico e poi quello privato).
Il progetto di costruire un parcheggio a Piazza degli Artisti-Via De
Bustis trasferendo 175 stand mercatali al Parco Mascagna, cioè una
delle pochissime aree verdi del Vomero, un'area difesa con i denti dai
cittadini, suona come un affronto che non può essere tollerato. Per
questo si è immediatamente costruito un fronte contro. WWF,
Associazione Marco Mascagna, Italia Nostra, Assoutenti, GGIL SPI
Vomero, Cicloverdi, Comitato S. Martino, Rete Lilliput Nodo di Napoli,
Mamme Antismog, Mamme per la Città, Comitato Vomero-Arenella-Gruppo
Storico, Associazione Culturale Pediatri-Pediatri per un Mondo
Possibile, Lo Sguardo che Trasforma, Thelema, Associazione Duecon e
semplici cittadini hanno costituito il Coordinamento contro il
Parcheggio di Via De Bustis-Piazza degli Artisti e hanno chiesto ai
candidati alla Municipalità e al Comune di prendere posizione contro
qualsiasi ipotesi di parcheggio sopra i 100 posti (ovviamente per soli
residenti) in tale zona. Purtroppo il tempo a disposizione è stato
molto poco, i candidati nell’ultima settimana di campagna elettorale
sono resi da mille impegni e quindi non è stato facile contattarli e
avere il tempo per illustrare il progetto e le nostre posizioni. Per
questo qui trovate la posizione rispetto alla nostra dichiarazione di
impegno contro il parcheggio (vedi allegato) di una minima parte dei
candidati alla 5° municipalità e al Comune. Siamo sicuri però di avere
ottime ragioni e di riuscire per questo a portare sulle nostre
posizioni gran parte delle persone che verranno eletti. Ciò sarà
ovviamente molto più facile se si creerà un ampio fronte di cittadini
fortemente determinato contro quest’opera.
Questi i candidati che siamo riusciti a contattatare e le loro
risposte:
Federazione di Sinistra: 7 contattati, 7 hanno
firmato: Elena Coccia, Daniele Quatrano, Sandro Fucito, Eduardo
Mignone, Daniela Wollmann, Giulia Sirigatti, Lidia Mastrantuono
Le competenze per Napoli: 3 contattati, 3 hanno
firmato: Alberto Patruno, Malaica Cisternino, Mimma Marotta
Movimento 5 stelle: 6 contattati, 6 hanno firmato:
Mariano Peluso (candidato alla presidenza della Municipalità), Umberto
Zucconelli, Giuseppe Rondelli, Raffaele Merola, Maria Muscarà, Fabio
Alemagna
Napoli è Tua: 6 contattati, 6 hanno firmato:
Vittorio Vasquez, Carlo Iannello, Giuseppe Comella. Claudio Noschese,
Daniela Villani, Alessandra Aprea,
PD: 4 contattati: 3 hanno firmato (Francesco
Nicodemo, Marinella Gargiulo, Franco Tenuta), 1 non si è pronunciata
(Paola De Gennaro)
SEL: 5 contattati: 3 hanno firmato (Guido
Liotti, Luca Simeone, Carlo Ziviello), 1 non si è pronunciato
(Giuliano De Cristofaro), 1 non l'ha voluto firmare (Mario Coppeto,
candidato alla presidenza della Municipalità)
Socialisti, Verdi ecologisti: 1 contattato, 1
firmato: Marco Gaudini
PDL: 1 contattato, 1 firmato: Guido Marone (candidato
alla presidenza della Municipalità)
scarica la dichiarazione di impegno contro il parcheggio
Nell’penultimo giorno di campagna elettorale spunta la promessa di una nuova sanatoria dell’abusivismo edilizio. E’ la promessa di Berlusconi a chi, violando la legge, ha costruito ville, case, capannoni. Sanatoria anche se la casa sorge su aree con vincolo paesistico o idrogeologico o sismico; sanatoria malgrado la magistratura ha dimostrato che l’abusivismo edilizio è molto spesso un grande affare della criminalità organizzata che impone tangenti, che controlla professionisti e imprese edili disposti a operare in dispregio della legge; sanatoria anche se i geologi affermano che è una delle principali cause del dissesto idrogeologico e delle frane.
Secondo alcuni sondaggi il 70% degli italiani non sa che il 12 e 13
giugno si vota per i referendum. Secondo molti sondaggio il 70-80%
degli italiani è contrario alla privatizzazione dell'acqua e il 75-85%
è contrario alla costruzione di centrali nucleari. Leggendo questi
dati non si può fare a meno di sospettare che non si vuole informare
la popolazione su questo importante evento di democrazia diretta
perché si ha la certezza che, se si raggiunge il quorum (il 50% più
uno degli aventi diritto al voto), i SI vincerebbero sicuramente. Per
questo ti chiediamo di informare quante più persone è possibile di
questo importante appuntamento e di invitarle ad andare a votare e ad
esprimere il proprio SI ai quesiti proposti.
Riportiamo in sintesi i 4 quesiti su cui siamo chiamati ad esprimerci:
Primo quesito (Acqua): Vuoi eliminare la legge che dà
l'affidamento a soggetti privati o privati/pubblici la gestione del
servizio idrico?
Secondo quesito (Acqua): Vuoi eliminare la legge che
consente al gestore di avere un profitto proprio sulla tariffa
dell'acqua, indipendente da un reinvestimento per la riqualificazione
della rete idrica?
Terzo quesito (Centrali Nucleari): Vuoi eliminare la
legge che permette la costruzione di centrali nucleari sul territorio
italiano?
Quarto quesito (Legittimo Impedimento): Vuoi
eliminare la legge 7 aprile 2010, n. 51 che amplia la facoltà del
Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri di non
presentarsi ai processi penali (prolungando quindi i tempi del
processo).
L’ICRP (l’Istituto Internazionale per la Radioprotezione), istituto criticato dagli antinucleari perché dipendente dai gruppi interessati allo sviluppo dell’energia nucleare, stima che l’incidente di Cernobyl ha causato nei primi 25 anni 18.000 morti e che altrettanti saranno determinati negli ulteriori 25 anni, per poi scemare (altre fonti parlano di 50.000 morti in 50 anni). La dose collettiva assorbita dall’incidente di Cernobil è stata di 600.000 Sievert. Non si sa ancora quale è quella dell’incidente di Fukoshima, ma dai primi dati è molto probabile che essa sarà ingente, determinando un numero di morti superiore a quelli del terremoto giapponese.
1) Nel periodo 2005-2009 i quattro maggiori esportatori europei di
armi alla Libia sono stati, nell'ordine: Italia, Francia, Regno Unito,
Germania. Nel solo 2009 il totale delle esportazioni di armi
dall'Europa alla Libia si aggirava sui 343 milioni di euro, con
l'Italia sempre al primo posto. È interessante notare che proprio i
governi di questi quattro paesi nel 2004 furono tra i più attivi per
l'abrogazione dell'embargo sull'esportazione di armi alla Libia.
(Fonte: The Guardian. I dati sopra riportati considerano solo dati
pubblici riguardanti le licenze di esportazione).
2) Le notizie provenienti dalla Libia spesso sono false. Un
giornalista della RAI ha denunciato in un’intervista alcuni casi
eclatanti di notizie false (vedi
3) L’intervento in Libia doveva servire a realizzare una fly zone per
impedire una strage degli insorti, come mai la guerra continua anche
se la fly zone è ormai realizzata?
Il 20 marzo in 19 piazze di Napoli si sono raccolte le firme per la
raccolta porta a porta. Oltre a noi della Marco Mascagna c’erano i
vari gruppi, associazioni e comitati che si battono per una più
ecologica e più economica gestione dei rifiuti. In una sola mattina
sono state raccolte quasi 5.000 firme. Varie testate giornalistiche
hanno parlato dell’evento.
