“Nelle ultime due settimane e mezzo abbiamo assistito a orrori inimmaginabili e su vasta scala in Israele e nei Territori palestinesi occupati. Più di due milioni di persone nella Striscia di Gaza stanno lottando per sopravvivere a una catastrofe umanitaria con un numero di vittime civili senza precedenti. Oltre 6.546 persone sono state uccise a Gaza e almeno 1.400 in Israele, mentre migliaia sono rimaste ferite. Più di 200 persone sono state prese in ostaggio da Hamas. Gravi violazioni del diritto umanitario internazionale, compresi crimini di guerra, da parte di tutte le parti in conflitto continuano senza sosta. Di fronte a una devastazione e sofferenza tali la vita dei civili deve essere posta al centro”.
Questo l’appello di Amnesty International del 26 ottobre per “chiedere un cessate il fuoco a entrambe le parti coinvolte nel conflitto in Israele e nei Territori palestinesi occupati, allo scopo di fermare e prevenire ulteriori uccisioni di civili e garantire l’accesso agli aiuti umanitari per le persone nella Striscia di Gaza coinvolte in una catastrofe umanitaria senza precedenti”.
Appello caduto nel vuoto. Anzi Israele ha cominciato l’invasione di parte della Striscia con mezzi pesanti.
Purtroppo di fronte a questa immane tragedia molti politici, giornalisti e persone comuni si sono schierati da una parte o dall’altra come se fosse un derby calcistico, sventolando la bandiera israeliana o quella palestinese, senza alcuna o con pochissima considerazione e pietà per le vittime dell’altra parte. Il manicheismo per cui una parte ha tutte le ragioni e l’altra tutti i torti, la demonizzazione e disumanizzazione della controparte, il nazionalismo, la retorica non solo non aiutano la pace, ma la rendono impossibile. Di più: servono a giustificare uccisioni, distruzioni, atti disumani e criminali (come tagliare acqua, viveri, medicinali a un’intera popolazione o uccidere persone inermi solo perché dell’altro popolo).
Forse una delle parole che ci deve allarmare è proprio “popolo”: non esiste nessun insieme di individui con caratteristiche proprie e differenti da altri insiemi di individui, ma una pluralità di persone di pari dignità appartenenti a una pluralità di insiemi di persone [1]. Dobbiamo contrastare l’individualismo, ma anche il nazionalismo e ogni altra esaltazione identitaria. Siamo tutti fratelli/sorelle. E, in quanto tali, la morte di ogni uomo o donna è un lutto.
La prima cosa da fare di fronte a tragedie come il conflitto israelo-palestinese, quindi, è rimanere umani, provare empatia per chiunque soffra, considerare tutti gli uomini e le donne come nostri fratelli e sorelle. Ciò impedisce ogni forma di vendetta e di rappresaglia, inibisce ogni violenza e manicheismo. L’empatia fraterna porta a cercare altre strade, che non siano quelle violente, per affrontare i conflitti.
La seconda cosa da fare, allora, è ragionare: analizzare senza partigianeria le ragioni dell’uno e dell’altro, prospettare interventi e soluzioni che ne tengano conto esaminando i pro e i contro con sano realismo.
Anche su questo secondo punto c’è da segnalare una strana tendenza da parte di politici, intellettuali e persone comuni: quella di considerare ogni tentativo di capire le ragioni dell’una o dell’altra parte come giustificazione dei suoi atti violenti, ingiusti, iniqui; di irridere chi cerca di ragionare, chi cerca lumi nella Storia, nella Geopolitica, nella Psicologia sociale per comprendere meglio e farsi guidare nell’azione.
“No!” – sembrano dire alcuni – “Non serve ragionare: bastano le emozioni immediate e il sentire della pancia”.
Un esempio è l’articolo scritto da uno scrittore italiano: “Sono proprio queste ore di confusione e shock quelle in cui possiamo avere una visione più lucida di quanto sta accadendo, le ore in cui cristallizzare dentro di noi una posizione personale che ci serva da ormeggio nell’infinito dibattito che seguirà. È uno strano paradosso della nostra epoca: per valutare meglio un evento non conviene più aspettare troppo, conviene quasi, al contrario, affrettarsi e perfino decontestualizzarlo”.
Noi pensiamo che nelle “ore di confusione” non si è lucidi, che la pancia non è l’organo deputato a valutare gli avvenimenti, a interpretarli e a prendere una posizione, che per di più,essendo “cristallizzata”, non andrà più messa in discussione. E’ il cervello l’organo deputato a interpretare e prendere posizioni sagge; è la ragione (con i dilemmi morali che pone e che cerca di sciogliere) che distingue la specie Uomo dagli altri animali.
Certo è più semplice e facile non ragionare, non fare la fatica di inserire gli eventi nel contesto nel quale accadono, non analizzare la complessità della realtà per cercare i possibili nodi in cui intervenire e affidarsi, invece, alle emozioni (spesso influenzate da irrazionali bisogni identitari) o alle parole d’ordine di chi sa parlare alla nostra pancia. Fare ciò è estremamente pericoloso: la Storia ci ha insegnato che il sonno della ragione genera solo mostri e tragedie.
Invitiamo tutti a contrastare tali tendenze e a firmare due appelli di Amnesty (quello per il cessate il fuoco e quello perché Israele revochi l’ordine di evacuare gli ospedali di Gaza):
Note: 1) Popolo è parola che deriva dalla radice indoeuropea “pal” che significa “unire” “mettere insieme”: mettere insieme persone con uguali caratteri. E’ interessante che nel linguaggio scientifico (per esempio in ecologia) si distingue popolazione (= insieme degli individui di una stessa specie) da comunità (= insieme di individui di specie diverse, cioè diversi l’uno dell’altro). Quindi gli uomini o appartengono tutti allo stesso popolo (in quanto specie Homo Sapiens) o sono una comunità in quanto ciascun essere umano è diverso dall’altro, è “unico” (è “persona”); 2) L’articolo è In Israele violenza come in Ucraina o al Bataclan: questi volti sono il punto di non ritorno di Paolo Giordano, uscito sul Corriere della Sera il 9/10/23.