Ogni anno i cittadini italiani buttano 12 miliardi di euro nella spazzatura
Sì, ogni anno i cittadini italiani buttano 12 miliardi di euro nella spazzatura [1]. Si stima infatti che in media ogni italiano getti nella spazzatura circa 530 grammi di alimenti a settimana (pari a un valore di 4 euro, cioè 200 euro all’anno) [2]. E ciò considerando solo la parte edibile, cioè quella commestibile, buona da mangiare, nutriente. Se si tiene conto non solo di quello che avviene in fase di consumo, ma anche degli sprechi in fase di produzione (per esempio frutta e verdure non belle a vedersi, ma buone, che sono gettate prima di arrivare ai trasformatori e venditori), di trasformazione e di vendita (p. es. alimenti vicini alla data di scadenza, che vengono avviati al macero) e le parti non edibili (gusci, ossa, bucce, lische di pesce, scarti di verdura ecc.), che potrebbero essere utilizzate in vario modo (mangimi, compost, biogas ecc.) lo spreco di alimenti ammonta a 1.900 grammi a settimana (circa 100 Kg all’anno).
Cerchiamo di capire meglio questo fenomeno piuttosto recente e tipico dei Paesi ricchi (nei Paesi poveri è consistente la “perdita alimentare”, cioè alimenti che vengono perduti a causa di fattori indipendenti dalla volontà umana, quali parassiti, fattori climatici e meteorologici).
In fase di produzione sono persi-sprecati soprattutto frutta e ortaggi e le cause principali sono la presenza di parassiti e l’ “estetica” non accattivante del prodotto.
In fase di trasformazione/confezionamento sono gettati soprattutto frutta e verdura (perché non belli), pesce, carne. Oltre il 30% degli alimenti scartati finisce in discarica, invece che essere utilizzato per altri scopi (es. mangimi animali) [3].
Nella distribuzione lo spreco avviene per danni di natura meccanica o biologica subiti durante il trasporto, perché si buttano via prodotti vicini alla data di scadenza o alla data di consumo consigliata, o perché non rientrano negli standard estetici richiesti dai consumatori
A sprecare sono soprattutto i supermercati.
Secondo l’Unione Europea le principali cause di perdita e spreco alimentare nella UE sono la sovrapproduzione alimentare, gli elevati standard estetici del mercato, le inefficienze nella gestione dei magazzini e delle scorte, i danni alle confezioni, le strategie di marketing (2 al prezzo di 1), che incoraggiano acquisti eccessivi, e le inefficienze nella filiera [4].
Alla domanda “Perché sprechi alimenti?” gli italiani, percentualmente, danno le seguenti risposte [5]:
46% mi dimentico delle cose che ho comprato e così scadono o si deteriorano;
42% supermercati e fruttivendoli conservano frutta e verdura in frigo e, appena portate a casa, vanno a male;
31% i cibi venduti sono già vecchi;
29% acquisto troppo;
27% ho sempre paura di non avere a casa cibo a sufficienza;
27% compro confezioni troppo grandi;
25% cucino troppo;
24% non mi piacciono gli avanzi;
23% ci sono troppe offerte;
21% sono troppo lunghi i tempi tra una spesa e l’altra e il cibo si deteriora.
Da queste risposte trapela la ragione di fondo: si compra troppo e si cucina troppo. Non è un caso che quasi la metà degli italiani è in eccesso di peso: il 32% sovrappeso e l’11% obeso [6].
Questo atteggiamento consumista e sprecone ha innumerevoli e gravissime conseguenze [7]:
– spreco di terra: 1,4 miliardi di ettari (pari al 30% dei terreni agricoli) sono coltivati per riempire il secchio della spazzatura invece che per nutrire;
– spreco d’acqua: ogni anno si impiegano 250 km cubici di acqua per nulla;
– spreco di energia (petrolio, ecc.): per far funzionare le macchine agricole, per la produzione di fertilizzanti e pesticidi, per i trasporti, per gli impianti di trasformazione, per gli apparecchi di conservazione (frigoriferi ecc);
– perdita di biodiversità: si stima che lo spreco alimentare contribuisca per il 20% alla perdita di biodiversità, a causa delle monoculture, della necessità di nuove terre, dei disboscamenti ecc.;
– emissioni di gas serra: pari a 3,3 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente all’anno (se lo spreco alimentare fosse uno Stato, sarebbe il terzo dopo Stati Uniti e Cina);
– inquinamento: delle acque (fertilizzanti, pesticidi, liquami ecc), dell’aria (gas di scarico dei macchinari e delle fabbriche, cattivi odori ecc.), del suolo (fertilizzanti, pesticidi, carico degli animali ecc.);
– rifiuti: se non ci fossero sprechi alimentari avremmo meno rifiuti organici da raccogliere, trasportare e smaltire. Infatti il 10-20% dei rifiuti domestici è costituito di alimenti edibili [8]. Se si eliminassero gli sprechi avremmo la metà del deficit di impianti di biodigestione-compostaggio che abbiamo ora.
Le soluzioni attualmente praticate dalle istituzioni sono: la donazione di alimenti vicini alla data di scadenza/data di consumo consigliata a organizzazioni caritatevoli, che li distribuiscono ai poveri; la trasformazione del cibo scartato in mangime (ciò avviene soprattutto per lo spreco in fase di produzione e trasformazione); la trasformazione degli sprechi alimentari in bioenergia (per produrre metano, alcol ecc.); rendere i cibi meno deperibili o con qualità estetiche migliori (es. tramite additivi); favorire il compostaggio domestico; campagne educative.