I prossimi appuntamenti sono ora per domenica 3 aprile,
Piazzetta Sanità – Chiesa di San Vincenzo, ore 10 - 13 per il
banchetto per raccogliere le firme e sabato 9 aprile,
ore 10 in piazza Dante, per il corteo che terminerà a piazza
Plebiscito. In allegato c’è la locandina della manifestazione, che vi
invitiamo a stampare e affiggerla o distribuirla. L’appuntamento per
noi della Marco Mascagna è alle 10 vicino al giornalaio.
La Marco Mascagna, con il Coordinamento delle associazioni per la mobilità sostenibile, ha espresso tutta la sua contrarietà alla decisione di soppressione delle corse notturne delle funicolari e delle corse della linea 6. La decisione è frutto del taglio dei finanziamenti al trasporto pubblico deciso dal Governo (fino al 40% di fondi in meno). Vi invitiamo a inviare due mail, la prima all’assessore Vetrella (ass.vetrella@regione.campania.it) con il seguente testo
la seconda ai seguenti indirizzi col testo che segue
vicesindaco@comune.napoli.it;
sindaco@comune.napoli.it;
assessorato.ambiente@comune.napoli.it;
assessorato.mobilita@comune.napoli.it;
ufficiostampa@metro.na.it;
mario.desposito@comune.napoli.it;
gestioneclientela@metro.na.it;
a.iocco@metro.napoli.it;
ass.vetrella@regione.campania.it
AL SINDACO DI NAPOLI
ROSA RUSSO JERVOLINO
AL VICESINDACO
SABATINO SANTANGELO
ALL'ASSESSORE ALL'AMBIENTE
GENNARO NASTI
ALL'ASSESSORE ALLA MOBILITA'
AGOSTINO NUZZOLO
ALL'ASSESSORE REGIONALE AI TRASPORTI
SERGIO VETRELLA
AL DOTT.MARIO ESPOSTITO
COMMISSIONE MOBILITA'
AL DIRETTORE GENERALE METRONAPOLI
ATTILIO IOCCO
Oggetto: Contro la chiusura delle funicolari di sera e della Linea
6
La decisione della chiusura delle funicolari alle ore 22 e della
linea 6 alle ore 14.30 è inaccettabile e rappresenta un
inspiegabile passo indietro per una seria politica di mobilità
sostenibile di cui la nostra città ha urgente bisogno.
Che senso ha costruire e inaugurare brevi tratti di linea
metropolitana se poi viene ridimensionato in maniera cosi drastica
e incomprensibile il servizio penalizzando chi, per scelta o per
necessità, utilizza le funicolari dopo le 22?
Come si vuole realmente disincentivare l'utilizzo delle auto?
E quando si apriranno le altre fermate di metro quante altre
corse e linee pensate di tagliare ?
Tutto questo come si vede non risponde a nessuna logica di buon
senso
Ma se proprio volete fare dei tagli, perché non incominciare
proprio dai numerosi consigli di amministrazione delle aziende di
trasporto?
Firmato
Il 12 giugno quasi certamente si voterà per i referendum contro la
privatizzazione dell'acqua, la costruzione di centrali nucleari e la
legge sul legittimo impedimento per i membri del Governo. E'
importante raggiungere il quorum per due motivi: per permettere che
sia considerata la volontà degli italiani (favorevole o non
favorevole) e perchè il Comitato Acqua possa avere il rimborso
(parziale) delle spese sostenute. Tutta la campagna del Comitato
Acqua, sia per raccogliere le circa 1 milione e 400 mila firme, sia
per invitare i cittadini a votare SI è infatti finanziata da una
miriade di piccoli gruppi legati al Comitato. Se il referendum non
raggiunge il quorum non si avrà il rimborso e ciò si tradurrà in
un'ulteriore “mazzata” per le associazioni (dopo l'abolizione delle
facilitazioni sulle spedizioni postali e la riduzione del 5 per
mille). La difficoltà di raggiungere il quorum è resa più facile dalla
decisione del Governo di non accorpare il referendum alle elezioni
amministrative (scelta che si stima ci costerà circa 300 milioni di
euro).
La Marco Mascagna ha deciso di raccogliere fondi per
finanziare la campagna del Comitato Acqua, e chiede quindi a soci e
simpatizzanti di versare un contributo sul ccp. 36982627 o ccb Banca
Fideuram iban IT21G0329601601000064226269 intestato a Associazione
Marco Mascagna onlus, Via Ribera 1 80128 Napoli, con causale “per il
Comitato Acqua”.
scarica il modello per la raccolta delle firme
Avete raccolto le firme per la petizione per il porta a
porta? Se si consegnatecele al più presto (entro la
prossima settimana) così che possiamo consegnarle alle Municipalità e
che queste possano deliberare prima dello sciogimento del Consiglio.
La raccolta delle firme, in ogni caso, continuerà fino all'estate
perché è nostra intenzione consegnarle anche alle Municipalità e al
Sindaco (quelli eletti a maggio 2011).
L'Istituto Superiore della Sanità in un suo rapporto
sull'epidemiologia delle malattie tiroidee afferma che “il cancro alla
tiroide ha avuto un'incidenza moltiplicata da 10 a 100 volte come
conseguenza del disastro nucleare di Chernobyl, nelle zone interessate
da un aumento significativo della radioattività”. “In Italia la
tiroidite di Hashimoto colpisce ormai circa una donna su 10 (“dal 5 al
15 per cento della popolazione femminile e dall'1 al 5 per cento della
popolazione maschile).
La tiroide è molto suscettibile alle radiazioni ionizzanti e
l'incidente di Cernobil ha rilasciato una grande quantità di iodio
radioattivo (I 131), che si è diffusa su gran parte dell'Europa. Lo
iodio 131, soprattutto per via alimentare, penetra nell'organismo e si
va a concentrare nella tiroide, irradiandola con radiazione beta. La
tiroide è particolarmente suscettibile alla radiazioni, che possono
determinare tumori e favorire la tiroidite autoimmune.
Lo spot del Forum Nucleare Italiano (la partita a scacchi) è stato sanzionato dal Giurì della Pubblicità perché ingannevole. Questo spot fa credere che la fonte sia super partes mentre in realtà è una lobby dell'atomo. Lo spot è costato 6 milioni di euro, in parte pubblici. La condanna è una magra soddisfazione perché la pena consiste nel divieto di trasmetterlo e avviene dopo 3 mesi di martellante riproposizione in tutte le tv.
La Commissione Europea ha scritto all'Italia una dura nota “affinché la Regione Campania adotti un piano soddisfacente nel termine indicato». La Commissione ricorda che detto piano deve rispettare la gerarchia prevista dalle direttive europee, privilegiando la riduzione, il riutilizzo e il riciclaggio dei rifiuti e la garanzia del necessario numero di impianti di compostaggio. Inoltre la Commissione denuncia che le discariche campane non rispettano le normative vigenti e che vi vengono depositati rifiuti “tal quali”.
Purtroppo i nostri governanti sono sordi a tali richiami. Il
presidente della Provincia Cesaro vuole altre deroghe per poter aprire
discariche in spregio a qualsiasi logica di buona gestione del
territorio e della stessa salute dei cittadini. La Regione vuole
costruire 5 inceneritori e ambedue gli enti decidono di depositare “il
fos, la frazione organica stabilizzata prodotta dagli STIR nelle cave
esaurite”. Ma in realtà gli STIR campani non producono frazione
organica stabilizzata ma solo spazzatura tritata. Quindi si vorrebbe
depositare spazzatura tritata in siti non idonei per ospitare
discariche (le cave esaurite quasi mai hanno fondi e pareti
impermeabili e spesso hanno la falda a pochi metri dal fondo). Per di
più, non considerandole discariche, ma “interventi di bonifica delle
cave” (sic!) non saranno adottati quegli accorgimenti previsti per le
discariche (impermeabilizzazione, rete di drenaggio del percolato,
impianto di depurazione del percolato, rete di captazione del metano
ecc.). Ricordiamo inoltre che inchieste giudiziarie e rapporti sulle
ecomafie hanno evidenziato che gran parte delle cave sono collegate
alla camorra.
Intanto anche l'impianto di compostaggio di Salerno (oltre quello di
Caserta) è pronto, ma non li si mette in funzione. E senza impianti di
compostaggio la raccolta dell'umido non è economicamente conveniente.
Queste due asserzioni (“L’Italia ha un deficit di produzione di
energia elettrica”. “Importiamo energia elettrica dalla Francia”) sono
spesso ripetute dai fautori del nucleare per sostenere le loro
posizioni. Ma corrispondono al vero?
La prima è del tutto falsa. L’Italia ha centrali per una potenza
installata pari a 101 GW (dati anno 2009). I consumi oscillano tra 18
GW di notte e 52 GW di giorno (il massimo picco di richiesta raggiunto
è avvenuto nel 2007 ed è stato pari a 57 GW). Quindi attualmente
abbiamo una disponibilità quasi doppia rispetto alle richieste.
La seconda affermazione invece è del tutto vera: l’Italia importa una
discreta quantità di energia elettrica dalla Francia (fino anche al
25% di notte). Ma visto che abbiamo una così ampia disponibilità di
energia elettrica perché l’importiamo? Perché in Francia la produzione
di energia elettrica avviene soprattutto tramite centrali nucleari,
che non possono essere accese e spente a seconda se c’è più o meno
richiesta. Quindi di notte in Francia c’è un eccesso di produzione di
energia elettrica che se non ceduta determinerebbe un sovraccarico
della rete elettrica che potrebbe determinare gravi inconvenienti. La
Francia allora la vende sottocosto ai Paesi confinanti, tra cui
l’Italia. Di notte, quando la produzione di energia elettrica costa di
più, l'Italia riduce fortemente la produzione di energia elettrica e
l'acquista a basso costo dalla Francia che non può fare altrettanto.
Di giorno succede il contrario e l'Italia, che come abbiamo visto ha
un notevole surplus di potenza installata, esporta energia elettrica
in Francia, che, proprio per il massiccio ricorso all'energia
nucleare, ha un sistema di produzione di energia elettrica poco
flessibile.
(fonte: Terna: Dati statistici sull’energia elettrica in
Italia)
Human Rights Watch (HRW), ha presentato qualche
giorno fa il suo rapporto 2010 sulla situazione dei diritti
umani nel mondo, analizzando la situazione in un centinaio
di Paesi. Purtroppo ancora oggi i più elementari diritti umani non
sono tutelati in molti Stati. E il pensiero va alla Cina, alla Corea
del Nord, al Sudan, all'Arabia ecc. Purtroppo il rapporto dedica
un intero capitolo all'Italia.
Le principali violazioni del nostro Paese sono:
- Mancato rispetto dei diritti dei richiedenti asilo.
Il nostro Paese rimanda in Libia persone intercettate in mare senza
chiedere loro, nella loro lingua, nome, cognome e nazionalità e senza
dare loro la possibilità di chiedere asilo politico. Tale
comportamento, contrario al Trattato di Ginevra (sottoscritto
dall'Italia), ha conseguenze spesso gravissime. Mentre l'Alto
Commissariato ONU per i Rifugiati offre stime degli aventi diritto
respinti (circa un terzo di tutti i respinti, cioè circa 1.000 persone
all'anno) il rapporto segnala alcuni episodi accertati di perseguitati
politici respinti dall'Italia.
Inoltre “l’Italia ha continuato a deportare i sospetti di terrorismo
in Tunisia, nonostante il rischio di maltrattamenti e torture. Anche
la Corte Europea dei diritti umani e il Consiglio d’Europa hanno
richiamato il Governo italiano
- Mancato rispetto dei diritti dei minori: l'Italia
ha respinto in Libia anche minori.
- Discriminazione nei confronti di etnie minoritarie come i
rom e i sinti. Il rapporto segnala discriminazioni in
materia di alloggi, accesso alla giustizia, assistenza economica e
fiscale, nonché episodi di violenza. Ricordiamo che anche il Comitato
europeo dei diritti sociali della U.E. “condanna l’Italia per la
discriminazione contro i Rom”.
- Razzismo, xenofobia, omofobia: il rapporto segnala
anche discriminazioni contro immigrati, extracomunitari e omosessuali
ed esprime preoccupazione per il razzismo e la xenofobia in Italia.
Giulio Facchi a pagare 5,5 milioni per il danno arrecato alle casse dello Stato. Il subcommissario infatti ha deliberato l'assunzione di “lavoratori socialmente utili” “pure a fronte di una sostanziale impossibilità di un loro utilizzo sia presso i Comuni sia presso i previsti impianti non ancora realizzati”. Inoltre Facchi, non contento di un compenso di 130.000 euro l'anno per la sua attività di subcommissario, si è concesso rimborsi spese per 35.000 euro (biglietti arerei, alberghi e pasti per sé e per sua moglie), malgrado il suo compenso fosse già comprensivo delle spese per trasferte.
Forse avrete avuto anche voi il dvd “Fatti un idea del nucleare!”,
che l'ENEL e l'EDF hanno offerto come inserto in molti settimanali.
Vedetelo perché è veramente istruttivo. Potrete sentire affermazioni
che rivoluzionano tutto il sapere scientifico e la stessa logica,
panzane spacciate per dati di fatto e le solite mezze verità a cui ci
si agrappa quando non si hanno argomentazioni convincenti. Segnaliamo
le migliori.
Si inizia con “Ogni forma di energia è vita”, 6 parole che
rivoluzionano tutta la fisica e la biologia. Ora sapete che quando
accendete un fornello state facendo nascere un nuovo essere vivente
(sul quale cucinerete due uova al tegamino o due spaghetti) e che la
vita si misura in Joule o Calorie e può essere espressa perfino in
formule come Kg.m2/s2. Rivoluzionario!
Ma non finisce qui. Perché apprendiamo anche che “Le pasticche di
uranio arricchito non sono radioattive finché non avviene la reazione
nucleare” (nella centrale). Quindi una sostanza radioattiva (come
l'uranio e per di più a maggiore concentrazione dell'isotopo più
radioattivo) non è radioattiva. Qui viene messo in crisi uno dei
capisaldi della logica e della scienza: il principio di non
contraddizione, con conseguenze ancora più rivoluzionarie, perché se
una sostanza radioattiva non è radioattiva può anche essere che una
sostanza non radioattiva è radioattiva, oppure che se io non sono in
luogo (Bogotà vi va bene?) è perché io sono proprio in quel luogo (a
Bogotà). Insomma potete dire qualsiasi panzana e sarà coerente con
questa logica da folli.
Ed eccoci allora alle panzane:
- “L'unica energia con produzione di CO2 vicino allo zero è quella
nucleare”, dimenticando che l'idroelettrico, l'eolico, il fotovoltaico
e il solare termico sono a minore produzione di CO2 del nucleare.
- “Quasi tutta l'energia che consumiamo in Italia è importata … e
quasi tutta l'energia che importiamo è di origine nucleare”. La prima
affermazione è vera, infatti l'Italia importa petrolio e gas, che sono
usati per produrre energia elettrica, ma anche per far muovere i 48
milioni di veicoli circolanti in Italia e riscaldare case e uffici. La
seconda no perché il petrolio e il gas non sono di origine nucleare.
E' invece di origine nucleare la maggioranza dell'energia elettrica
che importiamo: cioè la maggioranza del 13 % (la percentuale di
energia elettrica importata in Italia).