Come si può vedere, gli interventi praticati (tranne l’ultimo) sono tutti a valle e quindi non aggrediscono il problema all’origine. Inoltre alcune soluzioni (es. la trasformazione degli alimenti sprecati in mangime o energia), causando una richiesta di sprechi alimentari, possono essere un incentivo a perpetuare e incrementare gli sprechi. Cercare di rendere i cibi “più belli” può rafforzare una delle cause degli sprechi (dare peso soprattutto all’estetica degli alimenti).
Sono possibili anche altre strategie, che intervengono maggiormente sulle cause ma, forse proprio per questo (perché contrarie alla logica consumistica della nostra società), sono molto meno praticate:
– produrre di meno. Per esempio rivedendo i contratti tra fornitori (contadini o trasformatori) e distributori. Attualmente la mancata fornitura delle quantità concordate espone agricoltori e trasformatori al rischio di penali o di risoluzione dei contratti, per cui si preferisce produrre di più e poi buttare una parte del prodotto che rischiare una penale;
– favorire le filiere corte e l’acquisto da autoproduttori (es. mercatini Coldiretti), piccoli commercianti, piccoli supermercati, perché più corta è la filiera e meno rischi ci sono di spreco e perché è soprattutto la grande distribuzione che spreca e che invoglia a sprecare;
– contrastare la produzione e il consumo di prodotti agricoli fuori stagione (vanno a male prima di quelli di stagione);
– ostacolare le offerte tipo “prendi 3 paghi 2”;
– educare i consumatori a comprare di meno, a comprare anche i “brutti ma buoni”, a comprare solo prodotti di stagione, a cucinare di meno, a utilizzare tutta la parte edibile, a non buttare gli alimenti fuori data di consumare preferibilmente entro, a sapere conservare i cibi, a utilizzare gli scarti.
Cosa può fare ciascuno di noi? Ecco alcuni consigli:
– conservare gli ortaggi in frigo in contenitori o buste; se fuori dal frigo coprirli con un panno umido;
– cipolle, patate e aglio vanno conservati ciascuno in una rete, appesi (può andare benissimo un vecchio collant);
– le erbe aromatiche vanno trattate come se fossero fiori: in un vasetto con un poco d’acqua (eventualmente in frigo), oppure in un contenitore ermetico in frigo;
– ricordarsi che in frigo gli alimenti durano di più: la carne bovina si può tenere da 3 a 6 giorni (in base al taglio, se più sottile o no), le carni suine e pollame 3-4 giorni; il pesce (eviscerarlo prima) per 2 giorni; i formaggi freschi 3-4 giorni. Se sono sottovuoto questi tempi vanno moltiplicati per 2-3 volte. Le marmellate fatte in casa e quelle aperte vanno tenute in frigo;
– prendere prima lo scatolame che sta dietro (o mettere avanti quello che scade prima);
– gli alimenti scongelati si possono ricongelare se cotti;
– usare anche gli scarti (bucce di agrumi per fare canditi, liquori e tisane; le foglie di barbabietole si lessano e si mangiano; con le teste dei gamberi o di pesce si può fare un brodetto; ecc.)
– al ristorante non vergogniamoci a chiedere di portare a casa gli avanzi (doggy bag o family bag).
In ultimo, come abbiamo già proposto altre volte, rivediamo le norme del galateo. Per esempio dovrebbe essere cattiva educazione cucinare troppo, lasciare i piatti sporchi (non fare “la scarpetta”), cambiare i piatti se non vi sono parti non edibili, non mangiare tutto quel che c’è nel piatto o bere tutto quel che c’è nella tazza, tazzina, bicchiere.
Buttare cibo nella spazzatura, in un mondo dove quasi 700 milioni di persone soffrono la fame, è scandaloso; è uno spreco intollerabile perché la sua produzione è costata fatica e denaro e il suo smaltimento costerà ulteriore fatica e denaro; è da irresponsabili perché contribuisce all’effetto serra e all’inquinamento e a tutte le loro gravi conseguenza ecologiche, sanitarie, economiche. Pensiamoci.
Note: 1) Giordano C, Alboni F, Cicatiello C, Do discounted food products end up in the bin? An investigation into the link between deal-prone shopping behaviour and quantities of household food waste, in International Journal of Consumer Studies, 2019; 2) Università di Bologna, Last Minuts Market, 2017; 3) Ist. Naz. di Economia Agraria: Lo spreco alimentare in Italia, 2014; 4) http://ec.europa.eu/food/food/sustainability/causes_en.htm; 5) Waste Watcher International Observatory-Università di Bologna-Last Minute Market: https://www.sprecozero.it/wp-content/uploads/2021/02/Il-caso-Italia-WWI-5-feb-.pdf; 6) ISS-Epicentro: studio PASSI, 2020; 7) FAO: Food wastage footprint, Impacts on Natural resources, 2013; 8) Il dato è molto controverso. Alcune stime danno circa il 10% altre (ADOC) il 30%. Secondo l’Università di Bologna le stime più attendibili sono tra 10 e 20%.
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