- “L'energia elettrica di fonte nucleare costa fino a circa il 20% in
meno di quella prodotta con le centrali più moderne a gas”. Quale è la
fonte di questo dato? La NEA, cioè l'Agenzia per l'Energia Nucleare
(un ente che ha lo scopo di promuovere l'energia nucleare), che stima
un costo di 60,5 euro per MWh per il nucleare e 73 euro per il gas.
Voi vi fidereste? Chiedereste al venditore se il prodotto che vende è
conveniente? Meglio chiederlo a qualcun altro. Ecco allora qualche
altra stima di organismi non antinucleari:
Congresso USA (anno 2008): 58 euro per il nucleare e 44,6 euro per il
gas
Commissione Europea (2008): 63 euro nucleare, 55 euro gas
Istituto di Ricerca di Palo Alto (2008): 56 nucleare, 65 per il gas
Camera dei Lord (2008): 69 euro nucleare, 60 per il gas
MIT (2009): 64,6 per il nucleare, 50 per il gas.
Ovviamente in nessuna di queste stime è calcolato il costo per
la dismissione della centrale e la sua conservazione (per qualche
centinaio di anni) e per la gestione delle scorie ad alta attività
(che si devono conservare per qualche millennio).
- I rifiuti ad alta attività radioattiva non sono tanti: “sono
pari a 5 chicchi di riso per ogni italiano” (per ogni centrale
funzionante e per ogni anno). Così sembrano pochi. E' come dire che
a Bhopal in fin dei conti è uscito solo mezzo chicco di riso per
ogni indiano (40 tonnellate di isocianato di metile divise per 1
miliardo di abitanti). Ma quel mezzo chicco ha provocato oltre 2.000
morti “acuti” e altri 13.000 “non acuti”, e causato danni permanenti
a mezzo milione di persone.
Nel video, oltre a queste ed altre panzane, quello che ci
colpisce è l'uso attento di tutti i mezzi (voce, musica, immagini)
per persuadere i cittadini a non opporsi al nucleare. Insomma, se
per convincere che la scelta del nucleare è una buona scelta bisogna
fare ricorso a suoni suadenti, immagini ipertecnologiche, voci
rassicuranti, menzogne, assurdità scientifiche, panzane di ogni tipo
significa che si è veramente a corto di argomenti, anzi, che non se
ne riesce a trovare nemmeno uno. Quello che preoccupa è che questo
dvd è entrato nelle case di decine di migliaia, forse centinaia di
migliaia di italiani, e che è solo parte di una campagna di
disinformazione di massa molto più pervasiva, fatta di spot
televisivi e radiofonici, di inserzioni sui giornali, opuscoli,
manifesti, capaci di raggiungere la quasi totalità della popolazione
italiana e persuaderla con l'inganno ad essere favorevole al
nucleare. Campagna estremamente costosa, che fa capire gli enormi
interessi in gioco dietro questa scelta. A questa campagna di
disinformazione bisogna contrapporre un'azione di informazione
rigorosa, di diffusione di conoscenze scientifiche e dei dati di
fatto. Sul sito della nostra associazione (www.giardinodimarco.it)
trovi vari materiali su questo argomento.
Sono state depositate 80.000 firme in calce ad una proposta
di legge di iniziativa popolare per l’efficienza
energetica, le fonti rinnovabili e la salvaguardia del clima e per
dire no al nucleare.
La proposta di legge è stata promossa da Legambiente, WWF, Greenpeace,
Forum Ambientalista e altre associazioni.
A fine dicembre abbiamo inviato 10.000 euro ai nostri amici dell'Asilo Sector Primero di San Salvador. Un grazie a tutte le persone che hanno contribuito in vario modo a raggiungere questo risultato.
Adriana Zarri, che ci ha lasciato pochi giorni fa, diceva: «Dio mi sta bene, e anche la patria e la famiglia; ma il trilogismo Dio-Patria-Famiglia non mi sta bene. Dico no a quel dio usato come cemento nazionale, a quella patria spesso usata per distruggere altre patrie, a quella famiglia chiusa nel proprio egoismo di sangue. Non mi riconosco tra quei cittadini ligi e osservanti che vanno in chiesa senza fede, che esaltano la famiglia senza amore, che osannano alla patria senza senso civico». Noi aggiungiamo “Non ci piacciono quelli che festeggiano il Natale, la nascita di Gesù, e poi pensano solo a sé stessi, quelli che ritengono che sia da ingenui credere in un mondo migliore e impegnarsi per costruirlo, quelli si compiacciono nel vedere merci a prezzi stracciati senza considerare quali salari da fame hanno avuto i lavoratori, quelli che votano non pensando al bene generale ma solo ai propri interessi, quelli che “non ci rompete con queste prediche anche a Natale, perché a Natale voglio essere sereno e felice”, quelli che “Va bene a Natale sono più buono … ma gli altri giorni mi faccio i fatti miei”. Tutti questi non ci piacciono perché sono la contraddizione vivente del messaggio di Gesù, un messaggio di speranza, di giustizia, di fraternità che noi della Marco Mascagna (credenti e non credenti) condividiamo. Il nostro augurio è che questo messaggio si diffonda e si concretizzi sempre di più.
Sala quasi al completo, pubblico entusiasta (come dimostrano non solo gli innumerevoli complimenti che abbiamo avuto, ma anche i calorosi applausi a tutti gli artisti, la richiesta di “bis” a fine spettacolo, di organizzare repliche, di avere il video dello spettacolo (che ovviamente non esiste). Un grazie alla “direttrice artistica” Daniela del Monaco e a tutti gli artisti: Daniele Mattera; Titanic Tango Quartet (Francesco Maggio, Annamaria Sullo, Giancarlo Sanduzzi, Gianfranco Sanduzzi); Antonella Ippolito; Sara D'Allocco e Gennaro Musella; Teatronoi (Titti Pepi, Lino Fusco, Pino Orizzonte, Franco Prisco); Finti-Illimani (Carlo Vignaturo e C.); Daniela del Monaco e Antonello Grande; Marco Zurzolo, Enzo Dalise, Davide Costagliola.
Il Commissariato Rifiuti che per 16 anni ha gestito “l'emergenza rifiuti” in Campania era una gallina dalle uova d'oro. Dalla relazione dei pubblci ministeri Giuseppe Noviello e Paolo Sirleo al processo emerge che i sub commissari hanno avuto compensi d'oro (1 milione di euro il sub commissario Vanoli, 800 mila euro Facchi), all'avvocato Soprano 10 milioni di euro per consulenze “che attengono a questioni meramente interpretative risolvibili anche da un semplice laureato in giurisprudenza", 417 euro al giorno per il ragioniere Carta Mantiglia (non iscritto all'albo dei ragionieri). L'avvocato Soprano era consulente sia del Commissariato che dell'Impregilo, la società che ha costruito l'inceneritore di Acerra e i 7 impianti CDR (quelli che hanno prodotto 7 milioni di ecoballe). Bertolaso ha denunciato oltre 1 milione di euro di reddito annuo. Gran parte del personale del Commissariato ha preso oltre al proprio stipendi un gettone extra compreso tra il 3,75% e il 50% del proprio stipendio
Natale tempo di regali, cioè di oggetti, cose,
spesso inutili o superflue, talvolta non desiderate e poco gradite.
Chiariamo: non vogliamo dire che non possa essere bello fare o
ricevere regali: è un pezzettino di noi, che ci scambiamo, un segno di
attenzione per l’altro, un modo per dire chi siamo. Ma oggi i regali
raramente sono questo, mentre spesso sono un dovere, una scocciatura,
l’ennesima cosa da fare freneticamente, l’ennesimo contributo da dare
alla società dei consumi e degli sprechi, che consuma risorse e
produce rifiuti oltre i limiti delle capacità del pianeta, mentre 2
miliardi di persone non hanno nemmeno il necessario per vivere?.
Noi dell’Associazione “Marco Mascagna” ti invitiamo a fare regali
diversi dalla massa e a proporre un altro modo di fare regali. Ti
proponiamo il Regalo Fujuto cioè la
volontaria rinuncia al proprio regalo natalizio a favore di qualcuno
che non ha bisogno del superfluo ma dell’assolutamente necessario: per
esempio i bambini dell’Asilo Sector Primero di San Salvador (o
qualcuna delle molte iniziative serie di solidarietà con i poveri). Oppure
di regalare il nostro CD “Una musica per ...”, perchè la
musica eleva lo spirito e perché i soldi del CD vanno tutti all’asilo
(il CD lo trovi presso le botteghe ‘O Pappece in Via Orsi e Via
Monteleone). Oppure di sostituire i regali che tu fai con
qualcosa di più sentito e personale ma molto meno costoso (in
senso sia economico che ecologico): qualche piccola cosa preparata con
le nostre mani, con la nostra mente e col nostro cuore (un vasetto di
marmellata, un cd con le musiche che più amiamo, una raccolta delle
poesie che reputiamo più belle, un poco del nostro tempo ecc.) oppure
qualcosa di poco costoso ma che arricchisce (un libro, l’abbonamento
ad una rivista sull’ecologia, sulla nonviolenza, sull’economia di
giustizia ecc.) o ancora dei prodotti del commercio equo e solidale.
Ti ricordiamo che per adottare l’Asilo Sector Primero,
non devi fare altro che un versamento della cifra che ritieni
opportuna al ccp 36982627 o al ccb Banca Fideuram iban
IT21G0329601601000064226269 intestato a Associazione Marco Mascagna
onlus, Via Ribera 1 80128 Napoli, indicando nella causale “Asilo San
Salvador”.
Sul sito dell´Associazione (www.giardinodimarco.it)
trovi notizie sull´asilo, le foto e le presentazioni dei bambini, le
lettere di Padre Gerard. Le donazioni sono detraibili dalle tasse
(donazioni ad onlus)
Molti sono convinti che i grassi animali fanno male perché aumentano
il colesterolo e favoriscono l'aterosclerosi (e, quindi, ischemia,
infarto ecc.) e che quelli vegetali fanno bene. Ma ciò non è
assolutamente vero. La realtà è più complessa di queste
semplificazioni.
In linea di massima possiamo dire che i grassi saturi (quelli che sono
solidi a temperatura ambiente) favoriscono l'aterosclerosi e quelli
insaturi (solitamente liquidi a temperatura ambiente) no. I primi sono
presenti nei formaggi, nelle carni, nel burro, nella sugna (prodotti
di origine animale), ma anche nell'olio di palma e di cocco e nella
margarina. I secondi sono presenti soprattutto nell'olio d'oliva,
d'arachide, di mais, di girasole, di soia, ma anche nel pesce, nei
molluschi e nei crostacei. Ma non tutti i grassi insaturi sono uguali.
Alcuni hanno la capacità di far aumentare il colesterolo cattivo (LDL
colesterolo) più dei grassi saturi e, per di più, fanno abbassare
anche il colesterolo buono (HDL colesterolo), aumentare i trigliceridi
e, forse, favorire il diabete. Sono i grassi trans, grassi rari in
natura, ma che si formano quando l'industria trasforma i grassi
insaturi (liquidi) in grassi saturi (il processo che avviene per
produrre le margarine) e quando i grassi insaturi sono riscaldati ad
alte temperature (sopra i 120-150° C) come avviene nelle fritture. I
grassi trans, pur essendo insaturi, sono solitamente solidi a
temperatura ambiente perché costituiti da molecole rigide e proprio
questa loro caratteristica sembra essere pericolosa, perché si
sostituiscono ai normali grassi insaturi (quelli cosidetti cis)
presenti nelle membrane cellulari, alterando le caratteristiche e la
funzionalità di queste.
I grassi insaturi, poi, si dividono in monoinsaturi (es. l'acido
oleico, presente soprattutto nell'olio d'oliva) e poliinsaturi,
presenti soprattutto negli oli di semi. I monoinsaturi sono più
resistenti al calore (cioè più difficilmente si trasformano in acidi
grassi trans o in ossidi), quelli poliinsaturi sono invece meno
resistenti.
Quindi bisogna limitare innanzitutto il consumo di grassi trans, poi
di grassi saturi e, tra i grassi insaturi, è meglio preferire quelli
monoinsaturi (acido oleico).
Qualche dato ci aiuta ad orientarci meglio:
% di grassi saturi % di grassi
monoinsaturi % di grassi polinsaturi
olio di oliva
12
80 8
olio di arachide 18
56 26
olio di mais
16
27 57
margarina solida 64
30 6
margarina semisolida 26
31 18
olio di palma 48
39 13
burro
49
24 3
% di grassi trans
margarina solida 40
margarina semisolida 17
crakers 6
merendine 10-25
Le industrie alimentari tendono ad usare olio di palma e margarina
perché costano poco e perché i grassi saturi inrancidiscono solo dopo
molto tempo (quindi è possibile mettere una data di scadenza lontana).
Quando su una confezione si legge “grassi vegetali”,. “oli vegetali”,
significa che contiene olio di palma, ma non si ha il coraggio di
dirlo e si vuol far credere che il prodotto non contiene grassi
pericolosi. Quando si legge “grassi idrogenati” significa margarina.
L'ultima trovata dell'industria sono le nuove margarine semisolide a
bassisimo contenuto di grassi saturi e prive di grassi trans. Come ci
sono riusciti a fabbricare una margarina cos? Semplice, sono composte
da acqua, olio di semi, un emulsionante (cioè una sostanza che riesce
a far sciogliere l'acqua nel grasso) e un addensante. In pratica olio
di semi e acqua, tutti e due venduti ad un prezzo superiore all'olio
di semi e all'acqua. Una vera trovata geniale … per fare soldi sulla
disinformazione dei consumatori.
Nel nostro opuscolo “Una montagna di balle per l’affare rifiuti” (che
puoi scaricare alla fine di questa notizia
e che ti invitiamo a leggere e diffondere) facevamo una breve storia
della questione rifiuti in Campania, fermandoci a gennaio 2010. Cosa è
successo in questo anno? Perché sono ritornati i rifiuti per strada?
Hanno ragione coloro che si oppongono alla costruzione della discarica
di Cava Vitiello a Terzigno e allo sversamento di rifiuti a Taverna
del Re?
Vogliamo darvi alcune informazioni per rendere più facile una risposta
a queste domande.
Sono passati altri 10 mesi è ancora non esiste in Campania nemmeno un impianto di compostaggio funzionante. Gli impianti di compostaggio sono un elemento fondamentale per una corretta gestione dei rifiuti ed è scandaloso e fortemente sospetto che la Campania, dopo tanti anni di emergenza, non ne possiede nemmeno uno e che si parli sempre e solo di discariche e inceneritori. La mancanza di impianti di compostaggio costringe i Comuni che fanno la raccolta differenziata dell’umido a portarlo in impianti situati fuori regione (Puglia, Veneto, Sicilia) con un costo di almeno 170 euro a tonnellata, quasi il doppio di quanto costa portarlo in discarica. Un sistema cioè che penalizza chi fa la raccolta differenziata dell'umido (e quindi il porta a porta) e premia i Comuni che non la fanno e che rende la spazzatura trattata negli STIR, presente in discarica o nelle nostre strade particolarmente ricca di sostanza putrescibile e quindi particolarmente puzzolente e produttrice di percolato.
In Campania è al 20% (doveva essere almeno al 35%), a Napoli al 19%, a Salerno oltre il 60%, in molto Comuni sotto il 10%, ma nessun Comune inadempiente è stato commissariato come promesso da Berlusconi. Per di più la Regione e le Province non versano sempre le cifre spettanti ai Comuni per le loro attività di gestione dei rifiuti. Napoli, per esempio, vanta crediti per 12 milioni di euro dalla Provincia e di 8 milioni dalla Regione.
Gli STIR, cioè gli ex impianti di produzione del CDR, si limitano a tritare i rifiuti. A tutt'oggi non esistono quindi in Campania impianti che recuperano plastica, metalli, materia organica e materia inerte dai rifiuti. La conseguenza e che oltre l'80% dei rifiuti finisce in discarica o ad Acerra, con enormi problemi ambientali, sociali ed economici.
Marzo 2010. La Corte di Giustizia Europea condanna l’Italia per la
gestione rifiuti in Campania fino ad inizio anno 2008. Nella sentenza
si afferma che la cattiva gestione dei rifiuti con la loro presenza
anche nelle strade “hanno provocato inconvenienti da odori ed hanno
danneggiato il paesaggio, rappresentando così un pericolo per
l'ambiente. D'altra parte, l'Italia stessa ha ammesso la pericolosità
della situazione per la salute umana, esposta ad un rischio certo”. La
Corte afferma che l’Italia è venuta meno agli “obblighi derivanti
dalla direttiva UE sui rifiuti” (che ricordiamo prevede queste
priorità di interventi: 1 riduzione della produzione di rifiuti, 2
riuso, 3 raccolta differenziata e riciclaggio, 4 incenerimento e
discarica per la frazione che residua). La condanna della Corte è il
primo passo verso una molto possibile e salata multa, che, come
sempre, sarà caricata su tutti gli italiani.
Una Commissione del Parlamento Europeo ha visitato ad aprile la nostra
regione in seguito ad alcune petizioni inoltrate da cittadini campani
(in particolare dal CORERI, il coordinamento dei comitati che lottano
per una diversa gestione dei rifiuti). Queste le conclusioni della
Commissione:
“Alcune delle decisioni assunte e soprattutto quelle riguardanti la
localizzazione delle discariche sono state prese in fretta senza le
dovute consultazioni e sono risultate spesso incaute (...). La
supervisione militare è controproducente rispetto alla trasparenza e a
ogni ragionevole percezione di normalità (...). Dubbi seri rimangono
sulle caratteristiche dei rifiuti che vengono bruciati ad Acerra e su
possibili residui tossici della combustione (...). La crisi dei
rifiuti in Campania non è finita. Giace dormiente con un alto rischio
di poter riesplodere. Inoltre diverse discariche sono in mani private
e le autorità sembrano avere un controllo limitato e una parziale
conoscenza di che cosa ci arriva e di come i siti vengono gestiti».
L’Europa, quindi, continua a bloccare i fondi europei (145 milioni
di euro) per la gestione dei rifiuti in Campania.
“Il 16 luglio per l’inceneritore di Acerra è finito il periodo di
collaudo”. Così annuncia l'Impregilo che aggiunge “Tale risultato
costituisce un’importante evidenza dell’eccellenza qualitativa che
contraddistingue l’operato del Gruppo”.
Ma del certificato di collaudo non c'è traccia presso gli enti
competenti e una relazione tecnica della Direzione Tutela del Suolo e
Gestione dei Rifiuti della Provincia di Napoli, conseguente ad
un’ispezione effettuata il 12 luglio per verificare il rispetto delle
normative e prescrizioni di esercizio è molto critica. Infatti nelle
conclusioni si afferma che: “L’impianto non è conforme a
quanto previsto dall’Autorizzazione Integrata Ambientale”
in quanto manca il sistema ausiliario di monitoraggio delle emissioni
inquinanti, il sistema continuo per la rilevazione del mercurio e dei
microinquinanti organici. Inoltre “la gestione non è conforme
all’Autorizzazione Integrata Ambientale” perché le poveri fini (quelle
più pericolose) non sono trattate nel sistema di inertizzazione, e non
vengono identificate secondo legge. La Commissione segnala che non
vengono comunicati gli arresti dell’impianto alle autorità competenti,
che il deposito temporaneo dei rifiuti pericolosi è carente e altre
varie infrazioni.
Successivamente viene pubblicata la relazione della Commissione
Collaudo. «Per quanto attiene alla funzionalità, alle prestazioni e
all’affidabilità dell’impianto le prove effettuate nel corso delle
operazioni di collaudo dimostrano il raggiungimento degli obiettivi
prefissati (...) Si rileva, in ogni caso, che la prova
prestazionale in senso stretto non si è potuta effettuare, in quanto
non era disponibile rifiuto da incenerire della qualità prevista a
progetto» (cioè CDR e non rifiuto indifferenziato). “Non
è stato possibile collaudare, perché non ancora installati” il
portale di rilevamento della radioattività, la duplicazione
del sistema di monitoraggio fumi al camino, il sistema di monitoraggio
in continuo del mercurio al camino, il sistema di prelievo in continuo
dei microinquinanti organici, nonché il circuito di recupero del
calore perché nel corso del collaudo le unità di scambio termico sono
andate tutte fuori servizio («è probabile che si tratti di un
difetto intrinseco costruttivo»).
Insomma l'inceneritore ha gravi carenze impiantistiche e funziona
male. Infatti a settembre si fermano 2 dei forni dell’inceneritore e
successivamente, per alcuni giorni, l’intero impianto. Altri soldi
vengono buttati in quel pozzo senza fondo che è l'inceneritore di
Acerra.
Con il sistema di gestione dei rifiuti messo su in Campania ogni
anno si deve trovare una nuova discarica. Inoltre la Magistratura
sospetta che nelle discariche finiscano anche rifiuti tossici
industriali. Infatti molte di esse si saturano prima del tempo
stabilito.
Il Governo ha lasciato in eredità alla Provincia la costruzione di una
grande, grandissima (la più grande d’Europa) discarica. Dove? A
Terzigno, nel Parco Nazionale del Vesuvio, che la UE ha dichiarato
sito di importanza comunitaria (S.I.C.) e l'UNESCO Riserva Mondiale
della Biodiversità. Discarica bocciata dalla Conferenza dei Servizi e
invisa alla UE, che ha più volte richiamato l'Italia a non allestire
discariche in aree protette e in particolare nel Parco del Vesuvio.
Dopo giorni di proteste dei cittadini, cariche della polizia il
Governo cambia idea: la discarica di Cava Vitiello a Terzigno non si
farà. I rifiuti nel frattempo vengono versati a Giugliano nel sito di
stocaggio di Taverna del Re, dove stazionano da anni migliaia di
ecoballe. Un sito di stocaggio provvisorio e non una discarica e
quindi con minori garanzie per la salute e l'ambiente, dove viene
versata spazzatura così come raccolta per strada e, secondo
l'ordinanaza di Bertolaso, per ben 60 giorni. Decisioni possibili solo
perché è consentito alla Protezione Civile di non rispettare le leggi
dello Stato.
Scarica l'opuscolo “Una montagna di balle per l’affare rifiuti”
Ai cittadini dovrebbe interessare molto sapere come si spendono i
soldi pubblici. Eppure quanti sanno quanto l'Italia spende per la
sanità, per le politiche sociali, per l'istruzione, per la ricerca,
per la tutela dell'ambiente, per la difesa ecc.? Quanti sanno se si
spende troppo o troppo poco per un settore o un altro? Quanti sanno se
la spesa in un determinato settore è bene impiegata o no? Il
cittadino, spesso, non ne sa gran che, giudica a naso: troppo
frequentemente ciò significa quello che gli organi di informazione
vogliono che egli pensi oppure quello che la maggioranza ritiene. Il
problema principale, infatti, è che gli organi di informazione e anche
le stesse istituzioni pubbliche non forniscono dati in proposito o, se
li forniscono, sono spesso imprecisi e fuorvianti.
Qualche esempio.
“L'Italia spende troppo per la scuola”. “L'Italia spende troppo per la
sanità”. “La sanità in Italia è al collasso: troppe spese e servizi
scadenti”. Sono frasi che spesso abbiamo sentito o letto. Ma sono
suffragate dai fatti?
Alcuni giornali e trasmissioni televisive hanno fornito dei dati che
dimostravano che l'Italia spende più della media dei Paesi
industrializzati (i Paesi OCSE): 6.853 dollari per alunno contro una
media OCSE di 6.252. Ma questo dato in realtà riguarda solo la scuola
elementare e non considera che in questo costo è compreso anche il
sostegno agli studenti con handicap (che in alcuni Paesi non ricade
sui costi dell'istruzione ma su quelli delle politiche sociali), i
costi per gli insegnanti di educazione fisica (che in certi Paesi
ricadono sul Ministero dello Sport), l'insegnamento della religione
cattolica (che per esempio non esiste in Francia). Purtroppo l'OCSE
non fornisce dati che tengano conto di queste differenze e, malgrado
molte ore passate a cercare su Internet, noi non abbiamo trovato
nessun ente che fornisse dati in proposito.
Per quanto riguarda la sanità raramente si dice che il sistema
sanitario italiano è considerato uno dei migliori al mondo
(l'Organizzazione Mondiale della Sanità più volte l’ha considerato il
secondo al mondo, dopo il francese, anche la rivista International
Living, che stila ogni anno una graduatoria dei migliori sistemi
sanitari, lo considera secondo dopo la Francia) e che gli italiani
hanno molta più probabilità di arrivare oltre gli 80 anni di vita
rispetto ad altri popoli.
Allora abbiamo pensato di fornirvi alcuni dati su come sono
spesi i soldi pubblici in Italia, paragonandoli a quelli di altre
nazioni. Leggendo questi dati ci sono sorte alcune domande che vi
proponiamo: come mai si attuano tagli alla sanità, all’università,
all’istruzione, alle politiche sociali, alla ricerca, quando in
questi settori spendiamo molto meno di altri Paesi? Non era meglio
levare un po’ di soldi alla Difesa, visto che siamo al 7° posto nel
mondo per questa tipologia di spesa (in rapporto al PIL)?
Se si vogliono tutelare i lavoratori non è preferibile
aumentare la spesa per le politiche del lavoro, invece di spendere
soldi per gli incentivi all’acquisto di auto, moto e decoder, anche
considerando che 8 milioni di lavoratori del privato e 2 milioni di
precari non hanno diritto alla cassa integrazione o ad altre forme
di tutela?
Spesa pubblica sanitaria (% PIL) 2008 (dati OCSE)
Francia 8,7
Danimarca 8,2
Germania 8,1
Regno Unito 7,6
Portogallo 7,1
Italia 7.0
Spagna 6,5
Spesa pubblica sanitaria pro capite 2008 (in dollari corretti per il
potere d'acquisto) (dati OCSE)
Danimarca 3.000
Francia 2.900
Germania 2.900
Regno Unito 2.600
Italia 2.200
Spagna 2.100
Portogallo 1.500
Spesa pubblica per l'istruzione (esclusa università) (%PIL) 2008
(dati OCSE)
Danimarca 4,3
Regno Unito 3,9
Francia 3,7
Portogallo 3,6
Italia 3,4
Germania 2,7
Spagna 2,7
Spesa pubblica per università (%PIL) 2008 (dati OCSE)
Danimarca 1,6
Francia 1,1
Regno Unito 1,0
Germania 0,9
Spagna 0,9
Portogallo 0,9
Italia 0,7
Spesa universitaria pubblica per studente anno 2008 (dati OCSE)
media OCSE: 11.512 dollari
Italia 8.026 dollari (circa la metà di quanto spendono Svezia,
Danimarca, Olanda, Austria, Regno Unito)
Spesa pubblica per la ricerca (%PIL) 2008 (dati OCSE)
Danimarca 2,1
Germania 1,8
Francia 1,3
Regno Unito 1,1
Spagna 0,8
Italia 0,6
Spesa pubblica per le politiche sociali, escluse sanità e pensioni
(%PIL) 2004 (dati Eurostat)
Danimarca 18,3
Francia 12,2
Germania 10,5
Regno Unito 7,0
Spagna 6,0
Italia 4,9
Spesa pubblica per le politiche di sostegno alla famiglia (%PIL) 2005
(dati Eurostat)
Danimarca 3,8
Germania 3,2
Francia 2,5
Regno Unito 1,7
Spagna 1,1
Italia 1,1
Spesa pubblica per le politiche del lavoro (%PIL) 2007 (dati
Eurostat)
Danimarca 2,7
Germania 2,4
Francia 2,3
Spagna 2,3
Italia 1,1
Regno Unito 0,6
Spesa per la giustizia (%PIL) 2008 (dati Eurostat) (tra parentesi il
numero di avvocati)
Germania 0,35 (147.000)
Italia 0,26 (213.000)
Francia 0,17 (48.000)
Regno Unito 0,16 (140.000)
Spesa per la Difesa 2008 (dati SIPRI Istituto Internazionale di
Stoccolma per la Ricerca sulla Pace)
Regno Unito 2,6
Francia 2,4
Italia 2,0
Danimarca 1,5
Germania 1,3
Spagna 1,2
La manovra finanziaria prevede un taglio di 3,5 miliardi di euro al trasporto pubblico locale. Tagli pesanti che in alcuni casi (Liguria) arrivano al 40% dei fondi destinati al trasporto pubblico. La Campania dovrà fare a meno di 420 milioni di euro. Un grave colpo per tutti gli utenti di bus, metro e ferrovie locali a cui saranno offerti meno servizi e/o a prezzi più alti. Il Governo ha invece deciso di non aumentare la tassazione sulla benzina e sul possesso di auto, facendo così ricadere il costo solo su coloro che usano i mezzi pubblici, penalizzando i poveri e coloro che hanno comportamenti ecocompatibili.
I Certificati Verdi sono uno strumento, utilizzato in varie nazioni
(Italia, Olanda, Paesi Scandinavi, Gran Bretagna, USA ecc.), per
contrastare la produzione di CO2 e favorire le energie rinnovabili.
Essi sono dei certificati emessi dallo Stato col quale si certifica
che un determinato impianto di energia pulita (solare, eolico,
idroelettrico ecc.) ha fatto risparmiare x tonnellate di CO2
(prendendo come termine di paragone le emissioni prodotte da un
impianto di uguale potenza alimentato a petrolio). Poiché la normativa
italiana obbliga i produttori di energia a produrre almeno il 5% di
energia da fonti rinnovabili e dà loro la facoltà di comprare
certificati verdi per coprire in toto o parzialmente questa quota del
5%, esiste un mercato dei Certificati Verdi e una relativa borsa. Per
evitare speculazioni e favorire lo sviluppo dell'energia pulita lo
Stato ogni anno compra l'eventuale quota in eccesso di Certificati
Verdi al prezzo medio dell'anno precedente. L'articolo 45
della manovra finanziaria elimina l'acquisto da parte dello Stato
dei certificati verdi in eccesso.
Poiché i certificati verdi vengono rilasciati per i primi 15 anni di
attività dell'impianto, l'abolizione dell'acquisto da parte dello
Stato dei certificati in eccesso finisce per essere una norma con
effetto retroattivo: lo Stato di fatto non mantiene la promessa che in
caso di difficoltà a vendere i certificati verdi in un determinato
anno avrebbe provveduto in proprio.
Con l'articolo 45 della manovra finanziaria si mettono in difficoltà
le aziende che producono energia pulita, che, ricordiamo, nel solo
2009 hanno creato 5.000 posti di lavoro. Questo provvedimento del
Governo determinerà un forte calo dell'occupazione in questo
settore, una riduzione dell'energia elettrica prodotta in Italia e
un aumento dei gas serra e dell'inquinamento.
E' significativo che le principali 25 banche nazionali che sono
coinvolte su nuovi progetti per le rinnovabili (eolico, solare,
miniidroelettrico, ecc.) hanno sospeso l'esame di tutte le operazioni
di finanziamento e bloccato immediatamente qualsiasi nuova erogazione
relativa a contratti di finanziamento già in corso.
Secondo stime fronte dell’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas,
con tale scellerato provvedimento lo Stato risparmierà solo
530 milioni di euro per il 2010, ma in futuro,
per le eventuali multe europee per il mancato raggiungimento degli
obiettivi di riduzione dei gas serra e per il ridotto gettito
fiscale da tale settore in crisi, rischia di sborsarne molti di più.
E pensare che non è stata messa in discussione la decisione di
spendere 15 miliardi di euro (1 miliardo all'anno per 15 anni) per
comprare 131 cacciabombardieri F35 e che ogni mese spendiamo 51
milioni per la missione in Afganistan.
Il Governo italiano e quello francese hanno firmato l'accordo per vietare il transito delle navi che trasportano carichi pericolosi nelle Bocche di Bonifacio. Le associazioni ambientaliste italiane e francesi da tempo chiedevano tale divieto essenziale per proteggere un tratto di mare e di costa particolarmente importante dal punto di vista ecologico anche per la salvaguardia dei cetacei.
La delinquenza (in particolare, mafia, ndrangheta e camorra),
contravvenendo alle norme ambientali, incassa 20 miliari di
euro, circa un quarto dell'intero fatturato della
delinquenza in Italia. Si guadagna soprattutto nel campo dei rifiuti
(offrendo servizi di smaltimento di rifiuti industriali, sanitari,
edilizi a prezzi stracciati perché i rifiuti finiranno in qualche cava
abbandonata, sul bordo di qualche strada, a mare, in una discarica di
rifiuti urbani o bruciati in roghi grandi e piccoli) e nel ciclo del
cemento (produzione fuori regole, costruzione di case abusive, mancato
rispetto di norme nella costruzione di case, strade, ponti, porti,
ecc.).
A fronte di questa enorme industria del crimine, nella quale sono
impegnate decine di migliaia di persone, gli arrestati nel 2009 sono
stati solo 317. In Italia nel 2009 sono state costruite 27.000
case abusive ma solo 2.832 sono quelle sequestrate e solo 13 le
persone arrestate per reati legati al ciclo del
cemento (Rapporto Ecomafie 2010). Colpa di leggi
indulgenti con chi realizza profitti determinando migliaia di vittime
per inquinamento, frane, terremoti, deturpando e inquinando il
territorio, la nostra principale risorsa. Qualche esempio: malgrado
oggi i satelliti sono usati anche per telefonare al vicino di casa o
per avere le indicazioni stradali per andare in pizzeria, essi non
sono usati routinariamente per scoprire il traffico e lo smaltimento
di rifiuti industriali, la costruzione di case abusive, lo scarico di
acque inquinate in fiumi e laghi; chi costruisce una casa
abusiva è punito con massimo 3 mesi di arresto (2 anni in
caso di lottizzazione o di costruzione su area vincolata), chi
ha una immigrata irregolare come badante, baby-sitter o cameriera è
punito con la pena da 3 mesi ad un anno; chi inquina un
corso d'acqua o una falda è punito con l'arresto fino a 2 anni, chi
ruba qualcosa in un supermercato è condannato con l'arresto fino a 4
anni. Invece di prendere provvedimenti per rimediare a questi
problemi, l'attuale Governo vuole varare una legge che limita le intercettazioni
da parte dell'autorità giudiziaria, cioè il principale
strumento per scoprire gli autori del traffico di rifiuti industriali
e si riparla di condono dell'abusivismo edilizio.
Per questo ti invitiamo a far sentire la tua voce inviando
mail di protesta ai capigruppo di Camera e Senato. Una
possibile lettera è questa:
No alla legge che limita le intercettazioni. No a
qualsiasi condono edilizio.
Onorevole senatore
le scrivo per invitare lei e il suo gruppo parlamentare a votare
contro la legge sulle intercettazioni e contro qualsiasi norma di
condono edilizio.
Le ricordo che, secondo l'ultimo rapporto Ecomafie, nel 2009 solo
317 persone sono state arrestate per reati relativi all'ambiente,
reati che determinano migliaia di vittime per inquinamento, frane,
terremoti, che deturpano e inquinano il territorio, la nostra
principale risorsa e con i quali la delinquenza ha un fatturato
annuo di oltre 20 miliardi di euro. Riducendo l'utilizzo delle
intercettazioni la possibilità della Magistratura di contrastare
questi e altri crimini si ridurrebbe ancora di più.
La giusta esigenza di tutelare la privacy può realizzarsi obbligando
la Magistratura a stralciare dal materiale reso pubblico ogni
riferimento a persone estranee ai reati e agli aspetti più personali
(religiosi, sessuali) degli indagati.
Il condono edilizio, oltre a impedire il ripristino dello stato dei
luoghi, è un incentivo all'illegalità e al non rispetto delle
regole, perché premia chi non ha rispettato la legge e offende chi
l'ha rispettata.
La ringrazio dell'attenzione e le segnalo che il mio comportamento
alle prossime elezioni dipenderà dalle scelte sue e del suo gruppo
su questa questione.
Distinti saluti
Firma
Gli indirizzi e-mail dei capigruppo di Senato e Camera sono questi:
gasparri_m@posta.senato.it,
finocchiaro_a@posta.senato.it,
bricolo_f@posta.senato.it,
belisario_f@posta.senato.it,
pistorio_g@posta.senato.it,
dalia_g@posta.senato.it,
cicchitto_f@camera.it, soro_a@camera.it, cota_r@camera.it,
donadi_m@camera.it, casini_p@camera.it,
brugger_s@camera.it
Frequentemente circolano in rete notizie false, vere a metà,
inventate di sana pianta. Sono le “bufale”. Le ultime circolate sono
l'emendamento (riguardante i siti internet e i blog) al decreto
sicurezza (l'emendamento effettivamente approvato al Senato un anno fa
è stato cassato dalla Camera e non fa parte del decreto sicurezza
promulgato nel 2009), il complotto contro le auto elettriche (per il
II principio della termodinamica non possono esistere auto che vanno
ad acqua o ad aria, e l'auto elettrica non ha successo perché vi sono
problemi di costi e di scarsa durata delle pile), l'ennesimo aumento
degli stipendi dei parlamentari (i nostri parlamentari guadagnano
molto ma non si aumentano lo stipendio ogni settimana), le
pericolosissime scie chimiche rilasciate dagli aerei per loschi e
criminali motivi (gli aerei inquinano non poco ma le scie che vediamo
sono in realtà acqua condensata). In passato erano circolate anche
bufale più fantasiose come i gatti in bottiglia, i cellulari che
cuocerebbero i pop-corn, il rischio di esplosione dello stomaco se si
mangia una caramella alla menta dopo aver bevuto un bicchiere di Coca
cola, i cuccioli di draghi sotto spirito.
Per questo prima di girare una notizia o un appello conviene
verificare l'attendibilità della fonte, controllare sul sito
antibufala (www.attivissimo.net/antibufala)
se sia una bufala già schedata, vedere se la notizia ha riferimenti
precisi (date, nomi, indirizzi, leggi o documenti, dati ecc.) per
verificarli utilizzando un motore di ricerca come Google.
C'è già tanta cattiva informazione in giro cerchiamo di non
contribuire pure noi.